in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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A noi due, sofferenza (Arnaud Desjardins)
dal libro “La via del cuore”

 

Se volete progredire, dovete riconoscere sinceramente che siete in grado di ascoltare una verità anche cinquanta volte e pensare di conoscerla bene, ma di non averla compresa realmente. Non dovete confondere ‘sapere’, ‘conoscere’ e ‘comprendere’: la vera conoscenza è una funzione dell’essere: si conosce quello che si è. Gli studi scolastici sono soprattutto un fatto di sapere, che si tratti di calcolare una radice quadrata o della prima guerra mondiale. Ma qui parliamo di qualcosa di infinitamente semplice e insieme estremamente sottile, che va contro le nostre abitudini mentali.

 

Se pensate di conoscere veramente alcune verità per averle lette nei libri e averci creduto, vi sbagliate. Anche le più semplici verità dell’insegnamento hanno bisogno di anni di maturazione, se vogliamo non solo conoscerle e saperle esporre, ma possederne la certezza personale. Questo vale praticamente per tutti gli assunti importanti che Swamiji mi ha personalmente trasmesso, e che a mia volta trasmetto a voi. In particolare per uno dei più preziosi (gli altri sono per lo più corollari di questo): l’essenziale non è di acquisire ciò che ci manca (la saggezza, il controllo di sé, l’amore universale, la supercoscienza), ma di far sparire ciò che è di troppo.

 

Ora che avete sentito questa frase, credete di averla davvero compresa? Sono sicuro di no. Già sono possibili dei malintesi sul senso delle parole. Ma anche se il senso vi fosse chiaro, non basterebbe a far diventare questa verità parte della vostra esperienza. Parlando con l’uno o l’altro di voi, mi accorgo di come la mentalità ordinaria di ciascuno recuperi queste verità nella misura in cui vengono dette, così che alla fine riconduciamo quanto di nuovo ci viene proposto alla nostra personale esperienza abituale. C’è qualcosa (uso apposta un termine vago) che psicologicamente, mentalmente, emozionalmente è di troppo (e che quindi dovrebbe sparire), e che ci impedisce di comprendere bene la frase in questione.

 

Questo qualcosa è ciò che chiamiamo ‘ego’. Ma anche riguardo al termine ego, che avete sentito mille volte, non si arriva subito a capire ciò che significa veramente. Ego non è altro che ciò che dice ‘io’. Voi lo sapete, lo potete ripetere senza sbagliarvi, può darsi persino che qualcuno che lo ascolta da voi lo capisca meglio di voi. Ma voi non ne avete ancora l’esperienza completa con il vostro intero essere. Questa esperienza non la potete possedere che sperimentando, ‘vedendo’. E le condizioni dell’esistenza in cui siete, istante dopo istante, sono le uniche possibilità di vedere e di sperimentare che ci vengono offerte. Non lasciatele sfuggire, non perdetele. In ogni istante è presente tutto l’essenziale, il dualismo e il non-dualismo, l’ego e la possibilità di scoprire il segreto dell’ego.

 

Siamo talmente abituati a questo ego che neppure lo vediamo all’opera. E’ un po’ come il famoso esempio, usato in casi e significati diversi, dell’uomo che cerca dappertutto gli occhiali che ha sul naso. Ho capito veramente quest’esempio solo il giorno in cui mi è successo veramente. Gli occhiali erano la cosa più vicina ai miei occhi , ma non li vedevo. E l’ego è così vicino, così perfettamente davanti a noi, che finiamo col guardare sempre un po’ oltre e ce lo lasciamo sfuggire.

 

E’ necessario che la vostra visione diventi molto interiorizzata perché possa vedere davvero ciò che comunemente vede, per sentire ciò che comunemente sente e per percepire ciò che comunemente percepisce. L’ego dovrà sparire, perché quegli occhiali non sono affatto utili. Non ci aiutano a vedere, ma, al contrario, deformano completamente la nostra visione.

 

Nelle condizioni di vita di un uomo comune, che non ha mai praticato nessuna ascesi e che non è neppure un poco purificato o trasformato interiormente, tutta l’esistenza è vissuta attraverso l’ego. Per questo dico che è così vicino a noi che neppure lo vediamo. E tuttavia è proprio questo ego che dovete scoprire all’opera, psicologicamente, mentalmente ed emozionalmente. E’ l’ego che intende, che percepisce, che sente, che valuta, che reagisce, che decide, e senza un’ascesi rigorosa, ben condotta, perseverante, questo ego non sarà mai visto, mai smascherato.

 

Immaginate un uomo che ha preso l’abitudine di guardare attraverso degli occhiali, l’ego appunto, di cui non sospetta neppure l’esistenza perché gli sono stati messi fin dall’infanzia. Non gli verrà mai in mente di toglierseli, e continuerà a vivere fino alla fine condizionato dall’ego senza accorgersi di esserne essenzialmente libero. Già è arduo farlo sparire anche ponendo attenzione alla sua inutilità e vanità. Figurarsi quando non si ha la minima intenzione di farlo sparire o magari neppure il minimo sospetto che esista! Inoltre l’intelletto da solo, la testa da sola, se è vero che può darvi un grande sapere, anche tecnico, utilizzabile concretamente, non può in nessun modo darvi l’esperienza dell’ego. Sull’ego potete leggere libri di psicologia, di metafisica, di yoga, ma è l’ego che li legge, è l’ego che li interpreta.

 

L’ego è la causa delle emozioni, è la causa della percezione dualista. Ora, ‘chi sente?’ E’ l’ego, ‘Chi percepisce?’ L’ego. ‘Chi pensa?’ L’ego. ‘Chi’ riceve le impressioni dal di fuori, ‘chi’ ama o ‘chi’ non ama? L’ego. Il modo migliore per vedere questo ego, questi occhiali così vicini agli occhi da non essere percepibili, è di vedere il ‘questo mi piace, questo non mi piace’, il ‘questo mi dà piacere, questo mi disturba’, cioè la vostra colorazione emotiva.

 

Allora ricordate bene questo punto: il meccanismo mentale o psicologico dell’ego è superfluo, ma vi è talmente familiare che non lo vedete più. E bisogna riuscire a vederlo restando abbastanza vigili per sfuggire, almeno un poco, al suo meccanismo. Potete porvi la domanda: “Chi?”. In questo caso non il grande Chi sono io? che proponeva Ramana Maharshi, quel Chi sono io? la cui risposta è chiaramente il Sé, l’Atman, la Coscienza suprema. Bisogna che la risposta a questo chi? Non sia l’Atman, ma appunto l’ego, quello che deve scomparire. E’ l’ego che giudica, che rifiuta, che valuta, che è d’accordo, che non è d’accordo. Osservando i dettagli minimi, comincerete a conoscere bene di che si tratta e a poco a poco potrete esserne liberi.

 

Il meccanismo contraddistinto dal dualismo ‘favorevole o sfavorevole’, ‘mi piace o non mi piace’ rappresenta il 90 per cento dell’esistenza. Parlando con semplicità, al livello più ordinario: quando siete completamente neutri, o quando la realtà vi appare completamente neutra? E’ molto raro. Voi amate o non amate: un gesto di qualcuno, l’intonazione di voce, l’espressione del viso, il taglio di capelli, il pullover che indossa… Vi piace o non vi piace.

 

Allora potete porvi la domanda: Chi ama? Chi non ama? Chi è contento? Chi è scontento? Chi è rassicurato? Chi è inquieto? E questo nelle più piccole circostanze, in qualunque momento della vita. E vedetelo, vedetelo: chi, chi? Questo è l’ego.

 

E’ inevitabile questo egocentrismo? Con una vigilanza attenta potreste sfuggirgli, ma senza vigilanza non avrete nessuna possibilità. Vi dimenticate, dimenticate e dimenticate. Potete parlare tutto il giorno di saggezza, ma senza vigilanza non potrete mettere in pratica niente.

 

Dunque dovete trovare degli esempi non in condizioni straordinarie, ma nelle situazioni banali della vita quotidiana, quelle che sono normalmente a vostra disposizione. Qui e ora siete in una situazione concreta, qui e ora siete nel particolare e non nel generale. Osservate qui e ora le vostre reazioni. E’ essenziale, ma non vi sembrerà ancora abbastanza grandioso. Voi cercate qualcosa di più bello, di più meraviglioso, di più misterioso: E sarà proprio la vigilanza che vi condurrà allo straordinario.

 

*

 

Ho conosciuto molti aspiranti discepoli che hanno messo in causa questo ego, ma solo in particolari momenti, in condizioni eccezionali di intensità. Forse si sono sentiti sconvolti, lacerati, meravigliati, feriti, ma questo non è stato sufficiente a dare loro una comprensione tale da impregnare tutta l’esistenza. Io me ne stupivo. Mi chiedevo: com’è possibile aver vissuto trent’anni in India, in un ashram, accanto a un saggio, passando notti intere a vegliare, settimane di silenzio, e poi i digiuni, le meditazioni, le ripetizioni di mantra, ed essere ancora capaci di dimenticarsi di tutto questo, di rinnegare quanto è comune a tutti gli insegnamenti e di rifiutare fino a questo punto che ciò che è sia, qui e ora? Come si può essere, dopo tanti anni, ancora così dominati dal mentale, ancora così ‘nel proprio mondo’ e non ‘nel mondo’, ancora così portati a ‘creare un secondo’ e così prigionieri di se stessi e delle proprie emozioni?

 

Parlando con quelle persone dovevo stare attento alle reazioni, cercavo di non farli arrabbiare, cosa che comunque non avrei voluto. Sapevano tutto quello che c’era da sapere del Vedanta, dell’induismo, e delle idee sostenute nei vari ashram. Ma non erano veramente loro a rispondermi. Erano l’esempio vivente di queste dure parole di Swamiji: Your toughts are quotations, “I vostri pensieri sono citazioni”. In quel momento era il vedanta corrente o le idee correnti dell’induismo che mi rispondevano al posto loro. Nonostante trent’anni dedicati alla cancellazione dell’ego, tutti consideravano le loro emozioni assolutamente normali e naturali. Tutti aspettavano che la realizzazione del Sé cadesse dal cielo e che il Risveglio avvenisse come per miracolo.

 

A un certo punto cominciai a preoccuparmi molto nel constatare che non solo non progredivo io, ma neppure progredivano gli altri attorno a me.

 

Dieci anni dopo la morte di Ramana Maharshi andai a Tiruvannamalai con un’immensa speranza. Nel suo libro India segreta, Paul Brunton racconta di aver passato un mese presso Ramana Maharshi e di aver vissuto alla fine un’indimenticabile esperienza di samadhi, cosa che ha dato alla sua testimonianza notorietà mondiale. Pensavo se un mese sotto lo sguardo magico del Maharshi ha portato Paul Brunton a una realizzazione simile, dove porterà mai un anno intero accanto a un saggio di quella forza? Incontrai anche persona che avevano visto il Maharshi vivo tutti i giorni, e dopo la sua morte avevano vissuto dieci anni all’ashram, un ashram ancora vibrante della sua presenza. Rimasi deluso, quasi annientato: fra indiani e indiani, fra europei ed europei, i discepoli erano pettegoli, si giudicavano, si criticavano l’un l’altro, si lasciavano trascinare dalle emozioni. Se loro, dopo vent’anni a Tiruvannamalai, erano così, cosa potevo sperare io? E non si poteva definirli mediocri, anzi erano gente di qualità, coraggiosa e si sincera. Mi preoccupai molto.

 

Oggi io non ho niente da perdere, niente da guadagnare, niente da proteggere, niente da salvaguardare. Ma voi dovete fare attenzione a non fare errori. Quel che c’è da trovare è semplice. Non cambierete certo perché farete un mese di digiuno invece di tre settimane, né perché starete due giorni a settimana anziché uno in silenzio assoluto, e neppure perché ripeterete il vostro mantra diecimila volte anziché mille. E’ solo vedendo con acume il meccanismo stesso dell’ego e dell’emozione, sorpreso nell’istante, proprio qui e proprio ora, che il vostro essere intero, la vostra vita intera saranno cambiati. Non c’è altra possibilità che l’istante. Il tragitto Parigi-India in automobile, diecimila chilometri (e ai miei tempi non c’erano strade asfaltate, era davvero un’avventura), si compie cinque centimetri per la volta, i cinque centimetri con cui il pneumatico aderisce alla strada. Lo stesso pneumatico affronta un boulevard a Parigi, la strada fra Teheran e Meched, un vicolo di Benares. E un bel giorno lo scopo è raggiunto.

 

Chi è che guarda? E’ l’ego. Chi è che si affligge? E’ l’ego. E’ unicamente all’ego che la vita fa del male.

 

Ogni istante è l’occasione per sorprendere l’ego in flagrante delitto di separazione fra voi e il reale e, per primo, il ‘reale relativo’ degli avvenimenti che si succedono. Per esempio, oggi parlando con voi tossisco. Molto importante. Molto interessante. Molto ricco. Tutto l’essenziale è incluso qui dentro: io tossisco. Ora, cosa succede in genere? Certo, per un frequentatore delle Upanishad che si è fatta un’idea dell’Assoluto o del Brahaman, che cerca ‘l’aldilà oltre l’aldilà’, l’Infinito, l’Eterno, il fatto di tossire non presenta il minimo interesse. Ecco dove sta l’errore. Il tossire non presenta il minimo interesse per il ricercatore spirituale. L’interessante sarebbe forse assistere all’ostensione della Sacra Sindone o passare una notte a girare intorno alla montagna sacra di Arunachala ripetendo un mantra. Ma tossire è una seccatura e basta.

 

No. Per ognuno non c’è mai nient’altro che ‘qui e ora’. Io tossisco. Tutto il passato, tutto il presente e tutto il futuro, tutto il dualismo, tutta la tragedia umana sono contenuti nel fatto che io tossisco qui, oggi, questo pomeriggio, in questo momento davanti a voi. L’acqua è la stessa in un cucchiaio e nell’intero oceano, il fuoco è lo stesso nella fiamma di una candela e nell’incendio che distrugge una città, e tutta la tragedia dell’essere umano è contenuta nel fatto che questo pomeriggio io tossisco. L’essenza, il principio, vale a dire l’ego o il dualismo, è lo stesso. E non lo dico alludendo a chissà quali sottigliezze filosofiche: prendete l’asserzione alla lettera.

 

In genere non si vorrebbe tossire quando si deve parlare per due ore di fronte a quaranta persone venute da lontano per ascoltarvi. Ma chi non vorrebbe tossire? Io tossisco, io non sono contento di tossire, la cosa non fa parte del gradevole ma dello sgradevole, non del felice ma dell’infelice. E’ semplice: considerate tutta l’esistenza più o meno divisa in due, concavo-convesso, bipolarità, coppie di opposti, i dvandva. Ogni cosa ha sempre il suo contrario. Qui, ora, io tossisco. Non la tosse di ieri, né la tosse di stanotte, né la tosse di stasera.

 

Ovviamente parlo del mio tossire per spingervi a fare esempi simili, relativi a voi, e di osservarli nel momento preciso in cui ogni esempio è in atto. Non lasciatevi sfuggire l’occasione. Non avete nient’altro per progredire.

 

*

 

Ci vorrebbero molte sfumature nell’uso della parola ‘io’. Se si è liberi da questo ‘io’ non bisognerebbe più usare questo pronome. Ma per il momento consentitemi di usarlo. Grazie a Swamiji mi sono sbarazzato del fardello più terribile, il fardello che noi siamo per noi stessi, il fardello dell’ego, quando ogni genere di sforzo, anche eroico, non era riuscito a liberarmene. Questo prova che un’ascesi che in certi momenti è dura, a volte molto dura, si rivela molto fruttuosa se si misurano i risultati in rapporto agli sforzi. Ma soprattutto non lasciatevi più sfuggire le piccole circostanze quotidiane, essenziali per il Cammino che seguiamo.

 

Torniamo al mio tossire (ma, ripeto, fate esempi simili e relativi a ognuno di voi): c’è qualcuno o qualcosa in me che percepisce la tosse, che la percepisce fisicamente con la sensazione ‘mi brucia’, che la concepisce mentalmente con ‘è la tosse’. Ma c’è o non c’è reazione emotiva? A partire dal momento in cui c’è anche un minimo divario fra ciò che è (‘tossisco’) e ciò che secondo me dovrebbe essere (‘non dovrei tossire’), nulla più vieta che questo divario si allarghi e continui a peggiorare. Quando il fuoco prende, continua a estendersi. Date fuoco d’estate a un piccolo cespuglio ed ettari di bosco bruceranno. Il ‘non dovrei tossire’ non fa che rendere la situazione più fastidiosa. A questo segue il rifiuto del malessere, che rafforza l’atteggiamento negativo, che a sua volta peggiora l’emozione, e così via, finché non saremo riusciti a fare un dramma di un fenomeno minore, cioè appena una tosse inopportuna.

 

Certo, tutti abbiamo un minimo di consapevolezza della tosse, senza la quale a nessuno verrebbe l’idea di informarsi su un eventuale sciroppo. Vi richiamo piuttosto a un’altra consapevolezza, non legata ai meccanismi di reazione al colpo di tosse. Io prendo coscienza che tossisco, ma non è più la stessa persona in me né la stessa risposta alla domanda chi?, chi prende coscienza che io tossisco? Prima era l’ego individualizzato, ora non è più l’ego. Vi sbarazzate di quell’ego solo vedendolo all’opera, anche con un esempio molto semplice come questo. Vi basta un cucchiaio d’acqua per conoscere la composizione di tutta l’acqua del pianeta, e con una cucchiaiata sapete cos’è l’acqua. Lo stesso ego è all’opera in un banale esempio di vita come in una grande catastrofe.

 

Continuo con il mio esempio. Il fatto di tossire comprende sia la sensazione, sia il pensiero che riconosce ‘io tossisco’ (e non ‘io vomito’ o ‘io ho la diarrea’), sia l’emozione inutile che qualifica. E’ semplice, ma è tutto qua: chi qualifica? Ammettiamo che un ragazzino che non voglia andare a scuola possa sentire la tosse come una cosa buona. Se è malato ci si occuperà di lui, papà e mamma gli staranno intorno, diventerà il centro di interesse della famiglia. Ma normalmente un adulto non giudica cosa buona il fatto di tossire, specie se deve parlare in pubblico per due ore. Chi qualifica come favorevole o sfavorevole? Perché interviene questa qualificazione che potrebbe non intervenire? Sì, c’è tosse.

 

L’ho detto prima: tutto il passato e tutto il futuro sono contenuti in questo momentaneo caso particolare, dato che riferisco questa tosse a tutta l’esperienza che ho acquisito sulla tosse in passato. La tosse non è un fenomeno del tutto nuovo per me, come quando mi si presenta qualcosa che non è mai successo in vita mia. Ho appena tossicchiato. In sé la cosa non avrebbe per me molta importanza, ma questo semplice fatto, qui e ora, assume molta più importanza di una piccola reazione fisiologica se già comincio a preoccuparmi: “Se tossisco stanotte finirà che non dormo!”, o semplicemente: “Se non arrivo per bene alla fine di questa conferenza, cosa succederà?”. Non ho dimenticato come ero una volta: se durante una conferenza avevo bisogno di tossire (mi è successo) era un supplizio.

 

Dunque mi preoccupo, e la preoccupazione peggiora ancora di più la situazione. Ma chi? Chi è al supplizio? Chi si preoccupa?, chi trova terribile non riuscire a parlare? E so bene che in giro succedono cose ben più tragiche, ch’è gente davvero malata, che magari ha subito incidenti ed è stata sottoposta a prove mille volte peggiori di quella di un conferenziere con una crisi di tosse. E’ ben peggio essere feriti, sfigurati, rovinati! Chi soffre?

 

Potrete far sparire il meccanismo stesso della sofferenza, ma solo se lo avete visto bene. Il conferenziere si ricorda di tutte le tossi della sua vita, se ha tossito stamattina, o ieri, e se ha preso o no lo sciroppo. E dato che si produce nuovamente una sensazione di bruciore alla gola e ai bronchi, il mentale comincia a considerare una piccola reazione fisiologica in funzione di tutto un passato, lontano o più recente, e proiettato sull’avvenire. In questa situazione banale è contenuto tutto l’insegnamento. Nella fiamma della candela è contenuto tutto il fuoco. Chiedetevi, qui e ora, come state utilizzando l’istante presente.

 

Forse ora cominciate a vederli, l’ego e il mentale, ahamkar e manas, a vederli veramente. E vi assicuro che una tossetta un po’ troppo fastidiosa vale notti di preghiera, di japa (la ripetizione mentale o verbale di un mantra o del nome di Dio), di ascesi varie, purché arriviate a precisare: ecco il meccanismo falsato, vizioso, che voglio eliminare! Con una sufficiente vigilanza lo vedrete sempre più spesso.

 

La ‘qualificazione’, il definire la ‘qualità’, non è che il rifiuto della verità. Eliminandola riuscirete a vedere che cosa succede quando l’ego si cancella. Avrete così visto l’essenziale di ciò che può guidarvi fino a quando la sottomissione al reale non avrà impregnato tutta la vostra esistenza, dovunque e continuamente. Le condizioni sono più o meno difficili ma, con qualche virtuosismo, realizzerete in tutte le circostanze il ritorno al non-dualismo. In ogni modo anche la difficoltà è creata e valutata dal mentale, che decide che la situazione è terribile, mentre non è mai così terribile come il mentale stesso vuole farci credere.

 

Bisogna iniziare dall’inizio, ed è attraverso lo sguardo su se stessi che inizia il cammino della liberazione. Diciamo che quando il gettare questo sguardo risulta molto fastidioso, avete tendenza a tossire. Non avete ancora tossito e già la condanna interiore è pronunciata. Siete scesi a patti con l’ego, avete dimenticato il cammino, avete rinunciato a mettere in pratica. Vi accontentate di essere infelici, di agitarvi, di soffrire, di cercare di continuare bene o male le vostre chiacchiere. Vi siete lasciati sfuggire una magnifica opportunità, piena di insegnamento. Riprendetevi, risollevatevi, perché avete una preziosa occasione di progredire verso il vostro fine. Chi sente in modo soggettivo, emotivo? L’ego. Chi vede? Il testimone (sakshin), l’alba del Sé. Basta un colpo di tosse, un minimo fatto fisico, e subito il passato risale a galla, impedendovi di rimanere nel presente.

 

Certo il passato può essere tecnicamente utile in certi casi. Non ci sarebbe nessuna scienza, nessun sapere ordinario se il passato non avesse quel suo valore che ci permette di prevedere il futuro. Ma vijnana non è la conoscenza, è il sapere, la scienza dualista. Provando un’irritazione alla gola riconoscete una tracheite o una bronchite, per cui fate attenzione a non prendere ancora freddo, comprate le medicine del caso, e prevedendo la possibilità di tossire durante la conferenza vi portate dietro un flacone di sciroppo. Questo è il comportamento non-dipendente dal meccanismo ordinario! In apparenza possono sembrare simili, ma sono fondamentalmente del tutto diversi. Qualsiasi persona intelligente è capace di ragionare, e un saggio può utilizzare in modo giusto la sua esperienza di vita, la sua conoscenza del passato e la sua capacità oggettiva di prevedere il futuro.

 

Ritorniamo all’utilizzazione del passato da parte del mentale, che così si stacca dal ‘qui e ora’, si agita, generalizza, dà alle cose più importanza di quanto non ne abbiano. Che cosa ispira questa agitazione? La paura. Ma chi ha paura? L’ego. Attenzione, vi sto descrivendo il vostro modo di funzionare nel tempo. Non avete che da applicarlo ogni volta al caso particolare. Cercate di ricordare qualcosa che avete vissuto recentemente, ieri, stamattina. Cercate di prevedere le occasioni che vi si presenteranno stasera, adesso. Non lasciatevele sfuggire.

 

Quando non si vivono coscientemente, queste minime situazioni si dimenticano e non si può più rivedere la propria giornata per capire cos’è successo e come ci si è lasciati ingannare. Sarebbe un lavoro molto fruttuoso dire: “poco fa mi sono lasciato trascinare come un fuscello di paglia in un torrente. Vediamo: in che modo esatto è comparsa l’emozione?”. Purtroppo eravate talmente identificati che non avete visto niente. E non potete ricordarvi di ciò che non avete vissuto coscientemente. Invece, se avete tentato uno sforzo di adesione alla realtà, anche se l’eccessiva difficoltà vi ha sommersi, vi ricordate molto chiaramente, testa e cuore, di quello che avete sentito e pensato. Potete ritornarci sopra. Il tentativo vi permette almeno di ricordarvi della vostra alterazione, ed è già molto. Ora potete cercare di capire e, la prossima volta, sarete più abili nel mettere in pratica questo insegnamento.

 

Dovrete diventare dei virtuosi del mettere in pratica, dei virtuosi del a ciò che è. Se volete guardare, andate a vedere. Swamiji mi ha detto molte volte: The way is in the particular, not in the general, il Cammino non è nel generale e nella dottrina, ma nel particolare, nell’istante.

 

“Ora sono convinto che non c’è nient’altro che questa tosse da niente, proprio qui e ora, per aprirmi la porta del Regno dei Cieli e fare di me, un giorno, un essere umano libero”.

 

*

 

Continuo con la tosse: anche solo fisicamente il corpo non è d’accordo di tossire. Fate una conversione decisa, convertitevi. Accettate. Sì, c’è tosse. Il corpo è segnato dal ricordo di notti intere senza riuscire a dormire, e il corpo non dirà meccanicamente di sì.

 

Durante un soggiorno in India, e non ero più giovane, passai una notte a vomitare ogni mezz’ora. Quando si soffre di mal di cuore e si vomita, non è gradevole ma ci si sente sollevati. Ma dopo un quarto d’ora mi riprese la voglia di vomitare, e ancora mezz’ora dopo. Alla fine non ci fu più niente da vomitare, solo bile e un gusto amaro in bocca. Mi contorcevo scosso dagli spasimi. Nella stanza vicina mio figlio Emmanuel, che allora aveva dieci anni, si svegliò sentendomi gemere, venne da me e mi fece notare: “Ricordati che è solo il corpo fisico che vomita, l’atman non vomita!” E tornò a dormire.

 

Aveva ragione! E se ci credete anche un poco, è il momento di ricordarvene. Non discuto ciò che è, non ho rimpianti, non permetterò al mentale di introdurre un cuneo tra la realtà e la coscienza della realtà. Devo aderire senza riserve, aderire con passione, con tutto il cuore alla verità di ciò che è. E’ un sì assoluto. Non: “Dico sì a qualcosa di doloroso”; questo non è più dire sì. E’, dunque dico . E’. It is; in sanscrito asti, ciò che è; tattva in sanscrito indù; tathatha in sanscrito buddhista; isness, thatness, suchness in inglese. E ‘sì’ è un SI’, un SI’ totale. Si tratta proprio di una conversione. Da quarant’anni, cinquant’anni il corpo ha preso l’abitudine di rifiutare ciò che è doloroso. Io converto questo rifiuto in accettazione. E’ il corpo fisico che vomita, non è certo il Sé. E’ possibile far coesistere la serenità del ‘testimone’ con un’esperienza dolorosa per il corpo fisico, ma che non è dolorosa mentalmente né emotivamente.

 

Dunque c’è un prima ‘sì’ fisico: tutto il corpo è d’accordo nel tossire. Ma potete subito cercare di scoprire che cosa non sia subito d’accordo. Purtroppo non siete ancora nello stadio di colui che ‘dice sì più velocemente delle proprie emozioni’.

 

L’ego l’avete sotto gli occhi. E’ quel modo soggettivo, personale, di prendere un fenomeno, nella fattispecie una certa sensazione, di interpretarlo attraverso il passato e proiettarlo verso il futuro, cosa che provoca un’emozione. Siate vigili, spegnete il fuoco al suo nascere. Un fuoco ha attecchito, il fuoco del mentale e dell’ego che decidono le ‘qualità’. Di qui il fuoco si estende e aumenta continuamente. Il mentale si nutre di se stesso. Nascono pensieri neri di ogni genere, fantasie negative che non fanno altro che suscitare nuove emozioni, e nuovi disturbi fisiologici. Il mentale è un invasore sfrenato. Si permette tutto, niente lo ferma, nessuna vergogna, nessun pudore. Il mentale è capace di qualunque spettacolo pur di catturare l’emozione.

 

Vigilando potete isolarlo subito: “Eccolo, ho visto il meccanismo malsano che potrebbe non verificarsi, così che tutto rimarrebbe com’è, e nello stesso tempo tutto sarebbe completamente diverso”. Provateci. La prima reazione sarà di nuovo: “No, no!”. Non lasciate che prevalga. Trasformate subito il ‘no’ in ‘sì!’.

 

Nella qualità del vostro ‘sì!’ c’è tutto. Se qualcuno non ha ottenuto i risultati che sperava è perché non ha capito quanto quel ‘sì’ doveva essere un ‘sì!’ dal profondo del cuore, non un ‘sì’ appena sussurrato.

 

L’ego è ciò che in voi è suscettibile di non dire sì alla verità. L’ego vive solo di rifiuto. ‘Io’ sono qui per soffrire e questo ‘io’ che soffre potrebbe sparire; quindi non ci sarebbe più sofferenza. Tutto cambierebbe. Ci sarebbe coscienza, non sofferenza. La verità è semplice.

 

Se sperate davvero in qualcosa di nuovo non lo troverete nelle idee, ma nella pratica. Mettendo incondizionatamente in pratica la formula ‘non ciò che dovrebbe essere ma ciò che è’, le emozioni si faranno sentire meno, saranno sempre meno intense, dureranno sempre meno. Ma questa accettazione di ‘ciò che è’ a volte si rivela al di sopra delle vostre forze. Anche quando siete convinti della sua efficacia la sofferenza vi assilla ancora. In questo caso, è proprio ‘questa’ sofferenza che vi si propone di accettare. Perché proprio grazie a ‘questa’ sofferenza potrete raggiungere uno stato di non-dualismo.

 

Approfondiremo insieme questo secondo tema.

 

 

*

 

Tutti avete letto o sentito dire che l’ostacolo allo stato di libertà interiore, alla pienezza, alla coscienza del Sé, sono le paure e i desideri. Non è certo una cosa nuova. Se volete essere liberi da paure e desideri non basta esaminare le paure una per una, i desideri uno per uno, e vedere in che misura quella paura potrebbe essere rassicurata e quel desiderio soddisfatto, così che vi lascino in pace. Bisogna andare oltre, andare alla radice stessa della paura e del desiderio. Non è impresa da poco, siatene certi. Tutta la vita dell’uomo è dominata dalle paure e dai desideri. Ma il cammino della Libertà passa per una nuova comprensione, una comprensione liberatrice da ciò che sono la Paura e il Desiderio.

 

Per quanto riguarda i desideri, o il desiderio, capite bene questo: nei fatti nessun desiderio può essere veramente realizzato, per la buona ragione che, se non intervengono repressioni, rimozioni o semplicemente l’esperienza di vita, se ascoltiamo il desiderio allo stato puro, ogni desiderio è un desiderio di assoluto. Se ci siamo accontentati di desideri relativi, è solo perché l’esperienza della vita (compresa la vita infantile) è stata dura e ci ha rifiutato molte cose. Di fondo, se ci si ascolta attentamente, se si cerca davvero di comprendere che cos’è l’essere umano, si vede che ogni desiderio è un desiderio di assoluto e che non c’è, per il desiderio in se stesso, nessuna ragione valida per fermarsi a metà strada.

 

Perché volere ‘un poco’? La vita ci ha costretto a ridurre le nostre pretese, ma la verità è che non vogliamo mai ‘un poco’. Se vogliamo, vogliamo TUTTO. Tutto quanto c’è di più grande, di più bello, di più perfetto, di più straordinario, in tutti i campi. E possiamo anche constatare, anche se in pratica è meno importante, che ogni desiderio vuole la sua soddisfazione immediata. Solo attraverso l’esperienza della vita abbiamo imparato che qualche volta è il caso di aspettare. Ma un bambino che vuole qualcosa lo vuole subito. Perché aspettare?

 

Cercate di riconoscere questo fatto per voi stessi, senza perderci su molto tempo. Se cercate di liberarvi dai desideri uno per uno e dalle paure una per una, la sadhana (ascesi) può durare non solo vent’anni o trent’anni, ma anche molte esistenze. Quando si è un po’ chiarita la situazione riguardo i desideri e le paure, è possibile cominciare a porsi la domanda in maniera nuova, da discepoli,: è dal desiderio in sé che devo liberarmi? Non dico che in voi non affiorerà più nessun desiderio, ma che non avrà più il potere di obbligarvi ad agire, di costringervi a reazioni di cui in  seguito dovrete sopportare le conseguenze.

 

E’ lo stesso per la paura. Ogni paura circostanziata che si presenta in un qualunque momento e vi fa dire: “Ho paura di questo o di quello”, ha comunque carattere assoluto. E’ la paura di soffrire, tutto qui. Dunque, la realtà dell’uomo non liberato è di fondo molto semplice: si situa fra il desiderio, che è il desiderio di TUTTO e subito, e la paura di soffrire, la paura della sofferenza che immaginiamo prenderà l’una o l’altra forma, e che il più delle volte prende una forma inaspettata. Ecco ciò che in realtà ci domina e di cui non ci sbarazzeremo mai con mezzi ordinari.

 

Se non sentite che si tratta di andare fino alla radice, non raggiungerete lo scopo, perché il cammino sarà troppo lungo. A una paura segue un’altra paura; quando qualcosa migliora da una parte, peggiora dall’altra; e quando si è soddisfatto un desiderio se ne manifesta subito un altro. Arriva il giorno in cui siete maturi per una presa di coscienza ben più radicale, che però non deve spaventare. Non c’è da aver paura. Anche quello che dico dovrebbe essere preso con gioia, come una promessa di liberazione, e con la possibilità di stabilirvi solidamente in una sicurezza incrollabile.

 

In verità, se seguite solo i metodi ordinari non arriverete mai. Potete vivere un grande amore, potete avere grandi risultati professionali, potete fare fortuna, ma non troverete quella pace del cuore e quella serenità che ci hanno promesso tutti i saggi, di tutte le linee spirituali, da sempre. Potete organizzarvi, premunirvi, ma non vi libererete mai di quella paura che sta nascosta dietro le quinte: “Che cosa mi succederà, quale nuova sofferenza mi toccherà subire’”, ognuno mosso dalle proprie inquietudini. Non vi libererete mai dalla pura, anche se organizzerete con abilità la vostra vita, mettendo da parte denaro o lasciando il vostro paese per paura di rivoluzioni o di una guerra atomica, andando magari a vivere in un paese più sicuro, diciamo il Canada o l’Australia.

 

Allora, c’è una liberazione possibile, sì o no? Questa è la domanda che dovete porvi adesso. Fino ad ora avete valutato, a volte con coraggio, certe paure che vi rovinavano l’esistenza, che vi rendevano la vita impossibile. Avete valutato certi desideri che tentavate di realizzare a tutti i costi. Ma non avete valutato abbastanza la paura, la paura la singolare, il desiderio al singolare. Dietro tutti i desideri al plurale (lo vedrete, lo verificherete) c’è il ‘Desiderio’ tout court, il desiderio totale. E’ il desiderio di fondo, sottinteso e anima di tutti i desideri particolari; nessun desiderio (proprio nessuno, mai) può essere davvero realizzato, perché dietro ogni richiesta c’è sempre una richiesta più grande. Non appena un desiderio è realizzato ci rendiamo conto che non è sufficiente, che non abbiamo ancora trovato quella felicità che cerchiamo. Avete provato una grande gioia, ma è una gioia momentanea, non duratura.

 

Dunque, piuttosto che dire ‘i desideri e ‘le paure, preferisco dire che ciò che ci separa dal Sé è proprio ‘il Desiderio’, è proprio ‘la Paura’. Essere stabili, risiedere, dimorare nel nostro essere essenziale significa essere liberi dal Desiderio al singolare, liberi dalla Paura al singolare. Riflettete, girate la questione come volete, esaminatela da tutti i punti di vista, ma non arriverete a una conclusione diversa.

 

Certo è difficile da capire, dato che la vostra vita è fatta di insoddisfazioni, richieste da una parte, timori dall’altra. Ogni volta che provate una paura particolare, circostanziata, provate a dire a voi stessi: “Qui c’è una manifestazione della Paura. E quando avrò sradicato la Paura sarò libero una volta per tutte”. Così in ogni desiderio, qualunque sia, provate a sentire: “Qui c’è una manifestazione del Desiderio, e quando avrò sradicato il Desiderio sarò libero una volta per tutte”.

 

Quando parlo del ‘desiderio’ non penso per prima cosa al desiderio sessuale, per quanto, in ogni insegnamento, le considerazioni su questo desiderio in particolare occupino un posto eminente. Il termine sanscrito kama, che viene tradotto con ‘desiderio’, designa in particolare il desiderio sessuale. E’ una funzione importante che sostiene tutta la natura e che sostiene l’essere umano. E’ possibile essere liberi anche da questo desiderio, ma non deve essere sentito come una frustrazione né come un prezzo doloroso da pagare per ottenere la libertà. Parliamo di desiderio, e per il momento lasciamo da parte il desiderio sessuale, che esiste più o meno forte, negli esseri umani, secondo i temperamenti e i periodi della vita. Parlo di tutti gli altri desideri di ordine familiare, finanziario, professionale, quelli cioè che non rispondono, come il desiderio sessuale, a una legge biologica, prima di essere interpretati dal mentale.

 

Beninteso, anche quelle che chiamiamo ‘le sofferenze’ al plurale solo l’espressione della ‘Sofferenza’ al singolare. Da questa Sofferenza potete essere liberi, non liberandovi poco per volta di una sofferenza, poi di un’altra e poi di un’altra ancora. E’ la possibilità stessa di soffrire che può essere estirpata dalla vita umana. Ecco un modo ben concreto di capire cos’è la Liberazione. Forse non è un approccio completo, ma in ogni caso è un approccio perfettamente esatto, che non vi induce in errore e che riconoscerete come vero se un giorno il Risveglio interiore si produrrà in voi.

 

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Tuttavia so bene che, in attesa della liberazione, i desideri sono presenti e sono presenti le paure, quindi le sofferenze. Tutto ciò che vi chiedo è di avere il coraggio di tentare un nuovo approccio, e di non credere che questo nuovo approccio sia riservato unicamente a qualche asceta o a qualche yogi eccezionale. Questo passaggio dalle mille foglie dell’albero all’unico tronco, che può essere sradicato, è comunque l’unico approccio possibile.

 

Tentando questo approccio, che richiede una certa forma di intelligenza per capire il funzionamento di voi stessi, cercate di osservare ciò che succede istante per istante. Non parlo della sofferenza fisica, che è un’altra questione. Parlo di ciò che chiamiamo sofferenza morale, disperazione, dolore, pena, inquietudine, angoscia, disagio, apprensione, tutte emozioni crudeli, sgradevoli alle quali gli uomini tentano, bene o male e come possono, di sfuggire. Riconoscetela ogni volta: “Bene, ecco qui una sofferenza”. Forse le sue cause sono nell’inconscio, ma ha anche una causa apparente: una brutta notizia, una rottura sentimentale, un lutto, una minaccia, un disaccordo, dei problemi legali o economici. Parlo delle sofferenze terra terra, quelle che costellano la vita.

 

Andate ogni volta oltre la sofferenza in se stessa e l’esame delle condizioni negative che vorreste modificare, andate oltre la situazione alla quale vorreste sfuggire. Realizzate: “Ecco, è la ‘Sofferenza’ che per me, oggi, qui e ora, si manifesta sotto questa forma”. Se riuscite a convincervi di quanto dico, vedrete che qualcosa cambierà. Attraverso quella particolare sofferenza, che è un frammento della Sofferenza, posso capire ‘la sofferenza’ totale. Potete comprendere cosa sono ‘il Desiderio’, ‘la Paura’ e ‘la Sofferenza’ solo attraverso i frammenti di desiderio, di paura e di sofferenza che la vita vi propone.

 

Dunque, quando una sofferenza vi assilla, affrontatela sui due livelli: “Ecco una sofferenza specifica, vedo bene a cosa la attribuisco, a quale timore, a quale minaccia, a quale brutta notizia. Ma voglio anche capire, attraverso questo suo frammento, l’essenza stessa della sofferenza, il fatto stesso del soffrire”. Perché (e non dimenticatelo mai) gli insegnamenti definiti ‘spirituali’ vi fanno questa stupefacente, davvero stupefacente promessa: si può essere liberi dal desiderio, dalla paura e dalla sofferenza una volta per tutte e in modo definitivo.

 

E preciso anche: è in ogni caso la sola possibilità di essere liberi. Non sarete mai liberi dai desideri; un bel giorno sarete liberi dal Desiderio. Non sarete mai liberi dalle paure; un bel giorno sarete liberi dalla Paura. Non sarete mai liberi dalle sofferenze, ce ne sono troppe e sempre nuove; sarete liberi dalla Sofferenza. Senza frustrazioni, senza tagli drastici, senza fare dei sacrifici insensati con l’idea che vi procureranno il Paradiso dopo la morte. Liberi! Ed è finito: qualcosa che vi teneva vi lascia, la porta della prigione si apre.

 

Dovete considerare la parola ‘libertà’ in modo assolutamente positivo; è per questo che non dico ‘senza desiderio’, ma ‘libero dal desiderio’. Se compare un desiderio, se realizzarlo è cosa facile, perché autopunirsi? A meno che non abbiate una ragione ‘tecnica’, ben precisa riguardo al vostro progresso che vi faccia soprassedere alla realizzazione di quel desiderio. Ma in linea di massima, se sorge un desiderio ed è possibile realizzarlo, perché non farlo?

 

D’altra parte può accadere che il desiderio non possa proprio essere realizzato, o almeno non subito; in questo caso sarebbe comunque bene non soffrirne. E’ lo stesso per la paura: anche se non c’è un’immediata rassicurazione, sarebbe comunque bene far sparire quella paura prima che faccia il suo corso e scompaia lentamente col tempo. Nello stesso modo, se c’è sofferenza sarebbe bene che quella sofferenza sparisse, anche se non ne è ancora sparita la causa. E questo senza frustrazione o mortificazione.

 

Quando c’è sofferenza, ricordatevi che quella sofferenza, per quanto forte sia, è un fenomeno anormale, patologico, una malattia da cui però si può guarire. Quale che sia la vostra sofferenza, quale che sia la situazione, ricordate: un saggio al vostro posto, nelle stesse identiche condizioni esterne, non soffrirebbe.

 

Tutto l’edificio del Cammino e della Liberazione, che è il fine del Cammino, riposa su questa semplice affermazione. Non dimenticatelo. Non negate la sofferenza; non potete negarla, essa è qui. Ma non siatene ingannati considerandola una manifestazione inevitabile nelle circostanze in cui vi trovate. Questo funzionamento, che chiamiamo tecnicamente ‘il mentale’, riesce a provarvi che, nelle situazioni in cui siete, non si può non soffrire. Tocca a voi essere più abili del mentale.

 

 

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Sulla base di questa comprensione, cercate di dissociare la situazione in se stessa, qualunque essa sia, dalla sofferenza. O se preferite, dissociate la sofferenza dalla situazione, quale che sia la sofferenza. Non ci sono solo le sofferenze chiare, nette, come la morte di un figlio; ci sono sofferenze più confuse, più complesse, nate da situazioni di cui non sappiamo con precisione i termini, di cui non conosciamo l’evoluzione o che cosa abbiamo da temere da esse. Ci sono tutte quelle sofferenze ‘correnti’ che costituiscono la trama di una vita; non dovete pensare solo alle tragedie che colpiscono un essere umano due o tre volte nella vita, ma quelle che colpiscono due o tre volte al giorno. Considerate il ventaglio delle diverse sofferenze, un termine che comprende tutto ciò che è sgradevole, imbarazzante, triste, inquietante, fastidioso, crudele, doloroso, sofferenze di cui ci vorremmo decisamente sbarazzare.

 

Io posso darvi la chiave che apre la porta della prigione. Nessuno limerà per voi le sbarre di questa prigione; ma è possibile farvi arrivare una lima nascosta nel sapone o in una pagnotta, come ai carcerati delle vignette umoristiche. Sta poi a voi utilizzare la lima per segare le sbarre che vi imprigionano. La chiave è questa frase: è assolutamente possibile dissociare la sofferenza in se stessa dalla situazione dolorosa. A parte i momenti anodini in cui non succede niente e non sentite niente, ogni situazione che vivete contiene sia un elemento di desiderio, sia un elemento di paura ma, più precisamente, di tutti e due insieme: la paura che la felicità non duri, il desiderio che un elemento rassicurante venga ad abolire la paura. I due, desiderio e paura, sono legati fra loro.

 

Ogni situazione che vivete è sempre un campione dell’emozione dolorosa al singolare o dell’emozione felice al singolare; anche di quest’ultima dovete liberarvi, se volete raggiungere la pace stabile della Realizzazione interiore. Anche l’emozione felice, da non confondere con la vera gioia, è ogni volta un campione dell’emozione, una caratteristica dell’essere umano non rigenerato. Le varie e numerose emozioni sono sfaccettature diverse di un unico fenomeno. E per fortuna, perché è l’unica nostra possibilità di una liberazione definitiva.

 

Pur esortandovi a essere molto vigili nel momento in cui siete presi da un’emozione felice, voglio ora tornare alla sofferenza, primo perché non è che l’altra faccia dell’emozione felice, secondo perché è più evidente di quest’ultima. Sull’emozione felice ci si può sbagliare, confondere con la vera gioia o con la serenità e, in caso di felicità passeggera, dimenticare del tutto l’insegnamento. Certo, dimenticare l’insegnamento per una gioia passeggera sarebbe grave, ma ora preferisco tornare al tema della sofferenza, perché è innanzitutto nella sofferenza che vi ricorderete dell’insegnamento.  

 

Quando la sofferenza si presenta, quando siete in uno stato di sofferenza, cercate di fare questa distinzione: c’è la situazione (o per lo meno il modo in cui io la sento) e c’è l’eco di simili situazioni del passato tuttora vive in me, comprese situazioni il cui ricordo è solo nell’inconscio, come certi episodi della primissima infanzia; e, terzo, c’è la proiezione del passato sul futuro, cioè la paura di continuare a soffrire: io soffro, ho paura di soffrire anche stasera, mi addormento con l’idea che ritroverò la mia sofferenza al risveglio, perché ritroverò la stessa situazione che mi fa soffrire.

 

Quella situazione non si risolverà miracolosamente durante la notte. Può anche succedere che domattina il postino vi porti una lettera inattesa che modifica tutta la situazione, ma non è usuale e non rappresenterebbe comunque una libertà reale. Quello che vi propongo non sono solo speranze possibili, ma proprio una certezza. O, se posso parlare molto concretamente, vi propongo una cosa che ‘funziona’ in ogni caso, che ha dunque un valore assoluto, e che pertanto è la sola risposta al carattere assoluto di ogni desiderio e di ogni paura.

 

La prossima volta che vi troverete in una qualunque difficoltà, verificate come, con un po’ di decisione, sia possibile separare la causa della sofferenza dalla sofferenza. Per il momento non occupatevi della causa della sofferenza, occupatevi unicamente della sofferenza in se stessa. Una paura non è rassicurata, un desiderio non è soddisfatto. Ogni disagio, ogni momentanea sofferenza, quella del 25 marzo alle 11 o quella del 10 febbraio alle 9, ha la sua grandezza. E’ un testimone della condizione umana non rigenerata, non trasformata da un insegnamento liberatore. Ecco la vostra opportunità di fare una scoperta. Come potete fare una qualunque scoperta se non vi si dà il materiale necessario? Potete fare una ricerca sul cancro se non avete un tessuto canceroso da esaminare? Ogni laboratorio di ricerca si procura i campioni che deve studiare per scoprire la legge naturale. Ogni tessuto canceroso rappresenta per il ricercatore la possibilità di scoprire il segreto del cancro una volta per tutte.

 

 Dunque, per ogni situazione in cui vi trovate, invece di vederla solo come dolorosa o terribile, osservatela come un campione grandioso (proprio grandioso!): “Questo succede a me, però da qui posso vedere il cuore della mia schiavitù. Chiunque altro al posto mio soffrirebbe, tutti gli esseri umani soffrono intorno a me, eccetto i saggi”.

 

Che cosa succede? La situazione crea l’emozione dolorosa. Se questa situazione è persistente, e rischia di durare settimane o mesi, vi assale la paura al pensiero del futuro, ed è come entrare in un tunnel senza fine. Qui potete già intervenire: “Nel futuro non ci sono ancora, quindi mi limito alla mia sofferenza immediata”. Questa emozione dolorosa vi impone pensieri corrispondenti ad essa. Siate vigili, non siate identificati con quei pensieri. E’ il momento di mettere in pratica l’insegnamento, di ‘vedere’. Osservate, senza giudicare, senza indignarvi, come l’emozione vi imponga certi pensieri. Se cercate di pensare ad altro, non ci riuscite; se cercate di non pensare affatto, ci riuscirete ancor meno. Per poter pensare per breve tempo ad altro la vostra attenzione dovrebbe venire decisamente catturata (il termine è eloquente, e non è certo una forma di libertà). Sono pensieri e angustie ricorrenti; si dimentica per un’ora o due, poi ritornano. Spesso ritornano di sera o nel cuore della notte, e ci si sveglia presi nella situazione, nell’emozione dolorosa corrispondente alla situazione, con tutta la sua corte di pensieri.

 

Quei pensieri suscitano emozione, che produce immediatamente altri pensieri dolorosi riguardanti una situazione reale che sentite negativamente. Pensieri dolorosi che non potete fare a meno di riproporvi continuamente, e che rimettono in moto l’emozione.

 

L’importante qui è riuscire a capire che potreste essere liberi dalla sofferenza, anche se la situazione rimane la stessa. L’importante è essere più abili dei pensieri. Non dico più forti (non dovete considerare il Cammino un combattimento), ma più abili. E’ quello che generalmente viene chiamato ‘il dominio di sé’ o ‘il dominio sul mentale’. Su questo ci sono citazioni ben conosciute e chiare del Buddha stesso: “Chi è padrone dei propri pensieri è più grande di chi è padrone del mondo”.

 

Ecco qui la sofferenza, che mi assilla, che mi impone dei pensieri, che a loro volta rafforzano la sofferenza. Ma se voglio progredire mentre mi trovo in questo preciso campione di sofferenza, devo eliminare i pensieri. Come riuscirci? Esiste un segreto pratico.

 

Diciamo che sono appena stato colpito da un’emozione. Vi sarà successo di certo: probabilmente in questo momento alcuni di voi sono sotto una ‘botta’ emotiva. Non necessariamente perché hanno brutalmente ricevuto una cattiva notizia ieri o stamattina, ma perché sono coinvolti in una situazione sgradevole che va per le lunghe, che è sempre più pesante, e che sanno di non poter risolvere domani né fra una settimana, anzi se continua così ci saranno ancora dentro fra sei mesi. Anche questo è un genere di sofferenza. Ma è qui e ora che la sento, questa sofferenza; non mi importa di ciò che è successo otto giorni fa, né mi importa di ciò che mi succederà domani o dopodomani.

 

Guardate voi stessi. Cosa vedete? Ciò che vi ho appena detto: l’emozione impone idee cupe, pensieri inquietanti: “Non so più cosa fare, non ce la faccio più, è troppo difficile”, accompagnati da tutto un vocabolario emotivo: “Se soltanto…se soltanto non avesse detto questo! Sì, ma l’ha detto…”. Oppure: “Quando?”. Ed ecco l’avvenire, il futuro che vi attrae da lontano. Con i ‘se’ e i ‘quando’ il mentale guida il mondo.

 

E’ imperativo per voi sfuggire all’ossessione di quei pensieri, perché quei pensieri alimentano l’emozione, e l’emozione secerne a sua volta nuovi pensieri, che nuovamente stimolano l’emozione. E’ chiaramente un circolo vizioso.

 

Allora, come fare per dominare il proprio mentale e non si è uno yogi molto avanzato sul Cammino? Bisogna cercare di concentrare il pensiero su un determinato tema. La parola ‘concentrazione’ è molto usata, e traduce in genere il termine sanscrito dharana, ben noto nello yoga: concentro il mio pensiero su un mantra e cerco di non fare entrare altri pensieri che non siano: “Signore Gesù cristo abbi pietà di me” se sono cristiano, o “Om sri Ram, jai ram, jai jai Ram” se sono un discepolo di Swami Ramdas, o su un qualunque altro mantra. Oppure cerco di concentrare il mio pensiero su una rappresentazione: visualizzo grazie alla potenza dell’immaginazione la divinità tantrica Avalokiteshvara, la sua posizione, i gesti delle sue mani, le sue caratteristiche. Sono tecniche poco diffuse in Europa, ma di cui avete certo sentito parlare. Oppure cerco di concentrare la mia attenzione su un oggetto concreto, come la fiamma di una candela. Quando non volete più essere trascinati qua e là dalla tirannia dei pensieri, cercate di trovare un tema su cui concentrarvi.

 

Non farò qui l’elenco definitivo degli oggetti di concentrazione secondo le varie scuole. Basti dire che ci sono molti e differenti supporti per favorire la concentrazione. I cristiani ne propongono alcuni, gli indù ne propongono altri, i buddhisti altri ancora, ma si tratta sempre di controllare il vagabondaggio dei pensieri agganciando l’attenzione intellettuale a un unico oggetto.

 

 

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Ebbene, ecco il semplicissimo segreto: quando soffrite, su che cosa potete concentrare più facilmente la vostra attenzione per non pensare più? Sulla sofferenza stessa! E’ un modo molto concreto per capire quella frase che ho citato spesso: “Come sfuggire alla fornace dell’inferno? Saltate nelle fiamme là dove sono più alte!”. Quando vi trovate in una situazione considerata dolorosa, dovete capire che la sofferenza, la sofferenza in se stessa, è di troppo, come un’escrescenza inutile. Per questo prima ho detto che è patologica.

 

La manifestazione più evidente della sofferenza la si vede dal funzionamento del mentale che si agita, rumina. Si preoccupa del futuro, ripete continuamente le stesse cose Lo sapete già: i metodi sulla concentrazione del pensiero o sul controllo del mentale abbondano. Ma qui voglio farvi vedere come certi elementi siano legati. Diciamo che soffrite molto (stasera, stanotte) per una situazione economica pesantissima; non potete più chiedere prestiti perché nessuno vuole più concedervene, e avete dei grossi debiti da pagare. Se come per magia vi telefonasse un notaio e vi dicesse che avete ereditato da un lontano parente, e quindi i vostri problemi economici fossero improvvisamente risolti, la sofferenza sparirebbe subito così come l’emozione ad essa collegata. Il contraccolpo alla sofferenza sarà una gioia debordante che, come la sofferenza precedente, vi prenderà totalmente, dato che miracolosamente siete liberi da una situazione angosciante. In questo modo, però, non uscirete mai da quella che si può definire ‘la condizione umana’.

 

Ma diciamo che per il momento il miracolo non è avvenuto; vi limitate a evocarlo con i ‘se’, i ‘quando’, i sogni e i rimpianti. Siete fino al collo in quella sofferenza e la situazione, qualunque sia, è molto reale. Allora ricordatevi questo: per il semplice fatto che c’è emozione, voi non siete più in grado di vedere nella sua vera realtà la situazione che vi fa soffrire. Ecco di nuovo un circolo vizioso! La situazione mi fa soffrire perché io non la vedo com’è; ma è proprio il fatto di soffrire che mi impedisce di vederla com’è. E comincio a ‘pensare’ (altri direbbero a riflettere, a ragionare, a cogitare), ma il mentale può solo errare, vagabondare, girare in tondo. Cominciate a immaginare soluzioni che non sono tali, alle quali non credete veramente e, alla fine, tentate azioni concrete per lo più molto ingenue o stupide, perché indotte dall’emozione. Questo modo di agire non fa che aggravare le difficoltà, fino a quando il concatenamento di cause ed effetti, su cui non avete di fatto alcun potere, finisce per produrre un cambiamento meccanico in attesa della prossima sofferenza. Volete passare la vita in un’alternanza di emozioni felici e di emozioni infelici?

 

Dunque, eccomi in piena sofferenza. Non è la situazione che mi domina, è l’emozione. La situazione in sé, così come è, la vedrò soltanto quando l’emozione sarà scomparsa. E’ una situazione che concepisco attraverso i diversi pensieri che mi assillano, e che di fatto ripetono sempre la stessa cosa giorno e notte, e cesseranno solo quando le condizioni saranno cambiate. Per me è assolutamente necessario sfuggire i pensieri. Tutti i maestri lo dicono, ma ci arrivo anche da solo a capire che sono proprio quei pensieri che alimentano l’emozione. Dunque bisogna che pensi ad altre cose. Cerco di concentrare il pensiero sulla fiamma di una candela. La cosa dura un paio di minuti, ma poi l’idea della situazione dolorosa mi cattura nuovamente.

 

Quando sono nel pieno dell’emozione. Cosa potrei utilizzare come oggetto per concentrare l’attenzione e non pensare? Ve l’ho detto: l’emozione stessa, ovvero la sofferenza. Provate a concentrare tutto il vostro interesse nella sofferenza in quanto sofferenza; per il momento non occupatevi più della situazione. Se è vero che certe situazioni richiedono un’azione immediata (per esempio una frase pesante che richieda una risposta immediata), bisogna dire che la maggior parte delle situazioni (al contrario di quel che vuole far credere quel bugiardo del mentale) non esigono un’azione immediata; avete due ore o due giorni davanti a voi. E’ il mentale quello che vive nell’impazienza e vi dice: “Bisogna fare qualcosa subito, subito!”.

 

Avete quindi un po’ di tempo davanti. Avete tanto più tempo davanti quante più volte quelle emozioni angoscianti vi svegliano di soprassalto la notte: guardate l’ora, l’una del mattino. Allora pensate che se fossero le sei potreste decidervi di alzarvi, ma all’una del mattino cosa potete fare? Telefonare? Correre in macchina da ‘lei’ o da ‘lui’?

 

Andiamo avanti. Dunque, concentrate tutto il vostro interesse sulla sofferenza in se stessa, per sentirla, conoscerla, viverla consciamente, valutarla, farne l’esperienza. E farete questa scoperta straordinaria: è molto facile concentrarsi sull’emozione dolorosa e, d’un tratto, non pensate più. Allora sentirete l’emozione in quanto emozione, la sofferenza in quanto sofferenza, ma non ci sarà più il pensiero. Questo è il traguardo da raggiungere a tutti i costi.

 

Tutta l’attenzione deve essere coinvolta nel campione di sofferenza che state vivendo. Non vi occupate della situazione, non ripetete continuamente: “Se solo non fosse arrivata quella telefonata”, oppure “Scriverò una lettera… no, meglio una telefonata… no, meglio che ci vada di persona… no, meglio la lettera…”. Questo aberrante meccanismo del pensiero rischia di durare a lungo.

 

Concentratevi invece sull’emozione, e smettete di pensare. Fatelo, e vedrete che non dico storie. Non più pensieri: la testa è occupata unicamente a provare l’emozione, e poiché questa si evidenzia è molto più facile concentrarsi su questo piuttosto che sulla fiamma di una candela o sulla visualizzazione di una divinità tantrica, metodi con i quali prima o poi l’emozione tornerà strappandovi dalla concentrazione e riportandovi senza pietà alla situazione dolorosa. Se vi concentrate direttamente sull’emozione, cosa può fare l’emozione per distrarre la vostra attenzione? Non può più spostare la vostra concentrazione su un tema esterno: le avete già dato tutta la vostra attenzione. Ecco dunque che non pensate più.

 

Non pensando più  smetterete di nutrire l’emozione dolorosa con idee cupe ed elucubrazioni mentali. Morale: per il fatto di non esserci più pensieri, l’emozione a poco a poco si calma. Come un fuoco che brucia ma in cui non si getta altra legna, i ceppi si consumano fino a che il fuoco si spegne. La situazione è sempre là, tale e quale, ma l’emozione è diminuita o magari scomparsa. Questo prova che l’emozione può essere dissociata dalla situazione dolorosa.

 

Quando l’emozione è scomparsa, potete tornare a considerare la situazione. Bene, cosa posso fare adesso? Riflettere sulla situazione fa nuovamente sorgere l’emozione, ma sarà meno (o molto meno) intensa. Allora ripetete lo stesso esercizio, la stessa pratica: mi concentro di nuovo sull’emozione, non ‘penso’ più, non sono più vittima di pensieri dolorosi che mi torturano. Se prima l’emozione aveva impiegato un’ora a sparire, ora sparisce in un quarto d’ora al massimo. Ed eccovi nuovamente calmi. Basta un campione, uno solo, di sofferenza per fare questa scoperta fondamentale: è possibile dissociare la situazione dallo stato interiore. E’ un’esperienza memorabile, tutta la sofferenza viene da quella non-dissociazione e tutta la liberazione viene da quella dissociazione.

 

Scoprite voi stessi questa straordinaria verità. Finora avete vissuto con una convinzione errata: che le situazioni dolorose facciano inevitabilmente soffrire. Bisogna uscire dalle piccole ricette abituali e conformiste che non portano molto lontano, o dalla vostra ossessione della psicoanalisi e della psicoterapia. Anche se praticate la più moderna psicoterapia e il vostro analista vi cita come esempio sulla sua rivista specializzata, non per questo avrete risolto il vostro problema. Perché non sarà risolto il problema fondamentale: LA ‘Sofferenza’, al singolare. Avete semplicemente raggiunto un miglioramento in certi settori della vostra vita, che è comunque una cosa apprezzabile, non dico di no. Non faccio certo un discorso contro le psicoterapie, ma parlo di un gradino in più, che è l’insegnamento fondamentale della Saggezza.

 

Quanto vi propongo, nessuno può farlo per voi. Io vi procuro la lima, sta a voi limare le sbarre della prigione. Io vi do il piccone, sta a voi scavare un tunnel sotto il filo spinato. Ho cercato di descrivere questo esperimento, per voi nuovo, il più concretamente possibile, basandomi sul ricordo della mia stessa pratica, anche se da molti anni ormai le sofferenze sono sparite dalla mia esistenza, mentre quelle situazioni che un tempo mi sarebbero sembrate dolorose o penose continuano sempre a capitarmi. Lasciamo da parte, se volete, le tragedie terribili (per quanto la verità sia sempre la verità e ciò di cui parlo si applichi anche alle tragedie più terribili), ma guardiamo a tutte le situazioni crudeli, inquietanti che si vorrebbe veder sparire o non prodursi affatto. Vi posso assicurare che se guardassi la mia vita attuale con i meccanismi mentali di un tempo, la notte non riuscirei a dormire per la preoccupazione e l’inquietudine. I miei meccanismi di un tempo erano come quelli di coloro che oggi mi mettono instancabilmente a parte delle loro sofferenze, e che cercano di vivere alla meno paggio, giorno per giorno, invece di squarciare una volta per tutte il segreto della sofferenza. Attraverso ogni campione di sofferenza, potete scoprire quel segreto. Forse un solo campione non basterà, ma non ne sono necessari centinaia. Se ci sapete fare, qualche decina dovrebbero essere sufficienti. La vita ve ne offre abbastanza, se non di media uno al giorno almeno uno alla settimana.

 

 

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Spero che abbiate capito quello che cerco di trasmettervi quanto più semplicemente posso. Spero che non lo dimenticherete, e che lo metterete in pratica una volta usciti di qui. Forse vi troverete soli alle tre del mattino in camera vostra, svegli, con il cuore in pena e la mente in subbuglio, ma spero che vi ricorderete: “Non voglio ricadere nel solito meccanismo. Mi è stato detto qualcosa che non tutti hanno potuto ascoltare, che non tutti conoscono. Primo: la situazione potrebbe esistere senza l’emozione, cosa che mi permetterebbe di vedere la situazione in modo del tutto differente, senza l’emozione io vedrei che non c’è di che soffrire, che non c’è di che agitarsi; è l’emozione che mi fa vedere la situazione come molto dolorosa. Secondo: è l’emozione che mi impone un certo tipo di pensieri. Terzo: questi pensieri riattivano l’emozione. Dunque, è il momento di sfuggire alla girandola folle dei pensieri e di mettere in pratica”.

 

E qui vi ho dato una chiave: basta concentrare l’attenzione sull’emozione stessa, e presto l’emozione non sarà più lì a distrarvi dalla concentrazione. L’emozione è colma perché è riuscita ad accaparrarsi tutto il vostro interesse. E di colpo non pensate più, sentite solamente. La vostra stessa mente è occupata a sentire l’emozione.

 

Certo, tutto questo deve essere sulla base del sì a ciò che è, e dell’adesione alla realtà. Siete advaita, ‘non due’, qui e ora. L’emozione, non più nutrita dai pensieri, si è dissolta. E mi riaddormento tranquillamente. Oppure approfitto del fatto che ora sono calmo per rivedere la situazione. Che cosa posso fare? Come agire? Rivedere la situazione suscita ancora una volta l’emozione dolorosa. Ricomincio lo stesso lavoro, senza discutere e senza scoraggiarmi. Se prima ho impiegato un’ora, adesso mi basta un quarto d’ora per ritrovare la pace.

 

E così via, finché non riuscirete a ‘vedere’ la situazione senza emozioni. Non basta una volta per essere liberi, ci vuole esercizio. Senza la pratica non si diventa abili in nessun campo. Eccovi dunque materia su cui esercitarvi, da cui ottenere risultati realmente liberatori e che vi porterà nuove convinzioni. E soprattutto arriverete da soli a quella conclusione su cui non siete ancora del tutto certi: nelle situazioni cosiddette ‘dolorose’ è possibile non soffrire più.

 

La situazione dolorosa, affrontata senza l’emozione della sofferenza, non si presenta più come si è presentata finora. E’ come togliersi degli occhiali con le lenti deformanti. Fino ad ora avete vissuto le situazioni cosiddette ‘dolorose’ attraverso un’emozione di sofferenza. Come se aveste vissuto tutte queste situazioni guardandole attraverso lenti colorate. E per la prima volta vivete una situazione nella sua verità non deformata. “Questo non corrisponde più a ciò di cui ero sicuro”. Eh sì! Il mentale ha una certezza, e i saggi hanno una certezza opposta. Chi vincerà dentro di voi? La saggezza o il mentale?

 

La saggezza ha una certezza e il vostro mentale ne ha un’altra. E queste due certezze sono diametralmente opposte. Non è un adattamento, è una vera e propria conversione. I due punti di vista sono in contraddizione. Ma uno dei due vi pone nel cuore di quel Regno dei Cieli che è dentro di voi, mentre l’altro vi mantiene in una vita caotica, sballottata, insoddisfacente, anche se ci sono gioie e successi. Non nego che nella vita ci siano anche momenti felici. Ma quella di cui parlo è una felicità stabile, incrollabile, definitiva, eterna, e che non vi impedisce di gioire con chi gioisce, né di essere solidali con chi soffre, né di continuare a preferire il vino bianco al vino rosso e viceversa. Non c’è niente di morboso in ciò che la Saggezza ci offre a proposito della sofferenza. Ci propone unicamente la libertà, quella di cui abbiamo bisogno per essere felici e in pace. Finché potete scegliere fra due vini, perché non scegliere quello che preferite? Il giorno che non avrete altro da bere che un intruglio disgustoso, allora sarà il momento di mettere in pratica l’insegnamento di dire sì a ciò che è.

 

 

*

 

C’è ancora una cosa. Finora avete sentito ciò che ho detto io e ciò che dicono altri attraverso il filtro delle vostre vecchie esperienze, e magari siete persuasi che tutto questo sia molto bello, ma non sia vero. La convinzione radicata nel vostro essere afferma, proclama, ripete che le situazioni dolorose fanno soffrire, punto e basta. Le cose dette fin qui contraddicono troppo radicalmente le esperienze che vi hanno segnato. Ci crederete solo quando le avrete sperimentate almeno una volta. Basta una volta.

 

Provate a mettere in pratica a partire dalla prossima situazione difficile in cui vi troverete, quale che sia. Respingete i pensieri che affermano che è troppo difficile, che si tratti di una crisi professionale angosciante o di un crudele tradimento amoroso. Non pensate che quest’insegnamento valga solo in una situazione circoscritta (per esempio il dolore di aver rotto un oggetto molto costoso e che vi piaceva molto), e concludere che è ‘troppo difficile’ se invece si tratta di una situazione lunga, che dura da anni, la cui soluzione non sembra vicina.

 

Che errore! Quella situazione lunga che dura da anni e che durerà secondo voi ancora altri anni, è qui e ora che vi fa soffrire. Le sofferenze passate non ci sono più, e le sofferenze a venire esistono solo nella vostra immaginazione. Non ci sono quindi eccezioni a quanto vi ho proposto; se ci fosse anche una sola eccezione, tutto l’edificio della saggezza crollerebbe e nessuna liberazione sarebbe possibile.

 

Qui e ora: prima di tutto non pensare, non basarsi più sulla situazione; per smettere di pensare, concentrate l’attenzione sulla sofferenza. E farete una scoperta, una scoperta di dissociazione, una scoperta di libertà. Se mettete davvero in pratica, la trasformazione totale di voi stessi, dunque della vostra esistenza, può essere portata a termine in due o tre anni. Non ho altri insegnamenti pratici diretti e davvero efficaci da proporvi, oltre questo. Allora farete ‘la Scoperta’. Attraverso un campione di sofferenza, farete la scoperta riguardante tutte le sofferenze. E poiché ogni sofferenza è legata a un desiderio e a una paura, scoprirete inevitabilmente l’essenza stessa del desiderio, l’essenza stessa della paura.

 

Non rassicurare una paura è sofferenza; non soddisfare un desiderio è sofferenza. Scoprendo, in una data situazione, la possibilità di non soffrire più, scoprirete che è possibile non soffrire anche se un desiderio non è realizzato. E scoprirete che è possibile non soffrire anche se una paura non è rassicurata, per esempio se la minaccia è sempre all’orizzonte o il vostro nemico continua a sparlare di voi. Il ‘segreto’, nella misura in cui è difficile da capire, sta nel passaggio dal plurale al  singolare: i desideri, il desiderio. Consiste nel capire che tutto è contenuto in un ‘campione’. Analizzate un cucchiaio d’acqua: H2O. finito! Non avete bisogno di analizzare migliaia di litri d’acqua per conoscerne la formula. Ogni campione di esistenza un poco intensa da solo contiene in sé il segreto della schiavitù e dell’emancipazione. L’intera biblioteca di un monastero buddhista è implicitamente contenuta in ogni campione della vostra esistenza, qualunque essa sia, dal momento che sentite qualcosa ‘qui e ora’.

 

Potrete così progredire velocemente e verificare da soli la veridicità di ciò che insegnano i saggi sulla scoperta liberatrice e la possibilità di un risveglio. Dal momento che avete scoperto il metodo, non avete che da utilizzarlo ogni volta, cosa che vi riuscirà via via più facile perché aumenterà via via la vostra convinzione. All’inizio è dura. Dovrete essere coraggiosi, forse eroici. Dovrete lottare colpo su colpo: “Io soffro, cerco di concentrarmi sulla sofferenza, ma il risultato promesso non si produce”. Certo, questo nuovo atteggiamento è talmente inconsueto che probabilmente non ‘funzionerà’ subito. “Sono scoraggiato, sono di nuovo in preda a pensieri, a idee cupe”. Il vostro cuore geme, sanguina, il vostro bambino interiore grida aiuto cercando un papà forte e solido, una mamma amorosa e consolatrice. Poco a poco questo percorso diventa più facile. Siete coinvolti in una speranza, non in una vaga fantasia: “Ah, se solamente…”. No, una speranza. La speranza che per voi le grandi promesse si realizzeranno, la speranza di non essere più prigionieri, la speranza di vivere ‘nel mondo senza essere di questo mondo’, la speranza che le situazioni non avranno più il potere di imporvi la loro legge, la legge dell’emozione e dei pensieri corrispondenti e, di conseguenza, delle reazioni corrispondenti.

 

Vorrei che centinaia di pagine scritte si traducessero per voi in un modo di essere semplice, di cui siete convinti abbastanza da voler perseverare. Se dovesse andarvi male, se il semplice fatto di dire “sì” a fior di labbra non producesse il miracolo, non scoraggiatevi. E’ un atto molto speciale, l’atto del discepolo che comprende quanto vi sia di grandioso in un campione di esistenza. E il campione non è misterioso, è la situazione in cui siete momentaneamente immersi, quale che sia la forma che assume.

 

Che cosa succederà? Innanzitutto, prima ancora di essere arrivati alla fine del Cammino, questa speranza diventerà l’elemento dominante della vostra vita. Non sarà soltanto: “Arnaud dice che…”. Sarete voi, ognuno di voi, che potrà dire: “Ora sono io a esserne sicuro…”. Non ci sarà più vita monotona, o piena di fastidi e frustrazioni, o vissuta all’insegna di un noioso trantran quotidiano. Vi ritroverete tutti impegnati in un’avventura appassionante: quella della Liberazione.

 

E’ l’avventura più esaltante, più gratificante. Io ho vissuto l’avventura del viaggio, quella dell’esplorazione, l’avventura della professione, l’avventura amorosa. Ho conosciuto l’aspetto doloroso della vita a diverse età e sotto diversi aspetti, così come ne ho conosciuto l’aspetto felice. Ho avuto veramente una vita molto ricca, almeno per alcuni anni, in cui tutti i miei sogni si sono realizzati. E se vi dico che questa è l’avventura che più di tutte può soddisfarvi, è perché parlo per esperienza personale.

 

 

*

 

Se farete quanto vi ho suggerito, vi accorgerete molto presto che il mondo, pur rimanendo ‘il mondo’, il mondo in cui ognuno di voi vive, non sarà più lo stesso; non più un mondo di paure, di frustrazioni, di conflitti. Avrete la prova che da queste cose è possibile dissociarsi. Le situazioni rimangano quelle che sono, ma siete cambiati voi. Cosa molto più importante del cambiamento del mondo. Tanto meglio se l’inflazione scende, se la disoccupazione diminuisce; e tanto meglio se gli altri, a noi lontani, soffrono meno, se c’è meno fame nel terzo Mondo, meno guerre fra le grandi potenze condotte attraverso piccoli popoli, meno villaggi distrutti in Africa o in Asia, tanto meglio, tanto meglio, tanto meglio! Se potete fare qualcosa per diminuire la sofferenza nel mondo, fatelo, offrite il vostro tempo, la vostra energia, il vostro denaro.

 

Ma è da molto tempo che si sogna la trasformazione di questo mondo e non la si è mai vista, né nei paesi socialisti né in quelli capitalisti. Il mondo sarà sempre ‘il mondo’. Ci sarà sempre qualcuno che vi creerà delle difficoltà, persone dominate dal loro mentale e dalle loro emozioni. Invece voi potrete vivere ‘in questo mondo senza essere di questo mondo’. In altre parole, vivrete come tutti quanti, e tuttavia vivrete in un altro mondo. In un mondo dove non c’è più gente cattiva, ma solo gente che soffre; in un mondo che è, a tutti gli effetti, il mondo reale, ma non è quello in cui vivono gli altri né quello in cui avete vissuto fino ad oggi.

 

Mettendo in pratica ciò che vi propongo, verificherete quanto oggi vi prometto, perché avete accesso all’essenza stessa della condizione umana. Verrà il giorno in cui la vostra intima convinzione sarà sufficiente a produrre in voi una metanoia, un rivolgimento, una conversione. Il mentale, l’antica visione, se ne è andato definitivamente, e ora è il guru interiore a essersi stabilito in voi. Vi sarà impossibile non mettere in pratica, o dimenticare di mettere in pratica. Mentre so bene che per ora tutti i meccanismi del mentale agiscono contro questo mettere in pratica.

 

Il mentale non potrà più imporvi la sua visione menzognera. Il momento più importante della vostra vita è quello in cui scoprirete che esiste una via d’uscita, perché avete scoperto il segreto del Desiderio, della Paura e della Sofferenza (al singolare).

 

Vorrei dire (ma non prendetela come una battuta): “E’ così orribile soffrire!” Al che risponderete: “Lo so bene!”. Non siete d’accordo? E’ orribile soffrire, è orribile che le situazioni abbiano il potere assoluto di farci del male, che la vita possa giocare con noi come il gatto col topo. E’ tremendo soffrire, è orribile.

 

Ed è possibile non soffrire più.

 

Non pensate solo alle grandi tragedie. Pensate a tutte le piccole sofferenze che si accumulano: vostro cugino vi ha dato una fregatura, i bambini hanno problemi a scuola, c’è un sospetto di ulcera allo stomaco, avete problemi con il partner, tutte cose che la gente non reputa davvero tremende, come sarebbe vedersi morire un figlio sotto gli occhi. La vita è sofferenza. E’ orribile, ma è un fatto fondato su un accecamento, un falso meccanismo, una falsa convinzione che è quella del mentale.

 

Nel momento in cui nasce in voi questa speranza, non potete più sottrarvi al mettere in pratica. Se sapete nuotare e cadete in acqua nuotate; chi ha imparato a nuotare non annega più.

 

Questo porterà, come primo effetto, a un cambiamento del vostro essere. L’essere di un uomo che non può più soffrire è completamente diverso dall’essere di un uomo che soffre ogni volta che ha un’esperienza negativa. Se il vostro essere cambia, cambia anche la vostra azione. Non sarà più una reazione, nata da un accecamento emotivo, ma un’azione, nata da una visione pacificata, distesa, un’azione ‘giusta’ o, se è il caso, un’assenza di azione. Non compiendo più le azioni inutili con le quali inquinate le situazioni, economizzerete molta energia e sopprimerete molte conseguenze spiacevoli. E vivrete in un clima di certezza.

 

E’ un punto essenziale, legato a tutti gli altri. Di certezze, al plurale, il mentale non ne ha mai; la buddhi può averne. Potete avere delle vostre certezze nel campo della tecnica, delle scienze; senza certezze non si sarebbero mandati gli uomini sulla luna e riportati a terra. Non parlo di quelle certezze scientifiche o tecniche nelle quali il mentale non gioca nessun ruolo. Parlo delle circostanze della vostra vita, delle situazioni esistenziali in cui il mentale regna da padrone. Non ci sono certezze, ma false certezze nelle quali non potete essere unificati perché una parte di voi sa bene che le affermazioni del mentale non sono veritiere. Vivete quindi in un mondo inquietante perché non potete essere sicuri di voi, o lo siete in modo molto relativo. Certo che potete dire: “Sono sicurissimo che se spengo il riscaldamento tra un po’ nella stanza farà meno caldo”. Ma in situazioni più complesse non siete sicuri di voi. Non sapete esattamente quale azione bisogna compiere, dunque non vivete stabilmente nella ‘Certezza’ al singolare.

 

Ci sono delle certezze che non avrete mai, neppure se raggiungete la Liberazione. Il Saggio è capacissimo di dire :”Non so”. E’ stato detto: “Il Saggio è colui che sa di non sapere”. Tutte le false certezze del mentale cadono. Le opinioni cadono. Vedete nascere e crescere in voi un elemento nuovo, la speranza, vedrete anche nascere e crescere in voi una nuova realtà, la certezza, come se foste veramente guidati dall’interno. Volendo, potete esprimerlo in termini religiosi, ed è stato fatto abbondantemente: “E’ Dio che agisce in me, sono diventato lo strumento cosciente di Dio, non agisco più senza pregare interiormente per capire qual è la volontà di Dio”. Ma potete anche esprimerlo senza usare affatto un linguaggio religioso.

 

L’emozione vi toglie il diritto alla certezza, l’emozione oscilla da ‘per’ a ‘contro’, pensa una cosa stamattina e il contrario stasera, domattina un’altra cosa e domani sera tornerà alla prima soluzione. Mentre la non-emozione vi promette la certezza per quanto riguarda l’azione: è questo che devo fare. Ed è un’azione che vi mantiene nella pace; nulla è più un problema, nulla. Tutto ciò che si presenta è semplicemente un avvenimento. Le successioni di causa ed effetto sono all’opera, e in presenza di certe condizioni si produce un certo avvenimento. Ma un avvenimento non può più essere un problema, mai più. E voi ‘sentite’ che cosa dovete fare. Lo fate, ed è nell’azione stessa che trovate la pace. Questo modo di essere e di agire, che giunti a questo punto non vi distoglie più dalla pienezza profonda e dalla pace, è un vostro diritto di nascita.

 

E’ così che potete vivere liberati dal dubbio, pur riconoscendo senza sforzo i vostri limiti: “Ecco cosa mi viene chiesto, a me così come sono, con i miei limiti. Se fossi molto più intelligente, se fossi molto più abile o se fossi molto più brillante, forse sarebbero possibili altre azioni. Ma io sono questo, e questo posso fare”. L’importante non è essere intelligente, non è essere brillante, non è neppure essere efficace: L’importante è essere stabile nella pace del cuore, e non essere più strappato a questa pace. L’azione è un problema solo perché il mentale pensa; e il mentale pensa perché c’è emozione, e così via…

 

Tutto cambierà: il vostro essere, la vostra vita, il vostro modo di operare, pur restando voi in questo mondo, che continuerà con i suoi alti e bassi, le sue belle e brutte notizie, le vittorie e le sconfitte, gli elogi e le critiche, gli amici che vi vogliono bene e i nemici che vi vogliono male. Farete economia di tutta l’energia che ora sprecate in emozioni e in pensieri. E quell’energia in più che avrete a disposizione si raffinerà, si affinerà da sé. Avrete sempre più spesso la disponibilità a fare meditazione senza sforzo. Tutto è collegato. E quello stato di non-emozione, di serenità, diventerà sempre più intenso. Si può anche dire che diventerà uno stato di beatitudine, di felicità indicibile, di gioia che permane oltre tutte le vicissitudini. Ma la scoperta del regno dei Cieli che è dentro di noi non è possibile se vi accontentate unicamente di meditare; è una scoperta possibile quando quel primissimo risveglio, proprio questo di cui parlo qui, è stato effettuato da ciascuno a livello personale. Avete capito quello che c’è da capire. La concentrazione nell’emozione in se stessa vi libera dai pensieri che, non venendo più prodotti, cessano di presentarvi una visione falsa della situazione. Poco a poco, invece di vivere in un mondo irreale, comincerete a vivere nel mondo reale.

 

Ma per vedere quella realtà fondamentale, che si applicherà in seguito a tutte le possibili situazioni, bisogna utilizzare una prima situazione, poi una seconda, poi una terza, tutte quelle che la vita vi presenta.

 

La mia venerazione per molti saggi indù, tibetani, giapponesi, sufi è totale, il mio amore per loro è indicibile. Ma so che il loro cammino individuale non poteva essere utile a me personalmente. Così voi non potete contare su di me per indicarvi un cammino di cui non ho esperienza personale e di cui non ho, quindi, il diritto di parlare. Io posso testimoniare unicamente per il cammino che ho seguito presso un maestro indiano, Swami Pajnanpad. Non nego il valore delle altre vie. Ma è normale, quando si vuole convincere di un cammino, che se ne parli regolarmente come se fosse ‘il Cammino’.

 

Può darsi che per tutti voi, o per qualcuno di voi, il cammino che propongo sia in effetti ‘il Cammino’, il vostro cammino. Ho condiviso con voi un’esperienza. E’ il vecchio discepolo di Swami Prajnanpad che vi parla, o piuttosto il discepolo eterno di Swami Prajnanpad. Ciò che vi ho proposto, l’ho fatto prima io stesso; all’inizio fu difficile, ho dovuto ‘aggrapparmi’, come si dice. Poi, poco alla volta, è diventato più facile. Più tardi è diventato appassionante, come una bella partita a scacchi per chi ama gli scacchi. Infine, la libertà è diventata stabile. Quando un battello ha raggiunto il porto, la navigazione è terminata: è il momento in cui l’insegnamento si mette in pratica da sé solo. Se le circostanze sono particolarmente intense e non potete più navigare col pilota automatico, riprendete i comandi. Non vi sarà più possibile non mettere in pratica.

 

                                                                                 

 Da: http://www.rebirthing-milano.it/dal_librod.htm

 

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