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Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

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(Yun Men)

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IL MISTERO DI SIMONE WEIL

Marcella Tassinari Franchi

 

La complessa personalità di Simone Weil, quasi impossibile da riferire senza correre il rischio di sacrificarla, dai numerosi scritti ci si rivela multiforme e gigantesca, sia per profondità e vastità culturale, sia per passione ed impeto.
La sua eccezionalità scaturisce da due carismi complementari fra di loro e che ella possedeva in misura straordinaria: intelligenza e amore.
La sete di sapere, in lei sempre sete di conoscenza, non le concede tregua, non soffre indugi: il comprendere è, per ogni circostanza ed evento e pensiero, necessità di calarsi nell’esperienza ed esserne coinvolta per la totalità della sua persona. Per lei la consapevolezza passa attraverso questo crogiuolo, come l’oro nel fuoco. Le molte e diverse esperienze alle quali sottopose il suo fragile fisico e che vanno dallo studio intenso alla lotta politica, dall’insegnamento all’attività operaia, come fresatrice, dove rimase per otto mesi nonostante impazzisse per i mal di testa, sono significative espressioni di un bisogno di assoluto che perseguiva attraverso l’esistenzialità con ostinazione. Assumeva di volta in volta fatica e sofferenze diverse come se ritenesse impossibile ricercare e trarre giudizio se non nel mare del dolore universale. Simone digiunò per coloro che erano costretti a digiunare, si unì alla sofferenza di coloro che da essa erano colpiti, si rifiutò persino di pensare per essere come coloro che a pensare non riuscivano. Una volontà ascetica di redenzione la rendeva quasi crudele con se stessa.
L’uomo, la sua esistenza sia nel bene sia nella sofferenza, sono l’interesse fondamentale nel quale la scrittrice si muove e cui dedicherà con passione la sua attività di pensiero e di azione. Dai suoi Quaderni (quattro volumi ed. Biblioteca Adelphi) emerge di continuo l’inesausta volontà di ricerca e di interpretazione dei valori quali il raggiungimento del bene, la resistenza al male, la sete di libertà, di verità, di Dio.
Vivere per Simone Weil significa lottare per arrivare alla consapevolezza e quindi alla capacità di esprimere e comunicare. 
La sua breve esistenza, consumatasi senza risparmio intellettuale, psichico e fisico esprime, più ancora delle sue eloquenti osservazioni, quanto fosse grande il disagio spirituale di fronte ad una umanità che sembrava conformarsi in misura crescente all’idolatria di razza. Si vivevano in quegli anni la preparazione e lo sviluppo di una guerra mondiale che avrebbe causato lo sterminio di milioni d’innocenti. Guerra paventata con angosciosa sofferenza e della quale ella non vide la fine, ma di cui assunse il destino con animo religioso dividendo con gli altri ogni tipo di privazione. Il conflitto mondiale metteva in evidenza non solo l’intelligenza umana della scrittrice, che già si era manifestata a volte quasi esplosiva, deflagrante nelle intuizioni, creativa nelle interpretazioni del patrimonio culturale, ma lasciava emergere dal suo cuore l’umiltà e l’abbandono. Essa scrive:

«Il legame tra umiltà e filosofia autentica era noto nell’antichità. Tra i filosofi socratici, cinici, stoici l’essere ingiuriati, colpiti e anche schiaffeggiati sopportando tutto ciò senza la minima reazione di dignità istintiva era considerato parte del dovere professionale. Poiché l’apostolato è una professione vicina o identica al filosofo, il precetto di Cristo ai discepoli ‘porgete l’altra guancia’ deve essere considerato allo stesso modo» (Quaderni, IV, p. 289).

La Weil sembra voler porre le verità pensate, o acquisite per conoscenza, di fronte alla drammaticità dell’esperienza esistenziale; vale a dire pone l’uomo nella sua aspirazione verso l’amore a confronto con le realtà storiche di male, di sofferenza e d’ingiustizia che è costretto a subire. L’abisso fra ciò che vorrebbe essere il bene e l’inalienabile presenza del male è la vera e radicale lotta che l’uomo si trova a dover affrontare.
Da questi presupposti nasce la religiosità della Weil, la speranza in Dio. Ogni uomo è chiamato a rispondere dell’utilizzo del proprio tempo di vita, a trarre da esso la misura, a stabilire la distanza fra Dio e noi, a riconoscere che per Dio mille anni sono come il giorno che è passato, immisurabili e quasi impensabili per l’uomo. «Il male non è che la distanza tra Dio e la natura» (Quaderni, III, p. 311). E soggiunge che fra lei e lei stessa, fra lei e gli altri, o altre cose, o natura, o firmamento, unico senso ed unica misura è Dio, che per noi si rivela in Cristo. E considera «il Cristo, l’ultimo sacrificio umano, a un tempo il più grande crimine e l’atto più salutare» (Quaderni, III, p. 295). Affermazione che il pensiero farisaico esprimerà nelle parole, «È bene che un solo uomo muoia per tutto il popolo»: dolorose parole che l’apostolo Giovanni ci riferisce (Gv 11,50) e si riveleranno profezia inconsapevole e tragicamente vera.
La sua breve esistenza, consumata nella dedizione di sé fino all’ultimo, in assoluta umiltà, lascia all’umanità due altissimi doni: i suoi scritti e il suo amore per Cristo.
I Quaderni sono espressione di un dilaniante disagio e di una inesauribile volontà di dare senso escatologico allo iato esistente tra bene e male: scissione e iato che essa viveva in prima persona, che esprimeva in termini razionali e controllati, ma che avevano in lei effetto di deflagrazione.
La ricchezza d’amore e l’intelletto venivano a trovarsi in lei dialetticamente alternativi, ponendola in una situazione di lotta con se stessa che accentuava l’elemento di frattura.
La lacerazione provocata dai due contrapposti elementi, la razionalità del pensiero greco, viva nel pensiero moderno, e la volontà di pace, nella quale sono inscritti i valori di giustizia, di verità e di amore, rimanevano irrisolti. Simone intuì che la forza del pensiero, per essere tale, non doveva essere considerata nel suo isolamento, ma doveva immergersi, sciogliersi nell’altro elemento di forza, l’amore, per riuscire ad interpretare l’uomo nella sua completezza di pensiero e di passione.
Cristo le offriva una soluzione, come esprime nelle ultime lettere ai famigliari e agli amici; emerge, dal doloroso contrasto, un atteggiamento nuovo, non dimissionario, ma più comprensivo, quasi volesse affermare che il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce, e riconoscere quindi l’insufficienza della razionalità di fronte al mistero.
La Weil si sentiva pronta a ricevere il Battesimo, pronta ad accogliere tutti i dogmi, desiderosa di annullarsi in Dio ed esprime il suo grido in preghiera:

«Padre, nel nome di Cristo, accordami realmente tutto questo. Che questo corpo si muova o s’immobilizzi, con una scioltezza o una rigidità perfette, in conformità ininterrotta con la tua volontà. Che questo udito, questa vista, questo gusto, questo odorato, questo tatto, ricevano l’impronta perfettamente esatta della tua creazione. Che questa intelligenza, nella pienezza della lucidità, concateni tutte le idee in conformità perfetta con la tua verità. Che questa sensibilità provi nella loro massima intensità possibile e in tutta la loro purezza tutte le sfumature del dolore e della gioia. Che questo amore sia una fiamma assolutamente divorante di amore di Dio per Dio. Che tutto questo mi sia strappato, divorato da Dio, trasformato in sostanza del Cristo» (Quaderni, IV, p. 280).

Forse Padre Perrin, al quale per anni si rivolse come ad un sicuro riferimento della religione cattolica e al quale più volte chiese di poter ricevere il Battesimo, egli ancora nell’ultimo incontro, prima che Simone partisse per l’America con i genitori, ritenne opportuno rinviare l’avvenimento; forse lo preoccupava più la libertà di pensiero di Simone, di quanto non fosse convinto della sua appassionata volontà di adesione alla chiesa. Sicuramente non era consapevole del rigore morale con il quale ella imponeva a se stessa ogni sorta di privazione, sia fisica sia spirituale, per sentirsi coinvolta in quell’olocausto cui si era sottratta allontanandosi dalla Francia per salvare i propri cari, ma dove sperava e credeva di riuscire a rientrare.
La docilità delle sue ultime osservazioni di fronte al diniego del Battesimo esprime la Weil ultima, colei che si abbandona al volere di Dio e si fa interprete del Suo pensiero dicendo a se stessa, si vede che Dio mi vuole così, credente ed esterna ancora, ancora in attesa.
Per volontà di obbedienza, non per indifferenza, sceglie di non esprimersi attraverso l’intelligenza ma di lasciare la parola alla sua esperienza esistenziale.
Simone Weil rientrò in Europa, e precisamente a Londra, nell’agosto 1943, ormai irreparabilmente malata e tuttavia ancora partecipe, attraverso gli amici, dei dolorosi avvenimenti che avevano coinvolto il mondo.
La sera del 24 agosto Simone si spegneva. Troppo presto per riuscire a trasmettere in modo compiuto quei doni preziosi che la sua riflessione aveva raccolto e la sua sensibilità aveva drammaticamente vissuto.
A noi rimane la sua icona, come interrogazione irrisolta, mistero di fronte al quale, con profondissimo rispetto, possiamo solo tacere e con lei pregare.

 

 

Da: http://www.il-margine.it/archivio/2001/i9.htm

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