in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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Discesa di Dio - Da La Grecia e le intuizioni precristiane (Simone Weil)


 

Dio in cerca dell’uomo

 

(Notare che nel Vangelo non si parla mai, salvo errore, di una ricerca di Dio da parte dell’uomo. In tutte le parabole è il Cristo che cerca gli uomini, ovvero il Padre se li fa condurre dai suoi servitori. O ancora un uomo trova come per caso il regno di Dio e allora, ma allora soltanto, vende tutto.)

 Inno a Demetra (inni omerici)

Demetra .. divinità sacra .. lei e la sua bella figlia .. che Aidoneo ha rapito .. e il narciso suscitato, come un laccio .. Egli la rapì contro sua voglia .. così, contro sua voglia, egli la rapiva, per la provvidenza di Zeus ….. /il dolore di Demetra impedisce al grano di spuntare; la specie umana perirebbe e gli dei resterebbero senza onore, se Zeus non ordinasse ad Aidoneo di lasciar partire la fanciulla: Aidoneo ascolta il messaggio sorridendo e obbedisce./ Va’, Persefone da tua madre dall’azzurro velo, poiché non hai nel petto che un coraggio ed un cuore di bimbo ..Prontamente si levò .. ma lui un chicco di melagrana, dolce come il miele, le dette a mangiar di nascosto, per astuzia, perché essa non rimanesse per sempre laggiù, presso Demetra ….. / da allora ella passa due terzi dell’anno presso sua madre, tra gli dei, un terzo presso Aidoneo./                                 Commento. Ade o Aidoneo .. vuol dire Invisibile, o Eterno, o le due cose insieme .. è presentato ora come  fratello di Zeus, ora come Zeus stesso … Demetra vuol dire probabilmente Terra Madre e è identica a tutte quelle dee madri di cui il culto ha tante analogie con quello della Vergine nella concezione cattolica … il narciso è il fiore che rappresenta Narciso, quella creatura così bella che non poteva innamorarsi che di se stessa. La sola bellezza che possa essere oggetto d’amore per se stessa .. è la bellezza divina che appare quaggiù sotto forma della bellezza del mondo, come un laccio per l’anima. Grazie a questo laccio, Dio s’impossessa dell’anima suo malgrado. E’ la stessa concezione del Fedro di Platone. Dio deve lasciare che l’anima ritorni nella natura; ma prima, di sorpresa, le fa mangiare di nascosto un chicco di melagrana. Se lo mangia, essa è presa per sempre. Il chicco di melagrana è il consenso che l’anima accorda a Dio quasi a propria insaputa e senza confessarselo, che è come un infinitesimo tra tutte le inclinazioni carnali dell’anima, e tuttavia decide per sempre del suo destino. E’ il grano di senape al quale Cristo paragona il regno dei cieli, il più piccolo dei grani, ma che più tardi diverrà l’albero su cui gli uccelli del cielo si posano.

Ci sono un questi miti due violenze successive di Dio sull’anima, una che è pura violenza, l’altra, invece, per la quale il consenso dell’anima a Dio è indispensabile e che decide della salvezza. Questi due momenti si ritrovano nel mito di Fedro e in quello della Caverna: Essi corrispondono: * alla parabola evangelica del banchetto nuziale, per il quale si va a cercare i convitati a caso, sulle strade, ma nel quale non possono rimanere se non quelli che hanno la veste nuziale; *e all’opposizione tra “chiamati” ed “eletti”, *e alla parabola delle vergini che tutte vanno incontro allo sposo, ma tra le quali sono accolte solo quelle che hanno l’olio, ecc. – L’idea di un laccio teso da Dio all’uomo è anche il significato del mito del labirinto se se me tolgono le storie aggiunte posteriormente che si rifanno alle guerre tra Creta ed Atene. Minasse, figlio di Zeus,  giudice dei morti, è quell’essere unico i cui nomi nell’antichità sono Osiride, Dioniso, Prometeo, l’Amore, Ermete, Apollo, e molti altri (la verosimiglianza di queste assimilazioni può essere stabilita). Il labirinto è quella via nella quale l’uomo, appena vi penetra, perde la sua strada e si ritrova incapace, dopo qualche tempo, sia di ritornare  sui suoi passi come di dirigersi da qualche parte; egli erra senza saper dove e finalmente giunge al punto ove Dio l’attende per mangiarlo.   

 

 Fiaba scozzese del “Duca di Norvegia” (che si ritrova nel folklore russo, tedesco, ecc. )

Anche questa fiaba può rappresentare la ricerca dell’anima da parte di Dio. Anch’essa contiene i due momenti della cattura dell’uomo da parte di Dio. Il primo si compie nella notte dell’incoscienza, allorché la coscienza dell’uomo è ancora tutta intera animale e la sua umanità nascosta in lui: appena Dio vuol trarla alla luce, l’uomo fugge, scompare lontano da Dio, lo dimentica e si prepara ad una unione adultera con la carne. Dio cerca l’uomo con pena e fatica e arriva a lui come un mendicante. Egli seduce la carne per mezzo della bellezza e ottiene così accesso all’anima, ma la trova addormentata. Un tempo limitato è concesso all’anima per risvegliarsi. Se si sveglia un attimo prima che questo termine spiri, riconosce Dio e lo sceglie, sarà salva. Il fatto che il principe si svegli solo un attimo prima della terza e ultima alba, indica che al momento decisivo la differenza tra l’anima che si salva e quella che si perde non è che un infinitesimo in rapporto a tutto il contenuto psicologico dell’anima. E’ quel che indica, anche nel Vangelo, il paragone del regno dei cieli col grano di senape, il lievito, la perla, ecc., come il chicco di melagrana di Proserpina. L’aspetto miserabile della principessa, la sua entrata nel palazzo in vesti di sguattera, indica che Dio viene a noi completamente spoglio non solo della sua potenza, ma anche del suo splendore. Viene a noi mascherato, e la salvezza consiste nel riconoscerlo.

 

 

Riconoscimento di Dio e dell’uomo

 

 Sofocle: “Riconoscimento di Elettra e di Oreste”

Si tratta di un riconoscimento, tema frequente nel folklore. Si crede di aver dinanzi a sé uno straniero, ed è l’essere più amato. Così nella storia di Maria Maddalena di fronte al “giardiniere”.

Elettra è figlia di un re potente, ma ridotta al più miserabile stato di schiavitù sotto gli ordini di coloro che hanno tradito suo  padre. Ha fame. E’ vestita di stracci. La sventura non soltanto la schiaccia, ma la degrada e la inasprisce. ma ella non viene a patti. Odia quei nemici di suo padre che hanno su di lei ogni potere. Solo suo fratello, lontano, potrebbe liberarla. Si consuma nell’attesa. Finalmente egli arriva, ma lei non ne sa niente. Crede di vedere uno straniero che annuncia la morte di lui e porta le sue ceneri. Cade in una disperazione senza fondo, si augura di morire. Ma benché non speri più nulla, non pensa neanche per un istante di venire a patti. Odia tanto più intensamente i suoi nemici. Mentre tiene l’urna, piangendo, Oreste, che l’aveva presa per una schiava, la riconosce alle sue lacrime. Le annuncia che l’urna è vuota. Si svela a lei.

Vi è qui un doppio riconoscimento. Dio riconosce l’anima dalle sue lacrime, poi si fa riconoscere.

Proprio quando l’anima sfinita ha cessato di attendere Dio, quando la sventura esterna o l’aridità interiore le fa credere che Dio non  sia una realtà, se tuttavia essa continua ad amarlo, se ha orrore dei beni di quaggiù che pretendono di sostituirlo, proprio allora Dio dopo qualche tempo viene fino a  lei, si mostra, le parla, la tocca. Questo San Giovanni della Croce lo chiama notte oscura.    

 

 

L’operazione della grazia

 

Eschilo: Coro dell’”Agamennone”

Zeus, chiunque possa essere, se è così /  che ama esser chiamato, / con questo nome io lo chiamo: / Nulla ho da comparare, dopo aver tutto pesato, / tranne Zeus, se il vano peso dell’angoscia / dev’essere veramente respinto.

………………………………

Zeus: chiunque, il pensiero volto a lui, dirà la sua gloria, riceverà la pienezza della saggezza. / Egli che ha posto i mortali sulla via della saggezza. Attraverso la sofferenza, la conoscenza, è la legge sovrana che egli ha posto. / Essa si distilla nel sonno, vicino al cuore, / la pena che è memoria dolorosa; e anche a chi non la vuole la saggezza discende./ E’, da parte della divinità, una grazia questa violenza, le divinità assise al sacro timone. 

Zeus non designa una divinità particolare più che non designi la parola Dio. E’ del resto la stessa radice. Non si sa d’altra parte il suo nome, ciò che (secondo le idee degli antichi, per  i quali nominare era dominare) implica che non si può raggiungerlo, contrariamente ai falsi dei. Si può soltanto volgere il pensiero verso di lui, e questo basta per ottenere la perfezione.

La “pena che è memoria dolorosa”: questo significa, secondo il vocabolario orfico, il presentimento della felicità eterna, della destinazione divina dell’anima. Questo presentimento si distilla goccia a goccia nel sonno dell’incoscienza; al momento in cui se ne ha coscienza si è già presi dalla grazia e non resta che consentire. (accordo col mito di Core)

 

 

 

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