in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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L'amore divino nella Creazione - Da La Grecia e le intuizioni precristiane (Simone Weil)


 

Platone: “Timeo”

“Tutto ciò che è prodotto proviene necessariamente da un autore. E’ assolutamente impossibile che senza autore vi sia produzione. Quando l’artista guarda a ciò che è eternamente identico a se stesso e, applicandosi a quello come a un modello, ne riproduce l’essenza e la virtù, una misura della bellezza perfetta è così necessariamente compiuta. Se guarda a ciò che passa, se il suo modello passa, ciò che fa non è bello”

Queste poche righe racchiudono una teoria della creazione artistica. Non c’è vera bellezza se l’opera d’arte non procede da un’ispirazione trascendente (il modello trascendente significa semplicemente la fonte della vera  ispirazione). Un’opera d’arte che si ispiri ai fenomeni sensibili o psicologici può essere di primissimo ordine. Questo si verifica sperimentalmente. Non possiamo rappresentare la creazione se non mediante la trasposizione di un’attività umana; ma mentre oggi si prende quale punto di partenza un’attività come quella di un fabbricante di orologi, il che trascina in mille assurdità non appena si tenta una trasposizione, Platone sceglie un’attività che, per quanta umana, ha già qualcosa di soprannaturale. Inoltre, la legittimità di questa analogia è verificabile. Non si riuscirà mai a trovare abbastanza finalità visibile nel mondo per provare che esso è analogo a un oggetto fabbricato in vista di un fine… E’ addirittura manifesto il contrario. Ma l’analogia tra il mondo e un‘opera d’arte ha la sua verifica sperimentale nel sentimento stesso della bellezza del mondo., perché il bello è la sola fonte del sentimento del bello. La verifica non vale se non per quelli che hanno provato questo sentimento, ma quelli che non l’hanno mai provato, e sono senza dubbio rarissimi, non possono forse essere condotti a Dio per nessuna via. Paragonando il mondo ad un’opera d’arte, non soltanto l’atto della creazione ma la provvidenza stessa si trova assimilata all’ispirazione artistica.  Vale a dire che nel mondo, come nell’opera d’arte, c’è finalità senza alcun fine rappresentabile. Tutte le fabbricazioni umane sono adeguamenti di mezzi in vista di fini determinati, salvo l’opera d’arte ove vi sia adeguamento di mezzi, nella quale c’è evidentemente, finalità, ma non si può concepire nessun fine. In un certo senso il fine non è altro che l’insieme stesso dei mezzi impiegati; in un certo senso il fine è assolutamente trascendente. Accade esattamente lo stesso per l’universo e per il corso dell’universo, il cui fine è eminentemente trascendente e non rappresentabile, perché è Dio stesso. L’arte è dunque l’unico termine di paragone legittimo. Di più: solo questo paragone conduce all’amore. Ci si serve di un orologio senza amare l’orologiaio, ma non si può ascoltare con attenzione un canto perfettamente bello senza amare l’autore del canto ed il cantore. Reciprocamente, l’orologiaio non ha bisogno di amare per fare un orologio, mentre la creazione artistica (quella che non è demoniaca né semplicemente umana) non è altro che amore.

“E’ un’impresa trovare il creatore e padre di quest’universo, e colui che l’ha trovato non ha la possibilità di esporlo a tutti. Esaminiamo dunque ancora, a suo proposito, quale dei due modelli ha scelto il carpentiere per eseguirlo, se quello che è identico a se stesso e così com’è, o quello che passa. Se questo mondo è bello, se l’artista è buono, evidentemente egli ha guardato all’eterno; in quel caso invece che neppure è lecito dire, a quello che passa. Ora, è del tutto manifesto che egli ha guardato all’eterno. Poiché l’uno è la più bella delle opere, l’altro il più perfetto degli autori. Sicchè questo mondo generato è stato eseguito secondo l’essere identico, afferrato dall’intelligenza e dalla ragione”

“Diciamo ora per quale ragione il compositore ha composto un divenire e questo universo. Egli era buono e, in chi è buono, in nessun caso, in nessun modo, mai si produce l’invidia. Essendo senza invidia egli ha voluto che tutte le cose siano buone e che nessuna cosa sia privata del valore che le è proprio…”

“Bisogna dire che questo mondo è un essere vivente, che ha un’anima, che è un essere spirituale, e che in verità è stato generato tale dalla provvidenza di Dio

Ammesso questo, ciò che bisogna nominare in seguito è quello tra gli esseri viventi a somiglianza del quale il compositore ha composto il mondo. Non è alcuno di quelli che sono essenzialmente parziali. Sarebbe cosa indegna, perché ciò che somiglia all’imperfetto non può essere bello. Solo a colui che contiene gli esseri viventi, considerati individualmente e nelle loro specie, come parti, il mondo è del tutto simile. Questo essere contiene in sè  tutti gli spiriti viventi; allo stesso modo il mondo comprende in sé noi stessi e tutti i viventi visibili. perché Dio ha voluto che il mondo somigliasse interamente a quello tra gli esseri spirituali che è assolutamente bello e sotto ogni aspetto assolutamente perfetto; e ha composto un essere vivente visibile, unico, che ha nel suo interno tutti gli esseri viventi che gli sono affini per natura.. affinché, per unità, esso fosse simile all’essere assolutamente perfetto, per questa ragione il creatore non ha creato due mondi o innumerevoli mondi; ma è nato, esiste, esisterà un solo cielo. questo, che è figlio unico.”

Platone, quando dice il mondo o il cielo, vuol dire essenzialmente l’Anima del Mondo; così come noi, quando chiamiamo un amico per nome, abbiamo nel pensiero la sua anima e non il suo corpo. Questo essere che Platone chiama l’Anima del mondo è il Figlio di Dio; Platone dice “monogenes”, come San Giovanni. Il mondo visibile è il suo corpo. Ciò non implica alcun panteismo: egli non è nel mondo visibile, così come la nostra anima non è nel nostro corpo. Platone lo dice esplicitamente altrove. “L’Anima del mondo è infinitamente più vasta della materia, contiene la materia e la avvolge da tutte le parti.” Essa è stata generata prima del mondo visibile , prima che vi fosse un tempo, quindi dall’eternità. Comanda al mondo materiale come il padrone allo schiavo. Contiene in sé la sostanza di Dio unita al principio della materia.

Il Modello a somiglianza del quale l’Anima del Mondo è generata è un vivente spirituale, o uno spirito vivente. E’ dunque una persona. E’ lo spirito assolutamente perfetto in ogni senso. E’ dunque Dio. Vi sono dunque tre persone divine, il Padre, il Figlio unico e il Modello. Per comprendere come la terza persona possa essere chiamata  il Modello, bisogna riportarsi al paragone che è al principio del Timeo, il paragone con la creazione artistica. L’artista di primissimo ordine lavora secondo un modello trascendente, che egli non si rappresenta, che per lui è solo la fonte soprannaturale dell’ispirazione. Se si sostituisce modello con ispirazione, la giustezza di questa immagine applicata allo Spirito Santo è evidente. Anche concependo il paragone nella sua forma più grossolana, per un pittore che fa un ritratto, il modello è il legame tra l’artista e il quadro.

“L’anima (cioè l’Anima del Mondo), egli la pose al centro; la estese attraverso tutto e ancora al di fuori dell’universo corporeo e ve lo ravvolse, e arrotolando in cerchio un cielo circolare, lo stabilì uno, unico, solitario, capace per virtù propria di essere il proprio compagno, non avente bisogno di nulla che fosse altro da lui, conosciuto e amato abbastanza lui stesso da lui stesso. In tal modo generò questo Dio beato.”

“Egli ha stabilito l’Anima (del Mondo), prima in rapporto al corpo, così in anzianità come in dignità, e l’ha data al corpo come padrona e sovrana a cui obbedire.”

“Tutta questa composizione, egli la tagliò in due nel senso della lunghezza; poi applicò le parti l’una sull’altra per il mezzo, come nella lettera chi; le curvò in cerchio e le saldò l’una all’altra di fronte al punto d’incrocio; poi le avvolse nel movimento che gira in modo identico nel medesimo luogo”.

Questa composizione è la sostanza dell’Anima del Mondo, fatta di una sintesi della sostanza divina stessa e del principio della materia.

Or ora Platone ha detto che l’Anima del Mondo, il Figlio unico, è un Dio beato, conosciuto e amato lui stesso da lui stesso. In altri termini, egli ha in sé la vita beata della Trinità. Ma qui Platone mostra questo stesso Dio lacerato. E’ il rapporto con lo spazio e il tempo a costituire questa lacerazione, che è  già una sorta di Passione. Anche San Giovanni nell’Apocalisse (13,9) parla dell’Agnello che è stato sgozzato fin dalla costituzione del mondo. Le due metà dell’Anima del Mondo sono incrociate l’una sull’altra; la croce obliqua, ma è pur sempre una croce. Ma di fronte al punto d’incrocio esse sono ricongiunte e saldate., e il tutto è avvolto dal moto circolare, moto che non cambia niente, che si richiude su se stesso; immagine perfetta dell’atto eterno e beato che è la vita della Trinità.

I due cerchi che servono qui d’immagine a Platone sono quello dell’equatore, che determina il moto diurno del cielo delle stelle fisse, e quello dell’eclittica che determina il moto annuo del sole. Il punto d’incrocio dei due cerchi è quello dell’equinozio di primavera (il fatto che l’anno presso gli antichi cominciava in molti paesi a primavera,mai, credo, in autunno, vieta di supporre che si tratti dell’equinozio d’autunno). Il punto dell’equinozio di primavera era, ai tempi di Platone, nella costellazione dell’Ariete; il sole si trova in quel punto al momento della Pasqua e la luna al punto equinoziale opposto. Se si leggesse Platone con le stesse disposizioni di spirito del Vecchio Testamento, forse si vedrebbe in queste righe una profezia. Grazie a questa prodigiosa combinazione di simboli Platone fa scorgere nel cielo stesso, e nel corso dei giorni e delle stagioni, un’immagine insieme della Trinità e della Croce.

“Quando il compositore ebbe suscitato secondo il suo pensiero tutta la composizione dell’Anima (del Mondo), stese poi all’interno tutto l’universo corporeo e li adattò l’un l’altro facendo coincidere i centri. L’Anima, egli la stese a partire dal centro, da ogni parte sino ai confini del cielo, e ne avvolse tutta la sfera del cielo dall’esterno. L’Anima, girando su se stessa, comincia il cominciamento divino di una vita inestinguibile e saggia per la totalità dei tempi. E  nacque il corpo visibile del cielo; e lei, l’anima visibile che partecipa della proporzione e dell’armonia, nata come la perfezione degli spiriti generati dalla perfezione degli spiriti eterni”

Questi due plurali non devono trarre in inganno. La loro ragion d’essere è puramente grammaticale: sono conseguenza dei superlativi. Ciò non toglie che il Padre e il Figlio sia un essere unico.

Questo passo dimostra che nel mito di Fedro, quando Zeus passa dall’altro lato del cielo per cibarsi, egli mangia proprio il suo Figlio unico, e che si tratta di una trasposizione in Dio della comunione. Anche le anime beate lo mangiano.

La partecipazione dell’Anima del Mondo alla proporzione e all’armonia non deve intendersi soltanto della funzione ordinatrice del Verbo. Va intesa in un senso ben più profondo. Proporzione e armonia sono sinonimi. La proporzione è il rapporto stabilito tra due numeri da una media proporzionale; così 3 istituisce una proporzione tra 1 e 9, cioè 1/3=3/9. L’armonia è definita dai Pitagorici come l’unità dei contrari. La prima coppia di contrari sono dio e la creatura. Il Figlio è l’unità di questi contrari, la media geometrica che istituisce tra loro una proporzione, il Mediatore.

“Siccome il Modello ha vita eterna, egli parimenti ha tentato di darla, per quanto è possibile, a questo universo. Ora, la natura del (Modello) vivente essendo eterna, non poteva essere assolutamente legata a ciò che è generato. Ebbe l’idea di creare un’immagine mobile dell’eternità. Nello stesso momento che stabilisce l’ordine del cielo, egli crea qualche cosa che, procedendo secondo il numero, è un’immagine eterna dell’eternità che è fissa nell’unità. Questa immagine è ciò che noi chiamiamo tempo”.      

“Il passato e l’avvenire sono apparsi come le forme del tempo che imita l’eternità volgendosi secondo il numero”.

“Così per questo ordinamento e questo pensiero di Dio concernente il prodursi del tempo, affinché il tempo fosse prodotto, il sole e la luna e gli altri cinque astri che si chiamano pianeti apparvero, per la determinazione e la custodia dei numeri del tempo”.

“…affinchè il cielo si mostrasse il più possibile da ogni parte e i viventi partecipassero del numero, tutti quelli almeno a cui ciò conveniva”.

“Contemplando i moti circolari dello spirito del cielo, noi dobbiamo servircene per le traslazioni circolari del pensiero in noi, che ad essi si apparentano, ma quelli senza  turbamento e queste turbate; noi dobbiamo dunque istruirci e partecipare della rettitudine essenziale delle proporzioni; grazie all’imitazione dei moti circolari di Dio, che sono assolutamente senza errore, dobbiamo rendere stabili i nostri che sono erranti”.

Così il Verbo è per l’uomo un modello da imitare. Non già, qui, il Verbo incarnato in un essere umano, ma il Verbo quale ordinatore del mondo, in quanto incarnato nell’universo intero. Noi dobbiamo riprodurre in noi l’ordine del mondo. Qui è la fonte dell’idea di microcosmo e macrocosmo che tanto ossessionò il medioevo. Essa è di una profondità pressoché impenetrabile. Ne è chiave il simbolo del moto circolare. Quel desiderio insaziabile in noi che è sempre volto verso l’esterno e che ha per dominio un avvenire immaginario, noi dobbiamo costringerlo a far cerchio su se stesso e a volgere la sua punta sul presente. I moti dei corpi celesti che ripartiscono la nostra vita in giorni, in mesi e in anni sono sotto questo aspetto il nostro modello, perché i ritorni vi sono così regolari che per gli astri l’avvenire non differisce in nulla dal passato. Se contempliamo in essi questa equivalenza dell’avvenire e del passato, noi penetriamo attraverso il tempo fin nell’eternità e, liberati dal desiderio rivolto verso l’avvenire, lo siamo anche dall’immaginazione che l’accompagna e che è l’unica fonte dell’errore e della menzogna. Partecipiamo della rettitudine delle proporzioni, ove non è alcun arbitrio, dunque alcun gioco per l’immaginazione.

 Ma questa parola “proporzione” evoca senza dubbio anche l’incarnazione.

“Bisogna anche aggiungere a questo discorso ciò che si produce per l’azione della necessità. Perché la nascita di questo mondo si è operata grazie a una combinazione fondata sulla necessità e sullo spirito. Ma lo spirito regna sulla necessità per mezzo della persuasione: Esso la persuade a spingere la maggior parte delle cose che si producono, verso il meglio. E’ in questa maniera, secondo questa legge, per mezzo della necessità vinta da una saggia persuasione, che fin dalle origini è stato composto questo universo.”

Queste righe ricordano la concezione cinese dell’azione non agente di Dio, che si ritrova d’altronde in diversi testi cristiani; ed anche in passaggi del Convito sulla dolcezza dell’Amore che non fa violenza,  che è obbedito volontariamente; e anche in questi versi di Eschilo: Zeus precipita ai piedi delle loro speranze/ alte come torri i mortali annientati, / ma non si arma di alcuna violenza. / Tutto ciò che è divino è senza sforzo. /Assisa in alto sa la sua saggezza/ compier di là ogni cosa, dalla sua pura sede./

Dio non fa violenza alle cause seconde per compiere i suoi fini. Compie tutti i suoi fini attraverso il meccanismo inflessibile della necessità, e senza alterarne un solo ingranaggio. La sua saggezza resta in alto (e quando discende ciò avviene – lo sappiamo – con la stessa discrezione). Ogni fenomeno ha due ragioni d’essere, di cui l’una è la sua causa nel meccanismo della natura, l’altra ha il suo posto nell’ordinamento provvidenziale del mondo, e mai è permesso di usare dell’una come spiegazione sul piano al quale appartiene l’altra.

Anche questo aspetto dell’ordine del mondo deve essere imitato da noi. Oltrepassata una certa soglia, la parte soprannaturale dell’anima domina la parte naturale non con la violenza ma con la persuasione, non per mezzo della volontà ma del desiderio.

“Per quanto concerne la parte dell’anima alla quale spetta la sovranità in noi, bisogna concepire che Dio l’ha donata a ciascuno come un essere divino. Io affermo che questo essere abita al sommo del nostro corpo, e che per la sua parentela col cielo ci solleva al di sopra della terra, perché noi siamo una pianta non già terrestre ma celeste. E’ corretto parlare in tal modo. Perché da quel luogo, dal quale in origine ha germinato la nascita dell’anima, questo essere divino tien sospesa la nostra testa, che è la nostra radice, e così mantiene diritto tutto il corpo.”

Essere sempre al servizio di questo essere divino; mantenere al rango che gli conviene l’essere divino che abita in noi. 

“Non c’è che un modo di servire un essere ed è di dargli il nutrimento e i movimenti che gli sono propri.  I moti che sono parenti dell’essere divino che è in noi, sono i pensieri e i moti circolari dell’universo. Ciascuno deve applicarsi a seguirli, rieducare i moti circolari nella nostra testa relativi alle cose che passano, essi i corrotti, col riapprendere le armonie e i moti circolari dell’universo. Bisogna far somigliare ciò che contempla, come lo esige la sua essenza originaria, a ciò che è contemplato. Una volta raggiunta la somiglianza, si possiede la compiutezza della vita perfetta proposta agli uomini dalle divinità per l’esistenza presente e futura.”

Parlando dei moti circolari dell’universo, Platone non pensa soltanto ai cicli del giorno, del mese e dell’anno, ma anche alle nozioni che associa ad essi nel suo sistema di simboli, vale a dire lo Stesso e l’Altro, cioè identità e diversità, unità e molteplicità, assoluto e relativo, bene puro e bene mischiato al male, spirituale e sensibile, soprannaturale e naturale. Le stelle girano solo parallelamente all’equatore, il sole gira allo stesso tempo parallelamente all’equatore e all’eclittica; allo stesso modo in queste coppie di contrari, che non ne formano che una, il secondo termine non è simmetrico al primo, ma gli è sottomesso pur essendogli opposto. Tutti gli eventi possibili vengono ad inserirsi nella cornice costituita da due moti combinati del cielo e del sole, la cornice dei giorni distribuiti in stagioni per tutta la durata dell’anno, senza che possano mai in alcun modo turbarla. un tale turbamento non è neppure pensabile. Allo stesso modo i piaceri e i dolori, le paure e i desideri più violenti debbono collocarsi in noi, senza portarvi alcun turbamento, nella relazione stabilita nella nostra anima fra la parete volta verso questo mondo e la parte volta verso l’altro. Questa relazione deve essere tale da versare perpetuamente sullo scorrere dei minuti una luce di eternità , quali che siano gli eventi che riempiono i minuti.  

L’immagine dell’uomo come pianta la cui radice affonda nel cielo è legata nel Timeo a una teoria della castità che Platone ha dissimulato spartendola in diversi frammenti, sicchè non so se vi sia stata scorta. Questa pianta è innaffiata da un’acqua celeste, un seme divino, che entra nella testa. In colui che esercita continuamente la parte spirituale e la parte intellettuale di sé, contemplando e imitando l’ordine del mondo, tutto ciò che è nella testa, compreso questo seme divino, è trascinato da moti circolari simili a quelli che fanno volgere il cielo, le stelle e il sole. Questo seme divino è ciò che Platone chiama un essere divino che abita con noi, in noi, e che dobbiamo servire. Ma nell’uomo o nella donna che lasciano inerti le facoltà più alte dell’anima, i moti circolari nella testa si alterano, si arrestano. Il seme divino allora discende lungo la colonna vertebrale e diviene desiderio carnale. E’ ancora un essere indipendente nell’interno dell’uomo, ma ora è un essere demoniaco che non ascolta la ragione e che vuol tutto dominare con la violenza. Così ne parla Platone alla fine del Timeo.

In altri termini, invece di considerare l’amor di Dio come una forma sublimata del desiderio carnale, come fa tanta gente nella nostra epoca miserabile, Platone pensava che il desiderio carnale è una corruzione, una degradazione dell’amor di Dio. E, per quanto sia molto difficile interpretare alcune sue immagini, è certo che concepiva questo rapporto come una verità non solo spirituale ma anche biologica. Pensava evidentemente che in coloro che amano Dio le ghiandole non funzionino alla stessa maniera che negli altri, l’amor di Dio essendo, bene inteso, la causa e non l’effetto di questa differenza.

Tale concezione è ispirata alla religione dei Misteri; perciò il rapporto tra la castità e l’amor di Dio è l’idea centrale dell’Ippolito di Euripide, tragedia di ispirazione eleusina e orfica.

Per comprendere tutto ciò che Platone associa al simbolo del moto circolare, bisogna notare che questo moto è l’unione perfetta del numero e del continuo. Il mobile passa da un punto al punto immediatamente vicino, senza alcuna discontinuità, come se procedesse lungo una retta. Allo stesso tempo, se si fissa l’attenzione su un punto del cerchio, il mobile vi passa necessariamente un numero intero di volte. Così il moto circolare è l’immagine di quella unione del limite e dell’illimitato di cui Platone dice, nel Filebo, che è la chiave di ogni conoscenza e il dono di Prometeo ai mortali. E’ d’altronde rigorosamente vero che questa unione costituisce il nostro pensiero del tempo, e che il tempo riflette il moto circolare degli astri. Il tempo è continuo, ma si contano i giorni e gli anni a numeri interi. Per comprendere che non si tratta qui di un tema di meditazione per intellettuali, ma di una cosa assolutamente essenziale per ogni uomo, basta ricordarsi che uno dei supplizi più atroci consiste nel mettere un uomo in una cella completamente buia, o al contrario in una cella sempre illuminata elettricamente, senza mai dirgli la data né l’ora. Se vi si pensasse a sufficienza si troverebbe una gioia profonda nel semplice succedersi dei giorni. Questi pensieri erano sicuramente ancor vivi al tempo di san Benedetto: le regole monastiche hanno tra altri scopi quello di rendere più sensibile il carattere circolare del tempo. Qui è anche il segreto della virtù della musica.

I Pitagorici dicevano non già unioni del limite e dell’illimitato ma, ciò è molto più bello, unione di ciò che limita e dell’illimitato. Ciò che limita, è Dio. Dio che dice al mare: “Tu non andrai oltre”, ecc. Ciò che è illimitato non ha esistenza se non ricevendo dall’esterno un limite. Tutto ciò che esiste quaggiù è costituito in tal modo, non solo tutte le realtà materiali ma anche le realtà Psicologiche in noi e negli altri. Di conseguenza non ci sono quaggiù che beni e mali finiti. I beni e i mali infiniti di cui supponiamo l’esistenza in questo mondo, e che poniamo d’altronde necessariamente nel futuro, sono assolutamente immaginari. Il desiderio di bene infinito che abita in ogni momento in ogni uomo, anche il più degradato, non ha oggetto che fuori di questo mondo, e la privazione di questo bene è il solo male che non sia limitato. Collocare la conoscenza di questa verità al centro dell’anima, si che tutti i moti dell’anima si ordinino in rapporto ad essa, è imitare l’ordine del mondo. Poiché allora, ciò che nell’anima è illimitato, vale a dire tutto ciò che la sua parte naturale contiene, riceve un limite impresso dal di fuori da Dio presente in lei. Essa rimane piena delle stesse affezioni naturalmente disordinate, piaceri e dolori, paure e desideri, così come ci sono nel mondo estati caldissime e inverni gelidi, tempeste e siccità; ma tutto questo continuamente ricondotto e sottoposto a un ordine assolutamente inalterabile.       

La contemplazione dei rapporti  di quantità aritmetica e geometrica è utilissima a questo scopo, poiché mostra che tutto ciò che partecipa in un  modo qualsiasi della quantità, cioè non solo la materia, lo spazio, ma anche tutto ciò che è nel tempo e tutto ciò che può essere graduato, è implacabilmente sottoposto al limite delle catene della necessità.

Questa contemplazione tocca il suo pieno frutto quando l’ordinamento incomprensibile di questi rapporti e le meravigliose concordanze che vi si trovano fanno sentire lo stesso concatenamento che è necessità sul piano dell’intelligenza è bellezza sul piano immediatamente al di sopra e obbedienza in rapporto a Dio.

Quando si è compreso fin nel fondo dell’anima che la necessità è soltanto uno dei volti della bellezza, e che l’altro suo volto è il bene, allora tutto ciò che rende sensibile la necessità (contrarietà, dolori, pene, ostacoli) diviene una ragione supplementare di amare. Il popolo dice, quando un apprendista si ferisce: è il mestiere che gli entra nel corpo. Allo stesso modo, quando si è compreso questo, si può pensare di ogni dolore che è la bellezza stessa a rientrare nel corpo.

La bellezza stessa, è il Figlio di Dio. Perché egli è l’immagine del Padre, e il bello è l’immagine del bene.

La fine del libro di Giobbe e i primi versi pronunciati da Prometeo nella tragedia di Eschilo indicano un legame misterioso tra il dolore e la rivelazione della bellezza del mondo. Cielo divino, rapide ali dei venti,/ o fiumi e loro polle, o del mare e dei flutti/ sorriso innumerevole, e tu, madre di tutto, o terra,/ e colui che tutto vede, giro del sole, io vi invoco;/ vedetemi, ciò che gli dei fanno soffrire a un dio.  

Beninteso, anche la gioia è una via per cui la bellezza entra in noi, anche le gioie più grossolane, purchè siano innocenti.

L’idea essenziale del Timeo è che il fondo, la sostanza di questo universo in cui viviamo, è amore. Esso è stato creato per amore e la sua bellezza è il riflesso e il segno irrefutabile di questo amore divino, come la bellezza di una statua perfetta, di un canto perfetto è il riflesso dell’amore soprannaturale che colma l’animo di un artista veramente ispirato.

Inoltre, ciò che è un sogno per ogni scultore, il sogno di scolpire una statua che sia fatta d’anima e di carne, Dio lo realizza. Egli ha dato un’anima alla sua statua e quest’anima è identica a lui stesso.

Quando si vede un essere umano autenticamente bello, il che è rarissimo, o quando si ode il canto di una voce veramente bella, non si può impedirsi di credere che dietro questa bellezza sensibile vi sia un’anima fatta dell’amore più puro. Molto spesso ciò è falso, e tali errori sono spesso la causa di grandi sventure. Ma per l’universo è vero. La bellezza del mondo ci parla dell’Amore che ne è l’anima, come potrebbero fare i tratti di un volto umano che fosse perfettamente bello e che non mentisse.

Ci sono purtroppo molti momenti, e persino lunghi periodi di tempo, in cui non siamo sensibili alla bellezza del mondo perché uno schermo su pone tra essa e noi, siano gli uomini e le loro miserabili fabbricazioni o le brutture della nostra stessa anima. Ma possiamo sempre sapere che quella bellezza esiste. E sapere che tutto ciò che noi tocchiamo, vediamo e udiamo è la carne stessa, la voce stessa dell’Amore assoluto.

Di nuovo, non c’è in questa concezione alcun panteismo; perché quest’anima non è in questo corpo: essa lo contiene, lo penetra e lo avviluppa da ogni parte, mentre resta fuori dello spazio e del tempo; ed è assolutamente distinta da esso, e lo domina. Ma si lascia scorgere attraverso la bellezza sensibile, come un bimbo trova in un sorriso di sua madre, in un’inflessione della sua voce, la rivelazione dell’amore di cui è oggetto.

Sarebbe un errore credere che la sensibilità alla bellezza sia il privilegio di un piccolo numero di persone colte.  Al contrario, la bellezza è il solo valore universalmente riconosciuto. tra il popolo si usa costantemente il termine “bello”, o termini sinonimi, non solo per lodare una città, un paese, una regione, ma anche le cose più imprevedibili, per esempio una macchina. Il cattivo gusto generale fa si che gli uomini, colti o no, applichino spesso malissimo tali termini; ma questa è un’altra questione. L’essenziale è che la parola bellezza parla a tutti i cuori.

La seconda idea del Timeo è che questo mondo, mentre è lo specchio di quell’Amore che è Dio stesso, è anche il modello che dobbiamo imitare. Perché noi siamo stati originariamente e dobbiamo ridivenire immagini di Dio. Non lo possiamo se non mediante l’imitazione dell’immagine perfetta che è il Figlio unico di Dio e che pensa l’ordine del mondo.

Solo quest’idea dell’ordine del mondo come oggetto di contemplazione  e d’imitazione può far comprendere qual è il destino soprannaturale della scienza. Niente di più importante oggi, dato il prestigio della scienza e il posto che occupa nel pensiero di gente quasi analfabeta. La scienza in tutti i suoi rami, dalla matematica alla sociologia, ha per oggetto l’ordine del mondo. Essa non lo vede sotto l’aspetto della necessità, poiché ogni considerazione di convenienza e finalità deve essere rigorosamente esclusa, ad eccezione della nozione stessa d’ordine universale. Più la scienza è rigorosa, precisa, dimostrativa, strettamente scientifica, più risulta manifesto il carattere essenzialmente provvidenziale dell’ordine del mondo. Ciò che chiamiamo il o i disegni, il o i piani della provvidenza, non sono che immaginazioni fabbricate da noi. Autenticamente provvidenziale, provvidenza stessa, è proprio questo ordine del mondo che è il tessuto, la trama di tutti gli eventi e che, sotto uno dei suoi aspetti, è il meccanismo spietato e cieco della necessità. Perché una volta per tutte la necessità è stata vinta dalla saggia persuasione dell’Amore. Questa saggia persuasione è la provvidenza. Questa sottomissione senza violenza della necessità alla sapienza amante, è la bellezza. La bellezza esclude i fini particolari. Quando in una poesia è possibile spiegare che quella tal parola è stata messa dal poeta là dov’è per produrre tale o tal altro effetto, per esempio una rima ricca, un’allitterazione, una certa immagine, e via di seguito, la poesia è di second’ordine. Di una poesia perfetta non si può dire nulla, se non che la parola è la dov’è, e che è assolutamente necessario che vi sia. E’ lo stesso per tutti gli esseri, noi compresi, per tutte le cose, per tutti gli eventi che si inseriscono nel corso del tempo. Quando rivediamo, dopo una lunga assenza, un essere umano ardentemente amato, ed egli ci parla, ogni parola è infinitamente preziosa, non per il suo significato, ma perché la presenza di colui che amiamo si fa sentire in ogni sillaba. Anche se per caso soffriamo in quel momento di un mal di testa così violento che ogni suono fa male, quella voce che fa male non per questo è meno infinitamente cara e preziosa, poiché racchiude quella presenza. Allo stesso modo colui che ama Dio non ha bisogno di rappresentarsi il tale o tal altro bene suscettibile di derivare da un evento accaduto. Ogni evento che si compie è una sillaba pronunciata dalla voce dell’Amore stesso.

Proprio perché la provvidenza governa il mondo come l’ispirazione governa la materia di un’opera d’arte, essa è anche per noi fonte di ispirazione. Il pensiero di un tavolo nell’intelligenza di un falegname produce un tavolo e nulla più. Ma l’opera d’arte, che è l’effetto dell’ispirazione dell’artista, è fonte di ispirazione in coloro che la contemplano. Attraverso di essa l’amore che è nell’artista genera un amore simile in altre anime. Così fa l’Amore assoluto per mezzo dell’universo.

Questa concezione trascendente della provvidenza è l’insegnamento essenziale del Timeo. Insegnamento di tale profondità che non posso credere sia disceso nel pensiero umano altrimenti che per rivelazione.

 

 

 

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