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3mè Millénaire n. 85 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini 3m. Se si osserva la propria situazione interiore, l’amore è più una mancanza che qualcosa che proviene da sé. Lo stesso è per la libertà, parlo della libertà interiore. E.B. In generale ci si riferisce al concetto di libertà in opposizione a quello di condizionamento. Ora, una libertà che si riferisce a un condizionamento non è più libera, e un condizionamento che si definisce in rapporto a una libertà non può essere totalmente condizionato. Il nostro mentale ci obbliga a scegliere tra due possibilità, là dove non ce ne sono che due. La domanda è forse sapere se non ce n’è una terza. Nell’India tradizionale il concetto di libertà in senso individuale non esiste che simbolicamente. Ogni oggetto è soggetto alle leggi della manifestazione: tutto ciò che è nello spazio-tempo dipende dalle sue leggi. In quanto corpo e psichismo siamo soggetti allo stesso condizionamento di ogni oggetto dello spazio-tempo. Su quel piano non c’è libertà individuale. La libertà è un simbolo che si riferisce esclusivamente al non manifesto. La questione deve aprirsi a una terza via, quella della rinuncia ad ogni movimento mentale. Ogni risposta concettuale equivarrebbe a voler fare entrare il mare in un bicchiere d’acqua. La risposta alle false domande “c’è libertà o condizionamento? Da quanto tempo si è sposata la figlia di una donna sterile?” non si rivela che in quello spazio di non pensiero. Ciò che siamo, non essendo un oggetto, la discussione sulla libertà o il condizionamento, non può che riferirsi a un mondo profano. Da un punto di vista tradizionale, non c’è nessuno che sia libero o condizionato. In un ascolto libero da attese, d’intenzione, di voler cambiare, lo stesso condizionamento si rivela un riflesso della libertà, espressione dell’autonomia. D. Si ascolta il proprio condizionamento a partire da ciò che non è condizionato. Questo ascolto può essere oggetto di ascolto? E.B. Finché una cosa è ascoltata, c’è condizionamento. Un oggetto ascoltato è indissociabile dal soggetto che ascolta. Il soggetto non è indipendente dall’oggetto. Il tentativo dello yoga di ascoltare un oggetto non mira ad un ascolto puro della percezione, il che non esiste, ma lo spostamento dell’accento è da ciò che è ascoltato all’ascolto stesso. Per ragioni pedagogiche e pratiche, bisogna prima ascoltare qualcosa, ma siccome non è messo nessun accento su ciò che è ascoltato, l’oggetto è sentito libero da ogni relazione psicologica. Quando una percezione si lascia senza attesa, essa si dispiega naturalmente. Tutto ciò che si esprime, non può che morire. Siccome non può esserci oggetto senza soggetto, quando l’oggetto percepito si dissolve, nello stesso istante il soggetto che percepisce scompare. Regna l’ascolto, niente è ascoltato e nessuno ascolta. L’ascolto del corpo è dunque un pretesto che mira a famigliarizzarsi con il lasciar vivere e morire le percezioni. Lo yoga fa parte delle arti sorte da quel presentimento non concettuale della libertà. Come ogni arte, la sua tecnica si colloca nell’ascolto del condizionamento corporale e psichico. L’accento apparentemente messo sul corpo è spesso una cattiva comprensione della prospettiva. Il cuore dello yoga non è il corpo, ma l’ascolto. Si ascolta il corpo come nell’ikebana si osserva la composizione dei fiori. L’arte tradizionale è libera dalla fantasia di un risultato e l’azione non è che un pretesto. Anche nello yoga la percezione del corpo non è che un’occasione per presentire la nostra libertà. Si può considerare il sentire del corpo eminentemente pedagogico perché, su un certo piano, la sua percezione è sempre disponibile. D. E’ anche il più stabile. Il pensiero, per esempio è fluttuante… E.B. Ci si rende conto abbastanza in fretta che il piacevole, lo sgradevole, il caldo, il freddo, sono percezioni. Posso sentire una parte del corpo tesa senza essere teso. Il rilassamento e la tensione appaiono in me. L’ascolto del pensiero è meno pedagogico: in una via della percezione si riduce enormemente e finalmente non ci sarà più niente a cui pensare. Creazione del nostro immaginario, ciò che chiamiamo il corpo non è lì che quando è pensato. Pedagogicamente, l’apparizione della percezione è il momento tradizionale per ascoltare quella presenza apparente e lasciarla scoprire fino al suo riassorbimento finale. D. Quando si ascolta il corpo, si ha un’immagine sensibile del corpo… E.B. La rappresentazione tattile del corpo è legata alle nostre conseguenze affettive. Quando si pensa al proprio corpo, in effetti si sente una resistenza creata poco a poco in funzione delle circostanze della vita. Al risveglio, al mattino, non si sente il proprio corpo, ma la resistenza. Si sente la paura di non essere niente. Il corpo allora è quella paura. Ci si deve rendere conto che il proprio corpo, il proprio congiunto, il proprio mestiere e la propria religione, così come tutte le proprie convinzioni e tendenze culturali o fisiologiche sono una creazione dell’angoscia per evitare di trovarsi al manicomio. Risvegliarsi in quella situazione permette di non rendersi conto della propria inesistenza in quanto persona. Quando un’auto non piace più, se ne compera un’altra; quando un marito non ci soddisfa, si cambia, ecc. Si creano quelle sicurezze per avere un passato, un futuro. La visione del corpo è l’espressione della nostra visione della società. L’apparente controllo delle proprie diverse parti inventate dalla nostra immaginazione è l’illustrazione di quella credenza. Il corpo è la rappresentazione più estrema della nostra patologia. Quando si comincia ad ascoltare quell’apparente sicurezza, ci si accorge che non è che insicurezza! Il corpo non è che tensione Ciò che apprendiamo come un sentire è in realtà l’espressione della nostra difesa. Si sente la schiena quando si ha mal di schiena, il plesso quando una moglie ci infastidisce, il ventre o le gambe che tremano quando si assiste a un incidente. Ecco ciò che si sperimenta col corpo. Un’altra possibilità si presenta quando si smette di difendere una personalità. Gli elementi più esteriori, quelli che si conoscono abitualmente come sensazioni di pesantezza, si vanno riducendo, e altre percezioni più morbide, elastiche, vanno diventando viventi. Anche queste sono compensazioni, ma sattviche, più sottili. Più si sente il corpo vacante, trasparente, più quella sensazione appare in movimento. E’ costantemente in evoluzione, dissoluzione. Con la sola presa di coscienza di quel processo, si possono bruciare impedimenti. Nell’ascolto, la sensazione può dispiegarsi senza limiti, e morire; allora non resta più niente, né corpo, né relazione soggetto/oggetto. Poi di nuovo, può presentarsi un oggetto tattile… La sensazione del corpo come pesantezza, resistenza è il primo riflesso della personalità, sempre molto fisso. Tutti i giorni si sente lo stesso corpo al mattino, lo stesso cane. Il cane è sempre diverso, ma per paura di mettersi in questione, lo si riconosce: ecco una sicurezza in più. Corpo, moglie, cane, auto, tutto questo è sempre nuovo, ma per paura di non avere identità, ci si obbliga a vivere con quella memoria che non è che appropriazione. Si difende il proprio corpo, il proprio paese, si ama o non si ama più. Se si diventa ascolto appassionato della percezione, la paura sentita così intensamente si rivela prima o poi superficialità e travestimento. Ciò che è profondo è la gioia, non la paura. L’attuazione di quella evidenza è luogo dell’esplorazione yogica. Lo Yoga tradizionale mette in questione la nostra apparente sicurezza corporea. Con la pratica, questa costruzione è investigata fino alla sua distruzione totale. Allora verrà fuori un nuovo corpo, senza limiti né centro, tomba della nostra identità Cosa siamo quando smettiamo di difenderci? Cosa siamo tattilmente quando smettiamo di identificarci con un futuro o un passato, quando smettiamo di inventarci? Lo yoga autentico è la non invenzione del corpo, della vita. Cosa siamo prima di pretenderci? I concetti di libertà e di condizionamento non si applicano più allo stesso modo. Movimento per la sua stessa natura, l’oggetto condizionato punta verso la nostra libertà. Vivere il condizionamento lo porta a morire ad ogni istante. Nell’istante non condizionato, il tempo condizionato appare e scompare. Più si lascia libero il movimento, più s’incarna il presentimento che il tempo vive nel non condizionato. D. Quando si ha la percezione del corpo come paura, in una sensibilità più sattvica, c’è metamorfosi del sentimento. Un sentire più fine, più inglobante appare, accompagnato da un sentimento di gioia, che si può legare a un amore di sé che non è più egoico. Un amore di ciò che è ora. E. B. L’amore è il riconoscimento della non differenza. Quando si guarda qualcosa senza creare relazione psicologica, ci si accorge che si è anche quello. Tutto quello che è percepito è proprio. Quando si vive una non relazione con l’ambiente, la percezione è emozione perché il corpo è emozione. Si è emozione. Più la percezione è libera da riferimenti psicologici, da relazioni personali, più la relazione è emozione. Questa emozione non è affettività. Vedere un albero, una nube o un oggetto d’arte è emozione. La purificazione, non nel senso moralistico del termine, ma puramente funzionale, cioè la non reattività corporea e psicologica, porta a più che una trasformazione: un risveglio della capacità emozionale, generalmente bloccata prima dall’affettività. Non si vuole soffrire, essere tristi, avere paura, mentre la vita è emozione. I bambini giocano a farsi paura! Alla sera dormono molto bene. La paura è bella, essa libera. E’ la paura della paura che crea il traumatismo psicologico. Lo stesso per la violenza, la tristezza. Si fa yoga per non essere tristi, ma trent’anni dopo si è ancora molto tristi! La via tradizionale consiste nel lasciare vivere le proprie emozioni. Quando l’emozione è lasciata libera, lascia le sue ramificazioni psicologiche. Lasciata libera, ogni emozione è bellezza e riflette la gioia in ogni circostanza L’emozione è il cuore della vita. La personalità la rifiuta o la trascura per non perdere i riferimenti della sicurezza. Alla morte di suo fratello, nella sua autobiografia, Krishnamurti ha più o meno scritto: “non ho sentito in me nessun tendenza a essere triste.” Ha lasciato venire la tristezza completamente , poi se n’è andata. Per molti, quando capita qualcosa di simile, si fa di tutto per non essere tristi. Krishnamurti avrebbe potuto fare yoga, diventare buddista, e tutta la vita avrebbe cacciato quella tristezza, mentre lui l’ha lasciata libera. Ecco la chiave tradizionale della via. D: Se si considera la questione delle relazioni tra gli esseri umani c’è una richiesta, un desiderio di unità che può esprimersi attraverso delle relazioni sessuali, per esempio. Ma nella vita quotidiana, l’ascolto è assente, e le relazioni si riassumono allora in una relazione d’ego a ego. L’unità sembra impossibile. E.B. L’unità non può essere un risultato poiché essa è l’origine. Se la non separazione non è un’evidenza, non si può far finta di viverla nella sessualità o in qualche altro ambito. La via sessuale, come il modo di gestire il proprio conto in banca, è un’espressione del nostro presentimento. Il più delle volte, la sessualità è una compensazione di un corpo che ha bisogno di essere toccato e di toccare un altro corpo per sentirsi meglio. Si produce una montata di tensione, esplosione, poi calma. Quando si è perfettamente distesi, lo stimolo della tensione non ci tocca e nemmeno il bisogno di toccare e essere toccati. Il bisogno di contatto viene da una mancanza di sensibilità. Un corpo risvegliato non è che contatto. Ciò che si vede, si sente, lo si tocca. Non si ha bisogno di toccare qualcosa per sentirla. Ciò non vuol dire che non si tocca più niente; quando viene un cane, lo si accarezza in un modo, la propria moglie, il proprio bambino in un altro, ecc, ma il contatto con un’amante non è più pieno d’amore di quello con una madre, una figlia o la scorza di un albero. Toccare una regione cosiddetta sessuale non è più intensa che toccare una spalla. La sessualità diventa non sessuale. Il desiderio psicologico è non sessuale, il desiderio psicologico si cancella. Certo, in un corpo equilibrato appaiono dei cicli senza equivoco. L’uomo ha su quel piano un ciclo un po’ più lungo della donna, press’a poco di trenta quaranta giorni. In questo periodo, se si presenta l’opportunità, la capacità, la stimolazione sessuale è più forte che in altri momenti. Altri periodi saranno più favorevoli all’ascolto della musica, o alla pratica sportiva, ecc. Questi periodi, inscritti biologicamente, si trovano moltiplicati secondo le lunazioni. Qualche volta nell’anno, la sovrapposizione planetaria e biologica sarà al suo culmine. Come ogni oggetto, il corpo è fatto di cicli. Ma quando quel momento è attivato nell’uomo senza partner, anche se la disposizione è sentita chiaramente, non manca nulla. Il bisogno viene sempre da una patologia. Il bisogno sessuale è quasi sempre una compensazione, una affermazione. Ci si serve dell’altro per soddisfarsi. Se una donna non ci vuole più, andremo con la vicina, non è molto differente. La parola amore non ha posto lì dentro. L’amore è il riconoscimento della non separazione, della percezione una. D. L’attrazione sessuale è spesso confusa con l’amore. Immediatamente ci si mette sopra la parola amore, dandole un carattere romantico. E.B. Lo stato amoroso è sempre autentico, ma senza nessuna chiarezza di ciò che succede. Qualcosa tocca i nostri contorni, i nostri limiti. Per mancanza di lucidità, crediamo di essere innamorati di qualcuno, mentre è l’emozione dell’amore che ci riempie. Certamente si sente quella emozione con qualcuno, è dunque normale attribuire l’amore a quella persona. Però, dopo essersi innamorati sette volte, ci si rende conto che, qualsiasi sia l’oggetto, lo stato è sempre lo stesso. Allora si comincia a mettere in questione la situazione: abbiamo bisogno di una situazione per essere condotti a quello stato che è in noi? Ci può essere una maturazione. Lo stato amoroso è sempre giusto, perché è senza causa. Invece, il matrimonio è una scelta strategica, economica, morale e difficilmente può derivare da quell’amore. Ciò che è morale, utile o funzionale è l’opposto di ciò che è libero. Nell’India tradizionale, l’amore, il sesso e il matrimonio sono considerati estranei tra loro e generalmente non si mescolano. La nozione di coppia o di relazione si elimina nell’ascolto. Resta una possibilità legata alle circostanze funzionali. Non ci si può servire della sessualità per andare verso l’unità, come lo si pretende nel tantrismo infatilizzato. Solo il presentimento dell’unità porterà ad una vera trasformazione. Per certuni la sessualità sarà rapidamente leggera, potente e senza problemi, e per altri rimarrà a lungo patologia, frustrazione e domanda. L’integrazione delle nostre caratteristiche nell’apertura alla via accade secondo le nostre predisposizioni. La sessualità ritualizzata, che si trova in certe correnti del tantrismo indù e buddista non deve essere considerata come sessualità, ma come sadhana. Essa non concerne che quelli la cui personalità è già relativamente dissolta con la discriminazione. L’estremo calore dell’amore è freddo come il diamante e insopportabile per la persona che domanda. Quando non ci si innamora più, e non se ne risente più con o senza compagno, e l’accogliere ciò che è diventa naturale, l’amore, che ingloba ogni possibilità di espressione, viene alla luce. Il vero “io t’amo” è presenza silenziosa, intensità senza modalità temporale e tuttavia include tutti. Lodi alla coscienza creatrice di questa magia senza limite!
Da: http://www.revue3emillenaire.com/it/?p=778
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