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Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

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Premessa a Gli stati molteplici dell'essere (René Guénon)


 

Nel nostro ultimo studio, Il simbolismo della croce, abbiamo esposto, basandoci sui dati forniti dalle diverse dottrine tradizionali, una rappresentazione geometrica dell'essere fondata interamente sulla teoria metafisica degli stati molteplici. Il presente volume ne sarà, sotto questo aspetto, quasi un complemento, perché le indicazioni che abbiamo dato non bastano forse a far emergere del tutto la portata di questa teoria, che va considerata fondamentale; in quel caso ci dovemmo infatti limitare a quanto era più direttamente collegato allo scopo ben definito che ci eravamo proposti. Lasciando perciò da parte la già descritta rappresentazione simbolica, o perlomeno ricordandola in un certo senso solo incidentalmente quando vi sarà motivo di farvi riferimento, dedicheremo interamente questo nuovo lavoro a un più ampio sviluppo di tale teoria, esponendone sia - e innanzitutto - il principio stesso, sia alcune delle applicazioni, specie per quanto concerne l'essere considerato sotto l'aspetto umano.

Circa quest'ultimo punto, non sarà forse inutile ricordare fin d'ora che l'attenzione da noi prestata a considerazioni di tale ordine non implica affatto che lo stato umano occupi una posizione privilegiata nell'insieme dell'Esistenza universale, o sia metafisicamente contraddistinto, rispetto agli altri stati, dal possesso di una qualunque prerogativa. In realtà lo stato umano è soltanto uno stato di manifestazione come tutti gli altri, e fra un numero indefinito di altri; esso si trova, nella gerarchia dei gradi dell'Esistenza, nella posizione assegnatagli dalla sua stessa natura, cioè dal carattere limitante delle condizioni che lo definiscono, e questa posizione non gli conferisce né superiorità né inferiorità assolute. Se talvolta dobbiamo prendere in esame tale stato, è dunque unicamente perché esso acquista per noi, ma per noi soltanto, un'importanza speciale, essendo lo stato in cui di fatto ci troviamo; si tratta di un punto di vista del tutto relativo e contingente, quello degli individui come noi nel nostro attuale modo di manifestazione. Perciò, in particolare, quando parliamo di stati superiori e inferiori dobbiamo operare tale ripartizione gerarchica sempre in relazione allo stato umano preso come termine di paragone, poiché nessun altro stato è direttamente sperimentabile da noi in quanto individui; e non si deve dimenticare che ogni espressione, essendo racchiusa in una forma, si effettua necessariamente in modo individuale, sicché, di qualunque cosa vogliamo parlare, anche delle verità di ordine puramente metafisico, possiamo farlo solo scendendo a un ordine completamente diverso, essenzialmente relativo e limitato, che consenta di tradurle nel linguaggio proprio delle individualità umane. Non è difficile comprendere tutte le precauzioni e le riserve imposte dall'inevitabile imperfezione di questo linguaggio, così manifestamente inadeguato a ciò che deve esprimere in tale caso; la sproporzione è evidente, e del resto si può dire altrettanto di ogni rappresentazione formale, qualunque sia, comprese le rappresentazioni propriamente simboliche, che pure sono incomparabilmente meno limitate del linguaggio comune, e di conseguenza più adatte a trasmettere verità trascendenti - donde il loro impiego costante in ogni insegnamento che possegga un carattere davvero "iniziatico" e tradizionale.1 Perciò, come abbiamo già ripetutamente sottolineato, è opportuno, per non alterare la verità con un'esposizione parziale, restrittiva o sistematica, tenere sempre conto dell'inesprimibile, ossia di ciò che non può essere racchiuso in alcuna forma e che, metafisicamente, è in realtà quel che più conta, anzi, potremmo dire tutto l'essenziale.

Ora, se si vuole ricollegare, sempre considerando lo stato umano, il punto di vista individuale al punto di vista metafisico, come di norma è necessario fare quando si tratta di "scienza sacra" e non soltanto di sapere "profano", diremo questo: la realizzazione dell'essere totale può essere compiuta a partire da qualunque stato preso come base e punto di partenza, proprio perché tutti i modi di esistenza contingenti si equivalgono di fronte all'Assoluto; può dunque essere compiuta a partire dallo stato umano come pure da ogni altro, e persino, l'abbiamo già affermato altrove, da ogni modalità di questo stato, il che equivale a dire che essa, in particolare, è possibile per l'uomo corporeo e terreno - qualunque cosa ne possano pensare gli Occidentali, che sono tratti in errore, circa l'importanza che occorre attribuire alla "corporeità", dalla straordinaria insufficienza delle loro concezioni relative alla costituzione dell'essere umano.2 Poiché questo è lo stato in cui ci troviamo attualmente, da qui dobbiamo in effetti partire se ci proponiamo di raggiungere la realizzazione metafisica, di qualunque grado sia, e qui si trova la ragione essenziale per cui dobbiamo prendere in esame in particolare questo stato; avendo peraltro già sviluppato tali considerazioni in precedenza, non vi insisteremo oltre, tanto più che il presente saggio consentirà di comprenderle ancora meglio.3

D'altra parte, per fugare ogni possibile confusione, dobbiamo ricordare fin d'ora che, quando parliamo di stati molteplici dell'essere, ci riferiamo non a una semplice molteplicità numerica o anche più generalmente quantitativa, bensì a una molteplicità di ordine "trascendentale" o veramente universale, applicabile a tutti gli ambiti che costituiscono i differenti "mondi" o gradi dell'Esistenza, considerati separatamente o nel loro insieme, dunque al di fuori e al di là dell'ambito particolare del numero, e perfino della quantità in tutte le sue forme. Infatti la quantità, e a maggior ragione il numero, che ne rappresenta solo una forma, cioè la quantità discontinua, è soltanto una delle condizioni che determinano alcuni stati, tra i quali il nostro; essa dunque non può venire attribuita ad altri stati, e ancor meno all'insieme degli stati, il quale sfugge evidentemente a una determinazione di questo genere. Perciò, quando a tale riguardo parliamo di una moltitudine indefinita, occorre sempre tenere presente che l'indefinità in questione si pone al di là di ogni numero, e anche di tutto ciò che soggiace più o meno direttamente alla quantità, come l'indefinità spaziale o temporale, la quale rientra anch'essa fra le condizioni proprie al nostro mondo.4

Si impone ora un'ulteriore osservazione, riguardo al nostro impiego della parola "essere", la quale a rigor di termini non è più applicabile in senso proprio quando si tratta di determinati stati di non-manifestazione, dei quali parleremo più avanti, che sono posti al di là del grado dell'Essere puro. Siamo tuttavia costretti, per la conformazione stessa del linguaggio umano, a mantenere anche in questo caso tale termine, in mancanza di un altro più adeguato, ma gli attribuiamo allora un significato puramente analogico e simbolico, altrimenti ci sarebbe del tutto impossibile parlare dell'argomento in questione; ecco dunque un esempio chiarissimo delle insufficienze linguistiche cui si alludeva sopra. Potremo così, come abbiamo già fatto altrove, continuare a parlare dell'essere totale come manifestato in alcuni dei suoi stati e allo stesso tempo non-manifestato in altri, senza che ciò implichi in alcun modo l'obbligo, da parte nostra, di limitarci, per questi ultimi, all'esame di quanto corrisponde al grado che è proprio dell'Essere.5

A tale proposito ricorderemo che il fermarsi all'Essere senza nulla porre al di là di esso, quasi fosse in qualche modo il Principio supremo, il più universale di tutti, è uno dei tratti caratteristici di certe concezioni occidentali dell'antichità e del Medioevo, le quali, pur contenendo senza dubbio una componente metafisica non più rintracciabile nelle concezioni moderne, restano assai incomplete sotto questo aspetto, anche perché si presentano come teorie elaborate per se stesse, anziché in vista di una realizzazione effettiva corrispondente. Questo certo non significa che allora in Occidente non vi fosse nient'altro; parliamo soltanto di ciò che è generalmente noto, e di cui taluni, pur compiendo lodevoli sforzi per reagire contro la negazione moderna, tendono a esagerare il valore e la portata, non rendendosi conto che si tratta sempre di punti di vista tutto sommato esterni, e che nelle civiltà in cui si è creata, come in questo caso, una sorta di frattura tra due ordini di insegnamento che si sovrappongono senza mai contrapporsi, l'"essoterismo" richiede l'"esoterismo" come suo complemento necessario. Quando l'"esoterismo" è misconosciuto, la civiltà, non più connessa direttamente ai princìpi superiori da alcun legame effettivo, non tarda a perdere ogni carattere tradizionale, poiché gli elementi di questo ordine che ancora vi sussistono sono paragonabili a un corpo abbandonato dallo spirito e, di conseguenza, sono ormai impotenti a costituire qualcosa di più di una sorta di formalismo vuoto; si tratta appunto di ciò che è accaduto al mondo occidentale moderno.6

Dopo aver fornito queste poche spiegazioni, pensiamo di poter affrontare il nostro argomento anche senza dilungarci ulteriormente in premesse da cui ci dispensano in gran parte le molte considerazioni già da noi svolte altrove. Non ci è infatti possibile tornare indefinitamente su ciò che è stato detto nelle nostre opere precedenti, sarebbe soltanto una perdita di tempo; e se di fatto alcune ripetizioni sono inevitabili, dobbiamo sforzarci di ridurle a quanto è strettamente indispensabile per la comprensione di ciò che ora ci proponiamo di esporre, salvo rimandare il lettore, ogni volta che sarà necessario, ai diversi passi di altri nostri lavori, dove potrà trovare indicazioni complementari o più ampi sviluppi dei temi che ci troveremo qui ad affrontare di nuovo. La principale difficoltà di questa esposizione è rappresentata dal fatto che tali questioni sono tutte legate più o meno strettamente fra loro, e se è importante mostrarne i nessi quanto più spesso possibile, non è meno importante evitare ogni parvenza di "sistematicità", cioè di una limitazione incompatibile con la natura stessa della dottrina metafisica, che deve al contrario aprire, a chi è capace di intenderla e di "assentirla", possibilità di concezione non soltanto indefinite, ma, possiamo dirlo senza abusare delle parole, realmente infinite come la stessa Verità totale.

Note

l. A tale proposito vogliamo far notare, per inciso, che la filosofia non ricorre mai ad alcun simbolismo, e ciò basterebbe da solo a dimostrare il carattere esclusivamente "profano" e del tutto esteriore di questo particolare punto di vista e della forma di pensiero cui esso corrisponde.

2. Si veda L'Homme et son devenir selon le Vêdânta, Bossard, Paris, 1925, cap. XXIII [trad. it. L'uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, Adelphi, Milano, 1992].

3. Si veda Le Symbolisme de la Croix, éditions Véga, Paris, 1931, capp. XXVI-XXVIII [trad. it. Il simbolismo della croce, Rusconi, Milano, 1973].

4. Ibid., cap. XV.

5. Ibid., cap. I.

6. Si vedano Orient et Occident, Payot, Paris, 1924 [trad. it. Oriente e Occidente, Edizioni Studi Tradizionali, Torino, 1965] e La Crise du monde moderne, Bossard, Paris, 1927 [trad. it. La crisi del mondo moderno, Arktos, Carmagnola, 1991].


Da: http://www.loggia-rene-guenon.it/Sito/Guenon/Bibliografia/Libri/Testi/StatiMolteplici/ Premessa.htm


 

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