in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

  home page   cerca nel sito   iscrizione newsletter   email   aggiungi ai preferiti   stampa questa pagina    
 

 

  SU DI ME
 Vita       
 Pubblicazioni

 Corsi, seminari, conferenze

 Prossimi eventi
 
  DISCIPLINE
 Filosofia antica       
 Mistica
 Sufismo
 Taoismo
 Vedanta              
 Buddhismo              
 Zen
 Filosofia Comparata
 Musica / Mistica
 Filosofia Critica
 Meditazione
 Alchimia
 Psiché
 Tantrismo
 Varia
 
  AUTORI
 Mircea Eliade       
 Raimon Panikkar
 S.Weil e C.Campo
 René Guénon, ecc.
 Elémire Zolla     
 G.I.Gurdjieff  
 Jiddu Krishnamurti
 Rudolf Steiner
 P. C. Bori       
 Silvano Agosti
 Alcuni maestri

 

Venkataramam, che in seguito sarebbe stato conosciuto come Ramana Maharshi, nacque alla fine del 1879 e lasciò il suo corpo nell’aprile 1950. Era ben conosciuto nel Tamil Nad, la sua terra, e in parte dell’India, e aveva un vasto seguito in Europa e America. Era un Saggio Autorealizzato, cioè era sempre consciamente uno con il Supremo-senza-nome, sebbene agisse come un comune essere umano, non essendo il suo corpo differente dai nostri eccetto forse che per un maggiore fragilità rispetto a quella di una persona normale.

Nacque in un piccolo villaggio ad una trentina di chilometri da Madurai, dove trascorse i primi anni della sua vita, spostandosi, dopo la morte del padre, nella casa di suo zio a Madurai. Era un ragazzo normale che amava giocare, ma non molto interessato alla scuola, sebbene avesse un’ottima memoria quando si occupava di studiare. Dormiva in maniera estremamente pesante e una volta dovettero sfondare la porta della camera in cui dormiva prima di riuscirlo a svegliare. Credo che questo sonno debba essere associato con il suo futuro conseguimento, essendovi illustrato il tremendo potere della sua concentrazione.

Non aveva molto interesse per la religione, sebbene facesse visita ai templi in modo normale, cosa consueta per un ragazzo indù. Era in qualche modo una delusione per la sua famiglia che contava su di lui per ottenere una buona posizione sociale in modo da aiutarli nel mantenimento. Tuttavia era ancora presto per dirlo, dato che era giovane e forse avrebbe realizzato le sue responsabilità in seguito: ciò nondimeno tutto questo pianificare per il futuro fu improvvisamente sconvolto. All’età di sedici anni, nella stanza al piano superiore della casa di suo zio, ebbe la grande esperienza che stava per cambiare tutto. Questo è il modo in cui lui stesso la descrisse:

“Fu circa sei settimane prima che lasciassi per sempre Madurai che avvenne il cambiamento nella mia vita. Fu assolutamente improvviso. Un giorno sedevo da solo al primo piano della casa di mio zio. La mia salute era buona, come sempre. Raramente avevo qualche malattia. Dormivo molto pesantemente. Quando ero a Dindigul nel 1891, molte persone si raccolsero davanti alla stanza nella quale dormivo e cercarono di svegliarmi gridando e battendo alla porta, ma invano, e fu solo entrando nella mia camera e dandomi un violento scossone che fui destato dal mio torpore. Questo sonno pesante era tuttavia una prova di buona salute. Ero anche soggetto ad attacchi di sonno semi-consapevole durante la notte. Ma questi attacchi non mi rendevano più debole o meno adatto alla vita, e difficilmente potevano essere considerati una malattia. Così quel giorno, mentre sedevo da solo, non c’era niente di strano nella mia salute.

Tuttavia mi prese un’improvvisa e un’evidente paura della morte. Sentii che stavo per morire. Perché avrei dovuto sentire una cosa del genere non poteva essere giustificato da niente di quello che sentivo nel corpo. E nemmeno fui in grado di spiegarmelo, allora. Non mi diedi comunque pensiero di scoprire se la paura fosse fondata. Sentii ‘sto per morire’ e immediatamente pensai a quello che dovevo fare. Non pensai a consultare dottori, o anziani, o nemmeno amici. Sentii che dovevo risolvere il problema da solo e subito.

Lo shock della morte mi rese immediatamente introspettivo, o ‘introvertito’. Mi dissi mentalmente, cioè senza pronunciare le parole, “Ora è arrivata la morte. Cosa significa? Cosa è che sta morendo? Questo corpo muore.” Interpretai così la scena della morte. Distesi le membra e le tenni rigide come se fosse arrivato il rigor-mortis. Imitai un cadavere per dare un’aria di realtà alla mia ulteriore investigazione. Trattenni il respiro e chiusi la bocca, serrando con forza le labbra di modo che non potesse uscire alcun suono. Non lasciai che la parola ‘io’ o qualsiasi altra parola fosse pronunciata.

“Bene,” dissi a me stesso, “questo corpo è morto. Sarà portato al campo di cremazione, bruciato e ridotto in cenere. Ma con la morte del corpo, ‘Io’ sono morto? Questo corpo è ‘Io’? Questo corpo è muto e inerte. Tuttavia sento la completa forza della mia personalità, e anche il suono ‘Io’ dentro di me, separato dal corpo. Così ‘Io’ sono uno spirito, una cosa che trascende il corpo. Il corpo materiale muore, ma lo spirito che lo trascende non può essere toccato dalla morte. Io sono perciò lo spirito immortale.” Tutto questo non era un semplice processo intellettuale, bensì balenò dentro di me come una verità lampante, qualcosa che percepii immediatamente e praticamente senza nessuna discussione. ‘Io’ era qualcosa di reale, la sola cosa reale in quello stato, e tutta l’attività consapevole che era connessa con il mio corpo era centrata su quello. Da allora in poi ‘Io’ o il mio ‘sé’ rimase al centro dell’attenzione con un potente fascino. La paura della morte era svanita una volta per sempre. L’assorbimento nel Sé è continuato da quel momento fino ad oggi.

Altri pensieri possono andare andare e venire come le note di un musicista, ma l’ ‘Io’ continua come la fondamentale nota Sruti (ronzio) che accompagna e si fonde con tutte le altre note. Che il corpo fosse impegnato nel parlare, leggere o in qualunque altra cosa, ‘io’ è stato sempre centrato sull’ ‘Io’. Prima di quella crisi non avevo una chiara percezione di me stesso e non ne ero consciamente attratto. Non avevo sentito alcun interesse direttamente percepibile in esso, e ancor meno una qualche disposizione permanente a dimorarvi. Le conseguenze di questa nuova abitudine furono ben presto notate nella mia vita.”
(Self-Realization, Ch. 5 di B.V. Narasimhaswami)

Dopo di ciò, niente di quanto riguardasse la famiglia andò bene. Lui perse anche quel poco interesse che aveva nello studio ed era molto inclinato, mentre si riteneva stesse facendo i compiti, a stare seduto fissando lo spazio piuttosto che studiare.

Fermiamoci momento e consideriamo cosa gli era successo.

Mentre giaceva sul pavimento, la morte era venuta da lui. Cosa era quella morte che aveva sperimentato se non la morte dell’ego? L’ego stesso è interamente illusorio in quanto tale, dicono i buddisti, ma anche ammesso che abbia una specie di esistenza non c’è niente di permanente riguardo ad esso. Cambia di momento in momento. Un ego decide di fare qualcosa per l’indomani, ma quando poi viene il domani c’è in carica un altro ego che rifiuta di farlo. Così noi cambiamo di giorno in giorno, o piuttosto cambiano gli ego con i quali ci associamo. Ma dietro ad ognuno di loro c’è il testimone permanente. Tuttavia il testimone non è confinato ad osservare le azioni del piccolo ego, è il Testimone Supremo, o quello che Bhagavan chiamava il SE’. C’è solo un Sé, ed è l’unica cosa permanente che ci sia.

Così Venkataramam era morto. Dopo che questo accadde, lui non ebbe più nome, e nemmeno firmò qualcosa o riconobbe qualche nome come suo. La gente lo chiamava Ramana, e lui sapeva che - quando lo facevano - stavano parlando di lui, ma anche se lo avessero chiamato con qualsiasi altro nome lui lo avrebbe riconosciuto lo stesso modo.

Poco tempo dopo, quando andò via dalla sua casa, lasciò un biglietto non firmato per informarli della sua partenza.

Essendo morto Venkataramam, cosa era esattamente successo? Il Sé aveva assunto completamente il controllo. Non c’è dubbio che il corpo di Venkataramam e tutto quello che la gente associava con lui continuarono così come prima, per quanto riguardava loro. Sua madre lo chiamava ancora con il suo vecchio nome, lui andava a scuola e mangiava i suoi pasti, ma il vero ‘lui’ non associava 'se stesso' con niente di tutto ciò, bensì osservava tutto come si può guardare uno spettacolo cinematografico, in cui riconosceva tutto per lo spettacolo che era.

È certamente difficile per chiunque, eccetto per un Autorealizzato, comprendere questo. Qui vediamo qualcuno che agisce, mangia, dorme e fa tutte le cose che noi facciamo, ed eppure ci viene detto che lui non sta facendo assolutamente niente. Le cose vanno avanti, ma lui non si associa in alcun modo con esse; è una persona di un genere abbastanza diverso da noi, sebbene fondamentalmente sembri simile ad ognuno di noi. Che altra differenza si può trovare? La verità è che nessuno può dire a cosa sia simile un Autorealizzato, eccetto un Autorealizzato stesso, diceva Bhagavan.

In quella breve ora, nella stanza al piano superiore, Venkataramam era diventato uno spirito pienamente realizzato. Aveva realizzato-Dio. Da quel giorno in poi la sua vita fu, da un punto di vista mondano, praticamente priva di eventi. Lasciò la casa poco dopo e andò a vivere a Tiruvannamalai dove rimase per il resto dei suoi giorni. Con il passare del tempo divenne molto conosciuto, tuttavia per quanto fosse possibile evitava la ribalta. Non aveva più alcun desiderio, che dovesse essere soddisfatto o ignorato. Per un Autorealizzato non esiste una cosa come il desiderio. Egli è liberato. Gli eventi accadono. La fama venne da lui perché era il suo prarabdha aiutare gli altri verso la strada a quello stato di Liberazione di cui godeva perpetuamente.

Bhagavan trascorse il resto della sua vita a Tiruvannamalai, l'Ashram ai piedi della Collina conosciuto come Sri Ramanasramam. Egli dimostrò sempre un'equanimità esemplare. Ricevette chiunque per un darsan silenzioso. Rispose piuttosto raramente alle domande che gli furono poste, ma sempre in modo significativo e quando ritenne fosse davvero utile.

Il 5 Febbraio 1949 gli fu diagnosticata una grave malattia che sopportò dignitosamente sino al giorno della fine avvenuta il 14 Aprile 1950. In quel momento una cometa (una cometa che fu vista in tutta l'India) attraversò lentamente il cielo, raggiunse la sommità della collina sacra, Arunachala, e scomparve dietro di essa.

(tratto da "Reminiscenze di Sri Ramana Maharshi di Sadhu Arunachala - A.W. Chadwick)
 

 

Da: http://www.meditare.it/images/foto-maestri/ramana-maharshi-01.html

                                                                                                                                           TORNA SU