Biografia di Shankara (Associazione Vidya Bharata)

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"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
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Biografia di Shankara (Associazione Vidya Bharata)

Estratto da « Samnkaracarya » (Capp. I, II, III, IV) del dr. T.M.P. Mahadevan - National Book Trust - New Delhi.

 

Shankara - Nascita e giovinezza

Il secolo che vide la nascita di Samkara non fu dissimile dal nostro. L'India era, a quel tempo, divisa politicamente e turbata socialmente. L'odio generava odio e la pace era sacrificata sull'altare dell'egoismo e della cupidigia. C'erano coloro che si attenevano alla lettera delle scritture, non riuscendo a capirne lo spirito; c'erano nichilisti e iconoclasti, che erano pronti a distruggere tutto ciò che era sacro e antico. Il conflitto regnava tra le scuole filosofiche e l'ostilità dominava tra le diverse sette religiose. Sia i religiosi che i laici sembravano aver dimenticato l'insegnamento fondamentale dei Veda: che la Realtà è Una. Tanto i capi quanto i seguaci delle varie fedi usavano la religione come mezzo di sopraffazione anziché trovare in essa il conforto della vita.

Fu in un tale periodo di crisi e confusione che Samkara nacque. Egli dedicò l'intera sua breve vita terrena a rimarginare le ferite del cuore e della mente degli uomini e a indicare il cammino per la liberazione. Diagnosticando la malattia, che distruggeva gli organi vitali della società, nella separatività, Samkara prescrisse quale unico mezzo di guarigione la conoscenza dell'Unità, la filosofia upanishadica dello Spirito non-duale. Questo rimedio, potente in tutte le epoche, ebbe una speciale rilevanza nel periodo di Samkara come lo ha per il nostro.

Fu come se Siva stesso scegliesse il luogo, la famiglia e il tempo della sua nascita. Kalati è un tranquillo villaggio sulle rive del fiume Cúrnà, nel 
Kerala, a circa sei miglia dalla città di Alwaye.  L'antico manoscritto Samkara-vijaya di Anandagiri, disponibile nella Biblioteca Taraka Mutt a Benares, descrive Kalati come un bel villaggio, un ornamento alKerala.

In esso viveva una pia coppia Nambútiri, Sivaguru e Aryamba. Fino ai tempi recenti sono stati i Nambútiri del 
Kerala a preservare meglio la cultura Vedica.

Sivaguru fu mandato, all'età giusta, da un guru-kula. Completati gli studi, egli mostrò avversione al matrimonio e ad organizzarsi in una vita familiare; voleva, piuttosto, dedicare la sua vita allo studio intenso e alla pratica delle discipline spirituali. Ma, quando tornò a casa, i suoi genitori lo persuasero ad accettare la proposta di matrimonio. Aryamba fu scelta come moglie. Dopo la solenne cerimonia, la coppia devota dimorò come ideali capi di famiglia adempiendo i doveri prescritti dalla Scrittura e aiutando tutti coloro che avevano bisogno del loro aiuto.

Sivaguru e Aryàmbà erano stati favoriti dalla vita: possedevano virtù e ricchezza, cultura e umiltà, grande sincerità e altruismo. Ma, nonostante il passar degli anni, essi non venivano benedetti dalla nascita di un figlio. Un giorno Sivaguru espresse il suo rincrescimento ad Axyàmbá. La pia donna consolò suo marito e gli disse: « Cerchiamo rifugio in Siva che è l'albero della realizzazione del desiderio universale ». Entrambi si recarono nel vicino Siva-kshetra, ora chiamato Trichúr, per celebrare ciò che è localmente conosciuto come bhajanam. La parola deriva da una radice che significa « servire, adorare ». Coloro che celebrano il bhajanam a Trichúr si trattengono in quel luogo per un certo numero di giorni o mesi, si bagnano giornalmente nel fiume sacro, visitano il tempio e adorano il Signore Siva, per la realizzazione dei loro legittimi desideri. Il tempio è situato su un terrapieno, nel centro della città, chiamato Vrishachala « la Collina del Toro Sacro ». Il nome più popolare della città è « Tirusiva-perur » che significa « la propizia grande dimora di Siva » e del quale « Trichur » è un'abbreviazione. Sivaguru e Aryamba si recarono in questo luogo e celebrarono il bhajanam per un tempo considerevole.

Compiaciuto della pietà ed austerità di Sivaguru. ed Aryàmbá, il Signore Siva nelle sembianze di un vecchio, apparve loro in sogno e s'informò se essi volessero avere molti figli, di scarso ingegno, che vivessero a lungo, o un solo figlio, di brillante intelligenza, ma che sarebbe vissuto poco. La coppia rimase perplessa e lasciò la scelta al Signore stesso. Questi disse che Egli sarebbe nato come loro figlio e li invitò a tornare a Kálati. Grandemente compiaciuti, essi tornarono al loro villaggio. Sivaguru compì atti di generosità verso la gente bisognosa e fece feste e doni a tutte le persone pie del luogo. La devota coppia partecipò al pasto solo dopo che gli ospiti ebbero mangiato, e si dice che il divino splendore del Signore Siva entrò nel corpo dì Aryámbà attraverso il sacro cibo che ella mangiò dopo che esso era stato santificato dal Brahmana-bhajana. A tempo debito, Aryámbà rimase incinta e brillò di una nuova aura perché era il Signore stesso, la Luce delle luci, che l'aveva scelta come sua madre.

Il tempo scelto per il divino evento fu il più propizio: mezzogiorno della quinta giornata della metà luminosa del mese lunare di Vaigákha (aprile-maggio), sotto la costellazione Punarvasu. Gli Samkaravijaya danno brillanti descrizioni della tranquilla bellezza della natura al tempo della nascita di Samkara. Gli alberi e i rampicanti sorridevano con mazzi di fiori. Il cielo era limpido. Perfino tra gli animali, quelli nemici per natura fraternizzavano.

La data esatta della nascita di Samkara è difficile a stabilirsi. La tradizione indica l'anno del Nandana, il mese lunare di Vaddkha e il giorno sukla-panchami. Ma quale anno del Nandana? Secondo alcuni studiosi la nascita di Samkara dovrebbe essere situata nel 700 d.C., perché nel Brahma-sutra-bhashya (IV, II, 5) è fatto cenno alla città di Pataliputra, distrutta dal l'erosione del fiume intorno al 750 d.C., ed anche a Púmavarnam (II, I, 18), probabilmente il re buddista di Magadha, citato da Hieuen Tsiang, che governò intorno al 590 d.C. Un manoscritto sanscrito fornisce la data della nascita e della morte di Samkara Kali 3889 e 3931, che corrispondono al 788 e 820 d.C. La stessa data di nascita, Kali 3889, si ritrova nell'opera Samkara-mandara-saurabha.

La gente di Kàlati vide il figlio neonato nella casa di Sivaguru, dice Anandagiri, e pensò che fosse veramente Shambu (Siva) venuto in qualità di avatara Gli astrologi che furono chiamati, com'era d'uso, per calcolare l'oroscopo, dichiararono che il bambino era perfetto sotto ogni punto di vista (sisur-esha-purnah). L'undicesimo giorno al bambino fu dato il nome «Samkara », le cui lettere indicano il giorno, la quindicina e il mese della sua nascita. Sivaguru scelse questo nome per suo figlio non facendo alcun riferimento al suo significato; invece esso si dimostrò significativo poiché Samkara fu un avatara di Siva, e nacque col proposito specifico di fare il più grande bene al mondo.

I fatti più rilevanti della vita di Samkara sono citati così in un verso sanscrito: « All'età di otto anni egli si era reso padrone dei quattro 
Veda; a dodici anni era versato in tutti gli sastra; a sedici terminò la compilazione del suo Bhashya e a trentadue lasciò questo mondo ». Samkara fu un bambino prodigio e spiegò una notevole intelligenza e apertura di cuore fin dalla più tenera età. Anandagiri dice che Samkara apprese le lingue prakrita, magadhi e sanscrita durante la sua infanzia. Secondo il Madhaviya-Samkara-vijaya, a un anno imparò l'alfabeto sanscrito e la lingua madre; a due, apprese a leggere; a tre, studiò i Kavya e i Purána e, intuitivamente, capì molte loro parti.

Prima che l'upanayana (investitura col cordone sacro) potesse essere eseguita, Sivaguru morì. L'upanayana fu compiuta quando Samkara aveva cinque anni. Egli fu mandato da un gurukuIa per gli studi Vedici. Si rese padrone della 
saggezzacontenuta nelle sei branche ausiliarie dei Veda, quanto degli altri sastra; in un tempo molto breve. Egli visse, secondo l'usanza, come un brahmacarin vivendo d'elemosina e servendo il suo istruttore.

La tradizione riferisce un miracolo accaduto mentre Samkara era studente. Come brahmacarin, egli andò un giorno a chiedere l'elemosina alla casa di un brahmana indigente. Questi era uscito alla ricerca di qualche mezzo di sussistenza, e là moglie, vedendo Sanikara, fu estremamente desolata che non fosse rimasto del cibo in casa da offrirgli. Dopo aver a lungo cercato ella scoprì un piccolo frutto ammalata e lo mise nella ciotola delle elemosine di Samkara esprimendo la sua impossibilità a dare qualcosa di più. Il compassionevole Samkara rimase molto commosso dalla devozione della donna - uno degli appellativi di Siva è « asu-tosha », « facilmente compiaciuto » - e pronuncio una preghiera a 
Lakshmi, la Dea della Ricchezza, implorandola di benedire la coppia brahmana. Questo fu il primo inno composto da Samkara ed è conosciuto come il Kanakadhara-stotra (preghiera per una pioggia d'oro). In risposta alla sua preghiera ci fu una pioggia di amalaka d'oro. La pia donna e suo marito, ch'era allora tornato a casa, rimasero meravigliati e adorarono il divino fanciullo. Il primo atto del ministero di Samkara fu così la rimozione della povertà.

Samkara completò la sua educazione formale prima di compiere otto anni. Un verso del Madraviya-Samkara-vijaya dice: « Egli divenne molto versato in tarka (logica); acquistò una conoscenza profonda sul darsana Sámkhya; guadagnò la prodigiosa padronanza dello Yoga di Pataííjali; apprese la complicata dottrina della Bhatta Mímànsa. La gioia che risulta dalla conoscenza di queste discipline è contenuta nella beatitudine suprema dell'Advaita-vidya; può il beneficio che proviene da un pozzo oltrepassare il beneficio che dà l'oceano?... La conoscenza adorna coloro che la coltivano, ma nel caso di Samkara, fu la conoscenza ad essere adornata da lui » (IV, 20, 34).

Completata la sua istruzione, Samkara lasciò il guru-kula e riprese a vivere con la madre. Un giorno, Aryámbá si sentì debole e malata; tuttavia andò a piedi, come al solito, a fare il bagno nel fiume che era a una certa distanza dalla sua casa. Lungo la strada del ritorno ella svenne. Quando Samkara lo seppe, si affrettò a raggiungere il luogo e portò sua madre a casa. Affinché questo non accadesse di nuovo, egli pregò che il fiume Cúrná cambiasse il suo percorso e scorresse vicino casa: il giorno successivo, il miracolo avvenne. Questo incidente rivelò il lato intensamente umano della personalità del Maestro. Nei suoi scritti più recenti lo stesso Samkara manifesta la sua profonda riverenza verso l'aspetto madre. Nel commento alla Brihaddranyaka 
upanishad, ad esempio, egli descrive sua madre come la perfetta istruttrice (putrasya samyag-anusastri, anusasana-kartri).

Quando Samkara stava per compiere nove anni, un gruppo di saggi gli fece visita a casa. Samkara e sua madre ricevettero gli ospiti con la dovuta riverenza e con grande gioia. I saggi furono profondamente compiaciuti dell'ospitalità loro offerta e delle divine eccellenti doti che erano manifeste nel ragazzo. Essi spiegarono ad Aryàmbá le condizioni sotto le quali Samkara era nato, e le dissero che sebbene in conformità al piano originario egli dovesse vivere per soli otto anni, quel periodo sarebbe stato ora raddoppiato. Dopo aver benedetto la casa, i saggi partirono. Aryámbá rimase molto afflitta nel sapere che suo figlio avrebbe avuto una vita breve, ma Samkara cercò di consolarla spiegandole la natura fenomenica della vita empirica. La nascita contemporanea di anime in vari gradi di parentela, come genitore e figlio, egli disse, era come l'incontro temporaneo di viaggiatori.

Notando tendenze ascetiche in suo figlio, Aryámbá ne volle preparare la mente ai doveri e alle responsabilità domestiche. Così, ella prese accordi per farlo sposare presto. Ma Samkara era nato con la più grande missione che una persona possa avere nella vita cioè guidare l'umanità alla gioia di una ineguagliabile pace, offrendo senza compenso la sua totale esperienza al mondo intero. Così, egli volle rinunciare alla vita domestica, e ad un'età in cui la maggior parte dei bambini non abbandona neanche i propri giocattoli. Ma la madre non voleva dare il suo consenso. Quale madre potrebbe volontariamente accettare di perdere suo figlio? Perciò, doveva accadere un miracolo!

Un giorno, Samkara andò al fiume che scorreva vicino alla sua casa ed entrò in 
acqua per fare il bagno. Un coccodrillo lo afferrò per una gamba e cominciò a trascinarlo verso il fondo. Udendolo gridare, Aryámbá fu sopraffatta dalla paura e dall'ansia e vide suo figlio nel fiume che lottava per la vita. Il coccodrillo non voleva lasciarlo. Egli supplicò sua madre di permettergli di entrare nel samnyása-ásrama. La rinuncia formale, quando si è in estrema difficoltà o quando si è in punto di morte (apatsamnyasa), è una procedura riconosciuta. Poiché samnyása segna una nuova nascita, il pericolo poteva passare senza prendere il tributo della vita di Samkara. Aryámbá, con gli occhi pieni di lacrime, disse a suo figlio che voleva che egli vivesse e che, se diventando samnyása avesse salvato la sua vita, avrebbe accettato ciò con immensa gioia. Appena ottenuto il consenso della madre, Samkara. abbracciò mentalmente lo stato di samnyàsin e il coccodrillo lo lasciò libero all'istante.

Nella sua gioia per la miracolosa salvezza del figlio dalle fauci del coccodrillo, Aryámbá aveva dimenticato che, col suo consenso, egli era ora diventato samnyásin. Ella pensava che Samkara sarebbe tornato ad essere il figlio di un tempo, ma egli le ricordò che ora tutte le donne che gli avessero fatto l'elemosina sarebbero state per lui delle madri; gli insegnanti che gli avessero impartito la conoscenza sarebbero stati per lui dei padri; i discepoli che avessero cercato la
saggezza sarebbero stati per lui dei figli. Così, tutto il mondo, e non la casa di Kalati, era ora la sua casa.

Samkara chiese alla madre il permesso di lasciare il villaggio degli antenati per cercare il proprio guru che lo avrebbe iniziato nel samnyása formale, ma, prima di partire, egli assicurò ad Aryámbá un adeguato sostentamento e protezione. Dichiarò che sarebbe tornato da lei ogni qualvolta ci fosse stato bisogno della sua presenza e che lui stesso avrebbe compiuto gli ultimi riti dopo la sua morte. L'amorosa madre non ebbe alternativa, diede il suo consenso per la partenza del figlio da Kalati. Dopo averle reso atto di deferenza, Samkara partì per la sua missione.

 

Shankara - Da Kalati a Kashi

Lasciando Kalati all'età di otto anni, Sankara andò alla ricerca di un Maestro, seguendo le consuetudini del tempo e allo scopo d'insegnare, con l'esempio, la necessità di apprendere la saggezza da chi è in grado di trasmetterla.

Dopo un lungo viaggio, egli raggiunse la riva del fiume Narmada dove trovò il suo guru. Govinda Bhagavatpada, discepolo di Gaudapáda, viveva in una caverna assistito da sapienti e saggi uomini che lo avevano scelto come loro guida. Samkara sostò all'entrata della grotta nella quale Govinda sedeva rapito in samádhi. Annunciò il suo arrivo e pregò di essere accettato come discepolo.

Ritornando dal samadhi, Govinda gli pose la domanda: « Chi sei? ». In risposta, Samkara proclamò in dieci versi, conosciuti come Dasagloki, la natura del supremo Sé, che è l'«Io» reale. Applicando il metodo dell'esclusione (tramite la discriminazione) (pariseshyanyáya), Samkara dichiara in questi dieci versi che la Realtà rimanente, dopo che tutti i fenomeni del mondo sono stati trascesi, è il Sé non-duale. Il mondo oggettivo esperimentato nello stato di veglia viene risolto nello stato di sogno; il mondo di sogno scompare nel sonno profondo. Anche in assenza di entrambi questi mondi - l'oggettivo e il soggettivo - il Sé risplende come pura consapevolezza. Il sonno profondo non è uno stato di annichilimento, poiché essere consapevoli di nulla non è lo stesso che essere nulla. Il Sé non è smentito in alcun tempo o da alcuna cosa. Quando ogni altra cosa è scomparsa, Esso rimane. Quando lo spazio è stato annullato e il tempo si è fermato, nessun danno è arrecato al Sé. E' la costante, invariabile realtà alla quale si allude nelle 
Upanishad con termini quali Atman e Brahman. Attraverso una corretta investigazione si dovrebbe realizzare che l'Assoluto (Brahman) è il Sé (Atman), il sostrato dell'«Io» (aham). Così, nel Dasagloki, Samkara proclama la grande verità della trascendente Identità con parole che sono ineguagliabili nel loro potere, svegliando il ricercatore dal torpore dell'ignoranza.

Govinda fu compiaciuto della magistrale esposizione dell'Advaita fatta da Samkara. Egli lo lodò per questo e disse che riconosceva in lui il grande Signore Siva venuto in 
terra per ristabilire la saggezza del Vedànta. Conformemente all'usanza, Samkara fu iniziato nel paramahansa-samnyása, e l'istruzione gli fu impartita secondo i mahavakya (i maggiori testi delle Upanishad) che insegnano la verità della non-dualità.

Durante il soggiorno di Samkara nell'asram di Govinda Bhagavatpada avvenne un miracolo. Il fiume Narmada s'ingrossò e straripò, inondando i villaggi che sorgevano su ambedue le rive. Recitando lo jalakarshana-mantra e mettendo il kamandalu (vaso d'acqua) sulla 
terra, il compassionevole Samkara fece calmare l'acqua del fiume, salvando i dintorni e l'eremitaggio del suo Maestro dalla distruzione. Era stato predetto dal saggio Vyàsa che colui il quale fosse stato capace di fermare l'inondazione del Narmada, e così impedire la distruzione della zona, sarebbe stata la persona adatta a scrivere un commento al Brahma-sutra. Il guru Govinda che sapeva ciò e che era convinto, indipendentemente da questo, della grandezza di Samkara lo incaricò di andare a Kashi a spiegare il significato del Brahma-sutra e delle altre due prasthana, cioè le Upanishad e la Bhagavad-Gita.

Samkara andò a Kashi, nota anche come Varanasi (Benares), la città famosa in tutta la storia dell'India per cultura e spiritualità. Fu là che Samkara ricevette il suo primo discepolo. Fra un giovane, di nome Vishnusarma, giunto a Kashi poco prima, proveniente da Chola-desa. Il nome di samnyása datogli da Samkara fu Sanandana. Presto altri discepoli si unirono al Maestro, ma essi non ritenevano Sanandana meritevole della predilezione di Samkara Il Maestro volle mostrarne loro il valore: un giorno, mentre stava facendo il bagno nel fiume Gange con questi discepoli, vide Sanandana sull'altra riva con il cambio delle sue vesti e lo chiamò chiedendogli di andare da lui. Sanandana, senza prendersi pensiero, comincio ad attraversare il fiume; e ad ogni passo che faceva sulle acque, un loto spuntava per sostenerlo. Da allora, egli venne chiamato Padmapada.

Possono essere qui citate altre due persone che divennero discepoli di Samkara. Un certo Prabhakara gli condusse il figlio muto affinché potesse ottenere il potere della parola per grazia del Maestro. Quando Samkara pose al ragazzo la domanda « Chi sei? » questi immediatamente rispose dichiarando che egli era il Sé il quale non doveva essere confuso con i fattori costituenti l'organismo psicofisico. In una serie di versi egli fece questa dichiarazione ed in ciascun verso egli affermò: « lo sono il Sé che è della natura dell'eterna Coscienza » (sa nityopalabdhi-svarupohamatma). Il Maestro rimase molto compiaciuto; egli ammise il ragazzo al suo gregge, facendolo samnyasa e dandogli il nome di Hastamalaka, che significa « uno la cui conoscenza è chiara come un frutto di mirabolano messo sul palmo della propria mano ». L'opera di Hastamalaka ha il pregio di possedere un commento scritto da Samkara stesso, lo Hastamalakiya-bhashya.

L'altra persona che divenne discepolo di Samkara all'incirca in questo periodo fu un certo Kalanatha. Egli avvicinò il Maestro e gli chiese di essere accettato come discepolo; cantò un inno in sua lode nel difficile ma bel metro totaka. Fu ordinato discepolo samnyásin da Samkara e ricevette il nome di Totakacarya. Samkara il guru, rappresenta tutto per lui perché il guru è colui che disperde le tenebre dell'ignoranza. La devozione del discepolo riempie il commovente ritornello di questa canzone: Sii Tu il mio rifugio, o Maestro Samkara (bhava Samkara desika me saranam).

Possiamo ricordare un episodio capitato a Samkara durante la sua permanenza a Kashi. Un giorno, a Varanasi, egli stava camminando verso il Gange, accompagnato dai suoi discepoli. In lontananza, scorse un intoccabile venire verso di lui, seguito da quattro feroci cani. Rivolgendosi all'intoccabile, egli disse: « Allontanati, allontanati! ». L'intoccabile chiese, in risposta: « Che cosa dovrebbe allontanarsi, e da che cosa? E' il corpo fisico che dovrebbe allontanarsi oppure il Sé? Se fosse il corpo, tutti i corpi sono fatti della stessa sostanza, e perché dovrebbe un corpo allontanarsi da un altro corpo? Se fosse il Sé, come può allontanarsi e da che cosa, poiché esso è non-duale? E' un corpo fatto di cibo da un altro corpo fatto di cibo, o è la coscienza dalla coscienza che, o migliore tra gli asceti, vuoi che si allontani, dicendo: "Allontanati, allontanati"? Dimmelo, ti prego!».

L'intoccabile passa, quindi, a spiegare la trascendente unità del Sé: « Nella realtà interiore che è l'oceano di naturale beatitudine e conoscenza, libero da onde, quale grande illusione di differenza è: "questo è un bràhmana" e "quello è un mangiatore di carne di cane"! C'è differenza nel 
sole che è riflesso nelle acque del Gange e nei pantani delle strade dove vivono gli intoccabili, o nell'etere che è presente in un recipiente d'oro e in un vaso di fango? ».

Samkara ascoltò le parole di 
saggezza e capì subito che si trattava del Signore Siva stesso che era venuto sotto l'apparenza di un chandala. In verità, si trattava di una depolarizzazione della stessa persona: la medesima Realtà che assume il doppio ruolo dell'insegnante e del discepolo. Ecco un'ardita dichiarazione di Samkara fatta nel Daksinamurti-stotra: « E' l'identica Realtà che appare nelle diverse forme come "discepolo" e "istruttore", 'Tiglio" e "padre" ». L'intoccabile e Samkara erano, ambedue, manifestazioni del supremo Siva.

Messo da parte il travestimento, apparve, al posto dell'intoccabile, Siva, il Signore dell'universo (Visvanatha); e i cani assunsero la loro forma originale, cioè quella dei quattro 
Veda. Samkara offrì obbedienza al Signore ed espresse la grande verità: « Dal punto di vista del corpo, o Siva, io sono il Tuo servitore; dal punto di vista dell'anima, o Te dai tre occhi, io divento una parte di Te; e, dal punto di vista del Sé, io sono veramente Te: questa è la mia conclusione definitiva raggiunta con l'aiuto di tutti gli Sastra ».

Il Signore Siva, profondamente compiaciuto, fece piovere le sue benedizioni su Samkara per il fortunato compimento della sua grande missione di ristabilire l'unità spirituale; poi scomparve nell'aformale donde aveva preso forma.

Come guidato dal Signore, che era venuto nelle vesti di un chandala, Samkara andò a Badarikasrama sull'Himalaya; incontrò il saggio Vyása e ricevette le sue benedizioni. Fu qui che egli vide Gaudapáda, il suo parama-guru (l'istruttore del suo istruttore) e fu benedetto da lui. Poi, ritornò a Kashi e compose il bhashya, in modo ineccepibile.

Secondo la tradizione, Samkara scrisse il suo primo commento al Vishnu-sahasranama, quindi i suoi bhashya alla Prasthana-traya (la triplice scienza del Vedánta), cioè alle 
Upanishad, alla Bhagavad-Gita e al Brahma-sutra. Una volta, mentre stava esponendo il Brahma-sutra-bhashya, Vyása apparve nella forma dì un vecchio e chiese a Samkara di difendere il suo punto di vista dell'Advaita. Il dibattito fra i due continuò per quattro giorni. Padmapada aveva, alla fine, indovinato che si trattava di Vyàsa, l'autore del Brahma-sútra, che era venuto sotto un travestimento. Egli pregò Samkara e il vecchio di porre termine alla disputa perché, egli disse, non ci sarebbe stata pace se Samkara un'incarnazione di Siva e Vyása, un'incarnazione di Vishnu, disputavano fra loro. Essendo stata rivelata la sua identità, Vyása benedisse Samkara approvò il suo bhashya e gli concesse un prolungamento della vita da sedici a trentadue anni. Egli desiderava anche che Samkara viaggiasse da una estremità all'altra dell'India e diffondesse il principio del Vedánta tra la gente.

Un episodio, accaduto durante il soggiorno di Samkara a Kashi, riguarda la composizione del popolare inno Bhaja Govindam.

Samkara stava passeggiando lungo una via accompagnato dai suoi discepoli, quando udì un vecchio studioso recitare le regole di grammatica. Impietosito, gli si accostò e lo consigliò di non sciupare il suo tempo prezioso con la grammatica, ma di rivolgere la sua mente a 
Dio nel culto e nell'adorazione. Fu in questa occasione che venne composto l'Inno a Govinda. Oltre al ritornello della canzone che inizia con le parole « Bhaja Govindam », Samkara compose dodici versi; di conseguenza l'inno porta il titolo « Dvadasa-manjarika-stotra » (Un inno che è un bouquet di dodici fiori-versi). 1 discepoli che furono con il Maestro a quel tempo si crede vi abbiano aggiunto un verso ciascuno. Il Bhaja Govìndam di Samkara non è un semplice inno di lode celebrante Govinda (Govinda è anche il nome del guru di Samkara esso è un manuale dell'Advaita Vedànta.

Samkara insegna qui tutto ciò che è essenziale per far comprendere al discepolo la verità della Non-dualità: il desiderio per i beni perituri deve essere ripudiato; la fugace natura della vita, della proprietà, della famiglia, della progenie, ecc. deve essere meditata; vizi quali la cupidigia e la superbia devono essere trascesi; virtù come il contentarsi, l'equanimità e la fede devono essere coltivate; che il mondo è una magica-apparenza di máyà e che il Sé soltanto esiste devono essere realizzati. Rivolgendosi al grammatico, Samkara dice: « Adora il Signore! L'attaccamento a ciò che perisce non è la via verso la Liberazione. Solo la devozione all'Imperituro può costituire il mezzo. Immaginare che gli oggetti relativi salveranno qualcuno è una illusione. E' del pari un'illusione inviare il pensiero a 
Dio negli ultimi giorni della propria vita. Non si può rivolgere la propria mente a Lui quando la morte si avvicina, se non ci si è preparati attraverso la ripetuta adorazione e devozione». Tratteggiando le fasi per la liberazione, Samkara dice: « Per la compagnia dei saggi, sorge il non-attaccamento; attraverso il non-attaccamento sorge la libertà dall'illusione; a seguito della libertà dall'illusione sorge la risolutezza; in conseguenza della risolutezza sorge la liberazione-in-vita».

 

Shankara - I viaggi della vittoria

Per Samkara era venuto il momento di intraprendere i suoi viaggi di vittoria. Le forze contro le quali egli doveva combattere erano sia all'interno dell'ambiente ortodosso che all'esterno. Questa, tuttavia, era una lotta nella quale il vinto non perdeva niente, ma aveva tutto da guadagnare. Sia le scuole ortodosse che i cosiddetti sistemi eterodossi si rinvigorirono dopo che Samkara fece capire ai loro rispettivi seguaci la necessità di rimuovere i difetti presenti nelle loro convinzioni e le irregolarità nei loro metodi.

La più potente e diffusa scuola ortodossa del tempo era la Purva-Mimánsá. Secondo questa scuola, lo scopo dell'intero
Veda è l'azione rituale o religiosa (dharma) e non il Sé non duale (atman-Brahman). Samkara dovette prima di tutto correggere il punto di vista unilaterale dei sostenitori della Mimansa in riguardo all'insegnamento vedico. C'era un grande capo di questa scuola che viveva a Prayága (Allahabad), chiamato Kumárila Bhatta. Secondo una tradizione ortodossa, Kumàrìla era un'incarnazione del Signore Subrahmanya, il più giovane figlio (Kumara) di Siva e Parvati. Scopo dell'incarnazione era di ristabilire il Dharma Vedico attraverso la confutazione delle dottrine Buddhiste. Da giovane, Kumárila aveva studiato in un monastero buddhista, "perché voleva conoscere le dottrine direttamente, per poterle in seguito confutare in modo effettivo. Vincendo gli studiosi Buddhisti in dibattiti, egli ristabilì l'autorità deiVeda e la santità dei rituali ingiunta in essi. Per salvaguardare la validità e Findìpendenza dei Veda stessi, egli dovette anche sostenere che non c'era alcun bisogno di postulare un Dio onnisciente e onnipotente.

 

Lasciando Kashi, Samkara andò a Prayaga, il luogo della confluenza del Gange, dello Yamuna e del sotterraneo Sarasvati. Lo scopo del suo viaggio era quello d'incontrare Kumárila Bhatta, convincerlo della validità del Vedánta e, se possibile, fargli scrivere un vartika (commento in versi) sul Brahma-sutra-bhashya. Ma quando raggiunse Prayaga, Samkara seppe che Kumàrila Bhatta, il valoroso campione della Mimánsá, stava per immolarsi ricoprendo il suo corpo con una catasta di glume di riso che bruciava lentamente (tushagni). Kumarila aveva deciso questo atto estremo in espiazione dei due maggiori peccati commessi: l'inganno attuato nei confronti dei suoi istruttori buddhisti e la sua negazione, come Mimánsaka, dell'esistenza di Dio. Samkara si affrettò al luogo in cui ciò stava accadendo. Il corpo di Kumárila bruciava, ma la sua mente era completamente vigile e in pace. Egli disse a Samkara che essendo già iniziato il processo di espiazione non poteva ora recedere, ma, ugualmente, era felice di trascorrere insieme a lui gli ultimi momenti della sua vita. Disse di essere ora convinto della verità del Vedánta, e per dimostrare l'inadeguatezza della Purva-Mimansa, suggerì a Samkara di andare a Mahishmati e di avere un dibattito con Mandana Misra, un accanito Mimansaka, molto versato nei Veda come nell'arte del dibattito.

Accompagnato dai suoi discepoli, Samkara si recò a Mahishmati, città nella quale Mandana aveva la sua dimora. Nel Madhaviva-Samkara-vijava sono riportati due aneddoti per far comprendere come Mandana fosse un grande studioso dei 
Veda e un ardente seguace della scuola ritualistica della Mimànsá. Si sentiva ripetere dai pappagalli nell'atrio della casa di Mandana: « La legittimità è intrinseca alla conoscenza, o estrinseca? », « il karma è il dispensatore di frutto, o esso è Dio? Il mondo è eterno, o è effimero? ». Quando Samkara arrivò, trovò le porte chiuse col catenaccio poiché Mandana era impegnato nell'esecuzione della cerimonia Sraddha Samkara entrò nella casa, si dice, esercitando il suo potere yogico. Mandana s'infuriò alla vista di un samnyasin e fece piovere parole offensive su di lui, dicendogli che non aveva alcun diritto di presenziare a una cerimonia che implicava un solenne rituale in onore dei mani defunti. Quale samnyasin, non abituato al rituale, non poteva essere presente in una casa dove si stava eseguendo un rito. Mandana Misra aveva ceduto all'ira a causa della sua avversione per il Vedánta e il samnyása-ásrama, per quanto conoscesse l'ingiunzione del Dhama-sastra secondo il quale chi prende parte a una cerimonia Sraddha non deve perdere la calma. Vyása e Jaimini, che erano lì presenti, chiesero al loro ospite di desistere dalla sua collerica condotta e invitarono Samkara ad accettare ospitalità in occasione della cerimonia gráddha. Mandana comprese il suo errore e invitò Samkara ad unirsi nel rito. Questi rispose che non era venuto per chiedere cibo, ma un dibattito con lui. Mandana accettò la richiesta e disse che esso avrebbe avuto inizio il giorno seguente. La scommessa era che, in caso di sconfitta, Mandana sarebbe diventato samnyasin e seguace del Vedánta, ma, qualora fosse stato vinto Samkara, questi avrebbe dovuto, dopo la appropriata espiazione, indossare vesti bianche e diventare un seguace della scuola ritualista. Quale arbitro in questo importante dibattito fu nominata Sarasvati, la moglie di Mandana, famosa per la sua cultura. il giorno seguente, all'inizio della disputa, Sarasvati fece indossare a ciascuno dei contendenti una ghirlanda di fiori e dichiarò che il possessore della ghirlanda che avesse cominciato per prima ad avvizzire sarebbe stato ritenuto sconfitto. Poi, ella tornò ad adempiere i suoi doveri domestici.

Il dibattito si accentrò sul significato dei 
Veda. Mandana cercò di difendere l'interpretazione della Miniànsá, e Samkara il punto di vista dell'Advaita-Vedánta.

Il dibattito tra i due proseguì per molti giorni. Ogni giorno, quando Sarasvati li invitava a mangiare, ella diceva, rivolgendosi a suo marito: « Per favore alzati e mangia », e, all'Acárya: « Prego, prendete il vostro bhiksha (elemosina) ». Mandana giorno per giorno stava perdendo terreno. Alla fine, la ghirlanda che portava incominciò ad appassire. Notando questo, Sarasvati si convinse che suo marito doveva reputarsi sconfitto e, secondo la scommessa, doveva diventare samnyasa. E così, quel giorno, ella si rivolse sia a Mandana che a Samkara nello stesso modo quando chiese loro di mangiare: « Per favore venite a ricevere il bhiksha ».

Riconoscendosi sconfitto e comprendendo la irrefutabile natura della verità dell'Advaita, Mandana Misra pregò Samkara di iniziarlo nel samnyasa e di accettarlo in qualità di discepolo. Samkara lo consacrò e gli dette il nome « Sureávara ». Suresvara venne conosciuto più tardi come il Vartikakara per i Vartika scritti ai bhashya del Maestro, soprattutto alla Brihaddranyaka e Taittiríya 
Upanishad. Sarasvati seguì l'esempio del suo signore e si unì a coloro che stavano intorno a Samkara.

Un giorno, Samkara venne a sapere che la fine di sua madre era prossima e, ricordando la promessa fattale, ritornò a Kalati. La madre fu felice di rivederlo. Egli divenne il suo guru, istruendola nella spiritualità e preparandola alla morte che ella incontrò tranquillamente e con fiducia.

Parliamo, ora, della grandiosa opera di Samkara. Egli fece il giro dell'India più di una volta, probabilmente tre volte, e, ovunque andava, la gente si sentiva innalzata. Dovette superare anche ostacoli, ma fece ciò con dolce ragionevolezza e, soprattutto, basandosi sull'esperienza completa che aveva avuto. Quando false dottrine stavano sviando la maggior parte delle persone e l'ortodossia, per neutralizzare l'ateismo dell'eterodossia, non aveva niente di meglio da offrire che uno sterile e antiquato ritualismo, Samkara riconquistò i più alti gradi della filosofia upanishadica portando, per il bene dell'umanità, l'acqua di vita eterna.

Samkara venne non per distruggere, ma per edificare, e la filosofia che egli insegnò, l'Advaita, non dev'essere considerata una contrapposizione alle varie scuole di pensiero. Il paramaguru di Samkara, Gaudapáda, aveva già insegnato che non poteva esserci nessun antagonismo tra l'Advaita e le filosofie dualistiche. Come non si può venire a contesa con le proprie membra, così l'Advaita non può avere alcun contrasto con i sistemi filosofici. Samkara, che riscoprì lo spirito della unità e della totalità e lo rivelò a un'epoca di tumulto e di discordia, cercò di porre fine alle scissioni e di rimettere le parti al loro posto nel contesto del Tutto. La sua missione consistette nell'affermare non solo la Non-dualità di 
Brahman (Brahmadvaita) ma anche la fondamentale non-differenza degli altri « punti di vista » (darsanadvaita). In questo egli seguì soltanto l'insegnamento fondamentale dei Veda che proclamano la suprema verità: « La Realtà è Una », e immediatamente aggiungono: « Coloro che conoscono, parlano di ciò in vari modi ».

Le scuole ortodossa ed eterodossa trassero ugualmente beneficio dalla critica costruttiva di Samkara. Per quanto partendo da punti di vista divergenti, la Mimánsaka e la Bauddha erano diventate insoliti compagni di lotta nella difesa delle dottrine atee. Samkara, dovette correggere l'unilateralità di entrambe, ma né l'una né l'altra soffrirono per la sua critica. Il 
Karma o rituale fu messo al suo giusto posto come un propedeutico al sentiero della conoscenza. La nobile dottrina dell'ahimsa posta in rilievo dal Buddha, e non sconosciuta ai Veda, fu resa una parte essenziale della filosofia indù del dharma, e il Buddha stesso venne ad essere considerato un avatára di Vishnu.

Come la filosofia, la religione trasse anch'essa vantaggio dagli insegnamenti di Samkara Mentre egli cercava di rimuovere le sovrastrutture che si erano insinuate nelle fedi e nelle loro istituzioni - e per questo dovette rischiare la vita molte volte - egli volle preservarle nella loro genuinità additandole come modi diversi di accostarsi a 
Dio. La concezione di una Divinità personale non è la più alta, secondo Samkara, ma la devozione ad !Dio è chiamato che importa, ma la buona fede e l'intensità dell'adorazione offerta. Nell'Inno ad Harí Samkara dichiara: « Gloria ad Hari, il distruttore delle tenebre del samsara la sola Realtà che, a causa della diversità degli intelletti, si manifesta in molti modi, come Brahmá, Vishnu, Rudra, Agni, Surya, Chandra, Indra, Vayu e Sacrificio ». Il fondamento della religione è lo stesso, sebbene le sue manifestazioni siano varie. Samkara, professò il puro universalismo spirituale; senza alcun senso di diversità, egli, nei suoi inni, ha reso omaggio a Dio nei suoi vari aspetti.

Dev'essere stato bello per gli Dei osservare il giovane parivrajaka (monaco errante), accompagnato da un gran numero di discepoli e seguaci, che andava di luogo in luogo per diffondere il 
vangelo dell'unità e della pace. L'itinerario del viaggio di Samkara, da un capo all'altro del paese è differentemente riportato nei diversi 9anikara-vijaya. Ma tutte le nostre fonti sono d'accordo nel sostenere che Samkara visitò tutti i luoghi importanti di pellegrinaggio, roccaforti di numerosi culti religiosi e centri di cultura. Circa settantadue scuole religiose, ci dicono, prevalevano nel paese creando fazioni e facendo appello ai più bassi desideri e passioni attraverso pratiche degradanti.

Anandagiri, nel suo Samkara-vijaya, fornisce un resoconto dettagliato dei luoghi visitati da Samkara nel corso del suo dig-vijaya, dei dibattiti che egli ebbe con i seguaci delle diverse fedi e delle scuole di filosofia, e della conversione di quei seguaci alla via dei 
Veda e del Vedánta. Riferiremo qui alcuni dibattiti. Uno di essi avvenne in luoghi come Rámeávara, centro delle sette Saiva. C'erano molte ramificazioni dello Sivaismo: Saiva Raudra, Ugra, Bhatta, Jangama e Pasupata; tutte sostenevano che Rudra-Siva è la suprema Divinità e che adorandolo e mostrando i segni Saiva sul corpo si ottiene la Liberazione. A Ujjayini ci fu un dibattito con i Kápálika. Portando capelli arruffati, vezzi di perline di cristallo e ilsimbolo della luna crescente, essi si avvicinarono a Samkara e spiegarono la loro dottrina secondo la quale Bhairava era il Signore di tutti gli esseri e, poiché era il distruttore dell'universo, Egli solo poteva essere il creatore e preservatore.

In luoghi come Anantasayanam, i seguaci dei vari culti Vaishnava invitarono Samkara ad un dibattito. Oltre al culto Vaishnava propriamente detto c'erano il Pancharatra, il Vaikhanasa, il Karma-hina-vaishnava e altre sette. Essi cercavano di dimostrare che Vishnu, sotto qualsiasi forma, era il 
Dio principale e che gli Agama Vaishnava avevano speciale importanza e autorità. A Subramanya-stala, i seguaci del culto di Hiranyagarbha esposero la loro dottrina: Hiranyagarbha, lo Spirito dell'universo sottile, era la Divinità fondamentale. C'era un notevole numero di culti vedici in pieno rigoglio in zone sparse. Nel luogo chiamato Tulajabhavani-puram, gli adoratori della Sakti sotto l'aspetto di Prakriti, asserivano che soltanto la Sakti era la potenza indipendente, responsabile dell'intera creazione, perché da Lei il Brahnid creatore e gli altri Dei emergevano, e che la via per liberarsi era adorarLa sotto l'aspetto di Bhavani. Analogamente, nella città di Kuvalayapuram, i seguaci del culto Mahalakshmi asserivano che la Dea della prosperità era la Madre di tutti gli esseri. C'erano altri che adoravano Sharada, la Dea del Sapere. Secondo questi ultimi, l'adorazione di Sharada era il mezzo più sicuro per moksha.

A Purangavaram, i seguaci del culto Ganapati incontrarono Samkara per un dibattito. C'erano sei diversi rami di questo culto, ciascuno devoto a uno dei sei aspetti di Ganeáa: Mahaganapati, Haridraganapati, Ucchishtaganapati, Navanitaganapati, Svarnaganapati e Santanaganapati. Secondo tutte queste sette, la Divinità principale è Ganapati, che rimuove tutti gli ostacoli e concede il bene supremo. Un altro culto era basato sull'adorazione di Surya (il 
Sole).

La risposta a tutte queste sette e scuole, secondo Samkara è l'Advaita. Il 
Dio di ogni setta rappresenta un aspetto di Isvara in Lui tutti gli Dei trovano il loro culmine. Dio o Isvara nel suo triplice aspetto di Brahmd, Vishnu e Siva, è l'intera ed unica causa dell'universo. L'adorazione di uno solo di questi aspetti o di qualsiasi altra espressione meno profonda della Divinità, condurrà, alla fine, il fedele più vicino alla meta. Per mezzo di discipline come il servizio disinteressato, la devozione a Dio in una qualsiasi delle Sue manifestazioni e lo Yoga del controllo mentale si ottiene la capacità di seguire il sentiero della conoscenza, che consiste di studio (sravana), riflessione (manana) e meditazione ininterrotta (nididhyasana), che si conclude nella realizzazione di Brahman il quale è liberazione. Samkara esortò i seguaci delle sette ad abbandonare la limitatezza e il fanatismo, a desistere dal segnare i loro corpi con simboli del culto e a volgersi a più elevati modi di adorazione e sistemi di vita.

Ci sono tre luoghi sacri connessi con l'adorazione di Siva: Tiruppudaimarudur, chiamato anche Putarjuna (nella regione di Tirunelveli), Tiruvidaimarudur, noto come Madhyarjuna (nella regione di Tanjavur) e Mallikarjuna a Sri-Sailam (
Andhra Pradesh). A Tiruvidaimarudur avvenne un miracolo quando Samkara lo visitò. Il desiderio dell'Acárya era che il Mahalinga dichiarasse lui stesso, nel grande tempio del luogo, la verità dell'Advaita. In risposta alla preghiera di Samkara, il Signore Siva, apparve come se uscisse dal Mahalinga, alzò la mano destra e proclamò: 'satyam advaitam, satyam advaitam, satyam advaitam'. Coloro che furono presenti a questa manifestazione del Signore furono grandemente lieti e accettarono Samkara come loro Acárya.

Concluderemo questo capitolo con un resoconto della visita di Samkara nel Kashmir. Il pellegrino cinese Hsuan-tsang, che visitò il Kashmir nel 631 d.C., rende questo entusiastico omaggio alla cultura di quel luogo: « Questo paese si è distinto da tempo remoto per la cultura, e i suoi sacerdoti sono tutti di alto valore religioso e notevoli virtù, quali grande talento e capacità di chiara esposizione della dottrina ». Alludendo, evidentemente, alla naturale bellezza della valle e alla sua sacra atmosfera, un visitatore più recente, Abul Fazl, che era filosofo, amico e guida di Akbar, loda il paese come il luogo « degnamente adatto ad essere la gioia della persona amante del bello e la solitaria dimora dell'eremita ».

Oltre all'Induismo in due delle sue forme, gaiva e Sakta, il 
Buddhismo si è propagato largamente nel Kashmir. Secondo il calcolo di Hsuan-tsang, c'erano ai suoi tempi più di cento monasteri buddhisti e cinquemila confratelli. Quanto ai templi hindu e alle istituzioni dei principali culti, ne esisteva un numero imprecisato. Il Kashmir costituiva una terraospitale per lo sviluppo della religione e della filosofia, sia ortodosse che eterodosse.

La varietà kashmirica dello Shivaismo conosciuta come Pratyabhiina o Trika è un tipo di 
monismo o non-dualismo (advaita), poiché, secondo esso, Siva l'ultima realtà, è il Sé di tutti gli esseri, e non c'è alcuna realtà oltre Lui. Siva è chiamato anuttara, la realtà oltre la quale non c'è più nulla; è pura coscienza, totale esperienza e Signore supremo. Da Lui l'universo nasce proprio come un'apparenza o un'immagine riflessa; ma questa apparenza è reale per lo Shivaismo del Kashmir, mentre per l'Advaita-Vedánta l'universo-apparenza non è reale assoluto. Sarà interessante notare che Samkara adotta alcuni termini-chiave dello Shivaismo kashmirico nel suo Inno a Dakshinamurti, per spiegare la verità dell'Advaita-Vedanta, proprio come il suo parama-guru Gaudapáda aveva fatto uso della terminologia buddhista nei suoi Mandukya-karika con lo stesso scopo. Nel Dakshinamurti-stotra, l'universo è paragonato a una città vista in uno specchio come per magia; esso rappresenta una semplice proiezione, come quella fatta da un mago o da un grande yogi. Gli elementi costitutivi e i quattro elementi della natura che comprendono i vari aspetti del corpo e della mente sono un gioco di maya; l'anima è attratta nel flusso del samsara perché è ingannata dall'ignoranza, ma quando si risveglia e riconosce (pratyabhijnayate) la sua vera natura come Spirito non-duale, non esiste più alcun travaglio per essa. Così, in questo breve inno, Samkara spiega i punti essenziali dell'Advaita Vediinta con il linguaggio dello Shivaismo del Kashmir.

Il culto della Sakti è usato anche dall'Advaita, ma con questa differenza: esso mette in risalto l'aspetto Sakti dell'ultima realtà per scopi di sádhana (disciplina spirituale). Per i seguaci di questo culto, il Kashmir costituisce un centro molto importante; esso è la dimora di Kamesvari, la sposa di Kamesvara, il supremo Signore. Kalhana, nel suo Raiatarangini (composto nel 1148-1149 d.C.), allude a un tempio della dea Sharada nel Kashmir che era frequentato dai Gauda (popolazione del Bengala) durante il regno di Lalitaditya. M.A. Stein, che ha tradotto il Raiatarangini in inglese, situò il tempio in un luogo chiamato Shardi, nell'alta Valle Krishnaganga. Alludendo alla popolarità di questo tirtha, Alberuni dice: « Nel Kashmir interno, a circa due o tre giorni di viaggio dalla capitale, nella direzione del monte Bolor, c'è un idolo di legno chiamato Sharada che è molto venerato e visitato dai pellegrini ». Nei tempi più recenti, dice Stein, è stato costruito un nuovo tempio della Dea, in luogo dell'antico, nei dintorni di Srinagar, per comodità dei fedeli.

Il racconto della visita di Samkara al tempio di Sharada è fatto nell'ultimo capitolo del Madhaviya Samkara-vijaya. Nel tempio, che era costruito come un mandapa con quattro archi di entrata, c'era il trono dell'onniscienza (sarvajnapitha), presieduto dalla Dea. Nessuno poteva ascendere a quel trono, se non era onnisciente lui stesso. Nel passato, studiosi provenienti dal Nord, Est e Ovest avevano tentato di ottenere l'accesso al tempio, ma nessuno si era avventurato dal Sud. Quando Samkara, che veniva dal Sud, udì questo, volle andare al tempio per affermare l'onnicomprensione e la supremazia della 
saggezza dell'Advaita. Appena giunto, egli s'imbatté in discepoli di differenti fedi che contestarono il suo diritto, o meglio il diritto dell'Advaita, al possesso della saggezza totale. Gli Atomisti del Vadeshika, i Logìci del Nyáya, i Dualisti del Sámkhya, i Buddhisti e i seguaci del Giainismo -tutti, a turno, impegnarono Samkara nel dibattito filosofico. Non solo Samkara dette certamente prova della sua profonda conoscenza dei vari sistemi, ma fu capace di convincere i disputatori della superiorità dell'Advaita. Gli ultimi a presentarsi furono i Purva-mimansaka i quali sostenevano che il valore dei Veda poggia sul Rituale. Nei loro confronti, Samkara dimostrò come i testi sacri potessero essere interpretati in termini Vedanta in modo armonico, e sostenne il diritto dell'Advaita. La porta del tempio di Sharada si aprì. Samkara non considerò il privilegio come qualcosa di personale; come l'autore del Madhavija-Sarnkara-vijaya dice in un capitolo precedente, Samkara vinse i disputanti delle varie correnti non per personale vantaggio o onore, poiché egli era completamente privo di egoità, ma per salvare la primitiva verità del Vedanta dai suoi diffamatori e travisatori.

C'è una tradizione secondo la quale l'Acárya compose il Saundarya-lahari nel Kashmir. Questo poema occupa il primo posto tra gli stotra attribuiti a Samkara. Nella cadenza di un centinaio di versi noi abbiamo un'autentica spiegazione della dottrina mistica dello SOrí-cakra come una descrizione commovente dell'Immagine della Devi, che è la Bellezza personificata. Nel delineare il Samaya-achara che è il modo Vaidika della disciplina Sakta, Samkara dice al devoto che lo scopo supremo dell'adorazione-Sakti è la realizzazione Advaita.

La visita di Samkara nel Kashmir e la sua vittoria spirituale sono commemorate in un tempio su una collina che portano entrambi il suo venerato nome.

Se il Kashmir, come il resto dell'India, poté preservare la sua cultura dai violenti contrasti durante lo scorso millennio, ciò fu non poco dovuto al lavoro di una vita intera di Samkara che servì a consolidare l'Induismo sulle salde fondamenta dell'Advaita.

 

Shankara - 4 - Compimento di una missione

Uno dei principali compiti di Samkara fu quello di promuovere l'armonia religiosa tra gli Indù. Come abbiamo già detto, egli cercò di unirli sulle basi del principio Advaita. L'Induismo può ben consistere in molti culti, ma non dovevano esserci conflitti tra di essi né rivendicazioni esclusive della verità e della santità. Poiché egli cercò di ricondurre al principio e di consolidare i sei maggiori. culti indù, è stato chiamato Shanmantasthapakácárya (il consolidatore delle sei fedi, cioè Saiva, Vaishizava, Sakta, Satira, Ganapatya e Kaumara). Uno dei metodi pratici con i quali Samkara promosse lo spirito di armonia tra i vari culti fu quello di divulgare la forma di adorazione Paracayatana. Secondo questo metodo, le immagini delle cinque divinità - Aditya, Ambika, Vishnu, Gananatha e Mahesvara - sono adorate insieme; la preminenza è offerta a quella, tra esse, scelta (ishta-devata) dal devoto. Secondo il Markandeya-Samhita, Samkara stesso disse ai suoi discepoli che i seguaci dell'Advaita dovevano praticare l'adorazione Paracayatana.

I templi e i luoghi di pellegrinaggio rivestono grande importanza nella vita religiosa indù. Samkara visitò gran parte di essi consacrandoli, se necessario, correggendo sistemi di adorazione, mettendo fine ai sacrifici cruenti, trasformando gli aspetti irosi delle divinità in aspetti benevoli, ecc. Ancora oggi le tradizioni locali conservano il ricordo di ciò che il Maestro fece per santificare i templi di 
Dio nelle diverse parti del paese, dall'Himalaya a Kanyakumari, dal Kashmir al Nepal e Assam, da Dvaraka a Puri.

C'è una tradizione secondo la quale Samkara portò da Kailasa cinque Sphatika Linga e li consacrò a cinque luoghi santi: il Moksha-Linga nel tempio di Chidambaram, il MuktiLinga e Kedara, il Vara-Linga a Nilakantha nel Nepal, lo Yoga-Linga a Kamakoti Kanci e il Bhoga-Linga a Sharadapitha nei pressi di Sringeri.

Nel corso del suo dig-vijaya, Samkara visitò luoghi noti per l'adorazione di Vishnu come, ad esempio, Anantasayanarn (Trivandrum). Dall'Himalaya al Capo, il paese è punteggiato i famosi templi di Vishnu. A Badarikaárama, il santo dei santi sull'Himalaya, si dice che Samkara incontrò il saggio Vyása e ricevette le sue benedizioni prima di scrivere il Sútrabhashya; e v'incontrò anche il suo parama-guru Gaudapáda.

Tra i templi sivaiti visitati da Samkara ricordiamo quelli di Ramesvaranam, Tiruvidaimarudur (Madyarjuna), Chidambaram, Sri-Sailam, Ujjayini, Nilakantha-kshetra (Nepal) e Kedara. E, ancora, il santuario di Somanatha a Saurashtra, il tempio di Trayambakesvara vicino Nasik, dove sorge il Godavari, e Gokarna sulla costa occidentale.

Un'interessante leggenda è narrata in relazione alla visita di Samkara a Harihar nello Stato del Mysore. Harihar era a quel tempo, un potente centro vaishnava. Quando Samkara volle avere il darsana del Signore nel tempio, i custodi, vedendo che egli era un samnyasin e che portava sul corpo sia i segni Saiva che i vibhuti e i rudraksha, non gli permisero di entrare. Samkara spiegò estesamente che non c'era alcuna differenza tra Vishnu e giva, e che l'Immagine nel tempio rappresentava la suprema Realtà. Convinti dalla sua spiegazione, le porte del tempio gli vennero spalancate ed egli poté entrare. Si dice che i fedeli Vaishnava constatarono, con loro meraviglia, che l'Immagine era divenuta per metà quella di Vishnu e per metà quella di giva, Hari-Hara.

I culti sakta erano degenerati e la Madre Divina era stata trasformata, in più di un tempio, in una Dea assetata di sangue. Samkara riformò i sistemi di adorazione e riconvertì l'adirata divinità nella benevola Madre Cosmica quale Ella è. Egli collocò lo Sri-cakra in molti templi, aumentandone così la potenza per il bene universale.

Di enorme importanza è la visita di Samkara a Kanchi, presieduto dalla Devi Kamakshi. La devozione indù considera Kanchi uno dei sette mokshapuri - luoghi in cui si tende al conseguimento della liberazione (
moksha). Kanchi è ritenuto il più sacro Devikshetra; la Madre lo permea di invisibile e indefinibile etere. Quando Samkara visitò Kanchi e andò al tempio di Sri Kamakshi, egli ebbe il darsana della Devi nella bila (sotterraneo) del tempio, e per farLe manifestare il suo aspetto benevolo, consacrò lo Sri-cakra di fronte alla Sua immagine.

Oltre alle visite ai templi riservati ai culti più importanti, Samkara cantò, per facilitare i devoti, magnifici inni in lode della Divinità nelle sue varie manifestazioni. Tra questi, i più conosciuti sono lo SivanandaIahari, il Saundaryalahari, lo Haristuti e il Dakshinamurti-stotra. Circa duecentoventi inni sono stati attribuiti a Samkara, ma molti di essi, è stato dimostrato, non possono appartenergli, anche se alcune delle ragioni addotte sono lontane dal convincere. Si argomenta che Samkaracarya non avrebbe potuto essere il loro autore poiché gli inni alludono ai tormenti del samsara e lamentano, in un linguaggio patetico, le sofferenze della vecchiaia, la sfortuna familiare e simili. Ma la risposta ovvia è che non è necessario sperimentare il samsara per rendersi conto dei suoi mali. Samkara scrisse gli inni perché fossero cantati da noi del mondo, e per questo egli usò espressioni che noi avremmo usato. Né si può dire che fosse incompatibile da parte di Samkara l'Advaitin, comporre inni dedicati al 
Dio Persona, perché lo Advaita non è anti-teismo o ateismo.

E' possibile che qualcuno degli inni attribuiti a Samkara non sia stato composto da lui, tuttavia anche quelli incontestati dimostrano che Samkara cantò la lode di molti aspetti di 
Dio, così che il devoto potesse coglierne lo spirito di armonia, liberandosi dalla limitatezza e dal dogmatismo.

Fortunatamente, l'autenticità dei principali bhashya non è stata messa in dubbio da nessuno. Le 
Upanishad, la BhagavadGítá e il Brahma-sutra costituiscono i tre testi fondamentali del Vedánta. Circa dieci Upanishad sono considerate le principali; le due più lunghe sono la Brihadaranyaka e la Chandogya. Samkara scrisse commenti sulle dieci Upanishad e, forse, su una o due oltre queste. Nel suo commento alla Bhagavad-Gita, egli dimostra che questo testo, non inferiore alle Upanishad, insegna il karma-samnyása (rinuncia all'azione, cioè non identificazione con gli strumenti dell'azione) e non semplicemente sanga-tyaga (non attaccamento al frutto dell'azione, mentre si conserva il senso della causa). Nel suo Brahma-sutra-bhashya, Samkara cerca di dimostrare che Bádaráyana prospetta lo Advaita. Oltre i bhashya, Samkara scrisse molti manuali di Advaita. Alcuni di questi testi, molto conosciuti, sono: Upadesasahastri, Atma-bodha, Sata-Sloka e Vivekacúdámani.

Imitando gli esempi del Maestro, i discepoli di Samkara ci hanno dato esposizioni dell'Advaita sotto forma di commenti alle sue opere e anche in una serie di trattati originali.

Per salvaguardare l'unità culturale dell'India basata sullo Advaita, e per tenere alto l'ideale della spiritualità, Samkara fondò ordini monastici e istituzioni che hanno resistito attraverso i secoli. Dieci sono gli ordini monastici appartenenti alla tradizione Advaita. Essi differiscono soltanto nel suffisso aggiunto al nome samnyasa di coloro che appartengono a ciascun ordine, e sono chiamati, nel loro insieme, Dasanami. 1 suffissi sono: Sarasvati, Puri, Bharati, Vana, Aranya, Tirtha, Asrama, Giri, Parvata e Sagara.

Nelle diverse parti del paese, Samkara fondò i Matha (centri monastici) e incaricò i suoi discepoli più diretti di dirigerli, così da assicurare a ciascun centro una successione ininterrotta di istruttori Advaita. Dei numerosi Matha, i più importanti si trovano a Badari-kshetra, Dvaraka-puri, Jagannatha-puri e Sringagiri (Sringeri), oltre a Kanchi.

Nei quattro punti cardinali dell'India ci sono quattro centri di santità (dhama): Badari sull'Himalaya a Nord, Dvaraka a Ovest, Jagannathapuri a Est e Ramesvaram a Sud. Badari-kshetra è quello che più contribuisce alla ricerca della
saggezza attraverso la rinuncia; per tale ragione esso è chiamato tapo-bhumi. Per la sua naturale bellezza e spirituale atmosfera, Samkara lo scelse come centro Matha.

Dvaraka o Dvaravati è uno dei sette Mokshapuri, oltre ad essere uno dei quattro Dhama. E' la città che fu governata da Sri Krishna. Essa occupa il punto più occidentale dell'India peninsulare, e il tempio di Dvarakhadhisa Sri Krishna) è l'attrattiva principale della città. Similmente, sulla costa orientale, a Jagannatha-puri, un altro Dhama, un Matha fu organizzato da Samkara.

Sringagiri (Sringeri) è associata al saggio Risyasringa. Esiste una leggenda connessa alla fondazione di questo Matha. Quando Mandana Mìsra divenne discepolo di Samkara assumendo il nome 'Sureávara', Sarasvati, come abbiamo visto, si unì all'entourage del Maestro, ma stabilì che avrebbe seguito il gruppo a condizione che Samkara non si voltasse per vedere se seguiva o no. Così accadde che quando il gruppo raggiunse le rive di Tungabhadra, i piedi di Sarasvati si attaccarono al suolo ed ella non poté spostarsi da lì. Non udendo il tintinnare dei suoi braccialetti da caviglia, Samkara si voltò e comprese che Sringeri era il luogo in cui Devi Sharada, la Dea della Sapienza, di cui Sarasvati era l'incarnazione, aveva trovato la sua sede.

L'associazione di Samkara con Kanchi è già stata riferita. Da Kanchi, alcuni suoi discepoli, che in precedenza erano appartenuti ai vari culti, andarono in giro per il paese, con le benedizioni del Guru, per diffondere i loro rispettivi punti di vista sulla fede, alla luce dell'Advaita. Ammettendo la non-dualità dello Spirito Assoluto, essi conservavano la propria preferenza riguardo alla forma della Divinità Personale. Tra i discepoli che vollero, così, girare il paese, con l'intento di approfondire la fede della gente, Paratakalanala era saiva, Lakshmana e Hastamalaka erano vaishnava, Divakara era saura (seguace del Surya-mata), Tripurakumara era Sakta, Girijakumara era ganapatya e Vatukanatha era kápálika. Compiuta la loro missione, essi tornarono a Kanchi per vivere con il loro Maestro.

Secondo Anandagiri, Samkara trascorse gli ultimi giorni della sua vita a Kanchi e lì abbandonò il suo corpo. Affermano questo, oltre allo gamkara-vijaya di Anandagiri, autorità come Siva-rahasya, Patanjali-charita e Sanakara-bhyudaya. Altri, invece, hanno indicato luoghi diversi da Kanchi come la sua ultima dimora prima della morte (siddhi kshetra).

Samkara vive e continuerà a vivere nella memoria umana; egli è l'onnipervadente e onnipresente Spirito Non-duale.

Dice Anandagiri: « Sotto forma di coscienza onnipervadente, egli vive ancora oggi. Egli, in verità, è il Guru Samkaracarya, che concede la liberazione a coloro che sono pronti ».

 

 

Da: www. esonet.org

 

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