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RELAZIONE O NORMA A PARTIRE DAL LAVORO DI RAIMON PANIKKAR:

LA PIENEZZA DELL’UOMO, UNA CRISTOFANIA

 

 

Natalino Dazzi

 

 

 

 

 

Recentemente la casa editrice Jaca Book ha pubblicato un libro, La pienezza dell’umano di un autore interessante, Raimon Panikkar.

Panikkar, nato a Barcellona nel 1918, da madre spagnola e cattolica e da padre indiano e hindu; dopo le lauree in chimica, filosofia e teologia, nel 1946 viene ordinato sacerdote e incardinato nella diocesi di Varanasi in India. Ha vissuto in una piccola dimora sulle rive del Gange dedicandosi alla preghiera, alla meditazione e allo scrivere.

Diventò un pensatore conosciuto in seguito all’accettazione di una cattedra di studi religiosi all’Università di Harvard. Vive ora ritirato a Tavertet in Catalogna.

Raimon Panikkar partecipa di una pluralità di tradizioni: indiana ed europea, hindu e cristiana, scientifica ed umanistica.

Nella nota di prefazione Jiulien Ries scrive che Panikkar si lascia interpellare dalla pluralità delle culture, delle credenze e delle teologie. Ma quest’apertura non significa una relativizzazione della propria fede.

La pienezza dell’umano, costituisce un’opera di sintesi del pensiero di Panikkar.

Lo spunto per una presa in considerazione nell’ambito di questo ciclo d’incontri viene da alcuni capitoli centrali di questo libro che presentano in modo sintetico un confronto fra tre antropologie che spesso emergono nel dibattito attuale.

In questa nota si cerca di fornire una descrizione delle antropologie introdotte da Panikkar, cercando di evidenziare gli spunti che permettono di caratterizzare le peculiarità del pensiero dell’autore.

Le antropologie prese in esame da Panikkar sono quella individualistica, personalistica e in ultimo una visione che considera l’uomo come immagine del divino.

 

Nella descrizione di questa antropologia si nota l’esperienza scientifica vissuta da Panikkar. Egli, infatti, afferma chiaramente che in questa visione, che considera l’uomo come entità individuale, si è abilitati solo a osservare delle tracce.

Possiamo considerare l’uomo, sembra suggerire Panikkar, allo stesso modo in cui si esaminano le tracce delle particelle in un esperimento di fisica atomica, particelle separate dotate di una propria posizione, direzione e velocità. Abbiamo solo delle tracce per scoprire gli individui, proprio perché in questa visione non si può varcare la soglia del mistero dell’individualità. Nota Panikkar che l’individualismo è uno dei miti più profondamente radicati nelle mentalità odierna, in alcuni ambienti culturali è addirittura diventato un tabù.

In questa impostazione solo tre sono le domande che si possono porre in merito alla tracce:

- Che cosa rilevano della persona in sé e per sé.

- Come si presentano le tracce sul terreno nel quale si trovano.

- Quale forma assumono se esaminate attraverso le nostre lenti personali.

 

Ma le tracce, oppure seguendo una tradizione latina le vestigia, sono a una grande distanza dall’originale, che resta pero inaccessibile difeso dal mito dell’individualità.

Le tracce permettono l’identificazione, in altre parole l’individuazione di un’entità diversa e separata dalle altre.

Panikkar descrive il processo di identificazione anche come posizionamento all’interno di un sistema di coordinate, questo al fine di evitare confusione con ogni altra entità.

Nella visione individualistica si arriva a «identificare Gesù di Nazareth come l’ebreo, figlio di Maria, nato molto probabilmente a Betlemme verso l’anno 4, il quale dopo alcuni anni di attività nel suo stesso paese, morì su una croce romana a Gerusalemme sotto Ponzio Pilato».

Il metodo dell’osservazione delle tracce assicura una grande certezza in merito all’individuo che si esamina. Ma questa grande certezza sull’identificazione lascia aperto il tema dell’identità.

 

Identificazione non è identità, dobbiamo ricorrere ad un altro tipo di approccio che va al di sopra e al di là del primo. Ci occorre una conoscenza impregnata di amore, altrimenti tocchiamo solo il che cosa e non il chi della persona.

 

Giunto a questo punto nell’illustrare i limiti cui conduce un’antropologia individualistica, Panikkar introduce il tema di una conoscenza impregnata di amore, da lui descritta dal punto di vista fenomenologico come esperienza non dualista.

Il tema di un’esperienza non dualistica costituisce uno dei temi di fondo non solo di questo capitoli ma di tutta l’opera di Panikkar.

La rilevanza in Panikkar di questo tema di una esperienza non dualistica (advaita in sanscrito) testimonia il suo approfondito studio del grande pensatore Hindu Sankara.

Panikkar descrive un’esperienza non dualistica nel modo seguente:

 

Amore non è uguaglianza ne alterità, non è né uno né due. L’amore richiede differenziazione senza separazione, è un andare verso l’altro che rimbalza in un genuino entrare in sé, mediante l’accettazione dell’altro in seno al proprio sé.

 

Né uguaglianza né alterità, né uno né due, differenziazione senza separazione, sono frasi che bene illustrano il modo di procedere a partire da un’impostazione di non dualità.

Dopo avere evidenziato il tema dell’esperienza non dualistica, allo scopo di dare rilevanza al tema dell’accettazione dell’altro in seno al proprio se Panikkar introduce la distinzione fra due parole latine alius (in latino l’altro, l’altro io) e aliud (l’altro, l’altro neutro) sottolineando con forza come alius non costituisca un’altra cosa ma un altro io.

Nella parte finale della sua descrizione dell’approccio individualistico descrive alcune conseguenze di indirizzo politico culturale che possono derivare da questa visione.

Se di ogni individuo possiamo solo osservare delle tracce, l’unica operazione consentita sull’insieme delle tracce è individuare i vari gruppi, e dare la preminenza al gruppo più numeroso: «Nulla è superiore a un individuo eccetto un numero superiore di individui Ciascuno è un piccolo Dio. Il Dio monoteista si frammenta in piccoli dei. Potrebbe essere questa l’origine della democrazia?».

 

L’autore nota che all’approccio personalistico si ricollegano un numero significativo di importanti filosofi del Novecento quali Berdjaev, Bergson, Blondel, Guardini, Heideger. Maritain e Ortega y Gasset. Panikkar, nella descrizione dell’antropologia individualistica, era partito da un’analogia con il metodo scientifico usando molto la metafora delle tracce.

 

Anche nel caso della descrizione dell’antropologia personalistica sfrutta un’immagine derivata dalla scienza e particolarmente usata nel linguaggio odierno, in altre parole la metafora della rete.

 

Si può descrivere la persona come un nodo in una rete di relazioni. In questa prospettiva l’individualità è soltanto il nodo astratto, reciso da tutti i fili che, di fatto, contribuiscono concorrono a formare il nodo.

 

Questa similitudine della rete non elimina le singole individualità rappresentate dai nodi.

I nodi, infatti, non sono solo interdipendenti ma interindipendenti.

La metafora della rete permette a Panikkar di evidenziare l’importanza delle relazioni rappresentate dai fili che collegano i nodi; questi collegamenti fanno si ciascun nodo è connesso a tutti gli elementi della rete.

 

Questa similitudine per quanto spaziale e materiale, mostra però come non possa esistere un nodo individuale, e come tutti i nodi si implichino l’un l’altro e si mantengono uniti.

 

A partire dalla similitudine della rete Panikkar affronta i limiti dell’approccio individualista.

Ponendosi su ciascun nodo della rete si individuano due insiemi separati: uno costituito dal nodo stesso e l’altro costituito da tutti gli altri nodi. Due insiemi senza nessuna relazione fra di loro, ma «la realtà non è formata da io e non io. La realtà non è dialettica; la ragione lo è. Anche il tu appartiene alla realtà non è né contraddittorio né estraneo all’io. Il tu non è né io, né non io. La relazione è advaitica. Il rapporto io/tu è una relazione costitutiva della stessa realtà».

Panikkar che nello svolgere il suo pensiero fa sempre brevissimi ma incisivi cenni a varie correnti o singoli pensatori dell’area occidentale collega lo sviluppo di questa antropologia personalista al periodo nel quale si definì il dogma sulla trinità; la parola persona contiene in se due importanti nozioni del periodo ellenistico. (Prosopon e hypostasis).

L’autore desidera evitare una certa vaghezza che sempre circonda il riferimento alla persona; a questo scopo seguendo un suo modo caratteristico di ragionare costituito da due negazioni consecutive afferma che «persona non è un individuo né una esistenza indifferenziata».

Cosi come nell’approccio individualistico, Panikkar cerca di evidenziare alcune conseguenze di ordine di ordine politico strettamente connesse all’approccio personalista.

 

Una persona non solo è comunicabile, ma è lei stessa comunicazione. Una persona isolata, addirittura individuale, è una contraddizione in termini. La persona non è né singolare né plurale. Perciò non si possono uccidere sei persone per salvarne sessanta. La quantificazione qui non si applica. Ogni persona è un fine a se stessa. La sua dignità è inviolabile. Le conseguenze politiche che ne derivano dovrebbero sconvolgere i sistemi attuali. I diritti umani sono i diritti dell’uomo e non dell’individuo, l’uomo è persona.

 

Nell’antropologia personalista nell’incontro con Gesù Cristo non ci ferma solo ai dati identificativi storici ma «coloro per i quali Gesù Cristo è diventato un tu possono in una certa misura essere partecipi di ciò che la scrittura cristiana chiama lo Spirito di Cristo e pertanto possiedono una certa conoscenza di Gesù».

Nella visione personalistica il limite è rappresentato dal fatto che nonostante sia possibile conoscere il tu, l’accesso alla coscienza dell’altro è limitato in quanto ciascuno partecipa in modo proprio di quella stessa coscienza.

 

Prima di iniziare la descrizione di questa terza antropologia l’autore riassume le due precedenti e fa notare che la prima (individualistica) è molto vicina all’esperimento scientifico e alla psicologia sperimentale mentre quella personalista è «significativamente simile all’osservazione della psicologia». (Profonda).

La terza antropologia è nominata esplicitamente da Panikkar la via dell’esperienza mistica (approccio pneumatico). Essa non si limita a descrivere le entità individuali in un ambito di rete di relazioni interindipendenti che generano partecipazione a idee e valori comuni.

L’esperienza mistica postula la condivisione dell’essere.

 

La scrittura e la tradizione cristiane insistono non solo perché si abbiano gli stessi sentimenti di Cristo ma perché siamo uno con lui e trasformati in lui.

 

Nell’approccio personalistico Panikkar aveva difeso il singolo individuo parlando di relazioni interindipendenti invece che interdipendenti, nella descrizione di questa antropologia cerca di evitare una definizione spiritualista ed afferma due che l’esperienza mistica non relega in secondo piano due capacità individuali quali sensi e ragione.

 

Nel tentativo di definire le caratteristiche dell’approccio pneumatico in rapporto alle due precedenti antropologie Panikkar fa notare che

 

...se il primo approccio è individualistico nei confronti della persona, il secondo lo è in rapporto alla totalità alla totalità della realtà. L’uomo non è un «individuo» (separato) né una «persona» isolata dal resto dell’universo, incluso il divino. Nemmeno l’umanità è un ente a sé. Tutta la realtà è costitutivamente interconnessa.

 

Per quanto riguarda le sorgenti di questa antropologia nell’ambito del pensiero occidentale l’autore le rintraccia sia nel filone giudaico sia in quello ellenico dei primi secoli cristiani.

 

Infatti, i primi secoli cristiani vedevano l’uomo in intima connessione con la materia per il suo corpo, in costitutiva relazione con tutti gli esseri viventi (specialmente gli altri uomini) per la sua anima e in particolare legame con il mondo divino per il suo spirito. Introduciamo questa antropologia tripartita che è stata cosi dimenticata all’interno della tradizione cristiana da fare prevalere la divisione platonica tra anima e corpo».

 

Panikkar è sempre attento a definire il valore di ciascuna antropologia che sta esaminando e con grande forza fa notare la differenza che esiste fra esperienza mistica e gnosticismo, quest’ultimo inteso nella doppia accezione di: dualismo spirito-materia, considerazione del corpo come prigione della spirito.

 

L’esperienza mistica non nasce nella visione di Panikkar da un rifiuto della realtà ma da una crescita di tutto l’essere.

 

È interessante riportare in una forma schematica la elaborazione di Panikkar della considerazione di Gesù Cristo nelle tre antropologie.

 

Antropologia Individualistica:

 

Se egli è semplicemente un individuo storico vissuto in Palestina duemila anni fa, dobbiamo seguire il metodo esegetico corrente, che sarà molto utile per tracciare e comprendere il contesto in cui visse quest’individuo e costituirà anche un correttivo necessario per impedirci di proiettare le nostre ipotesi su uno sfondo inesistente.

 

Antropologia Personalistica:

 

Se nella nostra consapevolezza ci scopriamo persone, cioè polarità io-tu, la realtà del tu ci rivelerà se stessa (il tu stesso) man mano sempre di più nella misura in cui la nostra intimità è illuminata da un amoroso intelletto.

 

Esperienza Mistica:

 

Se durante il processo volto a conoscere noi stessi, toccheremo il sé più interiore nel quale è stato trasformato il nostro ego, cioè se diventeremo o realizzeremo questo sé, scopriremo in esso proprio quella figura a cui mirava la nostra ricerca: Cristo, simbolo di quel Sé col quale, forse senza quel Gesù, non avremmo osato identificarci, l’Io. Possiamo scoprire, oppure no, che «Io sono la vita»: un’esperienza mistica.

 

 

I brani citati sono tratti da:

Raimon Panikkar, La pienezza dell’umano, Jaca Book, Milano 1999, pp. 84-105.

 

 

Da: http://www.dailylife.info/TESTI%20genova/GENOVA-000531-ND.htm

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