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 Testo tratto 
dall'edizione Ubaldini (Roma, 1964): Traduzione del testo sanscrito di Icilio 
Vecchiotti. (Sono state apportate alcune piccole modifiche qua e là nel testo a 
seguito della comparazione con altre versioni del poema.) Si 
raccomanda di consultare l'edizione a stampa sopra indicata per l'ottimo 
commento di Sarvepalli Radhakrishnan. 
IndiceCapitolo 
primo - Esitazione e angoscia di Arjuna Capitolo 
secondo - Teoria Samkhya e Pratica Yoga Capitolo 
terzo - Il Karma Yoga o la via nell'agire Capitolo 
quarto - La via della conoscenza Capitolo 
quinto - La vera rinuncia Capitolo 
sesto - Il vero Yoga Capitolo 
settimo - Dio e il mondo Capitolo 
ottavo - Il processo dell'evoluzione cosmica Capitolo 
nono - Il Signore è superiore alla creazione Capitolo 
decimo - Dio è la fonte di tutto: conoscere Lui è conoscere tutto Capitolo 
undicesimo - La trasfigurazione del Signore Capitolo 
dodicesimo - La fede nel Dio personale è superiore alla meditazione 
sull'Assoluto Capitolo 
tredicesimo - Intorno al corpo, detto il campo, all'anima, chiamata il 
conoscitore del campo e alla differenza fra l'uno e l'altra Capitolo 
quattordicesimo - Il padre mistico degli esseri Capitolo 
quindicesimo - L'albero della Vita Capitolo 
sedicesimo - La natura del divino e lo spirito demoniaco Capitolo 
diciassettesimo - I tre guna applicati ai fenomeni religiosi Capitolo 
diciottesimo - Conclusione   
 La domanda
Dhrtarastra disse:
 (1) Nel 
campo (dell'adempimento) della giustizia, nel campo dei Kuru, quando si 
furon messi di fronte, desiderosi di lotta, la mia gente da un lato, i Panduidi 
dall'altro, che cosa fecero essi, o Samjaya? I due esercitiSamjaya 
disse: (2) Ordunque, 
avendo visto allora Duryodhana, il re, l'esercito dei Panduidi disposto 
in ordine di battaglia, accostatosi al maestro (gli) tenne questo discorso: (3) Guarda, 
o maestro, questo possente esercito dei figli di Pandu raccolto dal tuo 
sapiente discepolo, il figlio di Drupada.
 (4) Quaggiù 
(ci sono) eroi, grandi arcieri, pari in battaglia a Bhima e ad Arjuna 
(e cioè vi sono) i Yuyudhana, Virata e Drupada il valente 
guerriero. (5) 
Dhrstaketu, Cekitana e il valoroso re di Kasi, Purujit 
e Kuntibhoja e Saibya, eroe fra gli uomini.
 (6) 
Yudhamanyu il forte ed Uttamauja il prode; e inoltre il figlio di 
Subhadra e i figli di Draupadi, grandi guerrieri tutti. (7) Coloro 
che fra noi si trovano ad essere particolarmente distinti, i capi del mio 
esercito, quelli impara a conoscere, o migliore fra i due volte nati. Costoro 
per tua conoscenza io ti menzionerò per nome. (8) Tu, o 
Signore, e Bhisma e Karna e Krpa vittorioso in battaglia,
Asvatthaman e Vikarna ed anche il figlio di Somadatta. (9) E molti 
altri eroi, che per me son pronti a rinunciare alla vita, che sanno combattere 
con armi di vario genere, tutti esperti nel guerreggiare. (10) Ingente 
è questo nostro esercito, del quale sta Bhisma a presidio mentre codesto 
loro esercito, retto da Bhima, non è poderoso. (11) E 
(dunque) su tutti i punti del fronte, ciascuno secondo il posto (che gli 
compete), saldi restando, voi tutti lottate in favore di Bhisma. Il suono dei corni(12) Per far 
sorgere ardente il desiderio di Duryodhana (di combattere) il vecchio 
kuruide, l'avo valoroso, ruggì come un leone con voce poderosa. Pieno di ardore 
dette fiato alla tromba. (13) Allora 
conchiglie e grancasse, tamburi e timpani e corni d'un tratto si cominciò a 
battere e ne nacque un rumore fragoroso. (14) Allora 
stando sul grande carro aggiogato ai bianchi cavalli, Madhava e il 
Panduide (Krsna ed Arjuna) dettero fiato alle loro divine 
conchiglie. (15) 
Krsna soffiò nel suo Pancajanya ed Arjuna nel suo Devadatta 
e Bhima, l'eroe dalle spaventose imprese e dal ventre di lupo (dal grande 
appetito), dette fiato alla sua grande conchiglia, Paundra. (16) Il re
Yudhisthira, figlio di Kuntì, dette fiato al suo Anantavijaya 
e Nakula e Sahadeva soffiarono in Sughosa e Manipuspaka. (17) E il re 
di Kasi, sommo fra gli arcieri, e Sikhandin dal grande carro, 
Dhrstadyumna e Virata e Satyaki, l'invitto, (18) 
Drupada e i figli di Draupadi tutti insieme, o Signore della terra, e 
il figlio di Subhadra dalle forti braccia dettero fiato alle loro 
conchiglie da tutti i lati. (19) Il 
fragore frastornante che faceva rimbombare il cielo e la terra, lacerò i cuori 
dei figli di Dhrtarastra. Arjuna guarda i due eserciti. (20) Allora 
il panduide (Arjuna) che aveva per insegna la scimmia Hanuman, 
dopo che ebbe visto i figli di Dhrtarastra disposti in ordine di 
battaglia, e avendo inizio lo scontro delle armi, alzando l'arco, (21) O 
Signore della terra, questo discorso rivolse a Hrsikesa (Krsna): o
Acyuta (Krsna), fa che il mio carro si trovi a stare fra i due 
eserciti; (22) in modo 
che io osservi gli uomini che qui si ergono desiderosi di battaglia, (e) che 
devono combattere con me nell'agone di questa battaglia; (23) in modo 
che io possa guardare costoro che son desiderosi di combattere, e che sono qui 
raccolti, pronti a compiere in battaglia il volere del figlio di Dhrtarastra 
dall'animo perverso. (24) Così, o
Bharata (Dhrtarastra) essendo stata rivolta la parola da 
Gudakesa (Arjuna), Hrsikesa (Krsna) avendo arrestato 
fra i due eserciti il migliore dei carri, (25) di 
fronte a Bhisma, Drona e a tutti quei signori di terre, disse: 
"Considera, o Partha (Arjuna), questi Kuru raccolti (in 
questo luogo)". (26) Allora
Partha vide che stavano là padri e nonni, maestri, zii, fratelli, figli, 
nipoti e compagni anche, (27) ed 
anche suoceri e amici nell'uno e nell'altro esercito. E dopo che il figlio di 
Kuntì (Arjuna) ebbe visto tutti quei parenti così disposti in ordine 
di battaglia, (28) in 
preda a (un sentimento di) grande compassione, fece, turbato, questo discorso: O
Krsna, vedendo la mia propria gente piena d'ardore guerresco e disposta 
in ordine di battaglia, (29) le mie 
membra vengono meno e la bocca (mi) diventa secca e un tremito nel corpo mi si 
produce e così il rizzarsi dei capelli; (30) 
(l'arco) Gandiva mi sfugge di mano e la pelle tutta mi arde; non riesco a 
stare in piedi; la mia mente vacilla. (31) E vedo 
segni contrari di augurio, o Kesava (Krsna), né posso prevedere 
alcunché di meglio, se uccido la mia gente in battaglia. (32) Io non 
aspiro alla vittoria, o Krsna, né a un regno né ai piaceri. A che ci 
serve mai un regno, o Govinda (Krsna), a che i piaceri, a che la 
vita stessa? (33) Coloro 
proprio per i quali noi desideriamo regni, godimenti e piaceri, questi appunto 
stanno in battaglia, rinunciando alla vita e alle ricchezze, (34) 
maestri, padri, figli e nonni anche, zii e suoceri, nipoti e cognati ed altri 
parenti. (35) Costoro 
io non desidero uccidere, o Madhusudana pur se essi uccidono me; e 
(questo) nemmeno per (avere) il triplice regno; che cosa (dire) mai dunque (se 
non che non lo farei mai) per amore del dominio sulla terra (tanto inferiore)? (36) Dopo 
aver ucciso i figli di Dhrtarastra, o Krsna, quale piacere 
potremmo mai avere, o Janardana? Il peccato soltanto potrebbe attaccarsi 
a noi, dopo che avessimo ucciso costoro, anche se essi son uomini disposti al 
male. (37) Non è 
cosa degna che noi uccidiamo, quindi, i figli di Dhrtarastra, nostri 
parenti; in verità, come potremmo essere felici, dopo aver ucciso la nostra 
gente, o Madhava? (38) Anche 
se costoro, i cui animi sono dominati dall'ingordigia, non riescono a vedere 
alcun male nel fatto che una famiglia sia distrutta e (non riescono a vedere) 
alcuna colpa nel fatto di tradire le persone care; (39) come 
non dovremmo aver noi la coscienza di doverci tener lontani da codesta colpa, 
noi che ben vediamo il male che è nella distruzione delle famiglie, o 
janardana? (40) Quando 
una famiglia va in rovina, le antichissime sue leggi (nel senso concreto delle 
virtú che ad esse si riferiscono) periscono; e quando la legge è perita, 
l'ingiustizia sottomette a sé, per conseguenza, la famiglia tutta intera. (41) E 
quando è l'ingiustizia quella che predomina, o Krsna, le donne della 
stirpe diventano corrotte e quando le donne son diventate corrotte, si determina 
la confusione delle caste. (42) E 
questa confusione vale l'inferno per coloro che hanno distrutto la famiglia e 
per la famiglia stessa; e (vi) cadono anche gli spiriti dei loro antenati, che 
si trovano ad essere privi delle offerte di riso e di acqua. (43) Per 
quei misfatti, apportatori di confusione castale, (che son opera) di coloro che 
distruggono (così) la propria gente, vanno in malora le leggi della nascita e 
della famiglia, che durano da tempo immemorabile. (44) E noi 
abbiamo appreso dalle nostre tradizioni, o Janardana, che eternamente 
dovranno vivere nell'inferno gli uomini delle famiglie, le cui leggi sono state 
mandate in malora. (45) Ohimé, 
un grande peccato ci siamo noi decisi a commettere, per il fatto di trovarci si 
pronti ad uccidere la gente nostra per la brama dei piaceri che il regno può 
dare! (46) 
(Davvero) preferirei se i figli di Dhrtarastra, con le armi in pugno, mi 
uccidessero, nella battaglia, senza che io opponessi loro resistenza, senza che 
io avessi armi, nemmeno! (47) Così 
Arjuna avendo parlato sul campo di battaglia si accasciò a sedere nel carro, 
(via da sé) gettando l'arco e (la scorta del) le frecce, con l'animo angosciato. 
Nell'Upanisad che si intitola Bhagavad 
Gita,   
 Krsna rimprovera Arjuna 
e lo esorta a comportarsi da valorosoSamjaya 
disse: (1) A lui 
che era così preso dal suo sentimento di pietà (e) i cui occhi erano pieni 
davvero di lacrime e che era affranto, Madhusudana rivolse queste parole:
 Il Signore 
Beato disse: (2) Da dove 
ti si è fatta d'accosto questa (tua) debolezza in (questo) momento di 
difficoltà? Essa tale è, che non se ne compiacerebbero gli uomini d'onore, tale 
da non condurre al cielo; ed è causa di disonore (sulla terra), o Arjuna. (3) No, non 
cedere a questo tuo vile sentimento, o Partha, che esso non ti si 
conviene; cacciando la meschina debolezza d'animo, sorgi, o distruttore dei 
nemici. I dubbi di Arjuna 
rimangono irrisoltiArjuna 
disse: (4) Come 
potrò, io, combattere sul campo di battaglia, con le frecce, Bhisma e 
Drona ambedue degni di rispetto, oh Madhusudana (uccisore di Madhu), 
oh Arisudana (uccisor dei nemici)? (5) Meglio è 
mangiare il cibo del mendico, pur esso, in questo mondo qui, che uccidere questi 
venerandi maestri; con l'uccidere essi che sono i miei maestri, anche se sono 
bramosi di guadagno, godrei piaceri macchiati di sangue. (6) E 
nemmeno questo sappiamo, quale delle due cose sia per noi migliore, che li 
vinciamo noi, o che essi ci vincano. I figli di Dhrtarastra, dopo aver 
ucciso i quali noi non avremo più desiderio di vivere, sono là, schierati in 
ordine di battaglia, faccia a faccia davanti a noi. (7) Il (mio) 
proprio essere è preda dello smarrimento per questa mia colpa della compassione. 
Poiché la mente mi si confonde a proposito di quel che è, il mio proprio dovere, 
io ti domando: dimmi con certezza quale sia il meglio. lo sono il tuo discepolo; 
istruisci me, che in te cerco rifugio. (8) Davvero 
non vedo che cosa possa allontanare da me questa angoscia che priva di ogni 
forza i miei sensi; (non ci potrebb'essere cosa alcuna capace di tanto) neppure 
se io raggiungessi sulla terra un ricco regno di incontrastabile potenza o 
avessi pur anche l'assoluto dominio degli esseri celesti. Samjaya 
disse: (9) 
Gudakesa, l'uccisore dei nemici, avendo così parlato a Hrsikesa, (e) 
dopo aver detto a Govinda "non combatterò" se ne stette in silenzio. (10) (E) a 
lui (così) smarrito, in mezzo ai due eserciti, o Bharata, Hrsikesa, 
come sorridendo, rivolse questo discorso: La distinzione fra il 
Sé e il Corpo:non dobbiamo 
affliggerci per ciò che non può perireIl Signore 
Beato disse: (11) Per 
coloro ai quali non si addice il tuo pianto, ti affliggi, eppure sai dire parole 
assennate. (Ma) i saggi non si affliggono né per i morti né per quelli che morti 
non sono. (12) Né mai 
c'è stato tempo in cui io non esistessi, né tu (esistessi) né questi signori di 
uomini, né di poi, in appresso, ci sarà tempo in cui noi tutti non saremo (non 
esisteremo più, avremo cessato di essere). (13) L'anima 
dopo che in questo corpo è stata, (per) la fanciullezza, la gioventù, la 
vecchiaia, allora appunto realizza l'assunzione di un altro corpo. L'uomo, fermo 
di spirito, non trae da ciò motivo di smarrimento. (14) I 
contatti con le cose materiali, o figlio di Kuntì, fanno sentire caldo e 
freddo, piacere e dolore; vanno e vengono e sono impermanenti. Apprendi a 
sopportarli, o Bharata. (15) L'uomo 
che questi (contatti) non turbano, o capo di uomini, l'uomo fermo, che rimane lo 
stesso nel piacere e nel dolore, questo si rende adatto all'immortalità. (16) Di ciò 
che non esiste non si dà venire all'essere; di ciò che esiste non c'è cessazione 
dell'essere. La conseguenza ultima dell'uno e dell'altro punto è stata scorta da 
quelli che vedono l'essenza della verità. (17) Sappi 
dunque che ciò da cui tutto questo (mondo della molteplicità) si è diffuso, è 
indistruttibile. Di questo immutabile essere non c'è alcuno che possa causare la 
distruzione. (18) Questi 
corpi dell'anima eterna (che vi si diffonde), indistruttibile e incomprensibile, 
son detti esser tali da avere una fine. Per questo, combatti, o bharata (Arjuna). (19) Colui 
che pensa che sia esso ad uccidere e colui che pensa sia esso ad essere ucciso, 
sono tutti e due in errore, (perché) esso non uccide né è ucciso. (20) Esso 
non nasce mai, né mai muore, né, essendo ciò che è venuto ad essere, (di nuovo) 
cesserà di essere; è non-nato, eterno, permanente, originario; non è ucciso, 
quando il corpo è ucciso. (21) Colui 
che sa che esso (il Sé) è indistruttibile ed eterno, non-generato e immutabile, 
come può quella persona, o Partha, uccidere o far uccidere qualcuno?
 (22) Come un 
uomo smettendo i vestiti usati, ne prende altri nuovi, così proprio l'anima 
incarnata, smettendo i corpi logori, viene ad assumerne altri nuovi. (23) Le armi 
non fendono il Sé, il fuoco non lo brucia; né lo bagnano le acque, né lo 
dissecca il vento.
 (24) Esso è 
tale che non lo si può fendere, tale da non poter essere arso, da non poter 
essere né bagnato né disseccato. Eterno è, onnipervadente, immoto ed immobile; 
esso è sempre identico a sé. (25) Esso è 
detto non-manifesto, impensabile, immutabile. Per tale sapendolo, non deve 
affliggerti. (26) Anche 
se pensi che esso (il sé) nasca eternamente ed eternamente muoia, anche allora, 
o uomo dal braccio possente, non devi tu trarne motivo d'angoscia. (27) 
Dell'uomo che è nato in verità certa è la morte; e certa è la rinascita per 
quello che è morto. Di conseguenza, da ciò che è inevitabile non devi tu trarre 
motivo d'angoscia. (28) Gli 
esseri non sono manifesti nel principio del loro esistere, sono manifesti nel 
loro esistere di mezzo e di bel nuovo non manifesti alla fine del loro esistere, 
o Bharata. Quale (motivo di) pianto può essere, quindi, in ciò? (29) L'uno 
guarda ad esso come a qualcosa di meraviglioso; un altro parla di esso come di 
qualcosa di meraviglioso; un altro ancora ne sente (parlare) come di qualcosa di 
meraviglioso; ma anche dopo averne udito, non c'è alcuno che l'abbia conosciuto. (30) L'Anima 
(il Sé) (che ha preso sede) nel corpo di ciascuno, o Bharata è eterna e 
non può mai essere uccisa. Perciò non devi tu trarre motivo di ansia per alcuna 
creatura. Appello al sentimento 
del dovere(31) E poi, 
considerando il tuo proprio dovere, non dovresti farti prendere da emozione; non 
esiste alcun'altra cosa che per uno Ksatriya valga di piú della battaglia 
combattuta secondo il proprio dovere. (32) 
Felicemente gli Ksatriya accolgono una guerra siffatta venuta da sé 
spontaneamente (quale) porta aperta del cielo, o Partha. (33) Ma se 
tu poi non vuoi compiere questa lotta secondo giustizia, allora, col metter da 
parte il tuo dovere e la tua gloria, commetterai peccato. (34) 
Inoltre, gli uomini parleranno sempre della tua vergogna; e per uno di cui si è 
sempre avuta un'alta opinione, il disonore è peggiore della (stessa) morte. (35) I 
grandi guerrieri penseranno che tu ti sia astenuto dal combattimento per paura; 
e andrai incontro al disprezzo di coloro dai quali tu eri pur ora molto stimato. (36) Molte 
parole disonorevoli pronunceranno i tuoi nemici, i quali si faranno beffe del 
tuo valore. Che cosa potrebbe essere dunque (per te) piú penoso di questo? (37) (Delle 
due l'una): o ucciso otterrai il cielo o, vincitore, ti godrai (questa) terra; 
sorgi, quindi, o figlio di Kuntì, deciso alla battaglia. (38) 
Ugualmente stimando piacere e dolore, vincita e perdita, vittoria e sconfitta 
apprestati dunque alla battaglia; non potrai così commettere peccato. (39) Questa 
è, (così) a te trasmessa, la sapienza del samkhya (o secondo ragione). 
Epperò ascolta quella (dello Yoga) che ora ti dirò; da una siffatta sapienza se 
sarai avvinto, o Partha, potrai sfuggire ai vincoli del karma 
(alle conseguenze delle tue opere). Yoga e mentalità 
mondana(40) Qui (in 
questo procedere o processo) non c'è cosa alcuna che neutralizzi lo sforzo, non 
c'è difficoltà (che tenga); anche un minimo di questo giusto procedere (di 
questo dharma) salva da grande paura. (41) In 
questo processo l'intelletto risoluto è unico, o gioia dei Kuru; (ma) in 
verità dalle molte ramificazioni e senza termini sono gli intelletti di quelli 
che non hanno fermo lo spirito. (42-43) I 
non-esperti (quelli che non vedono, gli stolti) che si compiacciono dei precetti 
vedici intesi alla lettera (delle parole dei Veda), quelli che dicono che non 
c'è altro, coloro il cui essere è desiderio e che hanno lo spirito fisso al 
cielo soprattutto, proclamano per l'appunto queste fiorite parole, le quali 
concludono al (concetto della) la rinascita come frutto delle azioni ed 
implicano molti riti speciali per ottenere il dominio e il godimento. (44) 
L'intelligenza distinguente di coloro che sono dediti al dominio e al godimento 
e le cui menti sono rapite da essi non può fissarsi decisa nella concentrazione 
Yogica. (45) I Veda 
riguardano il dominio dei tre guna (delle tre qualità o modi); ma tu 
dalle tre qualità diventa libero, o Arjuna; renditi libero dalle coppie 
degli opposti, col volere fermo alla somma realtà, senza curarti di acquistare e 
conservare, padrone del tuo vero Sé. (46) In quel 
modo che (si può dire che vi sia) utilità in una cisterna (situata) in un luogo 
che sia da ogni parte inondato dalle acque, in questo stesso modo (vi può essere 
utilità) in tutti i Veda per il Brahmano che è in grado di intendere. Operare senza interesse 
per i risultati(47) Tu hai 
un diritto particolare (o privilegio relativo alla condizione umana) all'azione, 
ma in nessun caso un diritto ai suoi frutti; non essere come uno che dipende dal 
frutto del karma; e non sia in te neanche attaccamento alcuno alla 
non-azione. (48) Ben 
saldo nello Yoga, compi le opere tue, o possessore della ricchezza, dopo aver 
messo da parte l'attaccamento, con la stessa disposizione d'animo rimanendo, nel 
successo e nella sconfitta: la mente in equilibrio (continuo) di indifferenza, 
ha il nome di yoga. (49) Di gran 
lunga inferiore è il (puro e semplice) agire all'equilibrio dell'intelletto 
aggiogato, o possessore della ricchezza; nell'intelletto cerca rifugio; tali da 
destare pietà son coloro che vanno alla ricerca del frutto (del loro agire). (50) Colui 
che ha raggiunto l'equilibrio dell'intelligenza aggiogata elimina anche in 
questo mondo tutti e due, il bene e il male. Lotta dunque per (realizzare) lo 
yoga; lo yoga è abilità nell'agire. (51) I saggi 
che, rinunciando al frutto, prodotto dal loro agire, realizzano l'unione del 
loro spirito (con l'essenza divina del mondo), dal legame delle nascite 
liberati, raggiungono una condizione stabile (o dimora) al di là di ogni male. (52) 
Allorché il tuo intelletto attraverserà la pienezza della delusione, allora 
appunto perverrai al disgusto per ciò che deve essere udito e per ciò che è 
stato udito. (53) 
Allorchè il tuo intelletto, che è disorientato dalla sruti, si ergerà fermo ed 
immoto nella somma coscienza, allora appunto raggiungerai lo yoga. I caratteri del 
perfetto sapienteAriuna 
disse:
 (54) Qual è 
la descrizione dell'uomo che possiede salda questa conoscenza, di colui che è 
fermo nella meditazione, o Kesava? L'uomo dal fermo spirito come dovrebbe 
parlare, come sedere, come camminare? Il Signore 
Beato disse: (55) Quando 
uno espelle tutti i desideri che son venuti nell'animo suo, o Partha, ed 
è di sé soddisfatto nell'intimo suo, allor appunto prende il nome di uomo dalla 
stabile capacità discriminativa. (56) Colui 
che ha l'animo libero da turbamento, pur in mezzo ai dolori, e va esente da 
desideri violenti, pur in mezzo ai piaceri, colui che è libero da passione, 
paura e collera, ha il nome di uomo di fermo spirito. (57) Colui 
che è privo d'affezione sotto ogni aspetto (che non prova attaccamento per cosa 
alcuna), che a seconda dei casi provando bene o male non gode, non detesta, di 
questo (uomo) l'intelletto è saldamente fondato (nella somma conoscenza). (58) 
Allorché uno ritrae i sensi dagli oggetti sensibili, da ogni parte, come la 
tartaruga le membra (nel guscio), di questo (uomo) l'intelletto è saldamente 
fondato (nella somma conoscenza). (59) Gli 
oggetti sensibili si ritraggono dall'anima incarnata di colui che si astiene dal 
fruirne: non così il gusto per essi. Ma anche il gusto per queste cose dilegua, 
dopo che si è visto il Supremo. (60) Anche 
dell'uomo che lotta (per raggiungere la perfezione) e che ben sa discernere, o 
figlio di Kuntì, i sensi distruttori con violenza rapiscono lo spirito. (61) Ed essi 
tutti (i sensi) padroneggiando, nell'equilibrio yogico stia fermo a me devoto 
(di me solo occupandosi); poiché è saldamente fondato nella somma conoscenza 
l'intelletto di colui sotto il cui controllo sono i sensi. (64) Ma un 
(uomo) che ha lo spirito sottomesso alla regola (vidhi) e che si muove 
fra gli oggetti dei sensi, con i sensi disgiunti da passione e avversione e 
dipendenti dalla sua volontà, (questi) raggiunge la purezza dello spirito. (65) E in 
(codesta) purezza di spirito è prodotta, così da appartenergli, la cessazione di 
tutte le pene; la capacità discriminatrice dell'uomo dallo spirito puro in breve 
termine si stabilisce (nella quiete del sé). (66) In 
colui che non ha raggiunto la saldezza del controllo non ci può essere capacità 
discriminatrice; né d'altra parte in colui che non ha raggiunto il controllo può 
darsi il potere di determinare l'esperienza fenomenica (concentrazione) e in 
colui che non ha un siffatto potere di concentrazione non c'è pace e, per colui 
che pace non ha, come può esserci felicità? (67) Quello 
spirito che si conforma ai sensi che perennemente si agitano, quello appunto 
trae seco la capacità di distinguere, come il vento (trascina qua e là) la nave 
sull'acqua (del mare). (68) Di 
conseguenza, o uomo dal forte braccio, colui i cui sensi siano per ogni verso 
distolti dagli oggetti sensibili, di quell'uomo appunto la capacità di 
distinguere è saldamente fondata. (69) In 
quella che è notte per tutti quanti gli esseri (in essa appunto) veglia colui 
che è padrone di sé; ed è notte per il saggio veggente ciò che per gli (altri) 
esseri è tempo di veglia (il tempo in cui gli altri esseri vegliano). (70) Colui 
nel quale tutti i desideri entrano, nello stesso modo in cui le acque entrano 
nel mare, che, sebbene continuamente ne sia rifornito, rimane tuttavia esente da 
movimento, un tale uomo appunto raggiunge la pace, e non già colui che è preda 
di tutte le passioni. (71) L'uomo 
che allontanando tutti i desideri agisce esente da desiderio, quegli appunto, 
distaccato dal proprio ego, senza orgoglio o egocentrismo, raggiunge la pace. (72) Questo 
è lo stato brahmanico, o Partha: e quando uno l'ha raggiunto non è 
possibile che (poi) si smarrisca spiritualmente; e in esso (stato) rimanendo 
anche nell'ora della morte, (si) raggiunge il nirvana identico alla 
realtà brahmanica. 
Questo è il secondo capitolo che ha per 
titolo   
 Se le cose stanno così, 
perché operare?Arjuna 
disse: (1) Se 
l'intendere tu ritieni che sia superiore all'agire, o Janardana, perché 
mai allora vuoi impormi (di compiere questo) terribile atto, o Kesava? (2) Con un 
modo di esprimerti che è per così dire ambiguo, tu hai l'aria di portar 
confusione nel mio intelletto. Dimmi dunque, con definita certezza, (quale sia) 
l'unica cosa per mezzo della quale io possa raggiungere il sommo bene.
 Vivere è operare; 
necessaria l'indifferenza per il risultatoIl Signore 
beato disse: (3) O (eroe) 
senza macchia, un duplice modo di trar conclusioni del genere in questo mondo è 
stato dianzi da me indicato, quello che si riferisce alla via della conoscenza, 
e riguarda i contemplativi, e quello che si riferisce alla via dell'operare, e 
riguarda gli uomini d'azione. (4) Non con 
il tenersi lontano dall'operare, può l'uomo arrivare a conquistare la libertà 
dall'agire; e non con la rinuncia al mondo, puramente e semplicemente, può 
raggiungere la perfezione. (5) E in 
verità proprio nessuno, nemmeno forse per un istante, può restar senza operare; 
ogni atto è qualcosa che si è indotti a compiere, in modo necessario, dalle 
qualità che hanno origine nella natura stessa. (6) Colui 
che, controllando gli organi dell'agire, di continuo però pone mente, con il 
(suo) spirito, agli oggetti dei sensi, costui dall'animo ambiguo è detto essere 
uno che agisce in modo menzognero. (7) Colui 
invece che, controllando i sensi con la sua mente, o Arjuna, senza 
attaccamento intraprende la strada dello Yoga sulla base degli organi 
dell'agire, questi (sugli altri) eccelle. (8) Tu, 
compi l'opera che ti è stata affidata, che davvero l'agire meglio è del non 
agire; perfino mantenere il tuo corpo non sarebbe possibile senza l'agire. (9) Escluso 
l'agire che è in funzione di sacrificio (agire non vincolante -N.T.), questo 
mondo qui è vincolato all'azione; e in funzione di ciò appunto (in funzione 
sacrificale), o figlio di Kuntì, compi l'opera tua, libero da 
attaccamento. (10) Nei 
tempi antichi, il Signore delle creature, creando le generazioni degli uomini 
insieme con il sacrificio, disse: "Con questo voi procreate e questa sia per voi 
la vacca dell'abbondanza che realizzerà i vostri desideri". (11) Per 
mezzo di esso sostentate gli dei ed essi, gli dei, vi sostentino; reciprocamente 
sostentandovi, attingerete il sommo Bene. (12) E gli 
dei appunto, sostentati dal sacrificio, a voi daranno le gioie desiderate. Colui 
che gode di questi doni, senza restituirli ad essi, è veramente un ladro. (13) I buoni 
che mangiano i resti del sacrificio si liberano di tutti i peccati; ma quei 
malvagi che mettono a cuocere (il cibo) per se stessi, costoro veramente 
mangiano peccato. (14) Dal 
cibo le creature hanno l'esistere; dalla pioggia ha origine il cibo; dal 
sacrificio la pioggia ha l'esistere e dall'operare il sacrificio nasce. (15) Sappi 
che il karma, l'operare stesso, ha origine in Brahma e che il 
Brahma ha origine dall'Assoluto. Epperò il Brahma, che tutto 
compenetra, eternamente si appoggia sul sacrificio. (16) Colui 
che non dà il suo aiuto (per girare) in questo mondo la ruota (del divenire 
terreno) che così intorno si volge, (è un) mascalzone, uno che cerca il piacere 
dei sensi (e) vive invano, o Partha. Sii contento del Sé(17) Colui 
però che sia tale da godere solo del Sé, l'uomo che del Sé è contento, che del 
Sé completamente si soddisfa, (quest'ultimo è tale che) per lui non esiste cosa 
che deva essere necessariamente fatta. (18) Né 
d'altra parte ci può essere alcun suo interesse in azione da lui compiuta, in 
questo mondo, né, in alcun modo, in azione che egli non abbia compiuta. Né, 
ancora, in tutti (questi) esseri può egli trovare in alcun modo protezione per i 
suoi interessi. (19) Perciò 
realizza sempre senza attaccamento l'atto che deve esser compiuto perché davvero 
l'uomo, compiendo l'opera senza attaccamento, attinge la Suprema Realtà. Siate d'esempio agli 
altri(20) Per 
mezzo delle opere appunto Janaka e gli altri si trovarono a conseguire la 
perfezione; avendo insieme anche lo sguardo alla conservazione del mondo, devi 
tu operare. (21) 
Qualsiasi cosa compia un uomo sommo, quella appunto (fanno) anche gli altri 
uomini; quel modello che egli stabilisce, esso appunto la gente segue. (22) Non c'è 
nulla, affatto, o Partha, nei tre mondi, che io debba fare né alcuna cosa 
che debba ottenere, che non sia stata da me ottenuta; e però mi trovo nella 
condizione di chi è (impegnato) nell'operare (pur senza essere effettivamente 
impegnato - N.T.). (23) Se io 
non mi mettessi nella condizione di chi è impegnato sempre infaticabilmente 
nell'operare, gli uomini, o Partha, in tutte le guise seguirebbero le mie 
orme (come sempre fanno - N.T.). (24) 
Sparirebbero questi mondi, se io non dessi piú luogo a questo mio operare e 
sarei allora il creatore del disordine e sarei io stesso a causare la 
distruzione di queste creature. (25) Come 
gli ignoranti agiscono nell'attaccamento al loro operare, così appunto gli 
uomini istruiti e consapevoli devono agire senza attaccamento, in vista di 
realizzare la conservazione del mondo. (26) Che 
(colui che sa) non faccia nascere aberrazione mentale negli spiriti degli 
ignoranti che sono attaccati all'operare. Colui che sa deve far compiere tutte 
le opere, agendo nello spirito yogico del raggiunto equilibrio. Il Sé non agisce(27) Le 
opere di ogni genere sono compiute dai modi della natura; (ma) colui che è 
traviato dal sentimento del proprio ego pensa: "sono io colui che fa". (28) Ma 
colui che conosce la sostanza delle due distinzioni (del Sé) dai modi della 
natura e dall'operare (che ad essi pertiene), o eroe dal braccio possente, 
pensando sono i modi ad agire sui modi, non patisce attaccamento. (29) Coloro 
che sono fuorviati dai modi naturali patiscono attaccamento agli atti prodotti 
dalle qualità naturali stesse. Che nessuno dotato di scienza completa del tutto, 
faccia deviare le menti di costoro che hanno una scienza solo parziale. (30) 
Abbandonando a me le opere tue, con la mente fissa al Primo Sé, libero dai 
desideri, esente da egoismo, combatti, libero da (codesta tua) febbre. (31) Quegli 
uomini che, dotati di fede (e) liberi da sentimenti ostili (desiderio di 
discutere), di continuo si adeguano a questo mio insegnamento, son liberati 
dalle opere. (32) Coloro 
invece che biasimando il mio insegnamento non lo seguono, questi appunto sappi 
che restano smarriti di fronte ad ogni sapienza, perduti e senza (porre) mente a 
nulla. (33) In modo 
conforme alla sua propria natura agisce anche l'uomo che ha conoscenza. Gli 
esseri seguono (in genere) la loro propria natura. Che cosa mai potrà fare la 
coercizione? (34) 
Attrazione e ripulsa che nascono da un senso si trovano ad esser fissati nei 
riguardi degli oggetti di (quel determinato) senso (cioè: ogni oggetto 
sensibile produce naturalmente attrazione o avversione, nel senso che gli si 
riferisce - N.T.). Sotto il dominio di queste cose mai venga alcuno, perché 
rappresentano per lui (gli eterni) due nemici. (35) è 
migliore la legge intrinseca che a ciascuno pertiene, anche se solo 
inadeguatamente si riesca a praticarla, che non la legge altrui, anche se ben 
praticata. Migliore è la morte nel compimento della legge che ci compete, 
(perché) (l'attuazione del) la legge altrui porta con sé pericolo. Il Nemico è Passione e 
IracondiaArjuna 
disse: (36) Ma 
allora da che cosa aggiogato un uomo commette peccato, anche contro la sua 
volontà, o Varsneya, come per forza costretto? Il Signore 
beato disse: (37) Tale 
(come tu dici) è la brama, tale è l'ira, ed esse nascono da quel modo della 
natura che è il rajas, la passione, che tutto divora, 
tremendamente peccaminosa. Sappi che questo è, nel nostro mondo qui, il nemico. (38) Come 
dal fumo è coperto il fuoco, come dalla polvere lo specchio, come dall'utero 
l'embrione, così questo mondo è ricoperto da quello (dal rajas, 
dalla passione). (39) 
Avviluppata è la conoscenza da questo eterno nemico del saggio, o figlio di 
Kuntì, dal fuoco del desiderio, difficile da soddisfare, che assume forme a 
suo piacimento. (40) I 
sensi, la mente, la facoltà di distinguere son chiamati il suo seggio; con 
questi avviluppando la conoscenza, esso svia l'anima incarnata. (41) Quindi 
tu, o migliore fra i Bharata, dal principio controllando i sensi, uccidi 
il maligno distruttore della scienza e della conoscenza distinguente. (42) 
Eccellenti sono i sensi, essi dicono, dei sensi piú grande è la mente, piú 
grande della mente è l'intelligenza distintiva, ma piú grande (ancora) 
dell'intelligenza è Lui (maschile nel testo). (43) Così 
essendo venuto a conoscere colui che è al di là dell'intelligenza distinguente, 
rinsaldando il sé (inferiore) per mezzo del Sé, uccidi, o eroe dal forte 
braccio, il nemico che ha la forma del desiderio e che è così duro da 
affrontare. 
Questo è il terzo capitolo che ha per 
titolo   
 
La tradizione dello Jnana YogaIl Signore 
Beato disse: (1) Questo 
yoga imperituro io già proclamai a suo tempo a Vivasvan; Vivasvan 
lo espose a Manu e Manu lo descrisse a Iksvaku.
 (2) Così 
trasmesso dall'uno all'altro lo conobbero i reali profeti (finché) quello yoga 
si perse in questo nostro mondo, per il gran trascorrer del tempo, o uccisor dei 
nemici. (3) Appunto 
questo antico yoga ti è stato oggi esposto da me; perché tu sei il mio fedele e 
il mio amico; questo è appunto il sommo segreto. Arjuna 
disse:
 (4) 
Posteriore è stata la nascita di (Tua) Vostra Signoria, anteriore invece la 
nascita di Vivasvan: in che modo si deve dunque intendere il fatto che Tu 
al principio gli abbia esposto queste cose? La Teoria degli AvataraIl Signore 
Beato disse: (5) Molte 
sono le mie vite passate e così anche le tue, o Arjuna; io, le conosco 
tutte, ma tu non le conosci, o distruttore dei nemici. (6) Sebbene 
sia non-nato e sia inalterabile nel Sé, sebbene sia il signore delle creature, 
pur essendo saldamente fondato in quella natura che mi è propria, io vengo 
all'essere (empirico) attraverso il potere che mi appartiene. (7) Laddove 
ha luogo un declino del giusto, o Bharata, e l'affermarsi 
dell'ingiustizia, allora io creo me stesso nella forma dell'incarnazione. (8) Per la 
protezione dei buoni, per la distruzione dei malvagi, per dare stabile 
fondamento al regno della giustizia, io vengo nell'esistere di età in età. (9) Colui 
che conosce nella loro autentica essenza la mia divina nascita e il mio operare, 
non avrà altra nascita, ma a me egli verrà, o Arjuna. (10) Liberi 
da passione, paura ed ira, in me consistenti (fatti di me), in me rifugiati, 
molti purificati dalla pratica austera della conoscenza, hanno raggiunto la mia 
condizione di essere. (11) Quando 
gli uomini vengono a me, allora appunto io li accolgo; da tutte le parti 
(seguono il mio cammino) sulle mie orme insistono gli uomini, o Partha. (12) Coloro 
che desiderano la fruizione delle loro opere, sacrificano in questo mondo agli 
dei (cioè alle varie forme della divinità - N.T.), perché rapido (effimero) è in 
questo mondo umano il godimento delle conseguenze delle opere. L'essenzialità 
dell'assenza del desiderio nell'opera divina(13) Il 
sistema delle quattro caste fu creato da me secondo la suddivisione delle 
qualità e delle opere. Sappi che io, sebbene sia il creatore, sono uno che non 
agisce e non muta. L'agire senza 
attaccamento non porta alla condizione di vincolo(14) Le 
opere non mi rendono impuro; in me non ha sede desiderio alcuno di frutto; colui 
che così mi conosce non riceve vincolo dall'operare. (15) Con 
questa consapevolezza si dette luogo all'operare anche da parte degli uomini 
antichi che anelavano alla liberazione. Per questo compi anche tu l'opera (come) 
compiuta dagli antichi nei tempi andati. Agire e non-agire(16) Che 
cos'è l'agire? Che cos'è il non-agire? A questo proposito, anche gli antichi 
saggi-poeti sono esitanti. Io ti rivelerò che cos'è l'agire, e ciò conoscendo 
sarai liberato dal male. (17) Si deve 
intendere che cosa sia l'agire e così anche s'ha da intendere che cosa sia 
l'agire non-retto e bisogna intendere che cosa sia il non-agire. Estremamente 
ardua è la strada dell'agire. (18) Colui 
che vede nell'agire il non-agire e l'agire nel non-agire, quegli è saggio fra 
gli uomini, quegli è uno che ha realizzato l'unione e che ha portato del tutto a 
compimento l'opera sua. (19) Colui 
le cui imprese sono tutte esenti dall'atto di volizione che procede dal 
desiderio, colui le cui opere sono bruciate al fuoco del conoscere, questo, 
appunto, i sapienti chiamano un uomo di sapere. (20) Avendo 
dismesso l'attaccamento al frutto dell'operare, sempre soddisfatto, senza 
doversi appoggiare ad alcunché, egli non fa nulla, sebbene sia sempre occupato 
ad agire. (21) Se non 
ha desideri, (se vive) con il controllo del proprio pensiero e del proprio sé, 
per esser uno che ha rinunciato ad ogni forma di possesso, dando luogo ad un 
agire del tutto limitato alla sfera corporea, non commette male. (22) Colui 
che rimane soddisfatto del guadagno fortuito, che ha superato il regno del due, 
che è libero da sentimenti ostili, (che è) uguale (a se stesso) nel successo e 
nell'insuccesso, anche agendo, non rimane soggetto a vincoli. (23) 
L'operare dell'uomo il cui attaccamento è scomparso, che ha raggiunto la 
liberazione, il cui spirito è saldamente fondato nel conoscere, che opera come 
per un sacrificio, si dissolve completamente. (24) (Per 
quest'ultimo) l'atto dell'offrire è Brahma, Brahma è l'offerta 
stessa rituale; da Brahma è versata (l'azione che si identifica con il 
sacrifizio) nel fuoco sacrificale. Da colui che realizza Brahma nel suo 
operare, Dio è ciò che deve esser attinto. Il sacrificio e il suo 
valore simbolico(25) Alcuni
yoginah offrono il (divino) sacrificio come rivolto agli dei, altri 
(invece) offrono il sacrificio per il sacrificio (per mezzo del sacrificio) nel 
fuoco di Brahma. (26) Altri 
sacrificano l'udito e gli altri sensi nel molteplice fuoco del controllo di sé; 
altri offrono il suono e gli altri oggetti di senso nel fuoco molteplice del 
senso. (27) Altri 
ancora offrono tutti gli atti dei loro sensi e gli atti del flusso vitale (prana) 
nel fuoco dello yoga dell'autocontrollo, acceso dalla conoscenza. (28) Altri, 
in simile modo, son quelli che offrono sacrifici materiali (oppure) il 
sacrificio della loro vita da penitenti (oppure) il sacrificio degli esercizi 
yogici; ed altri ancora, asceti che osservano i voti, (son quelli che) offrono 
in sacrificio i loro studi e la loro dottrina. (29) Altri 
poi similmente, interamente dediti al controllo del respiro, arrestando i 
movimenti di espirazione ed inspirazione, sacrificano il fiato che inspirano in 
quello che espirano e il fiato che espirano in quello che inspirano. (30) Altri 
(poi), che son coloro che limitano il cibo, sacrificano i flussi 
vitali (immergendoli) negli stessi flussi vitali. Tutti costoro nell'insieme 
sono quelli che sanno che (cosa) sia il sacrificio, e (sono coloro che) 
distruggono le impurità per mezzo del sacrificio. (31) Coloro 
che mangiano il cibo sacro che resta del sacrificio attingono l'eterno Brahma; 
questo mondo non è di colui che non offre alcun sacrificio: come (potrebbe 
esserlo) un altro (mondo), o ottimo fra i Kuru (Arjuna)? (32) Così 
dunque varie forme di sacrificio si dispiegano nel volto del Brahman. 
Sappi che esse tutte nascon dall'operare e, così sapendo, avrai la liberazione. Conoscere ed Operare(33) La 
conoscenza come sacrificio è maggiore di ogni sacrificio materiale, o distruttor 
dei nemici; ogni opera, senza escluderne alcuna assolutamente, interamente si 
risolve nel conoscere. (34) Impara 
ciò con sentimento di sottomissione, formulando questioni e con reverente 
rispetto. Gli uomini che sanno e che hanno avuto la conoscenza immediata della 
verità ti mostreranno l'oggetto del conoscere. Elogio del conoscere(35) E 
quando tu avrai conosciuto questo, non cadrai di nuovo, o Pandava, nella 
confusione (di prima); per questo mezzo potrai vedere gli esseri tutti senza 
esclusione, nel Sé, quindi, in Me. (36) Anche 
se tu fossi il piú (grande) peccatore di tutti i malvagi, potrai passare 
attraverso ogni peccato e superarlo, con il solo mezzo della nave del conoscere. (37) Come il 
fuoco che arde riduce in cenere ciò che lo alimenta, o Arjuna, così il 
fuoco del conoscere riduce in cenere tutte le opere. (38) Non si 
conosce su questa terra mezzo di purificazione che sia pari al sapere; colui che 
ha raggiunto la perfezione yogica lo trova, coll'andar del tempo, nel suo 
proprio sé, come qualcosa che gli appartiene. La fede è necessaria 
per il raggiungimento della conoscenza(39) Colui 
che ha fede, che ha ciò (la conoscenza-sapienza) per fine supremo, colui che ha 
il controllo dei sensi consegue la conoscenza-sapienza e, avendo conseguito la 
conoscenza, ben presto raggiunge la pace suprema. (40) Ma 
colui che è completamente privo di conoscenza, colui che non ha fede, che ha 
l'animo dubbioso, perisce. Per colui che ha l'animo dubbioso non c'è né questo 
mondo, né un altro, non c'è felicità. (41) Le 
opere non vincolano colui che ha rinunciato alle opere attraverso lo yoga, che 
ha distrutto i dubbi attraverso la conoscenza e che ha il dominio di sé, o 
possessore della ricchezza. (42) Perciò, 
dopo aver tagliato con la spada della conoscenza questo dubbio che ha preso sede 
nel tuo cuore e che è opera dell'ignoranza, ricorri allo yoga e sorgi, o 
Bharata. 
Tale è il quarto capitolo intitolato   
 Samkhya e Yoga portano 
allo stesso fineAriuna 
disse:
 (1) Tu lodi, 
o Krsna, (nel contempo) la rinuncia alle opere e poi anche lo yoga (che 
comporta la loro realizzazione senza attaccamento). Quale delle due cose sia 
migliore (che una dov'essere), dimmi, come cosa ben stabilita. Il Signore 
Beato disse: (2) La 
rinuncia alle opere e il compierle senza intenzione egoistica son cose, tutte e 
due, che danno luogo a quella felicità della quale non c'è una maggiore. Ma dei 
due (termini dell'alternativa) il compiere le opere senza intenzione egoistica è 
superiore alla (pura e semplice) rinuncia alle opere (stesse) (3) Colui 
che non odia, che non ha desideri deve essere chiaramente conosciuto come colui 
che è sempre permeato dello spirito della rinuncia; in quanto è esente dalla 
dualità, o eroe dal braccio possente, egli è facilmente libero da legame. (4) Gli 
sciocchi proclamano che il Samkhya e lo Yoga sono due cose separate, ma 
non così proclamano coloro che sanno. Colui che si dedica in modo compiuto anche 
ad una (sola dottrina), ottiene il frutto di tutte e due. (5) Quella 
condizione che è attinta da coloro che seguono la via della rinuncia (e della 
conoscenza intellettiva), essa appunto è raggiunta anche dagli uomini che 
seguono la via dell'operare. Colui che vede essere una sola (via) le vie della 
rinuncia e dell'azione, quello appunto vede (veramente). (6) Ma la 
rinuncia, o uomo dalle braccia possenti, difficile è da ottenere senza lo Yoga. 
L'asceta che si dedica alla via dello yoga (del karmayoga), attinge ben 
presto l'Assoluto. (7) Colui 
che dedicandosi costantemente alla via dello Yoga ha l'animo puro, colui che ha 
vinto se stesso, che è signore dei sensi, il cui sé è divenuto il sé di tutti 
gli esseri, anche se opera, non è macchiato (dal suo operare). (8-9) "Io 
non faccio in realtà cosa alcuna": così può pensare colui che ha raggiunto 
l'unità con il divino e che conosce la verità delle cose; vedendo, udendo, 
avvertendo sensazioni tattili, percependo odori, gustando sapori, camminando, 
dormendo, respirando, parlando, respingendo, afferrando, aprendo gli occhi, 
chiudendoli, pur nell'atto di far tutto ciò, si rende conto del fatto che sono i 
sensi a volgersi intorno agli oggetti dei sensi. (10) Colui 
che opera, dopo aver rinunciato all'attaccamento, deponendo le sue opere in 
Brahma, lui appunto non è macchiato dal peccato, così come foglia di loto 
non (è toccata) dall'acqua. (11) Gli 
yoginah (qui, coloro che seguono la via dell'azione) compiono le loro opere 
con il corpo, con la mente, con la capacità discriminatrice intellettiva o anche 
soltanto coi sensi, rinunciando all'attaccamento, per purificare i loro sé 
individuali. (12) Colui 
che realizza lo yoga secondo questi principii, rinunciando al frutto del suo 
operare, raggiunge la pace che non vacilla, ma colui che cosi non realizza lo 
yoga, essendo condizionato dai suoi desideri e restando attaccato al frutto 
dell'azione, subisce (di conseguenza) la legge del vincolo. (13) L'anima 
incarnata, col rinunciare a tutte le azioni per un atto interiore, padrona di 
sé, a suo agio dimora nella città dalle nove porte, senza operare e senza far 
operare. (14) Il 
Sommo non crea ciò che dà luogo agli atti, non gli atti stessi che gli uomini 
compiono, non (crea) la connessione del frutto con l'opera (che ne è 
condizione); ma la natura stessa delle cose esprime (tutto ciò). (15) Colui 
che tutto compenetra non assume su di sé il merito di alcuno, né di alcuno il 
peccato. La conoscenza è avvolta nell'ignoranza; per questo, le creature sono 
smarrite. (16) Coloro 
negli spiriti dei quali l'ignoranza è distrutta dalla conoscenza, di costoro la 
conoscenza manifesta, simile a sole splendente, l'Essere SOMMO. (17) Coloro 
che hanno lo spirito pieno di Quello, che a Quello volgono le anime loro, che su 
Quello si fondano, che hanno Quello per fine principale (della loro pietas) 
attingono una condizione dalla quale non si torna indietro, essi che per mezzo 
della conoscenza fanno cader via le sozzure. (18) I saggi 
son tali da vedere con lo stesso occhio un brahmano, di sapienza e modestia 
dotato, una vacca, un elefante, un cane e un uomo che (non appartiene a casta 
alcuna) mangi carne di cane. (19) Anche 
in questo mondo qui la condizione mondana è vinta da coloro il cui spirito si 
fonda sul perfetto equilibrio. Brahma è esente da macchia ed è identico a 
sé; di conseguenza essi sono saldamente fondati nella realtà divina. (20) Non ci 
si deve rallegrare nell'ottenere ciò che ci piace, né rattristare per aver in 
sorte ciò che non ci piace: colui che (in questo modo) è fermo nell'intelletto, 
fermo nell'animo, lui che conosce il Brahman, nel Brahman 
saldamente è fondato. (21) Colui 
che non ha l'animo attaccato alle sensazioni relative agli oggetti esterni, 
trova quella felicità che ha sede nel Sé. Questi, che per mezzo dell'azione 
yogica, ha raggiunto l'equilibrio nel Brahman, gioisce di una imperitura 
felicità. (22) Quei 
piaceri, quali che siano, che nascono dal contatto con gli oggetti, sono 
soltanto fonte di dolore, hanno un principio ed una fine, o figlio di Kuntì; 
di essi non gode il saggio. (23) Chi è 
capace di aver la meglio, anche in questo mondo, sugli impulsi del desiderio e 
dell'ira, prima della liberazione dal corpo, quegli appunto è uno che ha 
raggiunto l'equilibrio interiore, quegli è un uomo felice. La pace che sgorga dal 
di dentro(24) Colui 
che possiede la felicità interiore, che possiede la letizia interiore ed è, 
parimenti, dotato di una luce interiore, quello yogin, sustanziato di 
Dio, attinge la divina beatitudine. (25) 
Conseguono la divina beatitudine i santi veggenti i cui peccati sono ridotti a 
nulla, il cui ondeggiare fra due termini è spezzato (i cui dubbi sono fugati), 
che hanno raggiunto l'equilibrio spirituale e che provano piacere nel bene di 
tutti gli esseri. (26) Presso 
gli asceti che si sono liberati del desiderio e dell'ira, che hanno sottomesso i 
loro spiriti e che conoscono il Sé si trova la beatitudine Brahmanica. (27-28) 
Rendendo del tutto estranee le percezioni relative agli oggetti esterni, e 
concentrando lo sguardo fra le due sopracciglia, rendendo uguali ispirazione ed 
espirazione moventisi all'interno delle narici, il saggio che ha vinto i sensi, 
l'animo, la capacità discriminante, che è tutto fisso al fine della liberazione, 
che si è liberato del desiderio, del timore, dell'ira, quello appunto davvero è 
per sempre libero. (29) Ed 
avendo conosciuto me come colui che gode dei sacrifici e delle penitenze, gran 
signore del mondo intero, amico di tutti gli esseri, raggiunge la pace. 
Questo è il quinto capitolo intitolato   
 Rinuncia e azione sono 
una sola cosaIl Signore 
beato disse:
 (1) Colui 
che compie l'opera, che deve compiere, senza prendere in considerazione il 
frutto dell'opera stessa, quegli è il vero samnyasin (operatore di 
rinuncia), quegli è il vero yogin (che agisce nella rinuncia), non colui 
che non accende il fuoco sacro e che non compie i riti. (2) Ciò che 
chiamano rinuncia sappi essere attività nell'autocontrollo, o Pandava, 
che in nessun modo può diventare uno yogi (attivo nell'autocontrollo) chi 
non ha messo da parte i suoi desideri egoistici. Il mezzo ed il Fine(3) L'agire 
è detto essere il mezzo del saggio desideroso di attingere lo yoga; la calma 
profonda è detta essere il mezzo di colui che si è elevato ad attingere lo yoga. (4) Quando 
l'asceta non è piú, in verità, attaccato agli oggetti sensibili ed alle opere ed 
ha rinunciato a tutti i suoi desideri egoistici, allora si dice che si è elevato 
ad attingere lo yoga. (5) Che 
(l'uomo) elevi se stesso per mezzo di se stesso; che egli non degradi se stesso; 
solo il Sé è amico del sé, solo il Sé è nemico del sé. (6) Il Sé è 
amico del sé di colui, per il quale il sé è stato vinto dal Sé, ma contro colui 
che non possiede il Sé, quello che è il Sé autentico in ostilità si potrà 
volgere, come nemico. (7) Il Sé 
sommo di colui che ha conseguito vittoria sul suo sé e che ha (di conseguenza) 
raggiunto la serenità (del dominio di sé) è tutto inteso a se stesso, nel freddo 
nel caldo nella felicità nella sventura, e ugualmente nell'onore e nel disonore. (8) Lo 
yogin la cui anima si soddisfa della sapienza e della conoscenza, 
immutabile, padrone dei sensi, per il quale un pugno di terra, un sasso, un 
pezzo d'oro sono la stessa cosa, si dice aver raggiunto l'equilibrio yogico. (9) Colui 
che ha lo stesso atteggiamento spirituale nei confronti degli amici e dei 
compagni, dei nemici e degli indifferenti, degli imparziali, di quelli che hanno 
odio e di quelli che sono parziali, nei confronti dei santi e ugualmente dei 
peccatori, quegli si distingue (fra tutti). Ha importanza 
fondamentale il controllo continuo dello spirito e del corpo(10) Lo 
yogin deve continuamente fissare la mente sul Sé universale, in solitudine 
restando, tutto solo, nel dominio del proprio spirito, esente da desideri e 
libero dal desiderio di appropriarsi di qualcosa. (11) Dopo 
aver fatto mettere in un posto pulito il suo solito seggio, non troppo elevato 
né troppo basso, coperto di erba, di una pelle d'antilope, di una veste, una 
cosa sull'altra, (12) allora, 
messosi sul seggio, fissando la mente su un unico punto, avendo messo sotto 
controllo le attività del pensiero e dei sensi, che egli pratichi lo Yoga per la 
purificazione del sé. (13-14-15) 
Sempre allo stesso modo mantenendo immoti il corpo la testa e il collo, stando 
fermo, guardando fissamente la punta del proprio naso e senza guardare lo spazio 
d'intorno, coll'animo tranquillo e senza paura, saldo nel voto di castità 
dell'aspirante brahmano, dopo aver domato la sua psiche, col pensiero a 
me fiso, coll'animo in armonia sieda, col pensiero a me solo intento. Lo yogin 
che ha sottomesso il suo animo, tenendo sempre se stesso così armonizzato, 
raggiunge la pace, il supremo nirvana, che in me ha la sua sede. (16) Ma lo 
Yoga non è in verità di colui che troppo mangia, né di colui che non mangia 
affatto (che troppo si astiene dal mangiare); non è di colui che ha l'abitudine 
del troppo sonno o di colui che (troppo) veglia, o Arjuna. (17) 
Dell'uomo che è misurato negli alimenti e nel riposo, di colui che 
appropriatamente agisce negli atti della vita, di colui che con misura dorme e 
sta sveglio, diventa proprio lo Yoga che distrugge la differenza. Lo Yogi perfetto(18) 
Allorchè la mente che ha raggiunto l'equilibrio è fondata sul Sé e solo su di 
esso, esente da desideri, da tutte le passioni, si dice allora che ha raggiunto 
l'equilibrio yogico. (19) Come 
una lampada che sta al riparo dal vento non si muove, cosi è dello yogin che ha 
sottomesso il suo spirito e che realizza l'unione col Sé. (20) Ciò in 
cui il pensiero si ferma, bloccato dalla pratica della meditazione, ciò in cui 
(l'asceta) vedendo il Sé attraverso il sé, gode del Sé, (21) ciò che 
egli conosce quale suprema gioia, accessibile alla capacità discriminativa e al 
di sopra dei sensi e in cui una volta presa stabile dimora non si muove dalla 
verità, (22) quella 
conquista della quale l'asceta, una volta che l'abbia ottenuta, pensa che non 
possa esservi una superiore, nella quale, una volta presa stabile dimora, non è 
piú scosso neanche dalla sciagura che è di per sé la piú grave; (23) si 
conosca come quello che chiamano Yoga questo distacco dalla somma delle cose che 
danno dolore; questo Yoga dev'essere realizzato con sicurezza e con animo per 
nulla afflitto (sereno). (24) 
Rinunciando a tutti, senza eccezione, i desideri che sorgono dalla brama 
egoistica, con la mente tutti i sensi frenando da ogni parte, (25) che 
egli a poco a poco cessi di agire, per mezzo della capacità discriminatrice 
sostenuta dalla fermezza; avendo la mente fissa sul Sé, non pensi ad alcuna 
altra cosa. (26) Per 
qualsiasi cosa la mente si manifesti esagitata ed instabile, frenandola, la 
conduca sottomessa solo al Sé eterno. (27) Perché 
la felicità somma sopravviene allo yogin dallo spirito calmo, le cui 
passioni si siano calmate e che, senza macchia, è divenuto una cosa sola con 
Brahma. (28) Lo 
yogin che si è liberato di ogni sozzura, cosi tenendo il sé in costante 
armonia, con facilità esperisce l'infinita beatitudine del tatto di Brahma. (29) Colui 
il cui sé ha raggiunto l'armonia dello yoga pensa il Sé in tutti gli esseri e 
tutti gli esseri nel Sé, dappertutto egli vede (o immediatamente pensa) nello 
stesso modo. (30) Per 
colui che vede me dappertutto e vede tutto in me io mai non perisco né mai lui 
perisce per me. (31) Lo 
yogin che nell'unità stando onora me come in tutti gli esseri presente, in 
me vive, da qualsiasi parte si volga. (32) Colui 
che dappertutto considera ugualmente in simiglianza di se stesso, (prendendo se 
stesso come punto di riferimento per giudicare gli altri nello stesso modo), sia 
per le cose piacevoli sia per le spiacevoli, quello è considerato uno yogin 
perfetto, o Arjuna. Il controllo del manas 
(insieme degli agglomerati psichici) è difficile ma è possibileArjuna 
disse: (33) Di 
questo yoga che da te è spiegato in termini di armonia dello spirito, o 
Madhusudana, non vedo lo possibilità di una fondazione stabile, a causa 
dell'irrequietezza del manas (delle forze psichiche). (34) Perché 
l'insieme delle forze psichiche è irrequieto, o Ksrna, è dotato di forza 
disgregatrice, è forte, è difficile da rimuovere. La possibilità di controllarlo 
io penso sia tanto poco agevole, quanto poco lo è controllare il vento. Il Signore 
Beato disse: (35) Senza 
dubbio, o signore dal forte braccio, il manas (il complesso delle forze 
psichiche) è difficile da controllare ed è irrequieto; tuttavia, o figlio di 
Kuntí, se ne può aver ragione per via d'esercizio e con la pratica. 
Dell'Indifferenza. (36) Lo yoga 
è difficile da realizzare, così io penso, da parte di uno che non ha il 
controllo di sé; invece, può esser realizzato da parte di uno che, avendo 
l'animo domato, si sforzi con i propri mezzi. Arjuna 
disse: (37) Colui 
che, sebbene partecipe di fede, non riesca a realizzare l'ascesi, avendo l'animo 
che trascorre via dallo Yoga, non potendo raggiungere la perfezione yogica, per 
quale via deve andare egli o Krsna? (38) Non è 
forse vero che colui che ha fallito e l'una e l'altra via perisce come una 
nuvola dispersa, senza che possa appoggiarsi ad alcunché, o eroe dal braccio 
possente, (e vaga) smarrito sulla strada che porta al Brahman? (39) Tu, o
Krsna, dovresti dissipare completamente questo mio dubbio, che davvero 
altri all'infuori di te non esiste, che sia in grado di dissiparlo. Il Signore 
beato disse: (40) O 
Partha, né in questo mondo né nell'altro può egli perire; perché nessuno che 
operi nobilmente percorre, mio caro, la strada della sventura. (41) Avendo 
raggiunto il mondo dei bene-operanti (e quivi) per molti e molti anni avendo 
dimorato, colui che (per l'addietro) ha abbandonato la via dello Yoga, di nuovo 
rinasce nella casa di quelli che son mondi da macchia e son ricchi di qualità.
 (42) Oppure 
nasce nella stirpe degli yoginah che sono saggi: ché in verità una 
nascita del genere è piú difficile da ottenere nel mondo. (43) In 
questa condizione egli riassume i modi della concentrazione interiore, che erano 
già appartenuti alla vita anteriore, e attraverso di essi ancora di piú si 
sforza per la perfezione, o gioia dei Kuru. (44) Da 
quella sua pratica anteriore egli è trascinato (ad operare yogicamente) senza 
che egli possa nulla in contrario; anche colui che desidera la conoscenza yogica 
sfugge ai limiti della sacra parola vedica. (45) Ma lo
yogin completamente mondo da peccati, che lotta con sforzo continuo, 
perfezionandosi attraverso parecchie nascite, con questi mezzi raggiunge il 
supremo fine. Lo Yogin Perfetto(46) Lo 
yogin è superiore agli asceti; e anche rispetto a quelli che conseguono la 
conoscenza è ritenuto superiore lo yogin; anche degli uomini che compiono 
i riti lo yogin è superiore: per questo diventa uno yogin, o 
Arjuna. (47) E di 
tutti gli yoginah colui che rende culto a me, pieno essendo di fede, con 
il sé interiormente in me rifugiato, quello appunto è da me ritenuto essere 
colui che meglio ha realizzato lo Yoga. 
Questo è il sesto capitolo che è intitolato   
 Dio è natura e spiritoil Signore 
Beato disse: (1) Questo 
ascolta, o Partha, come (cioè) senza dubbio conoscerai me pienamente, in 
me l'animo intendendo, realizzando lo Yoga (e) in me avendo il rifugio. (2) Io ti 
farò partecipe di questa sapienza e della giusta conoscenza che l'accompagna: 
quando uno abbia questa sapienza nessun'altra cosa resta in questo mondo, che 
debba ancora essere conosciuta. (3) Fra 
mille uomini è difficile che pur uno soltanto si sforzi di raggiungere la 
perfezione e di coloro che pur si sforzano e raggiungono la perfezione, è 
difficile che pur uno riesca a conoscermi in verità. Le due nature del 
Signore(4) La 
terra, l'acqua, il fuoco, l'aria, l'etere, il manas e la capacità 
discriminante, il senso di sé, tutto questo costituisce la mia natura in otto 
forme divisa. (5) Questa è 
la (mia) realtà inferiore relativa a questo mondo qui. Conosci però l'altra mia 
superiore natura, che consiste nella vita, o eroe dal forte braccio, da cui 
questo mondo è sostenuto (nell'essere). (6) Renditi 
conto del fatto che tutti gli esseri hanno questa origine. Io sono l'Origine del 
mondo intero e ne sono nel contempo la dissoluzione. (7) 
Superiore a me non c'è cosa alcuna, o possessore della ricchezza, tutto questo 
mondo è intessuto su di me, come perle (legate) in un filo. (8) lo sono 
nelle acque il sapore, o figlio di Kuntí, nella luna e nel sole io sono 
la luce; sono la sillaba sacra AUM in tutti i Veda, sono il suono 
nell'etere e negli uomini la virilità. (9) E nella 
terra sono il puro profumo e nel fuoco l'ardente splendore, in tutti gli esseri 
sono la vita e negli asceti la penitenza. (10) Sappi, 
o Partha, che io sono il seme eterno di tutti gli esseri; io sono il 
discernere di coloro che del discernimento partecipano, dei gloriosi la gloria 
io sono. (11) E sono 
la forza dei forti, da desiderio e da passione libera. Negli esseri sono il 
desiderio che alla giustizia del dharma non si oppone, o ottimo fra i 
Bharata. (12) E quali 
che siano le condizioni dell'essere, armoniose, appassionate, tenebrose, sappi 
che esse da me, tutte, provengono: io non sono in esse, ma esse sono in me. I modi della natura 
sono motivo di confusione per gli uomini(13) Tutto 
questo mondo, tratto in inganno da queste condizioni dell'essere determinate 
dalle qualità, non riconosce me che sono superiore ad esse ed imperituro. (14) In 
realtà questa mia divina potenza creatrice, che si realizza nelle tre qualità, è 
difficile da superare. Coloro (però) che cercano rifugio in me, soltanto, 
riescono a superarla. La condizione di coloro 
che fanno il male(15) Coloro 
che fanno il male, incoscienti come sono, gente vile fra gli uomini, la cui 
facoltà conoscitiva è rapita dall'illusione e che partecipa di demoniaca natura, 
non cercano e non trovano in me rifugio. Le diverse specie della 
devozione(16) Gli 
uomini che fanno il bene, (che sono, essendo) di quattro specie, onorano me, o
Arjuna: l'uomo caduto in disgrazia, l'uomo che cerca la conoscenza, 
l'uomo che cerca la ricchezza e l'uomo che possiede la sapienza, o ottimo fra i
Bharata. (17) Di 
costoro il saggio che è sempre unito alla divinità, che ha devozione per colui 
che è l'Unico e il Solo, è il migliore; sommamente caro invero al saggio io 
sono, ed egli lo è a me. (18) Nobili 
sono per certo tutti costoro, ma il saggio è davvero il Sé, io giudico; avendo 
egli raggiunto il perfetto equilibrio yogico, in me trova il suo rifugio, come 
meta suprema. (19) Al 
termine di molte vite, l'uomo che è dedito alla conoscenza a me ricorre, 
(sapendo che) Vasudeva è tutto (ciò che esiste). Una siffatta grande 
anima è difficile da trovare. La tolleranza(20) Quelli 
che hanno la facoltà discretiva rapita da vari desideri, ricorrono ad altre 
divinità , osservando uno un rito, l'altro un altro, a ciò portati dalle loro 
proprie nature. (21) 
Qualsiasi entità determinata un devoto desideri con fede venerare, la fede di 
lui io rendo immutabile e salda. (22) 
Realizzando in sé quella fede, egli cerca di rendersene propizio l'oggetto (la 
divinità particolare, rappresentativa della divinità in senso speculativo - N.T.) 
e da esso ottiene (l'adempimento dei) suoi desideri, adempimento che soltanto io 
stabilisco. (23) Ma ben 
presto ha un termine il frutto (realizzato da) questi uomini di corta 
intelligenza; coloro che onorano gli dei, agli dei si rivolgono, ma i miei 
devoti vengono a Me. L'ignoranza come potere(24) Gli 
uomini privi d'intelletto pensano Me, l'Immanifesto, come caduto nel (regno del) 
la manifestazione, non avendo conoscenza della mia realtà superiore, che è senza 
mutamento e tutte le cose sopravanza. (25) Poiché 
sono celato dal mio (stesso) potere creativo, non posso essere a tutti 
manifesto. Questo illuso e confuso mondo quaggiù non conosce Me, il non-nato, 
immutabile. (26) Io 
conosco gli esseri che passarono, gli esseri che ora trascorrono, gli esseri che 
saranno, ma non c'è alcuno che conosca Me. (27) Tutti 
gli esseri in questo mondo della manifestazione, o uccisor dei nemici, cadono 
nell'illusione, o Bharata, a causa del turbamento dovuto agli opposti, 
prodotti dal desiderio e dall'odio. L'oggetto della 
conoscenza(28) Ma gli 
uomini che compiono azioni meritorie, nei quali il principio del male, che prima 
vi dimorava, è venuto meno, liberi dal turbamento prodotto dagli opposti, 
onorano Me, fedeli ai loro voti religiosi. (29) Coloro 
che a Me consacrandosi, lottano per la liberazione dalla vecchiaia e dalla 
morte, questi appunto conoscono l'Assoluto in tutto e per tutto, (conoscono) il 
Sé Primo e il karma (il principio dell'agire) esente da imperfezioni. (30) Coloro 
che conoscono Me come quello che rappresenta l'essenza degli esseri e del divino 
e che rappresenta l'essenza del sacrificio, quelli appunto, realizzando la 
concentrazione nel loro spirito, conoscono Me anche nel momento del loro 
andarsene (da questo mondo) (anche nell'ora della morte). 
Questo è il settimo capitolo intitolato   
 Domande poste da ArjunaArjuna 
disse: (1) Che 
cos'è il Brahman? Che cos'è il Sé Primo? Che cos'è il "principio 
dell'azione", o ottimo fra gli uomini? Che cos'è che si chiama essere 
originario? Che cos'è che è chiamato "divino originario"? (2) Che 
cos'è che costituisce il sacrificio supremo in questo corpo quaggiù e come, o 
Madhusudana (uccisore di Madhu)? E come nell'ora della dipartita puoi 
essere tu conosciuto da coloro che hanno domato se stessi? Le risposte di KrsnaIl Signore 
beato disse: (3) Il 
Brahma è l'indistruttibile, il Supremo; Sé originario è chiamata l'essenza 
fondamentale di ciascuno e di tutti; conosciuta e distinta come karma 
(principio dell'agire) è la forza creatrice che dà origine all'esistenza degli 
esseri. (4) La 
natura mutevole (l'esser-reale mutevole) è il fondamento che dà origine a tutte 
le cose che esistono; lo spirito universale è il fondamento che dà origine a 
tutte le cose che hanno natura divina; ed io stesso soltanto sono quaggiù 
appunto nel corpo, l'origine dei sacrifici, o ottimo fra gli esseri in un corpo. L'anima va nell'atto 
della dissoluzione corporea a realizzare quella condizione alla quale è, in quel 
momento, disposta(5) Colui 
che, al momento di morire, ha la mente a me solo rivolta, lasciando il corpo, e 
(cosí) compie la sua dipartita, quello appunto viene al mio modo di essere; non 
c'è a questo proposito dubbio alcuno. (6) Quale 
che sia il modo di essere al quale uno pone mente, quando alla fine abbandona il 
suo corpo, a quel modo di essere appunto o figlio di Kuntì egli perviene, 
dacché è sempre assorbito nel pensiero di esso (sempre addiviene col pensiero 
alla realizzazione di questo modo di essere). (7) Perciò 
in tutti i momenti ricòrdati di Me e lotta (per realizzarmi). Se avrai psiche e 
intelletto su me concentrati, a Me soltanto tu verrai, senza dubbio. (8) Colui 
che medita costantemente con il pensiero, che nella pratica incessante (della 
meditazione) ha raggiunto l'armonia e altrove non trascorre, (quegli) o 
Partha raggiunge la Somma Divina Persona. (9-10) 
Chiunque mediti sul Veggente Antico (dell'Origine), colui che guida 
(l'Universo), colui che è più sottile del sottile, colui che tutto sostiene, la 
cui forma non è pensabile, colui che ha il colore del sole, al di là delle 
tenebre, al tempo della sua dipartita, con spirito che nulla riesce a scuotere, 
con lo spirito in armonia, e con la forza dello Yoga, facendo ben entrare la 
forza vitale in mezzo ai due sopraccigli, (egli) raggiunge la suprema divina 
Persona. (11) Io ti 
descriverò succintamente quella condizione (spirituale) che i conoscitori dei 
Veda chiamano ciò che non può perire, quella (condizione) in cui entrano gli 
asceti che si son liberati delle passioni e desiderando la quale, attuano la 
pratica dell'austerità. (12-13) 
Controllando tutte le porte del corpo e confinando la psiche nel cuore, nel capo 
collocando la propria forza vitale, ben fermo nella concentrazione yogica, colui 
che pronunciando la sillaba unica e sacra AUM, (che si identifica con lo 
stesso) Brahman, a me cosi ponendo mente si diparte, abbandonando il suo 
corpo, se ne va alla meta piú alta. (14) (Di) 
colui il cui pensiero non ha altro oggetto che me e sempre me, colui che in me 
tiene fissa la mente in modo continuo, di lui che è uno yogin che ha se 
stesso sotto assoluto costante controllo io sono, o Partha, facile preda. (15) A me 
essendo venute le grandi anime, avendo raggiunto la somma completa-perfezione, 
non vanno a nuova nascita, a quella che è dimora di sciagura, sede 
dell'effimero. (16) A 
partire dal mondo di Brahma (non del Brahman) in giú, (tutti i) 
mondi sono soggetti a rinascita, o Arjuna, ma (uno che abbia) raggiunto 
Me, o figlio di Kuntí, non conosce nuova nascita. (17) Coloro 
che sanno che il giorno di Brahma ha la durata di mille età e che la 
notte (di Brahma) mille età dura, quegli uomini sono i conoscitori del 
giorno e della notte. (18) Tutte 
le comanifestazioni dal non-manifestato hanno nascimento al venir del giorno ed 
ivi stesso, in ciò che ha nome il non-manifesto, si dissolvono al venir della 
notte. (19) Tutto 
quest'insieme degli esistenti appunto, che nasce e torna a rinascere, si 
dissolve di necessità al venir della notte, o Partha, e ritorna 
all'essere al venire del giorno. (20) Ma al 
di là di questo Immanifestato c'è un altro Essere eterno non manifestato, il 
quale non perisce, anche se tutti gli esistenti periscono. (21) Il 
Non-manifesto è chiamato anche colui che non può perire: lo chiamano Condizione 
suprema; coloro che lo hanno raggiunto non tornano indietro: quello 
(costituisce) la mia suprema dimora. (22) 
Siffatto è il Supremo Purusa, o Partha, che può e deve essere 
conquistato per mezzo di una devozione immutevole, in seno al quale tutti gli 
esistenti dimorano e dal quale tutto questo mondo è diffuso. La duplice via(23) Ma ora, 
ottimo fra i Bharata, (ti) dirò in qual tempo gli yoginah essendo 
morti, ritornano, e in quale essendo morti, non ritornano. (24) (Quando 
risplendono) il fuoco, la luce, il giorno, la quindicina chiara della luna, i 
sei mesi del cammino del sole verso il cielo del nord, allora gli uomini che 
conoscono il Brahman, al Brahman pervengono. (25) (Quando 
ci sono) il fumo, la notte, così come la quindicina buia del mese lunare, i sei 
mesi del cammino del sole verso i cieli del sud, allora è il tempo in cui lo 
Yogi (essendovi morto) avendo raggiunto la luce lunare, ritorna. (26) La luce 
e le tenebre, tali si pensa che siano gli eterni sentieri del mondo. Per mezzo 
dell'uno si va là donde si è liberati dal dover tornare, per mezzo dell'altro 
invece si ritorna di nuovo (su questa terra, ossia si è costretti, purtroppo, a 
tornarvi). (27) Lo 
yogin che conosce questi sentieri, o Partha, non può in alcun modo 
sviarsi. Perciò costantemente realizza l'equilibrío yogico, o Arjuna. (28) Lo 
yogin essendosi reso conto di tutto ciò, si rende superiore al frutto delle 
opere meritorie che è assegnato per lo studio dei Veda, per i sacrifici, 
per le penitenze e per le offerte ed attinge la condizione suprema e originaria. 
Questo è il capitolo ottavo che ha per 
titolo   
 Il Mistero SupremoIl Signore 
Beato disse: (1) A te che 
non hai astio nell'animo, rivelerò la conoscenza-sapienza che è piú segreta e 
che va congiunta alla conoscenza analitica conoscendo la quale, sarai libero dal 
male. (2) Questa è 
conoscenza da re, segreto sovrano, questa è suprema santità, apprendibile per 
via di diretta esperienza, in accordo con la legge universale, è facile da 
attuarsi, non può perire. (3) Gli 
uomini che non hanno fiducia in questo metodo (in questa legge di vita), o 
distruttore dei nemici, senza attingere la mia realtà, ritornano sulla strada 
della incarnazione mortale. Il Signore incarnato 
come realtà suprema(4) Da me si 
diffonde tutto questo mondo attraverso la mia forma non-manifestata; tutte le 
cose trovano in me la loro dimora, ma io non dimoro in esse. (5) Eppur 
tuttavia gli esseri non dimorano in me: considera il mio divino potere; il mio 
Sé che dà origine agli esseri è ciò che li sostiene, ma non dimora in essi. (6) Come la 
possente aria in movimento, che continuamente va da ogni parte quaggiú, ha il 
suo fondamento nello spazio etereo, nello stesso modo, considera, hanno tutti 
gli esseri in me la loro sede. (7) Tutti 
gli esseri, o figlio di Kuntì, alla fine di un kalpa (o ciclo 
cosmico) tornano alla mia realtà; e al principio del ciclo successivo di nuovo 
io li emetto. (8) 
Avvalendomi di quella realtà che è la mia propria, se sempre priva di nuovo 
emetto tutta questa molteplicità di esistenti, priva di ogni potere, dal momento 
che giace sotto il dispotismo della prakrti o natura. (9) E tali 
atti non mi vincolano neppure, o possessore della ricchezza, poiché io sto a 
sedere come colui che non è impegnato, non essendo io condizionato da 
attaccamento in questi atti. (10) Avendo 
me come guida, la natura dà origine all'insieme delle cose mobili e delle 
immobili; con questo mezzo (per questa via), o figlio di Kuntì, il mondo 
si volge e di nuovo si volge. La devozione al Supremo 
reca con sé notevoli ricompense: forme devozionali minori hanno minori 
ricompense(11) Coloro 
che hanno la mente offuscata tengono in dispregio me, quando sono entrato in un 
corpo umano, perché non conoscono la mia suprema realtà (e cioè me) come signore 
universale degli esistenti. (12) Poiché 
essi si fondano sulla natura ingannevole diabolica e demoniaca, sono esseri 
dalle vane aspirazioni, dalle azioni vane, dal vano conoscere e sono privi di 
capacità giudicativa. (13) Invece, 
o Partha, le grandi anime che hanno il loro rifugio nella natura divina, 
avendo riconosciuto (in) me l'origine imperitura degli esseri, mi onorano con 
mente, che ad altro non può esser rivolta. (14) Sempre 
glorificando me, compiendo uno strenuo sforzo e rimanendo saldi nei propri voti, 
e me onorando con devozione, a me rendono l'omaggio del culto, avendo 
costantemente la disciplina dell'animo. (15) Altri 
con il sacrificio della sapienza rendendo a me il culto del conoscere, onorano 
me come unità (e), cosa singola per cosa singola, come molteplicità, alla 
varietà molteplice delle direzioni volgendo il viso. (16) Io sono 
l'offerta rituale, io sono il sacrificio, io sono l'oblazione resa agli 
antenati, io sono l'erba medicinale, io sono l'inno sacro, e sono anche il burro 
fuso, sono il fuoco e sono l'oggetto dell'offerta sacrificale. (17) lo sono 
il padre di questo mondo, la madre, colui che lo sostiene e il suo supremo 
signore; sono l'oggetto del conoscere (di ogni conoscere possibile), il mezze 
della purificazione, la sillaba aum, il rk il sama e lo 
yajus ugualmente (io sono anche tutti i Veda). (18) lo sono 
la meta, il sostegno, il signore, il testimone, la dimora, il rifugio, l'amico, 
io sono il principio dell'essere e della dissoluzione, la base, il punto di 
quiete ed il seme che non può perire. (19) Io 
riscaldo; io trattengo e lascio andare la pioggia; io sono l'immortalità ed 
anche la morte; io sono nello stesso tempo l'essere e il non-essere, o Arjuna. (20) I 
conoscitori dei tre Veda, quelli che bevono il Soma e mondi da 
peccato, a me rendendo sacrifizi, pregano (di conseguire) la via del cielo; 
essi, giunti al santo mondo del signore degli dei, godono in cielo i piaceri 
degli dei. (21) Dopo 
aver goduto l'ampio mondo del cielo, essendo esaurito il loro merito, tornano 
nel mondo di coloro che muoiono; così seguendo la dottrina fondata sui tre 
Veda, desiderosi di godere, essi ottengono ciò che viene e va. (22) Ma a 
quegli uomini che hanno Me per oggetto del loro culto e che non si occupano di 
alcun altro oggetto nel loro meditare, a costoro appunto che son quelli che sono 
sempre devoti, io porto il sicuro possesso e la sicurezza. (23) Anche 
coloro che sono devoti ad altri dei, e, armati di fede, recano loro onore, essi 
proprio anche me, o figlio di Kuntì, onorano, anche se contro la vera 
norma. (24) Io sono 
in verità colui che gode di tutti i sacrifici ed il loro signore; ma costoro non 
mi conoscono in realtà e per questo si perdono. (25) Coloro 
che prestano fede e culto agli dei vanno presso gli dei, coloro che li prestano 
ai padri, vanno presso i padri, coloro che sacrificano ai trapassati vanno 
presso i trapassati e coloro che sacrificano a me vengono presso di me. La devozione e le sue 
conseguenze(26) Anche 
se uno con devozione mi offre una foglia, un fiore, un frutto o dell'acqua, lo 
accetto una tale offerta fatta con amore da coloro che hanno l'animo puro. (27) 
Qualunque cosa tu faccia, qualunque cosa tu mangi, qualunque cosa tu offra in 
sacrifizio, qualunque cosa tu dia, quali che siano le penitenze che tu pratichi, 
o figlio di Kuntì, fa ciò come se si trattasse di restituirmi qualcosa 
che io ti abbia dato. (28) Cosí 
sarai liberato dai vincoli dell'operare che producono buoni e cattivi risultati; 
con la mente volta allo yoga della rinuncia, tu, libero, potrai raggiungermi. (29) lo sono 
identico, in tutti gli esseri: nessuno mi è odioso, nessuno mi è caro; ma coloro 
che rendono a me culto con devozione, quelli appunto sono in Me e io sono in 
loro. (30) Se un 
uomo, che pur abbia agito sempre in modo spregevole, mi onora cosí da non 
rivolgersi ad alcun altro oggetto nella sua pietà, questi appunto deve esser 
tenuto in conto di uomo retto; ché in verità egli è uno che è arrivato a una 
determinazione, quale si conviene. (31) Ben 
presto diventa uno spirito giusto e raggiunge una pace che eternamente dura; o 
figlio di Kuntì, sappi (che) colui che mi è fedele giammai non perisce . (32) In 
verità anche quelli che sono di cattiva nascita, o donne, o vaisyah oppur 
anche sudrah, se cercano in me un rifugio, o Partha. (33) (E) che 
ancora (altro potrebbe esservi di diverso per) i virtuosi Brahmani ed ugualmente 
per i nobili profeti pieni di devozione? Una volta entrato in questo mondo dell'impermanenza 
e del dolore, sii devoto a me. (34) Abbi la 
mente a me fissa; a me sii devoto; a me sacrificando rendi onore; e dopo esserti 
imposto la disciplina dello spirito a me verrai, in me avendo l'estremo rifugio. 
Tale è il nono capitolo intitolato   
 Immanenza e 
trascendenza di DioIl Signore 
Beato disse: (1) Di 
nuovo, o eroe dal forte braccio, ascolta la mia suprema parola; per il desiderio 
che ho di fare il bene, io la dirò a te che sei amato (o mio guerriero diletto). (2) La mia 
origine non conoscono gli eserciti degli dei, né i grandi saggi; perché io sono, 
in tutti i possibili sensi, l'origine degli dei e dei grandi saggi. (3) Colui 
che in me conosce il non-generato, senza-principio, gran signore del mondo, 
quegli è fra i mortali imperturbato e da tutti i peccati è libero. (4-5) La 
capacità di distinguere, la conoscenza, l'andar esenti da smarrimento, la 
pazienza, il sincero parlare, la padronanza di sé, la calma interiore, il 
piacere e il dolore, il venir ad essere e il non venir ad essere, il timore e 
l'intrepidezza, la nonviolenza, l'equilibrio mentale o morale, lo stato di 
soddisfazione, la penitenza, la generosità, la gloria, l'infamia (sono) diverse 
condizioni degli esseri (che) da me soltanto procedono. (6) I sette 
antichi grandi saggi e i quattro manavah, ugualmente, sono della mia 
stessa natura e sono nati dal mio spirito e da essi sono nati tutti gli esseri 
di questo mondo. (7) Colui 
che conosce in essenza questa (mia) manifestazione e questo mio potere, quegli è 
a me unito di unione sicura; su ciò non v'ha dubbio. (8) lo sono 
l'origine di tutto; da me il tutto si svolge; cosí riflettendo, mi onorano gli 
illuminati che possiedono la pura consapevolezza dello spirito. (9) I loro 
pensieri sono a me (rivolti), le loro vite sono a me consacrate; reciprocamente 
portandosi la luce dell'intelletto, e di me parlando in continuazione, essi sono 
soddisfatti e in me godono. (10) A 
costoro, che son sempre devoti e che a me rendono onore amorosamente, io concedo 
la concentrazione dell'intelletto, con la quale possano venir a Me. (11) Per 
compassione verso costoro appunto, io distruggo, rimanendo in quella condizione 
che mi è propria, le tenebre che sorgono dall'ignoranza, per mezzo della 
splendente fiaccola del conoscere. Il Signore è la semenza 
e la perfezione di tutto ciò che esisteArjuna 
disse: (12) Tu sei 
il sommo Brahman, il rifugio sommo, il purificatore supremo, o Signore (bhavan), 
l'eterna divina persona, il primo fra gli dei, colui che non fu generato, colui 
che penetra dappertutto. (13) Te in 
questo modo decantano tutti i saggi ed ugualmente Narada il divino 
veggente. Asita e Devala e Vyasa (tale ti dicono) e tu 
stesso anche me lo dici. (14) Io 
penso come pertinente a verità e bontà tutto questo che mi dici, o Kesava; 
né gli dei né i demoni conoscono la tua manifestazione, o Beato. (15) In 
verità, Tu conosci te stesso per mezzo di te stesso o Persona Somma, fonte degli 
esistenti, Signore delle creature, Dio degli dei, signore del mondo. (16) Tu mi 
dovresti dire senza eccezione le tue divine manifestazioni, per via delle quali, 
(con le quali manifestazioni) diffondendoti in questi mondi, vi prendi stanza. (17) Come 
potrei conoscere Te, lo Yogi, costantemente meditando? In quali vari aspetti 
devi tu esser pensato da me, o Beato? (18) 
Analiticamente esponi ancora, o Janardana, la tua potenza e la tua 
manifestazione; non c'è sazietà in me che odo ciò che è simile al nettare. Il Signore 
Beato disse: (19) Ebbene, 
ti esporrò, si, le mie divine manifestazioni, ma soltanto a proposito degli 
argomenti fondamentali, o (tu), ottimo fra i Kuru: ché non v'ha limite 
alcuno della molteplicità (al numero) dei miei modi particolari. (20) lo 
sono, o Gudakesa, il Sé che risiede nell'intimo di tutti gli esseri, io 
sono il principio, il mezzo, la fine di tutti gli esistenti. (21) Degli
Adityah io sono Visnu, delle luci io sono il raggio radiante; dei
marutah sono Marici: fra i corpi celesti io sono la luna. (22) Dei 
Veda io sono il Samaveda; degli dei sono Indra; dei sensi sono 
la materia psichica e degli esseri sono la coscienza. (23) Dei 
Rudrah io sono Samkara; degli Yaksah e dei Raksasah 
(sono) Kubera, dei Vasu io sono Agni e dei picchi montani 
sono Meru. (24) Dei 
preti domestici, o Partha, sappi che io sono il capo, Brhaspati; 
dei condottieri io sono Skanda; dei laghi sono l'oceano. (25) Dei 
grandi saggi io sono Bhrgu; dei suoni articolati io sono la sillaba unica
Aum; delle offerte io sono l'offerta della preghiera sussurrata, e delle 
cose irremovibili io sono Himalaya. (26) Di 
tutti gli alberi io sono l'Asvattha e dei divini veggenti sono Narada; 
fra i Gandharvah sono Citraratha e dei perfetti io sono il saggio
Kapila. (27) Dei 
cavalli, sappi che io sono Ucchaisravah, nato dal nettare 
(dall'ambrosia); dei nobili elefanti sappi che io sono Airavata e degli 
uomini sappi che io sono il re. (28) Delle 
armi io sono il fulmine; delle vacche sono la vacca Kamaduh (la vacca 
dell'abbondanza); come progenitore io sono Kandarpa; dei serpenti sono 
Vasuki. (29) Dei 
nagah io sono Ananta; di coloro che abitano nel mare sono Varuna; 
degli avi trapassati io sono Aryama e di coloro che mettono ordine io 
sono Yama. (30) Dei 
figli di Diti sono Prahlada, di coloro che computano io sono il 
Tempo; fra gli animali io (sono) il re degli animali e degli uccelli il figlio 
di Vinata. (31) Dei 
purificatori sono il Vento; dei portatori d'armi (dei guerrieri) io sono Rama; 
dei pesci sono il coccodrillo, dei corsi d'acqua sono la figlia di Jahnu 
(il Gange). (32) Delle 
creazioni io (sono) il principio e la fine ed anche il punto di mezzo, o 
Arjuna; delle scienze io sono la scienza del Sé; di coloro che parlano io 
sono il dialogo. (33) Delle 
lettere sono la lettera A; dei composti sono il dvandva; io sono anche il 
tempo che non può perire; io sono il creatore, il cui volto da tutte le parti si 
volge. (34) lo sono 
la morte, colei che di tutto si fa padrona e sono anche l'origine delle cose 
destinate ad essere; e degli esseri femminili (io sono) la gloria, il bell'aspetto 
dignitoso, l'eloquio, la memoria, l'intelligenza, la sopportazione, la pazienza. (35) 
Ugualmente, degli inni (sono) il Brhatsaman (il Vasto), dei metri io 
(sono) gayatri; dei mesi (sono) margasirsa e delle stagioni la 
produttrice di fiori. (36-37) 
Degli ingannatori sono l'inganno stesso, dei gloriosi la gloria; io sono la 
vittoria, sono lo spirito d'iniziativa; io sono la bontà in coloro che sono 
buoni; dei Vrsni io sono Vasudeva; dei Pandavah io sono il 
possessore della ricchezza (ossia lo stesso interlocutore Arjuna - N.T.); 
dei saggi io sono Vyasa, anche, e dei poeti (io sono) il poeta Usana. (38) Di 
coloro che puniscono io sono il bastone; io sono la politica saggia di coloro 
che vogliono vincere; dei misteri io sono il segreto; io sono la sapienza di 
coloro che sapienza conoscono. (39) Ed 
ancora, quel che è il seme di tutti gli esistenti, quello appunto sono io, o 
Arjuna; né c'è esistente, qualechessia, che si muova o che non si muova, che 
possa esistere senza di me . (40) Non vi 
è limite alcuno alle mie divine manifestazioni. o distruttor dei nemici. Ciò che 
è stato da me esposto in modo cosí diretto ed esclusivo è soltanto un estendersi 
della mia manifestazione. (41) Tutto 
ciò che esiste di possente, di bello, di forte, renditi conto che ha origine da 
una particella della mia possanza gloriosa. (42) Ma che 
bisogno potresti avere mai tu, o Arjuna, di una siffatta molteplice 
conoscenza? Reggendo io tutto questo universo con una sola frazione di me 
stesso, esso resta ben saldo. 
Questo è il decimo capitolo che ha per 
titolo   
 Arjuna desidera vedere 
la forma universale di DioArjuna 
disse: (1) Dal 
discorso concernente il sommo problema, (dal discorso) riguardante il Sé, che tu 
hai fatto, in funzione del tuo favore per me, ogni confusione è stata dissolta 
via dal mio spirito. (2) Il 
sorgere degli esistenti, il loro sparire, in verità, cosí come la tua grandezza 
imperitura, (questi argomenti) hai fatto sí che li ascoltassi in modo 
dettagliato, o (dio) dagli occhi di loto. (3) Ciò che 
tu hai detto di Te stesso, o Sommo Signore, proprío cosi è. (Ora) desidero 
vedere la tua forma divina (il tuo aspetto celeste), o Sommo Spirito. (4) Se tu 
pensi, O Signore, che io possa vederlo, allora, o Signore dello Yoga, fa' 
conoscere a me il tuo Sé imperituro. La rivelazione del 
SignoreIl Signore 
beato disse: (5) 
Considera, o Partha, le mie forme, a centinaia, anzi, a migliaia, 
molteplici, divine, di vario colore, di varia forma. (6) Guarda 
gli Adityah, i Vasu, i Rudrah, gli Asvini ed anche i
Marutah; guarda, o Bharata, le molte meraviglie, per l'innanzi mai 
viste. (7) Qui oggi 
considera l'intero universo nella concreta unità, nel suo muoversi e nel suo 
permanere immobile e qualunque altra cosa, o Gudakesa, tu desideri vedere 
nel (l'unità del) mio corpo. (8) Ma tu 
non puoi vedermi con questo occhio che è proprio della tua (umana) condizione; 
voglio darti l'occhio soprannaturale; considera ora la mia divina potenza. Samjaya descrive la 
FormaSamjaya 
disse: (9) Cosi 
avendo parlato, o re, il Gran Signore dello Yoga Hari, allora manifestò a
Partha la suprema divina forma, (10) (La 
forma divina) dalle molte bocche e dai molti occhi, dalle molte prodigiose 
visioni, dai molti divini ornamenti, dalle molte armi divine in alto brandite, (11) recante 
ghirlande e vesti divine, con divini profumi ed unguenti, costituita di tutti i 
portenti, sfolgorante, con il volto da ogni parte diretto. (12) Se la 
luce di mille soli si trovasse ad esser sorta tutt'insieme nel cielo potrebbe 
assomigliarsi allo splendore (di esso) del Supremo Essere. (13) Allora 
il Panduide vide tutto il mondo, che è in molte parti distribuito (in vario modo 
molteplice) in unità (colà) riunito nel corpo del dio degli dei. Arjuna si rivolge al 
Signore(14) Allora 
lui, il possessore della ricchezza, caduto in preda allo stupore, con i capelli 
ritti, chinando il capo dinanzi al Dio, con le mani giunte, disse: Arjuna 
disse: (15) Nel tuo 
corpo, o Dio, io vedo tutti gli dei e cosí anche dei vari esseri le distinte 
schiere, (e) Brahma Signore che sta seduto sul seggio di loto e tutti i 
saggi profeti e i divini serpenti Nagah. (16) lo vedo 
te, che hai innumerevoli occhi, volti, ventri, braccia, dalla forma che non ha 
termini da nessuna parte, ma di te non vedo il termine, non vedo la parte di 
mezzo, non vedo il principio, o Signore del Tutto, o Forma universale. (17) lo vedo 
te portator di corona, armato di mazza, armato di disco, massa di luce 
dappertutto splendente, difficile da distinguere, (la tua luce non permette di 
intuire le determinazioni che porti con te), che dappertutto rechi lo splendore 
del fuoco fiammante e del sole, incomparabile; (18) Tu sei 
ciò che non può perire, il Supremo che deve essere conosciuto, Tu sei il supremo 
rifugio di questo intero universo; tu sei il guardiano, che non morrà, della 
legge eterna; tu sei da me pensato come l'Eterna Originaria Persona. (19) lo ti 
vedo come colui che non ha né principio, né medietà né fine, come colui che ha 
un infinito potere, (armato) di innumerevoli braccia, che ha per occhi la luna 
ed il sole, che ha per volto il fuoco fiammante, che arde con il suo proprio 
splendore tutto questo universo. (20) Questo 
luogo che è a metà fra cielo e terra è soltanto riempito di te e cosí anche 
tutte le regioni del cielo. O Grande Spirito (Sé), una volta che abbiano visto 
questa tua prodigiosa terribile forma, (ne) sono scossi (ne tremano) i tre 
mondi. (21) Questi 
drappelli di dei in verità entrano in Te ed alcuni, in preda al terrore, avendo 
le mani congiunte (Ti) esaltano; "evviva" dicendo, drappelli di perfetti e di 
grandi veggenti a Te inneggiano con inni di splendida esaltazione. (22) I 
Rudrah, gli Adityah, i Vasavah, i Sadhyah, i Visve, 
gli Asvini, i Marutah, i Mani (coloro che assorbono 
soltanto il profumo delle vivande), e i drappelli dei Gandharvah, degli
Yaksah, degli Asurah e dei Siddhah, tutti a Te guardano 
vinti dallo stupore. (23) Al 
vedere la tua grande figura dalle molte bocche e dai molti occhi, o Tu dal 
braccio possente, dalle molte braccia, cosce e piedi, dai molti ventri, dai 
molti terribili denti, sono scossi i mondi e cosí io anche. (24) E 
quando ho visto Te appunto che tocchi il cielo, sfolgorante, dai molti colori, 
con la bocca spalancata e i grandi occhi splendenti, scosso nell'intimo 
dell'animo (mio) non trovo piú né saldezza d'animo né pace, o Visnu. (25) Al 
veder le tue bocche dai terribili denti, simili al fuoco del tempo (della 
distruzione universale), le direzioni piú non conosco (perdo il senso della 
direzione) e non trovo piú un rifugio. Sii benevolo, o Signore degli dei, 
rifugio dei mondi! (26) Quelli 
laggiú, i figli di Dhrtarastra tutti. insieme ai drappelli dei signori 
della terra e cosí anche Bhisma, Drona e il figlio di Suta 
(dell'Auriga), cioè Karna insieme con i capiguerrieri che sono con noi, 
anche con essi, (27) entrano 
precipitosi nelle tue terribili bocche, da i denti tremendi. Alcuni tenuti fermi 
in mezzo ai denti si vedono con le teste già ridotte in polvere (sfracellate). (28) Come in 
gran numero acque correnti di fiumi corrono verso l'oceano a faccia in avanti, 
cosi codesti eroi del mondo degli uomini entrano nelle tue bocche che contro si 
infiammano. (29) Come i 
moscerini si tuffano nel fuoco ardente, con movimento rapido correndo alla loro 
distruzione, cosí appunto questi uomini si precipitano velocemente nelle tue 
bocche per la loro propria distruzione. (30) Tu hai 
leccato via divorandole da ogni parte tutte le umane stirpi con le tue fauci 
fiammeggianti. I tuoi terribili raggi bruciano con il loro ardore tutto 
l'universo riempiendolo di esso, o Visnu. (31) Dimmi 
chi sei tu, o Signore, che hai un cosí terribile aspetto. Onore sia a Te, ottimo 
fra gli dei; manifesta la tua benevolenza: io desidero conoscere in te l'essere 
originario, perché non conosco il modo del tuo operare. Dio come giudiceIl Signore 
Beato disse: (32) lo sono 
il tempo, colui che dà luogo alla distruzione del mondo, venuto a maturazione 
(e) qui impegnato nella distruzione delle stirpi; anche senza di te (senza il 
tuo intervento) non potranno piú esistere tutti i combattenti che (sono qui) 
disposti in ostili schiere. (33) E 
perciò avanti sorgi tu, e conquista la gloria; godi, dopo aver vinto i nemici di 
un ricco regno. Da me soltanto essi sono già da gran tempo stati uccisi. Sii tu 
soltanto lo strumento (di ciò che dev'essere ed è come se fosse già stato) o 
Savyasacin (capace di servirsi della mano sinistra). (34) Uccidi
Drona e Bhisma e Jayadratha e Karna e ugualmente gli 
altri grandi guerrieri che sono stati da me uccisi a (in realtà). Non aver 
paura, combatti, tu vincerai in battaglia i tuoi nemici. Satkiaya 
disse: (35) Avendo 
udito questo discorso di Kesava (Krsna), Kiritin (Arjuna) 
con le mani congiunte, e tremante, di nuovo rendendo omaggio, disse a Krsna 
con voce mozza, pieno di paura inchinandosi: Il Canto di Lode 
pronunciato da AriunaArjuna 
disse: (36) Ben a 
ragione, o Hrsikesa, il mondo gode e trova piacere nel glorificarti. I 
Raksamsi presi dal terrore corrono in tutte le direzioni e le schiere dei 
perfetti ti adorano.
 (37) E 
perché non dovrebbero rendere omaggio a Te, o Sommo Spirito, a te che sei piú 
venerando di Brahma, perfino di lui, e che sei creatore originario? O 
Infinito, Signore degli dei, rifugio del mondo! Tu sei l'Imperituro, l'essere, 
il non-essere, e ciò che è al di là di questi termini. (38) Tu sei 
il primo degli dei, la persona originaria, Tu sei di questo Tutto la suprema 
dimora. Tu sei il conoscitore e ciò che deve essere conosciuto ed il Fine 
Supremo, e da te questo Tutto si promana, o Tu dalla forma infinita. (39) Tu sei
Vayu (il Vento), Yama (il dio della distruzione), Agni (il 
fuoco), Varuna (il dio del mare) e Sasanka (la luna) e 
Prajapati, il gran signore (di tutte le cose). Salute, salute a Te sia mille 
volte. Salute e salute a te di nuovo ancora. (40) Salute 
a te sulla fronte, salute a te sul retro, salute a te da ogni parte, o Tutto; 
con la tua forza infinita, con la tua smisurata potenza, tu possiedi nel modo 
piú completo ogni cosa e sei pertanto ogni cosa. (41) Tutte 
le volte che è stato da me detto con temerità, poiché pensavo che tu fossi 
soltanto un amico, (che è stato detto da me) che ignoravo questa tua grandezza 
"O Krsna, o Yadava, o compagno", per mia negligenza o anche per 
amore, (42) in 
qualsiasi modo tu sia stato trattato, o in modo scherzoso sconvenientemente, sia 
durante il giuoco ricreativo sia stando a letto o (seduto) su sedia o durante i 
pasti, o da solo o invece in presenza di altri, o Incrollabile, di ciò io chiedo 
perdono a Te, Immenso. (43) Tu sei 
il signore del mondo, di ciò che si muove e di ciò che non si muove; tu sei 
l'oggetto del suo culto e il (suo) maestro venerando. Non c'è alcuno che (Ti) 
sia uguale; come potrebbe esserci un altro superiore (a Te), sia pur nei tre 
mondi, o Essere dalla possanza incomparabile? (44) Perciò 
inchinandomi e davanti a te prostrando il corpo, io prego per me Te, Signore 
degno d'invocazione. Tu devi, o Signore, sopportarmi come un padre il figlio, 
come l'amico l'amico, come l'amante l'amata. (45) lo sono 
uno che, gioioso, ha visto ciò che non era mai stato visto per l'innanzi; e 
l'animo mio è scosso da terrore. Mostrami ancora o Signore soltanto quella tua 
forma (di prima). Sii benevolo, Signore degli dei, rifugio del mondo. (46) lo 
desidero vederti con il diadema, la mazza, il disco in mano proprio ugualmente 
(come prima); assumi la tua forma dalle quattro braccia, Tu che hai mille 
braccia e che possiedi tutte le forme. Il Signore elargisce la 
sua grazia ad Arjuna e lo rassicuraIl Signore 
Beato disse: (47) Per mia 
grazia e per mezzo del mio potere, ti è stato concesso di vedere la mia forma 
suprema, o Arjuna, la (forma) tutta-luce, universale, infinita, 
originaria, quella forma nella quale io non sono stato mai visto da alcuno 
all'infuori di te. (48) Non per 
mezzo dei Veda, né per mezzo dei sacrifici, né attraverso lo studio, né 
attraverso le offerte, né per mezzo dei riti, né attraverso dure penitenze posso 
io essere visto in questa forma nel mondo degli uomini da alcun altro che non 
sia tu, o eroe illustre dei Kuruidi. (49) Non 
angosciarti, non sgomentarti, nel vedere questo mio siffatto terrificante 
aspetto. Libero da paura, contento nel cuore, di nuovo osserva questo mio 
aspetto (quello universale).
 Samjaya 
disse: (50) Cosí 
Vasudeva avendo parlato ad Arjuna, allora (gli) mostrò ancora una 
volta la sua forma. E lui che era impaurito consolò la Grande Coscienza dopo 
aver di nuovo assunto il suo aspetto placido. Arjuna 
disse: (51) Vedendo 
questa tua placida umana forma, o Janardana, ora proprio son rientrato 
nel possesso della mia ragione e son ritornato alla mia natura. Il Signore 
beato disse: (52) Questo 
mio aspetto, che, sebbene assai difficile da contemplare, pure, tu hai visto, 
questo aspetto anche gli dei bramano continuamente di contemplare. (53) Non io 
per mezzo dei Veda posso essere visto, non per via di penitenza, non per 
mezzo di doni, né per mezzo di sacrifici, in questo aspetto in cui tu ora m'hai 
visto. (54) Ma con 
una devozione che non tollera mutamento, io posso, o Arjuna, sotto questo 
aspetto, essere concretamente conosciuto veduto e compenetrato, o distruttor dei 
nemici. (55) Colui 
che opera in funzione mia, colui che guarda a me come a suo fine, colui che a me 
rende onore, libero da attaccamento, colui che è libero da inimicizia nei 
confronti di tutte le creature, quegli me raggiunge, o Panduide. 
Questo è il capitolo undicesimo intitolato     
 Devozione e 
ContemplazioneArjuna 
disse:
 (1) Quei 
devoti che, avendo sempre nell'animo la dedizione, onorano Te e quelli poi che 
onorano l'Imperituro e l'Immanifestato gli uni o gli altri (quali) di questi 
hanno piú grande conoscenza dello Yoga? Il Signore 
Beato disse: (2) Coloro 
che volgendo lo spirito a me, sempre devoti, onorano me, avendo fatto accesso al 
(regno del) la fede suprema, quelli appunto io considero i piú perfetti nello 
yoga. (3) Ma 
coloro che onorano l'Imperituro, indeterminabile, nonmanifestato, onnipresente 
ed impensabile, immutabile, immobile, permanente,
 (4) 
controllando tutti i sensi nel loro insieme, essi che hanno in tutte le 
condizioni un continuo equilibrio spirituale, attingono me appunto, trovando 
piacere nella felicità di tutti gli esseri. (5) 
L'ostacolo (da superare) per coloro che hanno lo spirito dedito al Non-manifesto 
è più grande (di quello che incontrano coloro che si trovano in condizione 
diversa), perché il fine che (è rappresentato dal) Non-manifesto è difficile da 
raggiungere da parte degli esseri incarnati. I diversi modi di 
accostarsi a Dio(6) Ma (di) 
coloro che in me riponendo tutte le loro azioni, a me devoti, con dedizione 
incessante su di me meditando, prestano atto di culto, (7) di 
costoro, i cui pensieri sono a me rivolti, io sono il liberatore, (sono colui 
che li libera) immediatamente dall'oceano della connessione delle esistenze, a 
morte votate, o Partha. (8) In me 
solamente riponi l'animo tuo, in me fa che il tuo intelletto dimori; in me 
soltanto tu dimorerai (allora), su ciò non può esservi dubbio alcuno. (9) Ché se 
poi non sei capace di fissare il tuo pensiero su di me stabilmente, cerca allora 
di attingermi con l'esercizio della concentrazione, o Dhanamjaya. (10) Se tu 
sei incapace (di far ciò) anche attraverso l'esercizio (della concentrazione), 
fa' di te (allora) uno la cui opera sia massimamente a me rivolta; anche col 
compiere azioni, avendo me come fine, potrai tu ottenere il compimento. (11) E se tu 
non sei capace ce di fare nemmeno questo, cercando rifugio nella attività in 
equilibrio a me rivolta, con il tuo sé sottomesso, rinuncia al frutto di ogni 
azione. (12) 
Migliore è dunque la conoscenza che la pratica della concentrazione; alla 
conoscenza è superiore la meditazione; alla meditazione è superiore la rinuncia 
al frutto dell'azione; alla rinuncia segue immediatamente la pace. Il vero devoto(13) Colui 
che non concepisce inimicizia per alcun essere vivente, che nutre sentimenti 
amichevoli e di compassione, che è libero da egoismo ed egocentrismo, che ha un 
identico equi librio nel piacere e nel dolore, che è tollerante, (14) lo Yogi 
che è sempre. soddisfatto, che ha lo spirito domo, che è fermamente risoluto, 
che ha la mente e l'intelletto su di me fissi, lui appunto, che è a me devoto, 
mi è caro. (15) Colui 
dal quale il mondo non è agitato e che non si agita a causa del mondo, colui che 
è libero da gioia e da collera, da paura e da agitazione, quello appunto è a me 
caro. (16) Colui 
che intorno a sé non riguarda come in attesa, che è puro, che è atto all'agire, 
indifferente, esente da turbamento, che ha rinunciato ad ogni intrapresa, quello 
appunto, che a me è devoto, mi è caro. (17) Colui 
che non gioisce e non odia, non soffre e non spera, che ha rinunciato a ciò che 
è buono e a ciò che buono non è, lui appunto, il devoto, mi è caro. (18) Colui 
che è uguale sempre per il nemico e per l'amico, colui che ugualmente si 
comporta in vista di onore e d'infamia, che è sempre uguale nel freddo e nel 
caldo, nel piacere e nel dolore, colui che è libero da attaccamento, (19) colui 
che nello stesso modo considera il biasimo e la lode, che mantiene il silenzio, 
che di qualsiasi cosa è soddisfatto, che non ha dimora fissa , che è saldo nello 
spirito, un uomo siffatto, che è a me devoto, mi è caro. (20) Ma 
coloro che seguono questa immortale dottrina come è stato insegnato, con fede, e 
avendo me come fine supremo, quei devoti, mi sono cari in modo particolare. 
Questo è il dodicesimo capitolo intitolato   
 Il campo e il 
conoscitore del campoArjuna 
disse: La 
prakrti e il purusa, il campo e il conoscitore del campo, la 
conoscenza e l'oggetto della conoscenza, ciò desidero conoscere, o Kesava. Il Signore 
beato disse: (1) Questo 
corpo, o figlio di Kuntí, è chiamato il campo, e quelli che sanno 
chiamano colui che lo conosce il conoscitore del campo. (2) Conosci 
me come conoscitore del campo in tutti i campi, o Bharata. La conoscenza 
del campo e del conoscitore del campo, questo io considero come conoscenza 
(autentica). (3) Ascolta 
da me in breve che cosa sia il campo, quale esso sia, quali ne siano le varie 
forme e donde sia e quale poi sia lui (il conoscitore del campo) e quale ne sia 
il potere. I termini costitutivi 
del campo(4) È stato 
cantato in vario modo dai saggi, in vari inni, separatamente ed anche in 
espressioni, ben fondate e decisive, degli aforismi sull'Assoluto. (5) Gli 
elementi grossolani, il senso di sé, la capacità discriminativa e il 
non-manifestato, gli undici sensi (i dieci sensi e la mente come realtà 
psichica), e i cinque oggetti dei sensi, (6) il 
desiderio e l'odio, il piacere e il dolore, l'insieme degli organi, 
l'intelletto, la saldezza di spirito, questo, descritto in breve, è il campo con 
le sue varie determinazioni. La conoscenza(7) Il fatto 
di non avere una grande opinione di sé, l'essere del tutto liberi da 
fraudolenza, il non far male a nessuno, la tolleranza, la rettitudine, l'onore 
reso al maestro, la purezza, la fermezza, il controllo di sé, (8) 
l'indifferenza verso gli oggetti sensibili, la negazione di ogni egocentrismo; 
la percezione del male inerente alla nascita, alla morte, alla vecchiezza, alla 
malattia, al dolore, (9) il 
non-attaccamento, il non nutrire affetti particolari per il figlio, la sposa, la 
casa e cosí via ed un equilibrio spirituale che mai si smentisce rispetto agli 
eventi desiderati come a quelli non-desiderati, (10) una 
devozione verso di me non soggetta a sviamenti, per mezzo di una disciplina 
spirituale che ad una cosa sola è intesa, il fatto di dimorare in luoghi 
separati, il non trovar gusto nella folla, (11) la 
perenne continuità della conoscenza del Sé originario, l'intuito concretamente 
conoscitivo della verità, questo è dichiarato essere conoscenza autentica e 
tutto ciò che è diverso è non-conoscenza. (12) 
Descriverò ciò che deve essere conosciuto e conoscendo il quale si fruisce 
dell'immortalità. (È) il Sommo Brahma senza principio; esso è detto 
essere né esistente né non-esistente. Il conoscitore del 
campo(13) Esso, 
con le mani e i piedi dappertutto, con gli occhi, le teste e i volti da tutte le 
parti, con orecchie da tutti i lati, nel mondo, tutto avvolgendo, dimora. (14) Esso è 
quello che appare come avente tutte le qualità sensibili e di tutti i sensi è 
tuttavia privo, è senza attaccamento (rispetto a tutte le cose) epperò è quello 
che sostiene tutte le cose, libero dalle qualità della prakrti, gioisce 
però delle qualità stesse. (15) Esso è 
al di fuori e al di dentro degli esseri. È immobile e tuttavia mobile; a causa 
della sua finezza non può essere conosciuto; è lontano eppure, esso, è vicino. (16) È 
indiviso eppure è come uno che fosse diviso fra gli esseri. Esso dev'esser 
conosciuto come quello che sostiene le esistenze, che le distrugge (inghiotte) e 
di nuovo le crea. (17) Esso è 
anche la Luce delle luci; è detto essere al di là delle tenebre; (è) la 
conoscenza, l'oggetto della conoscenza, il fine della conoscenza. Esso ha sua 
sede nel cuore di ogni essere. Il frutto della 
conoscenza(18) In 
questo modo si è parlato in breve del campo, ed è ugualmente della conoscenza e 
dell'oggetto della conoscenza. Colui che è a me devoto e che ha compreso questo, 
diventa atto alla mia realtà. Natura e Spirito(19) Sappi 
che la prakrti e il purusa sono tutti e due senza principio; e 
sappi inoltre che le forme derivate e i modi hanno origine dalla prakrti. (20) La 
natura è detta compimento dell'effetto (e) mezzo per quanto riguarda l'atto 
stesso dell'agire, il purusa è detto il mezzo in rapporto alla 
possibilità di godere gioie e patire dolori. (21) L'anima 
che ha sede nella natura fruisce dei modi sorti dalla natura. L'attaccamento ai 
modi (alle qualità) è causa elle sue nascite in matrici buone o cattive (22) Il Sé 
sommo in questo corpo è detto il Testimone, il Consenziente, colui che sopporta, 
colui che esperisce, il grande Signore, la somma Persona. (23) Colui 
che cosí conosce il purusa e la prakrti insieme con i modi, in 
qualsiasi modo egli agisca, non nasce di nuovo. Le differenti strade 
per la salvezza(24) Con la 
meditazione alcuni intuiscono il Sé nel sé per mezzo del sé; altri per mezzo 
dello yoga della conoscenza; altri poi attraverso la via delle opere. (25) Altri 
invece, che di ciò nulla sanno, avendone ascoltato e appreso da altri, compiono 
atto religiosamente valido; ed essi appunto superano la morte, per esser devoti 
a ciò che hanno udito. (26) In 
qualsiasi modo qualsiasi essere abbia nascimento, che sia immobile o che si 
muova, sappi, o ottimo fra i Bharata, che esso (è nato) dall'unione del 
campo e del conoscitore del campo. (27) Colui 
che vede il Sommo Signore come dimorante ugualmente in tutti gli esseri, tale 
che non perisce, pur se essi periscono, quegli, realmente, vede. (28) 
Infatti, vedendo il Signore ugualmente dappertutto stabilmente presente 
(solidamente stabilito) non fa torto al Sé (autentico) con il suo sé; e quindi 
raggiunge il fine supremo. (29) Colui 
che vede che le azioni in qualsivoglia forma sono fatte soltanto dalla natura e 
parimenti vede che il Sé non è esso ad agire, quello veramente vede. (30) 
Allorché egli scorge che la molteplice condizione degli esseri si fonda sull'Uno 
e che da esso (si attua) il suo estendersi, allora egli attinge il Brahman. (31) Questo 
supremo Sé imperituro, poiché è senza-principio, poiché è privo di qualità, pur 
avendo sede in un corpo, o figlio di Kuntì, non agisce e non è macchiato. (32) Come 
l'etere che tutto pervade a causa della finezza non è macchiato, cosi appunto il 
Sé, che è presente in tutto ciò che sia corpo (dappertutto in un corpo) non 
patisce alcuna macchia. (33) Come un 
unico sole illumina (fa divenire visibile) questo mondo intero, cosi il signore 
del campo rende visibile l'intero campo, o Bharata. (34) Coloro 
che cosí intuiscono con l'occhio della conoscenza la distinzione fra il campo e 
il conoscitore del campo e la liberazione degli esseri naturali (dalla natura 
stessa), raggiungono il Supremo. 
Questo è il tredicesimo capitolo intitolato   
 La Conoscenza Supremail Signore 
beato disse: (1) lo ti 
esporrò di nuovo la conoscenza che è somma fra le conoscenze, coll'apprender la 
quale tutti i saggi son potuti passare da questo mondo qui alla perfezione 
suprema. (2) 
Rifugiandosi in questa conoscenza e addivenuti a identità di attributi con me, 
nemmeno nell'atto in cui le cose sono create essi nascono, né patiscono 
turbamento alcuno al tempo della dissoluzione (delle cose). (3) Il 
grande Brahma è la mia matrice; in lui io getto il mio seme e da esso 
procede l'origine di tutte le cose, o Bharata. Bontà (rajas) Passione 
(sattva) Tenebra (tamas)(4) Quali 
che siano gli esseri aventi una forma, che abbiano nascimento in qualsiasi 
matrice, o figlio di Kuntì, il grande Brahma è la loro matrice, io 
sono il padre che getta il seme. (5) I tre 
guna (o qualità) che hanno origine dalla natura e cioè la bontà, la 
passione, la tenebra vincolano nel corpo, o eroe dal forte braccio, l'eterno che 
nel corpo dimora. (6) Tra di 
essi, il sattva, a causa della sua purezza, è ciò che dà la luce della 
conoscenza, è ciò che dà la salute. (Esso) vincola, o eroe senza-macchia, per 
mezzo dell'attaccamento alla felicità e dell'attaccamento alla conoscenza. (7) Il 
rajas sappi che è della natura dell'attrazione e che sorge dalla brama e 
nell'attaccamento; (esso) lega in modo solido, o figlio di Kuntì, colui 
che si è incarnato in un corpo, per mezzo dell'attaccamento all'operare. (8) Sappi 
però che la tenebra (tamas) è nata dall'ignoranza e che ha la capacità 
d'illudere tutti gli esseri-in-un-corpo; essa vincola fortemente, o Bharata, 
per mezzo della negligenza, dell'indolenza, del sonno. (9) Il 
sattva tiene vincolati alla felicità, il rajas all'agire, o 
Bharata, ma la tenebra, col suo avviluppare la conoscenza, tiene vincolati 
alla negligenza. (10) 
Prevalendo sul rajas e sul tamas, o Bharata, il sattva 
sorge; (ugualmente) la passione ha luogo, (quando abbia superato) bontà e 
tenebra; ed ancora la tenebra si realizza, (quando abbia avuto la meglio su) 
bontà e passione. (11) 
Allorché per tutte le porte nel nostro corpo ha nascimento, nel suo splendore, 
la conoscenza, allora appunto si può aver per manifesto che il principio della 
bontà ha acquistato vigore. (12) 
L'avidità, il darsi da fare, l'intraprendere attività, l'irrequietezza il 
piacere che si prova nel fare, queste cose sorgono, o migliore fra i Bharatidi, 
quando è aumentato il rajas. (13) La 
mancanza di luce spirituale, l'inattività, la negligenza, il puro smarrimento 
psichico, tutte queste cose sorgono, o delizia dei Kuruidi, quando è aumentata 
la tenebra. (14) 
Allorché invece l'anima incarnata incorre nella dissoluzione, avendo acquistato 
vigore il sattva, allora mette le orme in mezzo a coloro, i puri, che 
conoscono il Supremo. (15) 
Allorché incorre poi nella dissoluzione, quando prevale il rajas, è 
generato allora fra coloro che sono attaccati all'operare; e se poi incontra la 
morte, quando prevale la tenebra, è generato nelle matrice di coloro che hanno 
gli spiriti confusi. (16) Il 
frutto dell'azione buona dicono essere non-impuro e della natura della bontà; 
invece il frutto della passione è il dolore, il frutto della tenebra mentale e 
psichica è l'ignoranza. (17) Dalla 
bontà sorge la conoscenza, dalla passione il desiderio, la negligenza e la 
confusione sorgono dalla tenebra e cosí anche l'ignoranza. (18) In alto 
si levano quelli che nella bontà hanno loro stabile sede; nelle regioni di mezzo 
hanno sede i dominati dalla passione; quelli che partecipano del principio della 
confusione hanno sede nelle regioni infime, appartenendo alla qualità inferiore. (19) 
Allorché colui che vede non scorge fattore attivo diverso dai modi e conosce 
anche ciò che è al di là dei modi, egli appunto attinge il mio essere. (20) 
Allorché l'anima incarnata si eleva al di sopra di questi tre guna che 
sorgono dal corpo, essendo libera da nascita morte vecchiaia dolore, attinge 
l'eternità. Le note essenziali di 
colui che è al di sopra dei tre gunaArjuna 
disse: (21) Per 
mezzo di quali note è (determinato) colui che si è levato al di sopra dei tre 
guna, o Signore? Quale (è) la sua condotta? E come riesce egli a superare i 
tre guna? Il Signore 
Beato disse: (22) (Colui 
che) o Pandava, non ha in odio l'illuminazione, l'attività e lo 
smarrimento mentale, quando si sono prodotti, e non li desidera quando sono 
venuti meno; (23) Colui 
che stando seduto come uno che non è toccato (da ciò che avviene), non è 
affettato dai modi, e che non si muove (24) Colui 
che ugualmente considera dolore e piacere, che è saldamente fondato nel suo 
stesso sé, che nello stesso modo considera una zolla di terra, una pietra, un 
pezzo d'oro, che ugualmente considera ciò che piace e ciò che non piace, colui 
che è fermo nel suo spirito, che considera uguale e biasimo ed elogio (che gli 
siano tribuiti); (25) Colui 
che è lo stesso nell'onore e nel disonore, che è lo stesso verso gli amici e 
verso quelli che sono (del partito dei) nemici, colui che rinuncia a tutte le 
imprese, quegli (appunto) è detto colui che ha superato le tre qualità (guna). (26) Colui 
che mi onora con costante amorosa devozione ed amore, quegli appunto superando 
codesti tre guna, è atto a (attingere) l'essenza di Brahma. (27) Infatti 
io sono il fondamento del Brahman immortale e imperituro e dell'eterna 
legge e della beatitudine assoluta. 
Questo è il quattordicesimo capitolo 
intitolato   
 L'albero cosmicoIl Signore 
Beato disse:
 (1) Parlano 
dell'imperituro asvattham (albero baniano) come di quello che ha verso il 
basso i rami e verso l'alto le radici; del quale le piume (le foglie) sono i 
testi vedici: e colui che lo conosce è (pertanto) un conoscitore del Veda. (2) In basso 
e in alto sono estesi i suoi rami, alimentati dai modi (dell'esistenza), aventi 
come germogli gli oggetti materiali, e in basso, nel mondo degli uomini, si sono 
prolungate le sue radici, (che sono) legate alle azioni. (3) La sua 
forma (effettiva) non è qui, cosi, percepita, né la sua fine, né il suo 
principio, né il suo fondamento. Dopo aver troncato l'asvattha dalla 
radice ben cresciuta, con la solida arma del non-attaccamento, (4) allora, 
si dovrà cercar quella strada, dalla quale piú non tornano indietro quelli che 
vi sono arrivati, (pensando) "io cerco rifugio in Lui soltanto, nella Persona 
originaria, donde si è sviluppato l'antico processo del mondo". (5) Coloro 
che sono esenti da orgoglio e da smarrimento spirituale, che hanno vinto la 
colpa, che consiste nell'attaccamento, che sono sempre assorti nel Sé 
originario, che hanno rinunciato ai desideri, che son liberati dalle dualità 
rappresentate dalla coscienza del piacere e del dolore, tornano, senza 
smarrirsi, a quella condizione che non avrà mai termine. La vita della 
manifestazione è soltanto una parte della vita(6) Il sole 
non Lo illumina, e cosí nemmeno la luna ed il fuoco; esso è il mio supremo 
rifugio, dal quale quelli che vi giungono piú non ritornano. Il Signore come vita 
dell'Universo(7) Un 
frammento della mia realtà, nel mondo della vita, divenuta che sia un'anima 
individuale, eterna, (a sé) trae i sensi, fra i quali è la psiche come sesto 
organo, (sensi) che si fondano sulla natura. (8) Quando 
il Signore si assume un corpo e quando l'abbandona, (egli) prende questi (i sei 
organi di senso) e va, cosí come il vento (porta via) i profumi dal luogo (ove 
stanno). (9) Entra in 
rapporto con gli oggetti dei sensi, impiegando l'orecchio, l'occhio, il tatto, 
il gusto, l'odorato, cosí come anche le facoltà della mente. (10) Coloro 
che hanno l'animo smarrito non vedono Lui che se ne va, che resta, che fruisce 
dei guna, venendo in contatto con essi; ma lo vedono coloro che hanno 
l'occhio della conoscenza. (11) Anche 
gli yoginah che lottano lo percepiscono come avente sede nel sé, ma 
quelli che non intendono, i cui spiriti non te hanno raggiunto l'equilibrio (non 
sono formati), per quanto lottino, non riescono a vederlo. (12) Quello 
splendore che proviene dal sole (e) che illumina tutto questo mondo, quello che 
è nella luna, quello che è nel fuoco, quello splendore, conoscilo come mio. (13) Col 
fare il mio ingresso nel seno della terra, sostengo gli esseri con la mia 
energia (vigorosamente), e, diventando il soma, come nettare gustoso, io 
nutro tutte le piante benefiche. (14) Io, 
diventando il fuoco universale (della vita) e (come tale) entrando nel corpo 
delle creature viventi, insieme mesco (15) E io 
sono installato nel cuore di ognuno; da me nascono la memoria e la conoscenza e 
cosí anche la negazione loro. Io son colui ancora, che si deve conoscere per 
mezzo di tutti i Veda; io sono anche colui che ha fatto il Vedanta 
e anche colui che conosce i Veda . La Somma Persona(16) Queste 
due persone son (quelle che sono) nel mondo, quella peritura e l'imperitura, 
quella peritura (si identifica con) tutti questi esistenti, ed imperituro si 
chiama l'immutabile (quello che sta in alto nel mezzo). (17) Diversa 
però da questi (è) la Coscienza Altissima, che ha il nome di Sé supremo, il 
quale entrato nei tre mondi come Signore imperituro, li sostiene. (18) 
Allorché ho superato il perituro e sono sommo perfino nei riguardi (superiore a) 
dell'imperituro, allora io sono celebrato come la Suprema Persona nel mondo e 
nel Veda. (19) Colui 
che, senza smarrirsi, conosce me, la Suprema Persona, quegli è il conoscitore 
del tutto ed onora me con tutto il suo essere, o Bharata. (20) Cosí 
questa dottrina segretissima è stata da me rivelata, o (eroe) senza macchia. 
Conoscendola (un uomo) potrà diventare saggio e (diventare) uno che ha compiuto 
il suo dovere, o Bharata. 
Questo è il quindicesimo capitolo dal 
titolo   
 I caratteri della 
natura divinaIl Signore 
Beato disse:
 (1) 
L'assenza di paura, la purezza dell'essenza (dello spirito), il fatto di essere 
ben stabilito nella conoscenza e nella concentrazione, la generosità, il 
controllo e il sacrificio, lo studio, la penitenza, la rettitudine, (2) la 
non-violenza, la verità, l'andar esenti da ira, la rinuncia, la serenità, il non 
usare calunnia, la compassione per esseri viventi, l'assenza di bramosia, la 
dolcezza, il ritegno, la ponderatezza, (3) il 
vigore, l'indulgenza, la forza d'animo, la purezza, l'esser liberi da sentimenti 
ostili (per chiunque), il non sentire troppo altamente di sé sono di colui che è 
nato per la divina perfezione, o Bharata. Il demoniaco(4) 
L'ipocrisia, l'arroganza, il sentir di sé troppo altamente, l'essere collerico 
ed anche la rudezza ed ignoranza (sono), o Partha, di colui che è nato 
per la condizione demoniaca. Le conseguenze dell'una 
e dell'altra condizione(5) La 
divina perfezione si ritiene che sia per la liberazione e la natura demoniaca in 
funzione del vincolo (della schiavitù spirituale). Non ti addolorare, o 
Pandava, tu sei nato per la divina perfezione. (6) (Ci 
sono) due generi di esseri creati nel mondo: il divino e il demoniaco; il divino 
è stato descritto per esteso; ascolta da me, o Partha, (l'esposizione) 
del demoniaco. (7) Gli 
uomini demoniaci non conoscono né la via dell'agire né la via delle rinuncia 
all'agire; in essi non si trova purezza, né buona condotta, né verità. (8) Dicono 
che il mondo sia senza realtà, senza fondamento, senza un Signore, non venuto 
all'essere secondo una regolare connessione causale, in breve, causato dal 
desiderio. (9) Tenendo 
fermo a questo modo di vedere, gli uomini di corto intelletto, che nuocciono a 
se stessi, si levano, uomini dagli atti violenti, quali nemici del mondo, per la 
sua distruzione.
 (10) 
Abbandonandosi a un desiderio che non può essere saziato, pieni di fraudolenza, 
albagìa, orgoglio, per via d'illusione in sé trattenendo cattive inclinazioni, 
agiscono avendo una condotta non pura. (11) Dediti 
ad un impegno affannoso o senza misura, che ha fine soltanto con la morte, essi 
che credono che la necessità primaria per l'uomo consista nel soddisfacimento 
dei desideri e sono convinti che di questo mondo sia l'unica realtà, (12) legati 
dai cento e cento vincoli del desiderio, dediti al piacere ed all'ira, cercano 
di ottenere delle fortune, seguendo un modo di procedere irregolare (ingiusto), 
pur di soddisfare i loro desideri; (13) "Oggi 
son riuscito ad ottenere questo, quest'altro desiderio riuscirò a soddisfare; 
questa cosa mi appartiene e anche l'altro bene a sua volta sarà mio"; (14) "Questo 
nemico è stato ucciso da me ed altri anche io ucciderò; io sono il Signore, sono 
colui che gode, sono fortunato, potente, felice"; (15) "Io 
sono ricco, sono di nobile stirpe: chi altro c'è che sia simile a me? Io farò 
sacrifici, farò doni e godrò": cosí (dicono essi) illusi dall'ignoranza. (16) Agitati 
dai piú diversi pensieri, avviluppati nella rete dell'illusione, impegnati nella 
soddisfazione dei loro desideri, cadono in un cupo inferno. (17) 
Infatuati di se stessi, pretensiozi, presi dalla superbia e dall'orgoglio della 
ricchezza, compiono dei sacrifici che sacrifici sono soltanto di nome, in modo 
del tutto ostentato e senza tener conto delle regole. (18) 
Abbandonandosi all'egocentrismo, alla bruta prepotenza, all'orgoglio, e cosi 
anche alla lussuria ed all'ira, (questi) uomini a tutti nemici son tali da 
detestare Me (che pur albergo) nei loro stessi corpi e in quelli degli altri. (19) Questi 
(uomini) che non fanno che odiare, (questi uomini) crudeli, i piú vili degli 
uomini, nel succedersi delle nascite e delle morti, io ininterrottamente 
scaravento, essi, i malvagi, in demoniache matrici. (20) Caduti 
in matrice demoniaca questi uomini dalla mente confusa, di nascita in nascita, 
senza raggiungermi, o figlio di Kuntì, vanno piuttosto, di conseguenza, 
all'infima delle condizioni. Le tre porte 
dell'inferno(21) Questa 
porta che mena all'inferno, essa, la distruggitrice del sé particolare ha un 
triplice accesso (è triplice): (consiste in) passione, ira, avidità. Pertanto, 
occorre metter da parte queste tre cose. (22) L'uomo 
che si è liberato di queste tre porte che menano al regno delle tenebre, o 
figlio di Kuntì, fa ciò che è meglio per il suo sé, e quindi raggiunge lo 
stato supremo. (23) Colui 
che sdegnando le norme della Scrittura, agisce a seconda delle proprie passioni, 
non raggiunge né la perfezione né la felicità né lo stato supremo. (24) Perciò 
la Scrittura sia la tua norma nella determinazione di ciò che è da fare e di ciò 
che non si deve fare; conoscendo ciò che è detto nelle norme contenute nella 
Scrittura, devi compiere in questo mondo l'opera tua. 
     
 Le tre specie di fedeArjuna 
disse: (1) Di 
coloro che, dando importanza minore ai precetti scritturali, (pur) pieni di 
fede, fanno offerta di sacrifici, qual è la situazione o Krsna? Sono essi 
partecipi del principio della bontà o di quello della passione, o di quello 
della tenebra? Il Signore 
Beato disse: (2) La fede 
di coloro che si sono incarnati in un corpo è di tre specie, ognuna di esse 
avendo origine dalla natura di ciascuno: ossia buona, passionale, tenebresa. 
Ascolta (dunque il mio discorso su) queste (specie). (3) La fede 
di ciascuno è conforme alla sua natura, o Bharata; della natura della sua 
fede, tale è l'uomo; quale la sua fede in realtà è, tale appunto egli è. (4) Gli 
uomini buoni onorano gli dei, quelli dominati dalle passioni onorano i semidei e 
i demoni e quelli che hanno lo spirito ottenebrato onorano gli spiriti dei 
morti, ai quali non sono stati ancora resi gli onori funebri, e le tribú degli 
spiriti. (5) Quegli 
uomini che si sottopongono ad una terribile penitenza, non stabilita dalla 
scrittura, (in quanto) vogliono secondare ipocrisia ed egoismo e sono posseduti 
dalla violenza della cupidigia e della passione, (6) essendo 
privi di senno, compiono un'azione riduttiva sull'insieme di elementi che ha 
sede nel corpo ed anche su di me in quanto dimoro in un corpo. Sappi che questi 
sono demoniaci nella loro determinazione. Le tre specie di cibo(7) Anche il 
cibo che è caro a ciascuno è di tre specie; e cosi anche i sacrifici, le 
penitenze, i doni; ascolta dunque codesta distinzione-classificazione. (8) I cibi 
che accrescono la lunghezza della vita, la forza vitale, la forza fisica, la 
buona salute, la felicità e la piacevolezza (dell'esistere), saporiti, teneri, 
nutrienti, gradevoli sono cari a quelli che partecipano del sattva. (9) I cibi 
amari, acidi, salati, assai caldi, piccanti, aspri, che bruciano, che fanno 
male, che dànno luogo a pene e ad indigestione, sono preferiti da coloro che son 
dominati dalle passioni (rajas).
 (10) Ciò che 
è corrotto (che ha fatto il suo tempo), che è privo di sapore, che è putrido, 
che ha passato il tempo in cui era accettabile, che è stato rifiutato ed è 
sozzo, questo è il cibo che è caro a chi è nel tamas. Le tre specie di 
sacrificio(11) Quel 
sacrificio che è offerto, in accordo con le norme scritturali, da coloro che non 
bramano il frutto e che volgono il loro spirito al fatto che 'è doveroso offrire 
il sacrificio, quel sacrificio partecipa della bontà. (12) Ma ciò 
che è offerto, con la mira al frutto od anche per ostentazione, o ottimo fra i
Bharata, sappi che quel sacrificio partecipa del rajas (della 
passione). (13) Il 
sacrificio che è al di fuori della norma, nel quale non è offerto cibo, privo di 
inni, non accompagnato da doni, ove non è presente la fede, si dice che sia 
partecipe della tenebra. Le tre specie di 
penitenza(14) Il 
culto reso agli dei, ai nati due volte, ai maestri, ai saggi, la purezza, la 
rettitudine, la continenza e l'astensione dal nuocere, (questo) si chiama la 
penitenza o ascesi del corpo. (15) Il 
pronunciar parole che non arrecano turbamento, che rispondono a verità, che sono 
gradevoli e salutari e l'esercizio di recitazione dei Veda (ciò) è detto 
(essere) ascesi relativa al discorso. (16) Calma 
nella propria psiche, gradevole gentilezza, silenziosa riservatezza, controllo 
di sé, purezza di spirito, questo ha il nome di ascesi dell'anima. (17) Questa 
triplice ascesi, praticata con la fede piú alta da uomini dall'animo fermo e che 
non abbiano la brama del frutto, è chiamata partecipe del principio della bontà. (18) 
Quell'ascesi che è praticata al fine di ottenere gli onori che si rendono alle 
persone di riguardo e in genere onore e rispetto e per far bella mostra è, nel 
nostro mondo qui, chiamata partecipe del principio della passione: è sempre 
mutevole e incostante. (19) Quella 
specie di ascesi che è praticata con una infatuazione che deriva da errato 
concetto, con proprio danno o al fine di distruggere altri, è detta partecipe 
del tenebroso. Le tre specie di doni(20) Quel 
dono che è fatto a uno che non dà il concambio, (pensando) che questo è un dono 
che dev'essere fatto, nel luogo giusto e al tempo giusto e a persona degna, quel 
dono si giudica esser partecipe di bontà. (21) Ma quel 
dono che è fatto in funzione di una ricompensa, o con l'animo volto al frutto, 
come guadagno di ritorno, o controvoglia, è detto essere della natura della 
passione. (22) E quel 
dono che è fatto a tempo e in luogo inopportuni a persone indegne, in modo 
scortese (o) con disprezzo, è detto essere della natura delle tenebre. L'espressione mistica: 
Aum Tat Sat(23) Il 
triplice segno di Brahman è considerato essere "aum tat sat". 
Con esso furono stabiliti in antico i Brahmani, i Veda ed i 
sacrifici. (24) Perciò 
pronunciando (la sillaba) aum, gli atti di sacrificio, dono, 
penitenza, come prescritti dalle norme scritturali per i fedeli interpreti del
Brahman, si praticano sempre per opera loro. (25) 
(Pronunciando la sillaba) tat, senza aver la mira al frutto, sono 
compiuti da coloro che cercano la liberazione i diversi atti del sacrificio e 
dell'ascesi e i diversi atti del dare. (26) La 
sillaba sat è usata col significato di "realtà effettiva" e col 
significato di "realtà santa"; ed ugualmente, o Partha, la parola 
sat è usata nel senso di "azione buona". (27) La 
fermezza nel sacrificio, nell'ascesí, nel dono è chiamata anche sat ed 
ugualmente è chiamata sat ogni azione che abbia fini siffatti. (28) 
Qualsiasi offerta sia fatta, qualunque dono sia fatto, qualunque atto d'ascesi 
sia compiuto senza fede ha il nome di asat, o Partha: nulla 
dopo la morte, nulla in questa vita. 
Questo è il diciassettesimo capitolo dal 
titolo     
 Si deve praticare la 
rinuncia non nel senso della rinuncia all'operare bensì nel senso della rinuncia 
al frutto delle opereArjuna 
disse:
 (1) O eroe 
dal forte braccio, desidero conoscere il vero concetto della rinuncia e 
dell'abbandono, o Hrsikesa, nei vari modi, o Kesinisudana. Il Signore 
Beato disse: (2) I 
sapienti sanno che la rinuncia consiste nell'astensione dalle opere, compiute 
con fine d'interesse; coloro che vedono chiaramente (i dotti) affermano che 
l'abbandono consiste nel lasciare i frutti di tutte le opere. (3) Bisogna 
astenersi dall'operare, come da un male: cosi alcuni uomini saggi opinano; ed 
altri (affermano) che gli atti di sacrificio, di dono, d'ascesi non devono 
essere dismessi. (4) Ascolta 
ora da me, ottimo fra i Bharata, la nozione certa dell'abbandono: 
l'abbandono, o sommo tra gli uomini, è stato spiegato come triplice. (5) Gli atti 
che consistono nel sacrifizio nel dono nell'ascesi non devono essere abbandonati 
(o dismessi), ma devono invece essere compiuti. Perché il sacrificio, il dono, 
l'ascesi (realizzano) la purificazione dei saggi. (6) Ma anche 
queste opere devono essere compiute, abbandonando l'attaccamento e il desiderio 
del frutto. Tale o Partha, è il mio modo di pensare deciso ed ultimo (o 
sommo). (7) Ma il 
rifuggire da un atto prescritto non è cosa che possa approvarsi; l'astenersi da 
una cosa del genere, per via di illusione, si dichiara essere della natura del
tamas, del tenebroso. (8) Chi 
tralasci un'azione (considerando che è) dolorosa, per paura della sofferenza 
fisica, quegli, compiendo una rinuncia di tipo passionale, non potrà ottenere il 
frutto della rinuncia. (9) Ma colui 
che compia il dovere prescritto (considerando) che "è una cosa che bisogna 
fare", o Arjuna, mettendo da parte ogni attaccamento e cosi anche la 
prospettiva del frutto, (realizza) una rinuncia (che) è giudicata partecipe del 
principio della bontà. (10) L'uomo 
saggio che compie la rinuncia, che è compenetrato dal sattva o principio 
della bontà, i cui dubbi sono dispersi, non odia nessuna azione penosa e non ha 
attaccamento per il facile operare. (11) Davvero 
non è possibile, per chi è fornito di un corpo , rinunciare in tutto e per tutto 
all'operare. Ma colui che rinuncia al frutto dell'opera, (quegli) è chiamato 
colui che pratica autenticamente il distacco. (12) 
Sgradevole, gradevole, misto: triplice è il frutto dell'operare, per coloro che 
non hanno compiuto la rinuncia, una volta che siano morti: non ce n'è di alcun 
genere per coloro che hanno compiuto la rinuncia. L'operare è una 
funzione naturale(13) O 
(eroe) dal forte braccio, apprendi da me questi cinque principii, per il 
compimento di tutte le azioni, (come) sono enunciati nella dottrina samkhya. (14) La base 
dell'agire ed ugualmente l'agente, lo strumento nelle sue varie specie, i vari 
tipi di attività separatamente presi e poi l'elemento piú che umano (superiore 
all'umano) che è il quinto. (15) 
Qualsiasi azione l'uomo intraprenda con il corpo, la parola, la mente, (azione) 
che sia secondo la regola o che vada in senso opposto, cinque sono i suoi 
fattori. (16) Cosi 
stando le cose allora, l'uomo dallo spirito distorto che ritenga se stesso 
l'agente assoluto, per il fatto che non maturo è il suo spirito, quegli, (in 
realtà) non vede. (17) Colui 
che è libero da ogni (illusorio) sentimento egocentrico, che non ha la facoltà 
distinguente turbata, anche se uccide in questo mondo, non uccide (in realtà) e 
non soffre vincolo (per le sue azioni). La conoscenza e 
l'azione(18) La 
conoscenza, l'oggetto della conoscenza, il soggetto conoscente costituiscono il 
triplice incitamento all'agire; lo strumento, l'azione e l'agente sono i tre 
elementi che entrano a costituire ogni azione. (19) La 
conoscenza, l'azione e l'agente, secondo la scienza dei guna (delle 
qualità), si dice che siano di tre specie soltanto, secondo la distinzione dei
guna. Ascolta anche di questi, come è buona regola. Le tre specie della 
conoscenza(20) Quella 
conoscenza per la quale è visto in tutti gli esseri l'unico essere imperituro, 
indiviso nelle (esistenze) divise, sappi che partecipa della bontà. (21) Quella 
conoscenza che conosce vari esseri di diverse sorti in tutti gli esistenti, a 
causa del loro essere separati, sappi che quella conoscenza partecipa della 
passione. (22) Ma 
quella (conoscenza) che resta appresa ad un singolo effetto, come se fosse il 
tutto, senza considerare la causa, per il fatto di non tener a ciò che è reale, 
(quella conoscenza) che è di valore limitato si dichiara essere partecipe del 
tenebroso. Le tre specie 
dell'operare(23) 
Quell'azione che appartiene al novero delle prescritte, che è compiuta senza 
attaccamento, senza amore od ostilità da colui che non cerca di ottenere il 
frutto, quella è detta partecipe della bontà. (24) Ma 
quell'azione che è compiuta, mentre implica sforzo o pena, da uno che vuole la 
soddisfazione dei suoi desideri oppur anche da uno che sia pieno di sentimento 
di sé, si dice partecipe della passione. (25) L'atto 
che si fonda sullo smarrimento mentale, senza tener conto del rapporto seriale 
immediato degli eventi, di rovina o di torto (possibile altrui arrecato) e senza 
considerare le umane possibilità, è detto partecipe della tenebra. Tre specie di agente(26) Colui 
che agisce (essendo) libero da attaccamento, che non parla come (fa) l'egoista, 
che è pienamente dotato di costanza ed energia, che non è scosso da successo o 
insuccesso, è detto partecipe della bontà. (27) Colui 
che agisce in preda a (varie) brame, che avidamente cerca il frutto dell'azione, 
(che è in sé) avido, con l'animo di chi vuol fare del male, impuro, con l'animo 
pieno di gioia o di tristezza, è detto partecipe di qualità passionale. (28) Colui 
che agisce senza aver conseguito l'equilibrio, che è volgare, ostinato, falso, 
sornione, ignavo, depresso e tergiversante si dice partecipe della tenebra. Le tre specie 
d'intelletto (facoltà discriminativa)(29) Ascolta 
(dunque ora) la triplice distinzione dell'intelletto (come capacità 
discriminativa) e della ferma costanza spirituale, secondo le qualità, o 
possessore della ricchezza, enunciata interamente e distintamente. (30) O 
figlio di Partha, l'intelletto che conosce il muoversi in avanti 
(l'agire) e lo starsene immobili, ciò che si deve e ciò che non si deve fare, 
ciò che si deve e ciò che non si deve temere, ciò che lega e ciò che libera, 
(quello), è partecipe della bontà. (31) Ma 
l'intelletto con il quale (si) conosce in modo improprio il giusto e l'ingiusto, 
ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare, quello, o figlio di Partha, 
è in sé passionale. (32) E 
l'intelletto che, avviluppato dalle tenebre, pensa che l'ingiusto sia giusto e 
(concepisce) tutte le determinazioni concrete all'inverso, o Partha, 
(quello) partecipa della tenebra. Le tre specie di salda 
fermezza(33) La 
salda fermezza con la quale (uno) regola le attività della mente, del flusso 
vitale, dei sensi, per mezzo della concentrazione, quella salda fermezza che mai 
non si svia, o Partha, è partecipe della bontà. (34) La 
salda fermezza per mezzo della quale uno che sia desideroso del frutto, in 
stretta dipendenza da ciò, volge la propria attenzione al dovere, al piacere, 
alla ricchezza, quella fermezza, o Partha, è del tipo della passione. (35) La 
salda fermezza per via della quale lo stolto non lascia (di abbandonarsi al) 
sonno, alla paura, all'ansia, alla tristezza, all'ebbra eccitazione orgogliosa, 
o Partha, è (quella) partecipe del principio della tenebra. Le tre specie di 
felicità(36) Ora poi 
ascolta da me, o ottimo fra i Bharata, le tre specie di felicità (quali 
siano). Quella per cui (l'uomo) in seguito ad esercizio prende diletto e giunge 
al termine del suo soffrire, (37) Quella 
felicità che al principio è come un veleno ed alla fine rassomiglia al nettare, 
che nasce dalla chiarezza dell'intendimento del Sé, è detta essere partecipe del 
principio della bontà. (38) Quella 
felicità che nasce dal contatto dei sensi e degli oggetti di senso e che è come 
nettare al principio, come veleno alla fine, una tale felicità è menzionata come 
del tipo passionale. (39) Quella 
condizione di piacere che al principio e in ciò che ad esso consegue, 
(rappresenta un) turbamento dell'anima e che è sorta dal sonno profondo, dalla 
pigrizia, dalla negligenza quella appunto è detta essere partecipe del 
tenebroso. I vari doveri 
determinati dalla natura particolare (svabhava) e dalla condizione sociale 
particolare (svadharma)(40) Non c'è 
(essere) esistente particolare sulla terra o anche fra gli dei in cielo, che sia 
libero da codesti tre guna che traggono origine dalla natura. (41) Gli 
atti dei Brahmani, degli ksatriyah, dei vaisyah e degli 
sudrah, o distruttor dei nemici, sono distinti a seconda delle qualità che 
hanno origine nella natura particolare di essi. (42) La 
serenità, il controllo di sé, la vita ascetica, la purezza, la tolleranza e la 
rettitudine sincera, la sapienza, la conoscenza e la pietas, (tale è) 
l'agire proprio del Brahmano e che trae origine dalla sua stessa natura. (43) 
L'eroismo, il vigore, la fermezza, la destrezza, il non fuggire nemmeno nel 
pieno della mischia, la generosità, avere l'orgoglio del comando, (questo è) 
l'agire dello ksatriya, (agire) che nasce dalla sua natura stessa. (44) 
L'agricoltura, l'aver cura del bestiame, la mercatura (costituiscono) l'agire di 
un vaisya, (agire) che nasce dalla sua natura stessa; l'operare che ha il 
carattere del servire è proprio dello sudra e nasce dalla sua stessa 
natura. (45) Ciascun 
uomo, che trova piacere nel proprio lavoro, raggiunge la perfezione Come 
ciascuno che con impegno compia il proprio lavoro raggiunga la perfezione, 
questo (appunto) ascolta. (46) Colui 
dal quale (si muove) lo sviluppo degli esseri e dal quale tutto questo mondo 
promana, quello appunto, per mezzo della sua propria opera, l'uomo onorando, 
raggiunge la perfezione. (47) 
Migliore è la legge propria, (per quanto) sprovvista di qualità (che la rendono 
perfetta), che non l'altrui legge ben praticata. Colui che compie opera ordinata 
dalla propria natura non commette colpa. (48) Nessuno 
deve abbandonare l'opera che gli è connaturata, o figlio di Kuntì, per 
quanto piena di difetti possa essere, perché in verità tutte le intraprese sono 
annebbiate da difetti, come il fuoco dal fumo. Il karmayoga e la 
perfezione assoluta(49) Colui 
il cui intelletto non ha in modo alcuno attaccamento, colui che ha vinto il suo 
sé (e) che si è liberato dei suoi desideri, attraverso la rinuncia, perviene 
allo stato di perfezione che è al disopra dell'operare. La perfezione di 
Brahman(50) Colui 
che ha raggiunto la perfezione, (allora) attinge il Brahman, che è il 
massimo compimento della conoscenza: (questo) da me ascolta in breve, o figlio 
di Kunti. (51) 
(Essendo) fornito di un puro intelletto, con fermezza controllando se stesso, 
rinunciando al suono ed agli altri oggetti di senso e respingendo via da sé 
attrazione e avversione, (52) menando 
vita solitaria, mangiando assai poco, padrone della parola, del corpo, della 
psiche, dandosi sempre alla meditazione ed alla concentrazione e trovando 
rifugio nell'indifferenza, (53) tenendo 
lontano l'egocentrismo, la forza bruta, l'arroganza, il desiderio, l'ira, il 
possesso, rinunciando all'io e dopo essersi raccolto in pace, è atto a divenire 
una realtà sola col Brahman. La devozione suprema(54) 
(Essendo) divenuto una cosa sola col Brahman, avendo lo spirito sereno, 
non ha pene (e) non ha desideri. Uguale verso tutti gli esseri, in me attinge la 
devozione suprema. (55) Per 
mezzo della devozione giunge a conoscermi, come sono e quale io sono in realtà; 
perciò, avendo conosciuto me in verità, in me immediatamente fa ingresso. Applicazione di 
quest'insegnamento al caso di Arjuna(56) 
Continuamente compiendo tutte le azioni, purchè in me cercando rifugio, per mia 
grazia raggiunge l'eterna imperitura dimora. (57) 
Risolvendo nel tuo spirito in me le tue opere, a me devoto, ricorrendo alla 
fermezza dell'equilibrio spirituale, abbi il pensiero costantemente in me fisso. (58) In me 
tenendo fiso il pensiero, per mezzo della mia grazia, supererai tutte le 
difficoltà: ma se poi tu, per dar valore al tuo ego, non mi ascolterai, perirai. (59) Se, ad 
alto sentimento del tuo sé abbandonandoti, pensi "non combatterò", questa tua 
risoluzione (è formulata) invano: sarà la natura stessa a costringerti. (60) Quello 
che non desideri fare, per uno smarrimento della tua mente, quello (tu) farai 
anche contro la tua volontà, costretto dal tuo operare, sorto dalla tua stessa 
natura, o figlio di Kuntì. (61) Il 
Signore, o Arjuna, dimora nella regione del cuore di tutti gli esseri, 
volgendo intorno tutti gli esseri col suo potere, come se fossero posti su di 
una macchina. (62) A lui 
va' come al tuo asilo, con tutto il tuo essere, o Bharata; attraverso la 
sua grazia attingerai la pace suprema e l'eterna dimora. (63) Cosí 
quella sapienza-conoscenza che è piú segreta di tutti i segreti, è stata da me a 
te spiegata; rifletti su di essa senza nulla tralasciare e fa (cosí) come 
preferisci (di fare). Esortazione finale(64) Ascolta 
di nuovo la mia suprema parola, quella che di tutte è la piú segreta; tu sei da 
me intensamente amato, e ti dirò quindi ciò che per te è buono. (65) Fissa 
su di me l'anima tua; sii a me devoto; a me rendi il sacrifizio; a me rendi 
onore; a me cosí tu verrai e a te prometto la verità, (ché) tu mi sei caro. (66) 
Mettendo da canto tutti i doveri, vieni a me (che son) l'unico asilo; non ti 
affliggere, sarò io a liberarti da tutti i mali. Il compenso per aver 
seguito l'insegnamento(67) Questo 
(insegnamento) non dev'essere da te assolutamente esposto ad uno che non 
pratichi penitenze, a uno che non abbia devozione, a uno che mi disobbedisca o 
(che) mi biasimi. (68) Colui 
che spiegherà questo supremo segreto ai miei devoti, per me realizzando una 
devozione che non ha altra che la superi, a me senza dubbio verrà. (69) Non ci 
(potrà essere) fra gli uomini alcuno che compia azione a me piú cara; né ci può 
essere altri piú caro di lui sulla terra. (70) E da 
colui che studierà questo dialogo, che noi due abbiamo condotto secondo i sacri 
principii, è mio intendimento di essere onorato, attraverso l'ascesi della 
conoscenza. (71) E 
l'uomo che lo ascolti con fede e senza pensieri maligni, quegli appunto, 
liberato, raggiungerà i mondi felici dove dimorano i virtuosi. (72) È stato 
questo (discorso) da te udito con animo fisso su un punto, o Partha? Lo 
sviamento causato dall'ignoranza è stato esso disperso, o possessore della 
ricchezza? Arjuna 
disse: (73) 
Dissolto è il mio smarrimento e da me conquistata la consapevolezza, attraverso 
la tua grazia, o Incrollabile. Fermo sto, con i dubbi che si son tutti dissolti: 
quel che tu mi hai detto, io compirò. Samjaya 
disse: (74) Cosí io 
ho udito questo meraviglioso dialogo fra Vasudeva e il magnanimo 
Partha, che tale fu da darmi un brivido orripilante. (75) Per 
grazia di Vyasa, io ho ascoltato questo segreto supremo, (questo) yoga, 
proprio dallo stesso Krsna, da lui, il signore dello yoga, che lo 
spiegava, di persona. (76) O re, 
ogni volta che ripenso a questo dialogo meraviglioso e santo di Kesava ed
Arjuna, gioisco e torno a gioire. (77) Ed ogni 
volta che richiamo alla mente la forma piú che portentosa di Hari, grande 
è il mio stupore, o re, e gioisco e torno a gioire. (78) Laddove 
è Krsna, signore dello Yoga, laddove è Partha, l'arciere, ivi, 
fermamente credo, sono per certo in modo stabile la fortuna, la vittoria, il 
benessere, la buona condotta. 
Questo è il diciottesimo capitolo 
intitolato Qui finiscono gli insegnamenti upanisadici della Bhagavad Gita. 
 
 Da: http://www.estovest.net/testi/bhagavadgita/index.html 
 
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