in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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LA PARABOLA DEL BUE

In cerca del toro, 

mi apro la via attraverso le foreste,

seguendo il corso di fiumi senza nome,

perso nei meandri dei sentieri di montagna.

Esausto e disperato,

non riesco a trovare altro che il fruscio delle foglie

e il canto delle cicale al calare della notte.

Il mandriano è solo, stanco e disperato. Ha perso il bue ma, in realtà, egli si è separato da esso, smarrendosi così nell’esperienza della separazione. Non sa che strada seguire. C’è l’acqua che scende, le rapide,. Dentro di lui, desiderio e paura. I concetti del bene e del male lo imprigionano.

Orme:

sotto gli alberi vicino alle sponde del fiume,

tra l’erba profumata,

sulle montagne remote.

Queste tracce sono onnipresenti come il cielo

ed evidenti come il mio naso.

Il mandriano ha trovato delle orme: ha cominciato a capire qualcosa. Coglie una vaga sensazione di se stesso nel complesso dei fenomeni naturali. Nell’acqua, sotto l’albero, il giovane uomo ha visto le tracce del bue. L’animale e il cuore dell’uomo sono una unica entità, ma per il momento è solo una percezione, una verità che emerge solo a tratti. Il mandriano ha trovato il sentiero, ma non ha ancora varcato il cancello.

Uccelli canterini tra i rami,

sole caldo e fresca brezza,

salici verdi vicino alla riva del fiume.

Non esiste un luogo dove il toro può nascondersi.

Chi potrebbe dipingere una testa tanto grande

e corna così penetranti?

Il giovane uomo ascolta attentamente, ode un usignolo e segue l’oscillare dei rami di un salice…Improvvisamente vede la coda del bue che si agita tra le fronde: Poi scorge anche l’animale: è molto possente con grandi corna; è l’elemento yang, l’energia creativa. Il giovane comincia a intravedere parte della sua natura

Combatto coraggiosamente per catturare il toro,

lottando contro la sua volontà feroce

e la sua forza inesauribile,

mentre carica sulle vette nebbiose dei monti

e nelle profondità inaccessibili delle forre.

Il giovane uomo deve lottare per catturare il bue: è l’avvio del processo di conoscenza, di apprendimento; questo disegno illustra la sensazione che si prova quando si viene sottoposti ad una disciplina. Il ragazzo comprende che quanto ha trovato non è l’illuminazione, ma un sé incontrollabile, indomito e selvaggio. L’istinto animale è feroce, senza regole, non vuole essere domato. Per ritrovare l’armonia fra di loro, il mandriano dovrà usare la frusta

Con la frusta e la cavezza 

Per evitare che si allontani inselvatichendosi,

il toro diventerà ben addestrato

e naturalmente mansueto, obbedendo senza bisogno di imposizioni.

Il mandriano è riuscito a mettere una corda intorno al naso del bue. Lui e il bue diventano amici. Il mandriano ha dovuto addestrarsi mentalmente per evitare di restare sempre nell’inganno, per armonizzare la mente in modo tale che esprima senza sforzo la natura più profonda di se stesso. Non è il mondo oggettivo a opprimerci, bensì le nostre menti ingannevoli. Una volta domato, il toro obbedisce naturalmente, senza ribellarsi e senza bisogno di imporgli alcuna disciplina. L’indole di animale del giovane uomo è stata addomesticata, ma egli non ha fiducia in se stesso, non può credere di aver addomesticato il bue, perciò continua a tenerlo legato.

Senza fretta cavalco il toro diretto a casa.

La melodia della mia canzone saluta la sera.

Batto il ritmo, mi sento in armonia.

Non c’è bisogno di dire

che ora sono uno di quelli che sanno.

Adesso il ragazzo sta cavalcando il bue di ritorno a casa. Suona il flauto, una dolce melodia cavallo del suo toro, la sua attenzione non si concentra sulle cose di questo mondo. Adesso, sicuro di se stesso, sente la libertà spontanea della natura. Il mondo è tornato alla vita ed egli si sente una parte dei suoi ritmi e della sua armonia. Il mandriano segue la Via con facilità e , anche se è ancora lontano dalla fine del viaggio, va avanti, senza badare a ciò che potrebbe tentare di attirarlo indietro.

Arrivato a casa,

il toro scompare improvvisamente.

Siedo solo e in pace.

In beata rilassatezza saluto l’alba,

abbandonando la frusta e la cavezza

nella mia umile casa.

Il giovane uomo è arrivato a casa. I rami del prugno si piegano e muovono al vento. Il bue non c’è, è rimasto solo, ma questa solitudine è molto diversa da quella mostrata nel primo disegno, quando il giovane uomo era perduto e non aveva ancora nessuna percezione di se stesso. Egli comprende che il bue è stato solo l’oggetto temporaneo della sua ricerca. Lo ha portato a comprendere che il sé separato, quale egli si considerava prima, non è la sua vera natura. Lo sguardo rivolto alla luna, butta via la frusta che ha usato per domare il bue perché ormai è inutile.

Frusta e cavezza, sé e toro:

ogni cosa è nessuna cosa.

Il cielo azzurro chiaro non è segnato da alcun messaggio.

Un fiocco di neve potrebbe durare tra le fiamme del fuoco?

Questo è il posto degli antichi maestri.

L’uomo e il bue sono scomparsi. Tutto si dissolve. Tutte le stelle sembrano cadute in questo biancore. Se tutto è uno, allora non esistono cose separate. Il sé di cui è andato alla ricerca l’uomo non è una realtà indipendente. L’estinzione del sé, la conoscenza del vuoto è rappresentata come un cerchio vuoto. Non c’è niente da raggiungere, perché era già tutto sin dall’inizio. Anche se la visione che l’uomo, il cercatore, è andato perseguendo è stata finalmente ottenuta, non c’è nessuno, nessun sé separato che si voglia gloriare di un tale risultato.

Sono tornato alle radici e la fatica è finita.

Fin dall’inizio non c’è stato nessuno a vedere o udire qualcosa.

Non esiste niente fuori dalla mia vera casa.

I fiumi scorrono quietamente e i fiori rossi sbocciano.

Nelle più antiche versioni taoiste della parabola del toro l’ottavo stadio è il conclusivo. Ma i maestri taoisti, percependo che in tal modo rimaneva un barlume di dualità (il vuoto e il mondo delle apparenze) occorreva illustrare un ulteriore passaggio nella crescita della consapevolezza: non esiste alcuna differenza tra Nirvana (vuoto) e Samsara (il tutto): sono due facce indivisibili della Realtà Unica.

Questo passaggio è simboleggiato dal ritorno alla fonte.

Le cose sono semplicemente quelle che sono e adesso il giovane uomo osserva le acque azzurre del fiume che scorre, i fiori che sbocciano e milioni di colori appaiono; osserva tranquillamente le cose cambiare.

Scalzo e insignificante, mi mescolo nel mercato.

Forse i miei vestiti sono logori, ma sorrido.

Non ho bisogno di poteri magici.

Davanti ai miei occhi fioriscono alberi avvizziti.

Il ritorno nel mondo. Il discepolo è ora maestro e vive una vita comune tra la gente comune. In lui tutti gli opposti si sono riconciliati. Percepisce che tutte le cose sono perfette così come sono. Che gli altri se ne rendano conto oppure no, vede che tutti sono già illuminati, come lo è sempre stato egli stesso. Egli è solo un testimone del manifestarsi spontaneo del miracolo della vita. Il maestro visita il mercato, un luogo pieno di vita. Sembra un mendicante, una figura molto poco appariscente. Ha una bisaccia di merci che regala via. E il cerchio comincia nuovamente: di fronte a lui c’è un giovane all’inizio del suo viaggio, della sua personale ricerca. 

BIBLIOGRAFIA:

  • La saggezza Zen”, Timothy Freke, 1998 by Crealibri, (titolo originale “ Zen wisdom”, 1997, Godsfield Press);
  • Abbraccia la tigre torna alla montagna”, Chungliang Al Huang, 1998 ed. Corbaccio s.r.l, Milano (titolo originale “Embrace Tiger, Return to Mountain”, 1973);
  • Il significato della felicità”, Alan W. Watts, 1975, ed. Astrolabio, Ubaldini editore, Roma (titolo originale- “The meaning of happiness”, 1940, Harper & Row, New York)

 

Da: http://www.ilguerriero.it/codino/ricerca_interiore/documenti/vitaspirituale2.htm

 

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