Un altro colloquio con Nisargadatta Maharaj

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Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

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Un altro colloquio con Nisargadatta Maharaj


 

72. 25 Settembre 1971


M.: Eccoti di ritorno! Dove sei stato, che cosa hai visto?
I.: Vengo dalla Svizzera, dove ho incontrato un uomo non comune che afferma di essersi realizzato. A suo tempo ha praticato molti yoga e attraversato molteplici esperienze. Oggi non vanta alcuna particolare abilità o conoscenza; la sola cosa insolita in lui sono le sensazioni; è incapace di separare l'osservatore dall'osservato. Per esempio, vede un'automobile piombare su di lui e non sa se è la vettura che travolge l'uomo, o l'uomo che cade sotto la vettura. Gli sembra di essere i due allo stesso tempo. L'osservatore e l'osservato coincidono. Qualunque cosa veda, vede se stesso. Quando gli ho posto alcune domande sul Vedanta mi ha detto: "Non posso risponderti. Non so. Conosco solo questa strana identità con le percezioni. Sai, mi aspettavo tutto tranne questo".
Nell'insieme è un uomo umile; non crea un discepolato e non si mette sul piedistallo. Parla volentieri della sua strana condizione, tutto qui.
M.: Ora sa ciò che sa. Il resto è svanito. È già molto che parli ancora. Presto potrà smettere.
I.: E che farà?
M.: L'immobilità e il silenzio non sono inattivi. Il fiore colma lo spazio di profumo; la candela, di luce. Non fanno nulla; eppure, con la loro sola presenza, tutto cambia. Puoi fotografare la candela, non la sua luce. Puoi conoscere l'uomo, il suo nome e l'aspetto, non la sua influenza. La sua stessa presenza è azione.
I.: Non è naturale essere attivi?
M.: Ognuno vuole esserlo, ma da dove sgorga l'azione? Non c'è un centro, ogni azione ne genera un'altra, all'infinito, senza motivo e con dolore. L'altalena di azione e inazione, evidentemente, non è li. Perciò anzitutto trova il centro immoto da cui origina il movimento. Come una ruota s'impernia su un mozzo cavo, così tu sta' fisso nel centro, non ruotare ai margini.
I.: In pratica come si fa?
M.: Ogni volta che un pensiero, un fremito di desiderio o di paura sopraggiungono, distoglitene.
I.: Se sopprimo i pensieri e i sentimenti provocherò una reazione.
M.: Non dico di sopprimerli. Stacca l'attenzione.
I.: Arrestare i movimenti mentali non implica uno sforzo?
M.: Lo sforzo non c'entra. Devi solo distogliere l'attenzione. Invece di badare ai pensieri, concèntrati sullo spazio fra un pensiero e l'altro. Quando cammini in una folla, non ti azzuffi con ogni persona che incontri: semplicemente ti fai strada in mezzo a loro.
I.: Se uso la volontà per controllare la mente, non farò che rafforzare l'io.
M.: Naturalmente. Quando combatti, inviti alla lotta. Ma quando non resisti, non incontri alcuna resistenza. Se ti rifiuti di giocare, sei fuori del gioco.
I.: Quanto mi ci vorrà per liberarmi della mente?
M.: Diciamo un migliaio d'anni; di fatto non occorre tempo, solo una serietà assoluta. Qui la volontà diventa azione. Se sei sincero, è tua. Dopotutto è una questione di atteggiamento. Nulla t'impedisce di essere un realizzato qui-ora, tranne la paura. Temi di essere impersonale, e temi l'impersonalità dell'essere. È tutto molto semplice. Distogliti dai desideri, dalle paure e dai pensieri che esse fomentano, e sarai subito nel tuo stato naturale.
I.: Non si tratta di ricondizionare, cambiare o sopprimere la mente?
M.: Niente affatto. Basta lasciarla sola. Dopotutto la mente non è qualcosa di separato dai pensieri che fluttuano secondo leggi che sono loro, non tue. Ti dominano solo perché ti interessano. Come disse il Cristo, "Non resistere al male". Resistendogli non fai che rafforzarlo.
I.: Capisco. Basta che neghi esistenza al male e svanirà da sé. Ma non è una forma di autosuggestione?
M.: L'autosuggestione ti fa credere di essere una persona divisa tra bene e male. Ti chiedo di abbandonarla, di aprire gli occhi e vedere le cose come sono.
Ma torniamo alla Svizzera e al soggiorno con quel tuo strano amico; che cosa hai tratto dalla sua compagnia?
I.: Proprio niente. La sua esperienza non mi ha influenzato. Ho capito una cosa: che non c'è nulla da cercare. Ovunque vada, niente mi attende al termine del viaggio. La scoperta non è il risultato di uno spostamento.
M.: Sì, si diventa estranei al guadagno e alla perdita.
I.: Voi lo chiamate vairagya, abbandono o rinuncia?
M.: Non c'è nulla a cui rinunciare. Basta smettere di acquistare. Per dare devi avere, e per avere devi prendere. Meglio non prendere. È più semplice che praticare la rinuncia, che alimenta una forma pericolosa di orgoglio " spirituale ".
Tutto questo soppesare, selezionare, scegliere e barattare, appartiene a un giro di attività da mercato dello spirito, con cui mi domando che rapporti hai. E se non hai affari in corso, perché incentivare questa scelta senza fine? L'irrequietezza non ti porta da nessuna parte. Talvolta t'impedisce di vedere che non ti occorre nulla. Scova la smania e vedi quanto è falsa. È come aver ingerito del veleno e soffrire di una sete incoercibile. Invece di bere all'impazzata, perché non eliminare il veleno?
I.: Dovrò sopprimere l'io?
M.: L'"io sono", il senso di essere una persona delimitata nel tempo e nello spazio, è il veleno. In un certo senso il tempo stesso è veleno. Tutte le cose vi finiscono e nuove nascono, che saranno a loro volta divorate. Non identificarti col tempo, non incalzare: "e poi, e poi?". Balza fuori e vedi come il tempo divora il mondo. Riconosci: "È nella natura del tempo porre fine a tutto. Così sia. Ma non mi riguarda. Non sono infiammabile, né ho bisogno di raccogliere il combustibile ".
I.: Può esserci il testimone senza l'oggetto?
M.: C'è sempre qualcosa da testimoniare. Se no, è testimoniata la sua assenza. Testimoniare va da sé. Ciò che non va è la cura eccessìva, che porta all'autoidentificazione. Qualunque cosa che ti assorba, la prendi per vera.
I.: L'"io sono", è reale o no? È il testimone? E questi è reale o no?
M.: Ciò che è puro, non amalgamato, distaccato, è reale. Ciò che è inquinato, mescolato, dipendente e transitorio è irreale. Non farti sviare dalle parole: una parola può trasmettere parecchi significati anche contraddittòri. L'"io sono" che cerca il piacevole ed evita il dolore, è falso. Vede giusto l'"io sono" che riconosce l'inseparabilità di piacere e dolore. Il testimone coinvolto nella percezione è la persona; colui che sta in disparte, imperturbato, è il guardiano del reale, il punto in cui la consapevolezza del non manifestato incontra il manifestato. Il testimone e l'universo non possono esistere l'uno senza l'altro.
I.: Il tempo consuma il mondo. Chi è il testimone del tempo?
M.: Colui che è al di là del tempo: il Senza-Nome. Un tizzone incandescente, fatto turbinare, sembra un cerchio. Cessato il movimento, ritorna tizzone. Così, l'"io sono" in movimento crea il mondo. L'"io sono" immobile diventa l'assoluto. Sei come un uomo con una torcia elettrica che percorra una galleria. Puoi vedere solo ciò che è all'interno del raggio. Il resto è nel buio.
I.: Se sono io che proietto il mondo, dovrei poterlo cambiare.
M.: Certo. Ma devi cessare di identificartici, e oltrepassarlo. Allora avrai il potere di distruggere e ricreare.
I.: Voglio solo essere libero.
M.: Devi sapere due cose: da che cosa ti vuoi liberare e che cosa ti rende schiavo.
I.: Perché volete annientare l'universo?
M.: Non mi interessa l'universo. Lascia che sia o non sia. Mi basta conoscere me stesso.
I.: Se siete oltre, il mondo non sa che farsene di voi.
M.: Abbi compassione del sé che è, non del mondo che non è. Assorto in un sogno, hai dimenticato te stesso.
I.: Senza il mondo non c'è un posto per l'amore.
M.: È vero. Tutti questi attributi: essere, coscienza, amore e bellezza, sono riflessi del reale nel mondo. Senza reale non c'è il riflesso.
I.: Il mondo è pieno di cose e persone desiderabili. Come posso immaginare che non esista?
M.: Lascia le cose desiderabili a coloro che desiderano. Inverti il corso del desiderio dal prendere al dare. La passione per il dono e la partecipazione, eliminerà naturalmente dalla mente l'idea di un mondo esterno, e del dare. Rimarrà solo l'irradiazione dell'amore, al di là del dare e del ricevere.
I.: Perché ci sia l'amore bisogna essere in due.
M.: Ma se non c'è nemmeno uno, come potrebbero esserci due? L'amore è il rifiuto di separare, di distinguere. Prima che tu possa pensare all'unità, devi creare la dualità. Quando ami davvero non dici: "Ti amo"; dove c'è il pensiero c'è la dualità.
I.: Che cosa mi spinge a ritornare in India? Non credo sia solo la vita a buon mercato o il colore locale. Dev'esserci un motivo più importante.
M.: C'è l'aspetto spirituale. La minore distanza in India fra l'esterno e l'interiore. La maggiore facilità con cui qui nell'esterno si esprime l'interiore. Anche l'integrazione è più facile. La società non è oppressiva come in Occidente.
I.: È vero. In Occidente prevalgono il tamas e il rajas. In India, il sattva, che è armonia ed equilibrio.
M.: Perché ti fissi sulle tre qualità (guna), e trascegli il sattva? Sii ciò che sei ovunque tu viva, e lascia perdere i Guna.
I.: Non ne ho la forza.
M.: In tal caso l'India ti ha giovato ben poco. Ciò che possiedi veramente, non puoi perderlo. Se tu fossi ben radicato nel tuo essere, i cambiamenti di luogo non lo influenzerebbero.
I.: In India la vita spirituale è molto più facile che in Occidente, dove il peso dell'ambiente è maggiore.
M.: E perché non ti crei l'ambiente che ti è più congeniale? Il potere che il mondo ha su di te è commisurato a quello che tu gli attribuisci. Ribèllati. Va' oltre la dualità, non teorizzare una differenza tra Oriente e Occidente.
I.: Che si può fare quando si vive in un ambiente molto ostile alla spiritualità?
M.: Niente. Sii te stesso. Stanne fuori. Guarda oltre.
I.: In famiglia possono esserci grosse divergenze. È raro che i genitori capiscano i figli.
M.: Se conosci il tuo vero essere, non hai problemi. Che tu compiaccia i genitori o no, che ti sposi o no, che guadagni molto o no, per te dev'essere lo stesso. Lìmitati ad agire secondo le circostanze, in stretta adesione ai fatti.
I.: Non è uno stato molto alto da raggiungere?
M.: Oh no, è lo stato normale. Ti sembra elevato perché lo temi. Prima liberati dalla paura. Persuaditi che non c'è nulla da temere. L'impavidità è la porta che conduce al Supremo.
I.: Non c'è sforzo che potrebbe rendermi impavido.
M.: L'assenza di paura viene da sé quando t'avvedi che non c'è nulla da temere. Camminando in una strada affollata, ti limiti a scansare la gente. Qualcuno lo guardi in faccia, a qualcun altro dai solo un'occhiata, senza fermarti. È l'arresto che crea gli ingorghi. Continua a camminare! Non attaccarti ai nomi e alle forme, ignorali; la tua schiavitù è l'attaccamento.
I.: Che cosa devo fare se ricevo uno schiaffo?
M.: Reagirai a seconda del temperamento e dell'educazione.
I.: Io e il mondo, siamo condannati a rimanere quali siamo?
M.: Un orafo che volesse rammodernare un gioiello, prima rifonde l'oro riducendolo a una massa informe. Allo stesso modo, devi recuperare il tuo stato originale prima che possano emergere un nuovo nome e una nuova forma. La morte è essenziale al rinnovamento.
I.: Insistete sul bisogno di andare oltre, di stare in disparte, in solitudine. Non vi sento mai dire "giusto", "sbagliato". Come mai?
M.: È giusto essere se stessi, è sbagliato non esserlo. Tutto il resto è relativo. Ci tieni a distinguere il giusto dall'ingiusto perché ti occorre una morale per agire. L'azione è il tuo forte. Ma l'azione volontaria, fondata su una certa scala di valori, diretta a un certo risultato, è peggiore dell'inazione, perché i suoi frutti sono sempre amari.
I.: La consapevolezza e l'amore sono la stessa cosa?
M.: Naturalmente. La consapevolezza è azione, l'amore è essere. La consapevolezza è amore in azione. Di per sé la mente può attuare un gran numero di possibilità; ma se non sono suggerite dall'amore, non hanno valore. L'amore precede la creazione. Senza di esso c'è solo il caos.
I.: Come si manifesta l'azione nella consapevolezza?
M.: Il dinamismo davvero ti soggioga! Se non c'è movimento, inquietudine, agitazione, per te non è azione. Il caos è movimento fine a se stesso. La vera azione non sposta, trasforma. Un cambiamento di luogo, è un mero spostamento; un cambiamento di cuore, è azione. Ricorda, nulla che sia percepibile è reale. L'attività non è azione. L'azione è nascosta, sconosciuta, inconoscibile. Puoi solo conoscerne i frutti.
I.: Dio non è forse l'attuatore per eccellenza?
M.: Perché introduci un agente esterno? Il mondo si ricrea da se stesso. È un processo senza fine, il transitorio che genera il transitorio. È il tuo io che ti fa pensare che debba esserci un agente. Crei un Dio a tua immagine, anche se è squallida. Con il film della tua mente proietti un mondo e anche un Dio per dare al mondo una causa e uno scopo. È tutta immaginazione. Bàlzane fuori.
I.: È difficile vedere il mondo come una creazione mentale! La realtà tangibile sembra così convincente.
M.: Questo è il mistero dell'immaginazione, fino a che punto appaia reale. Puoi essere sposato o no, monaco o padre di famiglia: non è questo il punto. Sei o no schiavo della tua immaginazione? Qualunque tua decisione o attività, saranno invariabilmente basate sull'immaginazione, su ipotesi che si spacciano per fatti.
I.: Son seduto qui, di fronte a voi. Quanto c'è d'immaginario in ciò?
M.: Tutto. Anche lo spazio e il tempo sono immaginari.
I.: Significa che non esisto?
M.: Anch'io non esisto. L'esistenza è completamente immaginaria.
I.: Anche l'essere è immaginario?
M.: Il puro essere che tutto colma e trascende, non è l'esistenza, che è limitata. Ogni limitazione è immaginaria, solo l'illimitato è reale.
I.: Quando mi guardate, chi vedete?
M.: Vedo te che t'immagini di essere.
I.: Molti sono come me. Tuttavia ciascuno è diverso.
M.: La totalità di tutte le proiezioni è ciò che viene chiamato Maha-Maya, la Grande Illusione.
I.: Ma quando siete voi che vi guardate, che cosa vedete?
M.: Dipende. Quando guardo attraverso la mente, vedo il testimone. Al di là del testimone c'è l'infinita intensità del vuoto e del silenzio.
I.: Come comportarsi con la gente?
M.: Quesiti del genere mostrano che sei ansioso. Il rapporto è una cosa viva. Sta' in pace col tuo essere interno, e sarai in pace con tutti.
Renditi conto che non sei il padrone di ciò che accade, e non puoi controllare il futuro se non per questioni tecniche. I rapporti umani non si possono pianificare. Sono troppo ricchi e vari. Sii semplicemente comprensivo e compassionevole, libero dall'egoismo.
I.: Certo che non sono il padrone di ciò che accade, semmai il suo schiavo.
M.: Né padrone né schiavo. Sta' in disparte.
I.: Ossia, lontano dall'azione?
M.: Quella, non la eviti. Accade, come ogni altra cosa.
I.: Ma almeno le mie azioni, posso controllarle!
M.: Provaci! Presto vedrai che fai ciò che devi.
I.: Posso agire in accordo con la mia volontà.
M.: Conosci la tua volontà solo dopo aver agito.
I.: Conosco i miei desideri, le scelte fatte, le decisioni prese, e agisco concordemente.
M.: Allora decide la tua memoria, non tu.
I.: Dove entro in scena io?
M.: Tu rendi la cosa possibile dandole attenzione.
I.: Non esiste il libero arbitrio? Non sono libero di desiderare?
M.: Oh no, sei costretto a desiderare. In India l'idea stessa di libero arbitrio appare così ridicola che non c'è una parola per definirlo. La volontà è prigione, fissazione, schiavitù.
I.: Sono libero di scegliere i miei limiti.
M.: Prima devi esser libero. E per essere libero nel mondo devi essere libero dal mondo. Altrimenti il tuo passato decide per te, e per il tuo futuro. Sei imprigionato tra ciò che è avvenuto e ciò che deve avvenire. Chiamalo destino o karma; ma mai: libertà. Torna prima al tuo vero essere, e poi agisci dal centro dell'amore.
I.: Nell'ambito del manifestato, qual è l'impronta del non manifestato?
M.: Non c'è impronta. Appena cominci a cercare l'impronta del non manifestato, il manifestato si dissolve. Se cerchi di capire il non manifestato con la mente, improvvisamente la oltrepassi, come quando attizzi il fuoco con un bastoncino di legno e perciò lo bruci. Usa la mente per esaminare il manifestato. Sii come il pulcino che becca il guscio. Speculare sulla vita al di fuori del guscio sarebbe di scarsa utilità, ma beccare il guscio lo infrange dall'interno e libera il pulcino. Così tu rompi la mente dall'interno, e metti a nudo le sue contraddizioni e assurdità.
I.: Da dove viene il desiderio di rompere il guscio?
M.: Dal non manifestato.

 

Tratto da Io sono Quello
Rizzoli Editore - Milano 1981, 82
Introdotto, curato e tradotto da Grazia Marchianò

 

Da: http://www.vedanta.it/maestri/moderni/nisargadatta_02.htm

 

 

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