in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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L'Esperienza dell'Assoluto

secondo Sri  Sankaracarya.

 

Relatore Prof. Mario Piantelli

 

Indice:

 

 

·       Introduzione                               pag.3.

 

·       Nirvanasatkam                            pag.4

 

·       Sankaracarya                               pag.5

 

·       Le Upanisad e il Brahman pag.8

 

·       Kevaladvaitavada                       pag.10

 

·       Il Testimone.                               Pag.15

 

·       Domande e risposte.                   Pag.20

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quello qui riportato, è l'ultimo di una serie di tre incontri organizzati dall'Associazione Italo Indiana a Piacenza nel 1997. Tema degli incontri è la Ricerca della Realtà Ultima.

 Il primo, tenuto da Padre Mazzocchi tratta dell'esperienza Zen a confronto  con il Pensiero Cristiano, il secondo è stato specifico sull'esperienza meditativa, quindi su Dio e il silenzio, ed è stato tenuto da Padre Andrea Schnoller, mentre quest'ultimo, tenuto dal Dott. Mario Piantelli, riguarda l'esperienza dell'Assoluto secondo il grande Maestro Indiano Sri Sankaracarya.

 Parlando di Sankara il Prof. Piantelli  ci ha accompagnati per mano nel cuore della metafisica  Upanisadica e del Vedanta, illustrandoci quindi quello che rappresenta probabilmente l'apice del suo pensiero, e del pensiero indiano, "L'Advaita Vedanta".

 

 

 

 

 

 

Lamberto Breccia.   Piacenza 31/03/2000.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non sono la mente né l’intelletto né il pensiero

Né il senso dell’ io.

Non sono l’udito né il gusto né l’odorato né la vista.

Non sono l’etere né la terra né il fuoco né l’aria.

Sono Coscienza e Beatitudine assolute

Sono Siva, sono Siva.

 

Non sono il prana né i cinque soffi vitali

Non sono i sette elementi costitutivi del corpo né le

cinque guaine.

Non sono la parola né le mani né i piedi, né gli

organi di generaziuone o di escrezione.

Sono Intelligenza e Beatitudine asoolute

Sono Siva, sono Siva.

 

Non possiedo né attrazione né avversione né avidita’ né

turbamento.

Non provo orgoglio, né invidia.

Non ho desideri, fini, doveri, né liberazione da

augurarmi.

Sono Intelligenza e Beatitudine assolute

Sono Siva, sono Siva

 

Per me non esistono né le buone né le cattive azioni,

né il piacere né la sofferenza.

Non esistono le cerimonie rituali, i luoghi santi,i

Veda o l’atto sacrificale.

Non sono il fruire né l’oggetto di fruizione e neppure

 il soggetto che fruisce.

Sono Intelligenza e Beatitudine assolute.

Sono Siva sono Siva.

 

Non conosco la morte né il dubbio né le distinzioni

Degli ordini sociali.

Non ho padre né madre.Non sono mai nato.

Non ho alcun amio, parente, né maestro né discepolo.

Sono Intelligenza e Beatitudine assolute.

Sono Siva, sono Siva

.

Sono non-determinato, senza forma.

Per la mia onnipresenza, non ho relazione con gli

Organi dei sensi.

Non ho da conseguire alcuna liberazione.

Non sono il soggetto conoscente e nemmeno l’oggetto

Conosciuto perché sono Intelligenza e Beatitudine

Assolute.Sono Siva, sono Siva.                        

(Nirvanasatkam)

 

                                               Sankaracarya

 

 

                        "Viditakhilasastrasudhajaladhe mahitopanisatkathitarthanidhe

                        hrdaya kalaya vimalam caranam bhava sankara desika me

                        saranam. ".

 

                        " O possessore dell'oceano di latte che è la conoscenza di tutti

i testi autorevoli, o ricettacolo del tesoro che è l'esposizione del senso delle celebrate Upanisad, porto nel cuore i Tuoi piedi immacolati. Signore Sankara, accordami rifugio !".

 

                                                                                  Totakastaka 1.

 

Piacenza 15/11/1997.

 

Questa sera mi hanno chiesto di illustrare a loro l'esperienza dell'Assoluto secondo gli scritti di questo Maestro indiano, non notissimo in Occidente, ma estremamente noto in India.

Non è possibile concepire lo sviluppo del pensiero indiano nell'arco degli ultimi 1300-1400 anni senza avere cortezza delle dottrine di questo Maestro perché, o lo sviluppo di queste dottrine, o  la lotta contro queste dottrine ha segnato profondamente la storia del pensiero indiano.

Chi è Shankara? E' stato detto brevemente che si tratta di un maestro del 7° secolo ma noi in realtà non abbiamo una facilità eccessiva nel datarlo perché come molto spesso succede in India le evidenze per la presenza di un maestro possono essere spostate facilmente di 200 300 anni.

Shankara conosce dei maestri buddisti che lo precedono e li critica, e questi maestri buddisti sono variamente situati fra il 300 e il 500 d.c a seconda  degli studiosi.

Shankara e il suo discepolo diretto Suresvara sono criticati da un maestro jaina Vidyananda, che è a sua volta criticato da un maestro buddista Shantaracita che noi riusciamo a situare verso il 780 d.c. perché interviene nel famoso concilio di Lasa in cui il Tibet adotta la opzione buddistica predicata da questo maestro e dal suo discepolo Kamarascila.

Dunque Sankara si situa fra questi maestri che egli critica e questo maestro Jaina criticato da un maestro buddista che egli critica.

Questo ci permette di metterlo in uno spazio che è fra il 500 e il 650 - 700 d.c.

Non è troppo facile essere più precisi a proposito della datazione.

La tradizione vuole che questo maestro sia originario della terra del Kerala e precisamente del villaggio di Kalci dove sorge tuttora un imponente struttura Sankariana e dove il maestro si sarebbe spento oltre che esserci nato come racconta la vicenda dal poema Keraliasankaravija a cui si alludeva adesso.

Questo è la tradizione, naturalmente anche li è la tradizione sub judice dal punto di vista dell'evidenza interna ai testi.

  I testi di Sankara sono numerosissimi se diamo retta alla attribuzioni tradizionali.

Sono circa 500, però quelli di cui siamo relativamente sicuri sono un numero molto inferiore, e di quelli di cui siamo veramente sicuri ci presentano un quadro di un India in cui non c'è una monarchia universale, una monarchia che regga l'intero subcontinente indiano, c'è una serie di allusioni a luoghi che sono generalmente dell'India settentrionale e quindi si suppone che i destinatari di questi testi fossero delle persone che vivevano nell'India settentrionale e che  avevano familiarità con questi luoghi.

Ciò non prova assolutamente che Sankara sia originario dell'india settentrionale però è possibile che egli operasse in questo teatro; la sua presenza è dappertutto nel subcontinente indiano.

Vi sono tradizioni sopra viaggi di Sankara che lo portano dall'Assam al Kashmir attraverso tutta la pianura del Gange, attraverso i monti Vindia nel Tamil nadu e naturalmente nel Kerala che sarebbe appunto la sua terra nativa. E' una presenza così vasta dal punto di vista degli eventi che sono correlati alla sua persona, che in un breve arco di vita, perché sarebbe morto poco più che trentenne, egli copre uno sterminato territorio e i testi che gli sono ascritti sono invero dei testi molto fitti.

Come sono dati questi testi? non sono probabilmente scritti, ma sono annotati vi sono dei commenti, soprattutto commenti su dei testi significativi le antiche Upanisad, il Brahmasutra, la Bagavadghita, l'inno dei mille nomi di Visnu nel Mahabaratha, il Sanathsujiatyia, ancora nel Mahabaratha e altri testi minori che sono tutti quanti oggetto di una serie di discorsi del maestro probabilmente annotati via via dai suoi discepoli. Lo si vede confrontando lo stesso passo annotato in due testi diversi in modo abbastanza simile.

Si tratta dunque di note messe assieme, il paragone che possiamo fare è con Aristotele. Come loro sanno, i testi redatti da Aristotele personalmente erano testi che sono andati quasi tutti perduti, se ne sono conservati pochi frammenti, mentre invece le note dei suoi allievi che prendevano alle sue conferenze sono la quasi totalità del corpus aristotelico che ci è rimasto.

Sankara scrive se è lui che scrive, o parla in un sanscrito estremamente fluido, chiaro, limpido, e non è cosa troppo frequente nei pensatori indiani.

Molti pensatori indiani sono involuti, impiegano termini ricercati fanno composti lunghissimi, e cercano di nascondere le loro carenze sotto un mantello diciamo così Ciceroniano.

Sankara invece si preoccupa di essere capito.

E' anche un espositore eccellente delle dottrine altrui, prima di criticare queste dottrine egli le sunteggia con chiarezza e con equilibrio, e generalmente presenta i maestri di altri indirizzi nella luce più favorevole prima di cominciare a demolirli…..e li demolisce …con una certa energia, con una certa verve ed anche con molto humor !

E' un pensatore, un pensatore articolato, è un commentatore ed è anche un mistico.

Trovare tutte queste cose assieme in un maestro indiano non è frequente per quanto abbiamo diversi esempi nella storia del pensiero indiano di figure così poliedriche.

Che cosa insegna Sankara, che cosa è questo Vedanta che egli insegna ?

Il termine Vedanta è ricollegato alla designazione delle Upanisad, che sono la parte più recente dal punto di vista linguistico, in molte Upanisad perlomeno e certamente la parte culminante del sapere vedico.

Le Upanisad costituiscono una massa di insegnamenti relativi alle tecniche di meditazione, relativi a segreti particolari di interpretazione del rito sacrificale molto complesso e molto ramificato, teorizzato nei Brahmana, la parte in prosa dei Veda e sono anche una serie di miti raccolti e ordinati secondo le esigenze dell'insegnamento.

Le Upanisad più antiche sono parte ancora dei Brahmana, le Upanisad più recenti si spingono giù nel tempo fino a Sankara, la sua epoca ed anche oltre; sono testi anonimi, e però esse rappresentano in qualche modo il fondamento della dottrina che Sankara ha espresso e che la tradizione di Sankara chiama appunto Vedanta, il fine dei Veda o la fina dei Veda.

Il Veda si divide grosso modo in due sezioni dal punto di vista dei suoi interpreti classici e medioevali.

Una sezione è nota come il Karmakanda, ossia la parte relativa al Karman cioè alle azioni e una sezione nota come lo Ghianakanda, cioè la parte relativa alla conoscenza o meglio alla Gnosi se vogliamo impiegare una categoria occidentale.

Questa seconda parte è costituita appunto dalle Upanisad.

 

 

Le Upanisad e  il Brahman

                                                          

 

                                                                       Il Supremo Sé, dimora in tutti gli esseri, non è

                                                      manifestato; può essere visto mediante la ragione

suprema, sottile, e da coloro che hanno la visione penetrante.

                       Katha Upanisad  (I. 3, 12)

 

                                                                     

Che cosa è la dottrina delle Upanisad secondo i suoi interpreti ? secondo Sankara in primo luogo e secondo quelli che lo hanno preceduto e secondo quelli che lo hanno seguito ? Questa dottrina è una estensione in qualche modo del dato vedico più antico relativo al fondamento del mondo, relativo a quella che i greci avrebbero chiamato la Arkè, il Principio di tutte le cose che è chiamata Brahman.

Alcuni termini chiave sono in uno di questi due fogli che andremo a vedere nella lavagna luminosa……(manca la registrazione)………………………………è un nomen actionis neutro che viene da una radice brh che significa "far crescere ingrandire, gonfiare", per esempio si dice del bambino neonato che succhia il latte materno e che cresce che esso è brhmitah.

Viene accresciuto, gonfiato dal latte materno. E' anche il Brahman un potenza che riempie, che gonfia gli dei Vedici e che è contenuta nelle parole stesse degli inni del Veda, nelle melodie Sacre del Samaveda, nelle invocazioni che sono rivolte a queste divinità. Perché il Veda stesso è chiamato Brahman.

I singoli inni del Veda, le singole parti che li compongono, le singole strofe, i singoli mantra del Veda, sono chiamati i Brahman e il rito stesso che è celebrato seguendo le indicazioni dei Brahmana, cioè i testi relativi al Brahman è chiamato il Brahman.

Fare il Brahman, Brahmankr, Brahmankaloti, "egli fa il Brahman", significa Sacrificare. Dunque vedano che si tratta di una potenza che nell'età più antica, età che possiamo sistemare in modo indicativo, ma solo indicativo perché i testi Vedici sono trasmessi oralmente per molto tempo, prima di essere messi per iscritto, possiamo mettere fra il 1500 - 1700 a.C.

In quest'epoca il Brahman è essenzialmente il fondamento di tutto ciò che è Sacro, è il Sacro stesso se vogliamo dare al sacro una S maiuscola

Ben presto in una epoca che è antecedente probabilmente al 700 A.c, il Brahman diviene qualche cosa di più e di diverso. Il Brahman diviene la cifra del mistero in cui tutte le cose si iscrivono, il fondamento dell'esperienza, ciò da cui le cose derivano, ciò in cui le cose sono presenti, ciò in cui le cose si risolvono allorché esse cessano.

E dunque acquisisce quei tratti che abbiamo detto con una categoria della filosofia ellenica sono quelli di un Arkè, di un Principio universale.

Come questo Brahman può essere presentato? ; ricorriamo ad un jnanasloka cioè ad una strofa destinata a guidare la meditazione, che è questo qui.

Ci presenta il Brahman con una serie di  epitesi che ora glosso per loro :

"Brahmananda,paramasukadahm,kevalamm,yamamurti vismatitam ghiakatamistah tat tvam asi…………………………………..namah.

" Brahmananda ", la beatitudine che è il Brahman.

Il Brahman è essenzialmente Beatitudine, il Brahman è essenzialmente uno stato di serenità totale che coincide con una quiete Assoluta profondissima, non turbata da alcun mutamento, da alcuna alterazione.

Quando in una Upanisad perduta che è citata da Sankara in uno dei suoi testi, un personaggio viene interrogato  da un altro, Vadva e Baskalin i nomi di questi interlocutori, egli risponde con il silenzio, tace, per tre volte interrogato, per tre volte tace. Alla fine l'altro protesta e dice " Perché io ti chiedo l'istruzione e tu non mi istruisci ? "- e l'altro dice "drhuma halu"-"Noi abbiamo parlato,.. effettivamente !" "Dvantu davijianasi"- ma tu non sai, tu  non capisci, tu non hai l'intuizione!-"upashiantu yamatva"- questo atma è silenzio, questo atman è quiete assoluta, questo atman è qualcosa che può essere descritto solo attraverso un silenzio eloquente.

Quindi "Brahmananda", la beatitudine che è Brahman; una beatitudine senza oggetto, una beatitudine che non deriva da una esperienza ma che è l'esperienza stessa, subspecie etrnitatis, giacchè questo Brahman è anche  come loro vedono più in basso,  nityam, permanente, eterno ,stabile ,saldo.

Paramasukkadahm esso conferisce sommo agio, sukka è agio, dukka è il disagio esistenziale, termine che spesso è tradotto con dolore, sofferenza, ma è più etimologicamente vicino al tiys, agio, il termine ha infatti il presfiisso duh, che è lo stesso del greco dus e significa qualcosa che gira male, dukka, all'interno del mozzo, dello spazio che è al centro della ruota.

Mentre sukka è qualcosa che gira bene, quindi quello che potremo chiamare bell'agio,  o buon agio se loro vogliono, che dà un agio supremo, che dà una suprema tranquillità. Dunque un esperienza priva di personalità ed un esperienza personale che come vedono sono accostate.

Kevalam è un termine che indica la purezza, la aseità, può essere paragonato all'ebraico "kadosh", non indica però la santità come viene tradotto il kadosh nelle nostre lingue, ma indica il fatto di essere per conto proprio, assolutamente puro, assolutamente libero.

 

                                Il Kevaladvaitavada

 

 

 

                                                                 Tutto ciò è il Brahman; questo Sé è il

Brahman e il Sé è quadruplice. Al di là di ogni    relazione, senza lineamenti, impensabile, in cui tutto è silenzioso.

                         Mandukya Upanisad (II. 2, 7).

 

 

 

 

 

 

La dottrina di Sankara è chiamata Kevaladvaitavada, cioè la dottrina del puro Advaita, del puro non dualismo.

Perché non dualismo e non monismo ?

Perchè  il monismo in fin dei conti ci può far pensare ad un unità articolata, un unità che ha delle parti, un unità che è al suo interno dialetticamente composta, mentre Advaita ,senza dualità, indica una Unità che è totalmente, massimamente -Una-.

Come l'Uno dei nostri Neoplatonici., in cui non c'è assolutamente posto per differenziazioni, per articolazioni di qualsiasi sorte.

Jnanamurtim il cui aspetto, la cui murti è la conoscenza, oppure che è l'aspetto stesso in cui la conoscenza si rivela.

Jnana è un termine che è omologo al greco Gnosis e indica proprio la Conoscenza, ogni forma di conoscenza, anche gli atti mentali che si accompagnano alla conoscenza sono denominati Jnana.

Ma Jnana con la J maiuscola se loro vogliono, con la maiuscola, è proprio la Conoscenza liberatrice, la pura, la nuda conoscenza che è la Totalità dell'Essere.

Visvatitam, che trascende il Tutto.

Dunque non si tratta di un Dio puramente immanente, non si tratta di una forma di panteismo, sia pure in termini Spinoziani, si tratta di un Dio che trascende tutte le forme, tutti i nomi, tutto ciò che è l'orizzonte dell'esperienza dal punto di vista di questi nomi e di queste forme.

Loro troveranno affermato Sarvamkalu IdamBrahman "tutto questo universo non è altro che Brahman" ma questo non significa che l'universo, in quanto universo sia il Brahman, significa che il Brahman, in quanto Realtà è la realtà stessa dell'universo, e che l'universo è sovrapposto al Brahman come il sogno è sovrapposto al sognatore, come il serpente che crediamo di intravedere nella penombra è sovrapposto alla fune arrotolata che è per terra nella penombra.

L'universo non c'è in quanto universo, l'unica cosa che c'è è questo Uno formidabile.

Si tratta dunque di una dottrina che può essere definita come "acosmismo" in termini occidentali.

Gadaransarshian, simile allo spazio. Lo spazio è dal punto indiano una sostanza sia pure sottilissima, indivisa, che da a tutte le cose la possibilità di sussistere in quanto esse occupano uno spazio.

La definizione di spazio è avakashatratatrh, ciò che conferisce alle cose una spazio in cui trovarsi.

Questa sostanza sottilissima che è una sorta di quinto elemento oltre ai quattro elementi ben noti anche alla nostra società , terra, acqua, fuoco e aria, è caratterizzata dalla sua indivisibilità e dalla sua impassibilità. Nulla può modificare lo spazio, nulla può incidere sullo spazio, nulla può dividere lo spazio dallo spazio; l'immagine che spesso viene offerta è quella di un vaso, il vaso apparentemente limita lo spazio, in quanto con le sue pareti tutte attorno sembra racchiuderne una porzione.

Però se noi spostiamo questo vaso, lo spazio che era prima occupato dal vaso ora si fonde nello spazio universale. Non c'è più distinzione.

Similmente se noi infrangiamo il nostro recipiente davanti ai nostri occhi, cosa che io non farò davanti ai loro occhi perché è un bellissimo bicchiere, di nuovo lo spazio che era contenuto nel recipiente si riassorbe nell'altro spazio.

Dunque lo spazio in realtà non può essere limitato è limitato solo illusoriamente.

Quindi esso è simile allo spazio dal punto di vista della indivisibilità, e dal punto di vista della immutabilità.

Tat Tvam Asi adilaksiam esso è suscettibile di essere, non diciamo inferito, ma piuttosto colto attraverso una presentazione indiretta, attraverso dei testi a cominciare da TAT TVAM ASI -TU SEI QUELLO.

Tat è il pronome dimostrativo neutro, simile all'inglese That, che è più o meno lo stesso pronome indoeuropeo sopravvissuto, ……

Tvam è il tu, latino tu

Asi è la copula che li riunisce.

Questo tipo di testi che sono presenti nelle Upanisad, Tat Tvam Asi è ripetuto più volte nella Chandogya Upanisad, ma ve ne sono altri di questi testi ad esempio:

 ha ham Brahmaamsh,i Io sono il Brahman, oppure il Brahman è Realta Conoscenza Beatitudine,  ecc….

Questi detti servono ad indicare il Brahman. Il Brahman non è enunciato da questi detti, esso non è cucita, dice Sankara, ma è Laksita

Dunque esso è Lakscia, Laksiana è il bersaglio a cui si giunge mirando ad esso, ed il bersaglio ad esso può essere anche molto piccolo. Quando noi ci troviamo di fronte ad un bersaglio molto piccolo, siamo obbligati dice  Sankara a ricorrere a degli espedienti.

Per esempio, nella costellazione vicino alla costellazione dell'Orsa Maggiore, che per gli indiani è composta dai sette veggenti, dalle stelle che sono i sette veggenti più antichi dei Veda, è situata una piccolissima stella puntiforme che di solito non viene scorta, che gli indiani chiamano Arundatiy dal nome della sposa fedelissima di uno di questi sette veggenti.

Per indicare la stella Arundatiy, fa notare Sankara, io non posso indicare semplicemente la stella con un dito perché quella stella è così piccola che difficilmente viene colta dalla vista della persona. Io devo indicare le stelle vicine, e poi, quando le stelle vicine sono state  intuite,  dico non è quelle stelle vicine, è quella stella piccolissima un pochino più in basso, o un pochino più in alto rispetto ad esse..

E allo stesso modo per indicare il Brahman io devo ricorrere a delle descrizioni di attributi del Brahman.

Queste descrizioni comprendono queste cose che stiamo dicendo, comprendono tante altre cose, comprendono tutta una serie di composizioni di carattere metafisico.

Però queste composizioni, devono essere poi negate tutte quante per spingere l'attenzione verso il Brahman in quanto nuda presenzialità.

Dunque una via positiva, seguite da una via negazionis per usare le categorie della nostra teologia, e non può esserci via negazionis se non c'è prima stata una serie di affermazioni. Il Brahman è colto attraverso questo processo.

Tat Tvam Asi, Tu Sei Quello, indica da una parte il Brahman la cui descrizione è nota indirettamente, attraverso i Veda, attraverso le Upanisad, come quello che stiamo esaminando,e dall'altra parte, il Tu, che si riferisce all'esperienza di colui che sta ascoltando l'insegnamento.

Ora, ciascuno è correlato a questo tu da un Io, che è la prima persona in sanscrito come in italiano, e che designa qualche cosa che di solito noi identifichiamo con il nostro corpo, la nostra mente, i nostri pensieri, i nostri sogni le nostre illusioni, le nostre speranze, i nostri desideri, le nostre paure, e questo qualcosa  certamente non è il Brahman, Immutabile sereno al di là dell'angoscia eterno…..è qualche cosa di completamente diverso dal Brahman.

Allora è necessario che noi astraiamo dal Tu ,o dall'io quello che è totalmente privo di……………(interruzione della registrazione…..)…………………………………………………………………………………………………………………………………continua…………………………………………………………………………….sono pienamente Reali e non sono pienamente Irreali, sono Sat , Asat, sono ente e non ente, o meglio sono Satasatnirvacianiya, ciò che non può essere detto ne ente ne non ente. Partecipano della realtà del Brahman e partecipano dell'Illusione della Maya.

Diranno i maestri posteriori a Sankara, prendiamo un qualsiasi oggetto..il bicchiere che abbiamo dinanzi citato e presentato, questo oggetto ha un nome, bicchiere, una forma, un ubiconsistam cade sotto i nostri sensi, e al tempo stesso vi è in questo oggetto l'Essere.

L'Essere di questo oggetto è l'essere universale la Satta, l'essere di tutte le cose, l'universale prima da cui tutti gli altri universali dipendono in quanto sono meno estesi di esso. Ebbene l'Essere Universale di questo bicchiere è l'Essere stesso del Brahman, noi dobbiamo vedere la Presenza dell'Essere del Brahman, astraendo dal nome, astraendo dalla forma, che non sono altro che un velame gettato sul Mistero dell'Essere.

Però c'è qualche cosa di più, c'è il mio conoscere questo bicchiere, il mio esserne cosciente, il loro esserne cosciente, questo essere coscienti .

Questo essere coscienti del bicchiere le forme della vita mentale che colgono il bicchiere il suo nome ecc…ci presentano un'altra dimensione del Brahman, che è la dimensione conoscitiva,che è l'Esperienza.

Dirà Abhinavagupta che non è un Shankariano puro è un maestro Shiva che mette a profitto l'esperienza di Sankara: "Dhiana dipin non kashitam…………………."Dalla Conoscenza non vi è nessuna Realtà, nessuna cosa che sia in Realtà distinta. Il nostro conoscere e il nostro cogliere le cose fa si che le cose sussistano nel nostro conoscere a quel modo che gli oggetti onirici che noi vediamo in sogno sono presenti nella coscienza del sognatore e non hanno alcuna altra collocazione., e perciò non vi è nella coscienza nessuna qualche cosa che sia un effettiva reale distinzione che dipenda dall'uno o dall'altro di questi oggetti che ci si presentano sullo sfondo della Coscienza stessa. Nell'unica fonte, nell'unica sede, nell'unico luogo che è la Realtà che di per se stesso risplende senza bisogno che nulla lo illumini perché è la Luce che illumina tutte le cose,….. non c'è nessuna distinzione che esista in quanto tale.

Ecco l'esperienza dell'Advaita in nuce.

E' l'esperienza del nostro Esserci, esperienza a cui noi siamo richiamati da questi detti…Tat Tvam Asi….ecc…

 

 

                   Il Testimone

                                                                                             

 

 

                                                                      

Che  è la luce per te?

- Di giorno il sole, di notte le faci,e cosi' via...

- Sia pure.

- Che luce illumina (con il vederla) la luce del sole? dimmi.

- L'occhio.

- E quando esso e' chiuso?

- La mente.

- E la mente da chi e' veduta?

- Ma da me!

- Tu sei dunque la luce suprema!

- Quello io sono, Signore!

          

                     Sankara    (Ekasloki) 

 

 

 

L'immagine che viene fornita è quella di dieci ragazzi che attraversavano a nuoto un fiume erano molto giovani questi ragazzi, e non sapevano ancora bene contare.

Avendo attraversato il fiume, decisero di contarsi per vedere se qualcuno di loro era per caso affogato.

Chiesero al più grandicello di loro che sapeva contare di contarli ed egli cominciò a contarli…uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, e disse io ne conto solo nove…uno di noi è affogato.

Tutti cominciarono a piangere e a disperarsi, come faremo a dirlo ai suoi genitori, ecc….quando passò da quelle parti un adulto.

Gli dissero che uno di loro era affogato eravamo in dieci ed ora siamo in nove.

L'adulto vide che erano dieci e disse ma chi via ha contati ?e il ragazzo si fece avanti sono io che li ho contati. Ricontali di nuovo. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove , e l'adulto gli disse Tu sei il decimo ! "Tashamas Tva ! Egli si rese conto che non aveva contato se stesso.

Allora intuì di essere il decimo.

Questa certezza che gli sorse immediatamente dalla frase "tu sei il decimo" è simile alla certezza alla certezza che sorge dalla frase Tat Tvam Asi.

Noi analizziamo il nostro individuo empirico, cataloghiamo, questo è il mio corpo, questi sono i miei pensieri, queste sono le mie aspirazioni, questa è la mia biografia, questo è questo, questo è quest'altro…e dimentichiamo costantemente noi stessi, il testimone interiore, il " Saksin " che è quello che rende possibile tutto questo.

L'espressione Tat Tvam Asi rivela immediatamente il Saksin.

Non è raggiunto tutto questo attraverso la meditazione.

Samkara si batte contro la nozione che una qualsiasi azione che fa parte dell'orizzonte dell'oggetto possa produrre qualcosa che riguarda il soggetto.

Il soggetto è colto da un intuizione immediata o non è colto affatto.

Sankara dice non è possibile che come noi puliamo costantemente uno specchio di bronzo, nell'India dell'epoca e anche nella Cina dell'epoca i specchi erano di bronzo e dovevano essere lucidati costantemente per permettere che  potessero riflettere le immagini.

Noi puliamo la mente attraverso la meditazione in modo che la luce dell'atman risplenda, questa luce risplende sempre e comunque.

E' un detto proverbiale che alla stessa epoca di Sankara era diffuso anche in Cina, lo troviamo nel 6° maestro dello Zen per esempio ed è un detto importante centrale.

Non c'è nulla da fare per raggiungere la conoscenza, la conoscenza è evidenza immediata, lampante. "Svakrta iayprdaya" certezza del proprio cuore , che annulla istantaneamente l'immagine che qualche cosa esista al di là e al di sopra  del nostro esserci.

Cogliere la presenza del nostro esserci significa distruggere il mondo, annientarlo, ridurre tutte le forme al nulla,? no certamente no .

Sankara asserisce chiaramente che non è questa conoscenza qualche cosa che distrugga l'universo materialmente come la grande combustione universale che gli indiani aspettano alla fine del mondo distruggerà l'universo intero. No certo!

Però l'universo si rivela come illusorio. Tutte le forme tutti i nomi che ci appaiono innanzi, si rivelano come qualche cosa che sostanzialmente non sussiste a parte dal nostro esserci. Come lo spettacolo di cui noi siamo spettatori ma che non ci riguarda direttamente.

E a questo punto scatta qualche cosa di diverso, c'è una brusca rivoluzione di piano.

Viene esperito qualche cosa che in realtà è sempre presente ma questo trasforma l'esperienza empirica, l'esperienza empirica diventa l'esperienza di qualcuno che non è più preda di Avidya non è più preda della nescenza primordiale, non è più preda della Maya. E' una persona che in qualche momento per le abitudini mentali può essere per un momento sconcertato, come chi girando rapidamente su se stesso come i dervisci rotanti che conosciamo vicino a noi in Turchia, a un certo punto perda l'orientamento e non riesca più a distinguere il nord dal sud però è solo un attimo.

In realtà egli immediatamente mette a fuoco la situazione è si rende conto che quello che gli appare come oggetto è sempre e soltanto un oggetto.

Dunque si tratta di risalire attraverso un processo di disidentificazione da nomi dalle forme dagli eventi che noi abitualmente identifichiamo con noi stessi a quella che è la origine stessa del nostro esserci, il fondamento del nostro esserci.

E questo fondamento è la divinità giacche il Brahman è la divinità.

De Nobili, Roberto De Nobili, il primo italiano a studiare il Sanscrito, il primo europeo a studiare il sanscrito  a dire il vero, traduceva il termine Brahman con la parola Deus. Ma Deus in se ipsum, la divinità in se stessa, non in quanto Dio personale, e non aveva tutti i torti.

La divinità personale che naturalmente nei sistemi indiani esiste e che è chiamata Iswara, il Possente, il Signore, che rapporti ha con il Brahman ?

La divinità personale è dotata di una serie di attributi come onniscienza, onnipotenza, onnipresenza, provvidenza,….ecc..ecc..

Questi attributi sono in parte coincidenti con gli attributi del Brahman in parte ovviamente la distinguono totalmente  dal Brahman.

In quanto il Brahman è una realtà im-personale mentre Iswara è una personalità, in quanto il Brahman non ha alcun rapporto con il mondo a eccezione della sua funzione di Testimone impassibile, mentre Iswara è l'autore del mondo che forma gli eventi,  forma le cose attraverso il gioca della sua Maya, attraverso altre particolari forme di azione diranno altri sistemi è comunque il responsabile degli eventi.

E Iswara intereagisce con noi, è oggetto di preghiere è oggetto di invocazione, risponde alla preghiera dell'uomo, risponde alla sua devozione, lo salva, gli viene , scende addirittura, si fa uomo nella forma dell'Avatara, tutto questo è compatibile con il Brahman che abbiamo testè presentato ? Ebbene la risposta di Sankara è che Iswara e il Brahman sono la stessa cosa.

Iswara è il Brahman visto attraverso  la lente della sua stessa Maya, è il Brahman come ci appare in relazione al mondo, e quindi il suo esser Dio e l'essere mondo del mondo sono in un certo modo solidali, e il nostro essere creature, il nostro essere individui che dipendono da Iswara è solidale con tutto questo, quindi dal punto di vista della Maya, dell'orizzonte dei nomi e delle forme, Dio è altrettanto reale di noi e Dio è altrettanto reale del mondo che manifesta, o altrettanto irreale, se loro vogliono.

Dal punto di vista della Realtà l'esserci di Dio, il nostro esserci e l'essere di tutte le cose in Dio è Uno.

E questo è ciò che viene esperito.

Questa esperienza ha le categorie dell'esperienza che noi possiamo calare nel linguaggio, che noi possiamo calare nel pensiero ? Certamente no! Essa trascende il linguaggio e il pensiero.

Dice l'Upanisad. "Yato vachoni vartantea praktia manasa sahah" ,"da cui le parole si volgono via senza averlo raggiunto insieme alla mente, insieme al pensiero". Sankara aggiunge "questo silenzio sigillato, nascosto" da cui le parole si volgono via ecc…

Questo silenzio che è il nudo esserci è qualche cosa che trascende qualsiasi determinazione concettuale.

Sankara dichiara apertamente e lo dichiara nella sua introduzione alla seconda parte della Aitaraya Upanisad se loro vogliono vedere il commento alla Aitaraya Up. : "Chiunque sostenga che questo Quid di cui non si può dire nulla è Essere o non Essere, Sat o Asat, è Sunya o Asunya, Vuoto o non vuoto, che esso è molteplice o Uno, che esso è dotato di causa o privo di causa, che esso è dotato di effetti o privo di effetti, che esso è con forma o senza forma, che esso è così o cosà……costui potrebbe allo stesso titolo cercare di vedere le impronte lasciate dagli uccelli che volano nell'aria o quelle lasciate dai pesci che nuotano nell'acqua. Costui potrebbe allo stesso titolo tentare di arrotolare come una pergamena il cielo, perché l'unica definizione reale di questo è "Neti Neti", ne così ne così", definizione che fornisce la Bradananyaa Up., una delle Up. più antiche dove dice "questo è l'Atman, che è Neti Neti, non così non così".

La ripetizione di questa negazione esclude qualsiasi descrizione positiva. Esso è definibile soltanto come ciò che si sottrae a qualsiasi definizione.

Dunque soltanto indicato attraverso una via negazionis rigidissima,  quello che i nostri Teologi chiamano l'apofatismo più coerente. La parola ultima di Sankara è l'apofatismo.

Loro mi diranno ma questo è lo Sunya, questo è il vuoto dei buddisti lo Sunyata che è apofatismo puro.

Che cosa è la Sunyata se non la negazione di qualsiasi determinazione concettuale, di qualsiasi parola , e sono sorti in India molti avversari di Sankara che l'hanno accusato di essere un "Prakchannabauddha" un buddista travestito un buddista sotto mentite spoglie.

Ma non è così! Sankara fa notare che se noi non usiamo l'approccio apofatico, la via della negazione per descrivere noi stessi, se noi non ci volgiamo ad analizzare il nostro esserci scartando come le foglie del carciofo come direbbe Kabul tutti gli elementi esteriori per arrivare al nucleo del nostro esserci, la descrizione dell'Atman, la descrizione del Brahman, è la descrizione del nulla, "Sunyata evasyat" sarebbe soltanto la descrizione del nulla.

La distinzione è fra l'apofatismo buddistico, che approda, secondo Sankara ad un nulla informe che non ha un riferimento alla nostra esperienza e che è ancor esso una nozione, e quel Nulla che è il nostro nulla, che è il nostro esserci, che noi esperiamo in primo luogo con la certezza intuitiva del nostro esserci.

Molto prima di Decart, Sankara ha dichiarato che è impossibile per noi negare il nostro esserci, perché esso è l'evidenza prima centrale Assoluta.

Non è cogito ergo sum, ma un cosciens sum ergo sum, perché naturalmente i pensieri mutano, i pensieri non sono per la prospettiva indiana delle cose che sono prodotte da una nostra attività, ma sono degli eventi di cui noi siamo i testimoni.

Questa la differenza fra il Vedanta e il Buddismo. Differenza come loro vedono, molto sottile. Differenza che nel corso dei secoli si è così appannata, che le ultime presentazioni del Buddismo in terra Indiana o in Tibet in Cina ecc.. si avvicinano in modo incredibile al Vedanta Indiano, tanto da poter essere considerate come delle forme allomorfe di un'unica esperienza.

Ma questo è un discorso che ci porta più in la del tema che questa sera ci è stato affidato.

Questo esperire avviene nel tempo o fuori dal tempo ?

Dal punto di vista soggettivo cioè di chi si accorge di essere il Brahman esso avviene nel tempo ovviamente.

E allora c'è questa improvvisa certezza che tutto quello che prima ci appariva come esistente di colpo ci appare come soltanto delle forme, un gioco di illusione, un sogno che noi percepiamo in quanto sogno. Proprio come quando stiamo sognando se la nostra coscienza è abbastanza vigile ci rendiamo conto che stiamo sognando proprio allo stesso modo la persona che fa l'esperienza del Brahman si rende conto che quello che gli accade è soltanto accadere e non coinvolge il nudo suo nudo esserci.

E allora canta il Vivekudamani un poema ascritto a Sankara che probabilmente non è suo ma posteriore di diversi secoli, allora ecco che egli esclama "O prodigio ! Dov'era l'universo ? or ora era percepito da me ed ecco che improvvisamente è sparito, ..non c'è più nessuna forma, non c'è più nessun esserci.. tutto intorno a me c'è soltanto l'immenso oceano del Brahman, e in questo oceano, una goccia di questo oceano, la mia mente si è perduta.. io non posso dire che cosa è la beatitudine di questa esperienza trascendente !"

E' un esperienza dunque che soggettivamente è nel tempo ma è l'esperienza di ciò che è fuori dal tempo, è l'attimo atemporale e eterno che l'occidente conosce come Estasi.

Le descrizione che i nostri mistici ci forniscono dell'estasi al suo "Top", nelle esperienza più elevate, sono così vicine alle descrizione indiane da non lasciare dubbi.

E', quella che noi abbiamo analizzato, un'apertura che segue un suo iter particolare, un suo iter diverso, metafisicamente ben individuato, a una esperienza che è patrimonio della mistica di tutta l'umanità, presentandosi a molti modi, offrendo il destro a molte interpretazioni. Questa esperienza è probabilmente la stessa che ci è familiare qui in occidente nel detto "Io è il Padre mio siamo Uno!".

Applausi……………………………………………………….

 

 

                                      Domande e risposte.

 

 

 

Domanda: Studiando la filosofia orientale, insegnando, scrivendo, quale influenza personale ha avuto ?

 

Risposta: E' difficile che qualcuno possa capire una forma di pensiero che fa appello costantemente all'esperienza del vissuto come è molto spesso il caso dell'esperienza orientale, è difficile dico che questo possa essere compreso senza calarsi nei panni di chi fa questa esperienza.

E' evidente che ne deriva un certo arricchimento allo studioso, un certo approfondimento di quello che può essere la prospettiva banale del vivere quotidiano.

Ciò non fa dello studioso un mistico, un maestro, perché manca allo studioso la statura spirituale per poterlo divenire, ma certamente gli da un feelling per quello che è questo tipo di esperienza che costituisce per la sua vita qualche cosa di prezioso.

 

Domanda : Quali sono i punti in comune che il Vedanta ha con il Tao ?

 

Risposta : E' possibile stabilire un certo parallelismo con il Tao.

Il Tao si presenta nella presentazione classica che ci è offerta da pensatori come Lao Tze, o Chang Tze, come qualche cosa che è profondamente sfuggente.

Ci si presenta come qualche cosa di cui non si parlare, e quando si parla del Tao lo si tradisce…."Tao ko Tao feng chanTao, Min ko Min  feng chan Min ", il Tao che può essere Taoizzato o trattato da Tao non è il Tao che è sempre Tao, e il nome magico Ming, il nome reale che lo enuncia che può essere nominato non è quello che è sempre il nome eterno e permanente. Questo tipo di apofatismo ci ricorda il discorso sul Brahman. Però, se noi analizziamo la nozione di Tao attraverso le presentazioni volutamente paradossali che ci sono offerte, il Tao ci si presenta come una legge di mutamento. Non come qualche cosa che si sottrae per definizione ad ogni mutamento, quanto come qualche cosa che rende possibile il mutamento, lo articola e in qualche modo lo rende intelleggibile. Ciò implica che esso si sottrae al mutamento.

Ci sono stati dei taoisti cinesi che hanno detto "Si !",.. ciò implica che il Tao è una realtà permanente eterna ecc.. altri taoisti cinesi lo hanno negato perché questo è già calare il Tao all'interno di un discorso.

Quando si cerca di parlare di ciò che non può essere detto si finisce di usare le stesse formule. Il problema è : ci troviamo di fronte a un approccio che è dettato dai limiti del nostro linguaggio, e del nostro pensiero, quando cerchiamo di trascenderli, oppure ci troviamo di fronte ad un esperienza che mira agli stessi esiti.

Conoscere il Tao significa essere liberati ?

Cosa significa conoscere il Tao ?

Analizziamo gli scrittori sul Tao e scopriremo che conoscere il Tao significa soprattutto vivere una vita serena, priva di problemi, priva di cure e anche di pensiero nel momento in cui il pensiero si fa cura si fa preoccupazione, si fa desiderio di approfondire o di cogliere qualche cosa escludendo il resto, il pensiero è il tradimento della Realtà, significa essere nel flusso universale

 parte di questo flusso in perfetta Armonia.

E' questo lo stesso che esperire il Brahman ?

Probabilmente la sensibilità estremorientale e la sensibilità dell'Asia meridionale qui sono divise.

Il mondo indiano è assetato di permanenza, il mondo indiano è assetato di stabilità, non è assetato di fluire nel flusso eterno, è assetato di fuggire da questo flusso, di sottrarsi ad esso, di riconoscerne l'insostanzialità.

Il mondo indiano è molto più vicino alò mondo Parmenideo che al mondo Eracliteo, che è il mondo del divenire.

A me pare, e questa è l'esperienza di uno studiose di cose dell'Oriente che però ha approfondito l'India forse più che della Cina, ha me pare che il Taoismo sia più Eracliteo nella sua definizione dell'Assoluto e che il pensiero indiano sia più Parmenideo.

Ora loro mi diranno …ci può essere un'armonia segreta fra queste visioni…certo che ci può essere ..ma questa armonia segreta è una proiezione nostra di studiosi che cerchiamo di cogliere qualche cosa al di là di quello che le fonti ci dicono.

 

 

 

 Domanda : Ci sono stati dei casi di contaminazione del pensiero delle Upanisad con quello greco occidentale.?

 

Risposta :….un caso è certamente sicuro ed è il caso del fondatore dello scetticismo Pirone di Elide.

Pirone accompagnò Alessandro in India studiò sotto il Maestro indiano che si chiamava Calliana probabilmente per il saluto "callianam" che rivolgeva ai suoi discepoli e che i greci chiamano Calanos. Era molto anziano questo personaggio quando si accodò ad Alessandro, attraversò con lui il deserto della Aracosia tornando verso Babilonia e poiché era molto anziano e malato, decise di suicidarsi nel fuoco.

Alessandro schierò l'esercito di fronte ad un altissima pira funebre su cui questo maestro indiano si bruciò al cospetto di tutto l'esercito, mentre i macedoni inneggiavano cantando il "Teana", e gli elefanti facevano risuonare i loro barriti.

Una scena indimenticabile che diversi scrittori ci descrivono.

Il Maestro indiano rimase immobile fra le fiamme che lo consumavano dando prova di un assoluto dominio sul suo corpo, sulla propria mente,   

 provocando una ammirazione che durò nei secoli.

Calliana aveva diversi discepoli fra i seguaci di Alessandro, fra questo discepoli vi era anche un importante generale, a cui egli lasciò in eredità un cavallo che Alesssandro gli aveva donato,  fra questi discepoli c'era anche Pirrone.

Pirrone ritornò nella sua città Elide e qui fu nominato sacerdote supremo della città.

Egli sosteneva che la Beatitudine consiste nel sospendere il giudizio sulla realtà o irrealtà delle cose.

Il suo messaggio era che la perfetta atarassia, la perfetta impassibilità, si attinge soltanto attraverso la cessazione di qualsiasi dogmatismo, attraverso la cessazione di qualsiasi posizione limitata dall'intelletto.

Questo è certamente un influsso indiano importante che ha fatto la storia del pensiero europeo.

I Pirroniani, gli scettici, sono stati gli avversari più agguerriti delle diverse scuole greche, che tendevano a metterne in vista i diversi momenti di contraddizione.

Di seguito i neoplatonici si ispirarono alle conoscenza scarsissime che avevano sul mondo indiano di cui pochissimo per altro è sopravvissuto, e sappiamo che il filosofo Plotino in giovinezza, seguì Cordiano II nella sua spedizione in Persia nel tentativo di approfondire non solo le dottrine dei persiani ma anche quelle degli indiani.

La spedizione fallì miseramente, Cordiano fu assassinato da un suo generale e maestro di palazzo e Plotino si sottrasse colla fuga allo stesso destino.

Gli rimase il desiderio di conoscere un India che probabilmente non aveva avuto possibilità di conoscere.

Il Budda era noto nel mondo mediterraneo, Clemente alessandrino per esempio paragona la nascita verginale del Cristo a quella del Budda, Mani il famoso fondatore di un sistema soteriologico molto peculiare identificava il Cristo e il Budda con la stessa identità divina che periodicamebnte ritorna fra gli uomini e che era ritornata come lo stesso Mani. Egli si presentava infatti come un ulteriore Avatar di questa entità divina.

E vi sono una quantità di indizi che la predicazione buddistica in occidente era più ramificata delle idee che appartenevano alle Upanisad.

Le Upanisad erano privilegio dei Brahmani che non le insegnavano volentieri ai non Brahmani, in un epoca in cui la conoscenza di questo pensiero delle Upanisad, del Vedanta era un patrimonio così gelosamente custodito, è piuttosto difficile che questo venisse propagandato al di fuori dei confini dell'India, mentre la predicazione buddistica mirava naturalmente ad avere un certo successo fuori dai confini dell'India stessa.

Vi erano dei greci nella Mandriana, che è parte dell'attuale Afghanistan, vi erano dei greci nell'Indo, vi erano dei dinasti greci che si ricavavano anche dei regni nell'India nord occidentale, e quindi il dialogo con il pensiero greco in quelle zone doveva essere certamente essere importante, ma ripeto è un dialogo degli eterodossi, dei buddisti, più che delle forme più tradizionali del pensiero Brahmanico.

 

Ringraziamo tutti della cortese pazienza nell'udire questo, e spegniamo in un mistico silenzio il nostro discorso….buona sera a tutti !!

 

 

 

 

 

               Fine.

 

Da: http://www.naturalmentebenessere.org/Esperienza%20assoluto.htm

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