Orrore e terrore come esperienza quotidiana (Alexander Lowen)

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Orrore e terrore come esperienza quotidiana (Alexander Lowen)


 

Quattordicesima Conferenza Pubblica Annuale tenuta presso la Comunity Church di New York - Settembre 1972

 
Introduzione

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Il tema dell’orrore mi si pose parecchi anni fa in relazione ad un paziente che, Miki Kronold ed io, stavamo trattando. Era un giovane molto educato, un assistente universitario ad uno dei college; il suo principale disturbo era la depressione. Fisicamente aveva un corpo ben formato, una statura di poco inferiore alla media, con segni trascurabili di un qualche più importante disturbo della personalità, se non per il fatto che talvolta la sua testa sembrava non seguire il suo corpo. Non c’era niente di insolito riguardo la sua testa, aveva lineamenti abbastanza regolari, tuttavia avevo la sensazione che testa e corpo non fossero connessi.
Eravamo in grossa difficoltà con questo paziente per il fatto che non eravamo capaci di evocare alcuna reazione emotiva. I suoni che emetteva mi ricordavano vivamente quelli di vecchi ebrei presso il muro del pianto, ma quando glielo facevo notare, ciò non causava nessun sentimento od associazione. Allo scopo di smuovere quella specie di maschera dal suo viso, gli feci pressione sulle guance ai lati del naso, mentre su mia indicazione spalancava gli occhi. Ciò rese evidente una marcata espressione di paura, ma al contempo egli non sentiva paura. In risposta a tutte le mie manovre ribatteva costantemente: "Non sento niente".
Egli descrisse la sua infanzia come segue: era il minore di tre figli, le maggiori erano due femmine. Per quanto ricordava, sua madre e suo padre non stavano molto bene insieme. La madre strillava contro il padre, divenendo spesso completamente isterica. Suo padre era solito arrabbiarsi violentemente, spaccando ogni tanto le cose, ed occasionalmente picchiando una delle ragazze. Il mio paziente assisteva a questi fatti ma si sentiva privo di potere per intervenire. Non rammentava che il padre l’avesse picchiato. Quando argomentava riguardo il suo passato, il mio paziente parlava in maniera logica e chiara, ma senza alcuna reazione emotiva verso gli eventi da lui descritti.
Potremmo interpretare la sua mancanza di sentimenti, ipotizzando che egli avesse escluso dalla propria percezione quello che avveniva nel corpo. Egli fece questo dissociando quanto accadeva nella testa, vale a dire la funzione di percezione, dalla sua esperienza corporea. Questo era in relazione all’apparente mancanza di connessione tra il corpo e la testa. Non importava quanto il corpo venisse sovraccaricato attraverso la respirazione ed il movimento, ciò non aveva nessun effetto sulla testa. Discutendo questo caso, Miki ed io arrivammo alla conclusione che una tale situazione poteva essere solamente prodotta da un’esperienza di orrore.
 

 
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Orrore è un termine nuovo in bioenergetica. Esso non compare nella gamma di emozioni che ho presentato nel mio libro: Il Piacere. D’altra parte, il terrore, che spesso è usato come sinonimo di orrore, ricorre spesso nei miei scritti, come la punta estrema della paura. Leggendo Il Tradimento del Corpo, si vedrà che la personalità schizoide si sviluppa come reazione al terrore, non all’orrore. Qual’è la differenza tra i due ?
Il dizionario può darci una mano. Dice: Terrore implica un’intensa paura la quale è piuttosto prolungata e può riferirsi a pericoli immaginati o futuri. L’orrore implica un senso di choc di fronte ad un pericolo che è pure raccapricciante, ed è possibile che il pericolo minacci altri piuttosto che se stessi. Ci sono due importanti differenze.
Il terrore è in relazione alla paura, la quale è una reazione emotiva; nell’orrore tale connessione non è presente. Secondo, nel terrore il pericolo è diretto verso se stessi; nell’orrore il pericolo è diretto verso gli altri.
Tali differenze possono essere illustrate con pochi e semplici esempi. Se assistessimo ad un incidente automobilistico nel quale una o più persone restassero gravemente ferite, descriveremmo l’esperienza come orribile.
Tuttavia se una persona viene coinvolta in un simile incidente, la sensazione immediatamente precedente allo scontro sarebbe di terrore. Si rimane inorriditi a causa di un brutale attacco diretto ad altri, ma si è terrorizzati se l’attacco è indirizzato a noi stessi. Quindi i combattenti in una guerra parleranno del loro terrore, mentre i non combattenti riferiranno del loro orrore.
Se il terrore è un’intensa paura, l’orrore non ha tale componente.
La testimonianza ad un qualcosa di orribile non è necessariamente spaventosa. Si potrebbe anche essere impauriti temendo un qualche attacco personale, nel qual caso si sperimenterebbe un certo grado di terrore, ma questo è un elemento aggiuntivo. L’essenza dell’orrore è "il senso di choc", sebbene non ritenga il termine molto esatto. Il terrore sfocia in un reale stato di choc. L’organismo, con il terrore, è paralizzato, come se fosse congelato. Il corpo si paralizza per sottrarre l’organismo al dolore dell’attacco. Questo è quanto accade quando un predatore assale ed uccide la sua preda. La mente, tuttavia, rimane vigile fino a quando non si perde coscienza. In uno stato di orrore il corpo è relativamente insensibile, poiché l’attacco non è diretto contro se stessi. L’effetto dell’orrore è principalmente sulla mente, la quale non è scioccata ma intontita.
L’orrore stordisce la mente. Esso paralizza le funzioni mentali, così come il terrore paralizza quelle fisiche. Una persona può distanziarsi da una scena di orrore apparentemente inalterata a livello fisico, ma incapace di pensare a nient’altro se non all’orrore stesso all’infinito.

 
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Questo fa sorgere un’altra domanda. Perché l’orrore stordisce la mente? Che cosa relativamente all’orrore, provoca tale effetto? Penso che l’elemento essenziale sia che l’orrore è incredibile. Non tutti gli eventi incredibili costituiscono un’esperienza di orrore, ma ciascuna esperienza di orrore è incredibile. La mente non è in grado di comprendere la logica od il significato dell’evento. Non trova un senso. Non è possibile che accada.
Presenterò un altro esempio di orrore per chiarire questo aspetto. A New York, una madre che passeggiava con il suo bambino di sei anni, fu assalita e brutalmente picchiata. Il bambino assistette con orrore. Egli non venne ferito. Nella sua mente, secondo quanto suppongo, egli riusciva solo a pensare: "No. E’ impossibile. Non è possibile che accada ciò. Perché? Non lo capisco..."
L’orrore non è la sola reazione verso un evento incomprensibile. Un’altra reazione è il timore. Un evento o una situazione che la mente non è in grado di accogliere (comprendere), sarà visto con orrore o timore, a seconda che quell’evento, per l’osservatore, abbia una connotazione negativa o positiva. L’osservare piani di volo aereo miranti a bombardare una città nemica, può incutere un riverente timore.
Per gli abitanti di quella città, tuttavia, la distruzione sarebbe orribile.
 

 

L’effetto dell’orrore sulla personalità

 
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Torniamo ora al paziente che ho descritto in precedenza. Vivere costantemente con una madre isterica ed un padre violento era un incubo. Questo era particolarmente vero, in quanto il mio paziente sentiva che i suoi genitori si prendevano cura uno dell’altra. Come per ogni incubo, tutto quello che si può fare è di dimenticarlo. In realtà un individuo non dimentica un incubo, lo fa svanire come se appartenesse ad un altro mondo. Si dissocia da esso. Questo è quanto fece il mio paziente. Egli si dissociò dal suo passato e da tutti i sentimenti e le emozioni che erano parte di esso. Egli si estraniò da qualsiasi desiderio di stare accanto all’uno od all’altro genitore, dai sentimenti di tristezza, rabbia, paura. Tale esclusione era così reale che era piuttosto impossibile suscitare quei sentimenti. Potrei aggiungere che essi finalmente emersero allorquando suo padre morì per un cancro. Affrontata questa tragedia la famiglia rinsavì.
Quando si affronta l’orrore c’è una tendenza a rifiutare di credere alle proprie sensazioni. Se questa tendenza si struttura nella personalità, si genera una scissione tra quello che si pensa e quello che si sente come esperienza corporea. La persona non ha fiducia nei propri sensi. Agisce solamente sulla base della logica mentale. Si comporta come se avesse dei sentimenti, che egli porta ad un profondo livello corporeo, ma non esiste un’immediata connessione tra il comportamento ed il sentimento.
I lamenti che il mio paziente emetteva, erano come quelli degli ebrei al muro del pianto, un’espressione degli orrori che aveva provato. Ma mentre gli ebrei sentivano gli orrori ai quali la loro gente era sopravvissuta, il mio paziente aveva escluso tale sentire.
Le persone che sono passate attraverso tali esperienze hanno una qualità irreale nella loro personalità. Si percepisce in loro questa qualità, nel momento in cui parlano relativamente ad un passato che fa rabbrividire l’ascoltatore, ma che è raccontato con una voce calma e distaccata. La sola importante alterazione corporea è spesso una discrepanza tra l’espressione della testa e quella del resto del corpo. La testa ed il corpo non sono in armonia. In queste persone c’è un’altra importante caratteristica che non è facile individuare. I loro occhi non sono mai in contatto con voi. Non hanno lo sguardo vuoto od assente di un individuo schizoide o schizofrenico. Essi escludono il sentire, piuttosto che ritirarsi in se stessi.
Discuterò tale aspetto del problema di nuovo.

 
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A questo punto è importante domandarsi quanto sia comune tale problema.
Che genere di orrori abbiano sperimentato i pazienti da bambini. Mi si consenta di affermare che esso è molto più comune di quanto potremmo supporre. Ecco alcuni esempi.
Un altro giovane, che non riusciva a mettersi in contatto con i propri sentimenti, mi raccontò che sua madre era una cristiana seguace dello Scientismo e che da tempo era diventata una leader in questo movimento. Durante l’infanzia del paziente, la madre era una devota credente. In tal modo ella rispondeva a tutti i sentimenti, angosce, malattie del bambino, con la convinzione che bastasse credere in Cristo ed ogni cosa sarebbe andata bene. In lei però c’era durezza ed insensibilità. Ella non solo allontanò il ragazzo dal padre, ma non gli diede alcun calore. Per il bambino l’orrore della situazione poggiava su questa mancanza di sensibilità e calore, sulla quasi completa assenza di sentimento umano nella madre. Agli occhi del bambino era inumana e perciò mostruosa. Per questo paziente vivere sotto il suo controllo, il suo dominio e la sua volontà, dovette proprio essere stato un incubo.
Ho ascoltato una storia simile da un altro uomo, egli stesso psicologo. Suo padre se ne era andato quando lui aveva tre anni. Sua madre divenne una fanatica religiosa ed ignorò completamente il bambino. Aveva dei fratelli più grandi, ma questo bambino si sentiva come un estraneo. Egli aveva paura di sua madre e passò parecchi anni in solitaria disperazione. Qui, di nuovo, l’orrore consisteva nell’assenza di calore e sentimento umano verso un bambino che ne aveva bisogno e si aspettava questo genere di risposta. Quando vidi quest’uomo, aveva un’espressione beata sul suo viso ma nessun sentimento. In entrambi questi casi era presente la marcata discrepanza tra la testa ed il corpo.
Recentemente ho ascoltato una ragazza descrivere il suo passato come uno di orrore. Suo padre era un ambizioso dirigente di una delle più grandi società per azioni, completamente immerso nel lavoro. In casa era freddo e distaccato. Quando la ragazza era piccola sua madre aveva avuto un esaurimento nervoso. Era stata ricoverata in ospedale. Quando tornò a casa, venne trattata come un’invalida e la bambina dovette prendersi cura di lei. La madre ebbe una serie di episodi psicotici, dei quali la paziente fu testimone. Ancora una volta l’orrore risiede nell’assenza di contatto umano tra i membri della famiglia. Fui sorpreso dal fatto che la ragazza riconoscesse la qualità della sua situazione ma, tuttavia, avesse una personalità schizoide e non una personalità come se. Non aveva escluso l’orrore per sopravvivere.
In un altro caso la madre di questa paziente era un alcolizzata il cui padre trattava con evidente disprezzo ed ostilità. Allo stesso tempo egli non faceva alcun tentativo per farla smettere di bere. In questa situazione era pure coinvolto, in qualche modo, il sesso. Ho il sospetto che il bere della madre fosse per lui l’occasione per concedersi relazioni sessuali extraconiugali. Questo divenne il modello di comportamento della mia paziente che si identificò con la madre. Tuttavia la paziente non era consapevole dell’orrore in una casa dove il rispetto di sé e delle altre persone era in maniera evidente assente.
Ho ascoltato molte altre storie d’orrore dai miei pazienti. Una giovane donna raccontò di aver visto sua nonna puntarsi una pistola alla testa e minacciare di farsi saltare le cervella, se suo marito non avesse smesso di bere. Qualsiasi grave minaccia di suicidio da parte di un genitore rappresenta sempre un’esperienza di orrore per il bambino. Forse ancora più orribile è l’esperienza di vivere con una persona morente. La morte è un orrore per tutti i bambini piccoli.
Simili casi circoscritti di orrore sono meno dannosi per la personalità di quanto non lo sia una situazione di orrore continuo, caratterizzata dall’assenza di calore e sentimento umano, in una relazione in cui tali buoni sentimenti sarebbero naturali e normali. La qualità inumana di un simile rapporto interpersonale è al di là della capacità di comprensione di un bambino. Tale qualità crea un’atmosfera di irrealtà. In una simile atmosfera il bambino agisce come se fosse in un sogno, dal quale spera un giorno di svegliarsi. Quando crescerà ed uscirà dalla situazione, la sua mente considererà l’intera esperienza come un sogno - come se non fosse realmente accaduta.
 

 
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È difficile emozionarsi per qualcosa che "non è realmente accaduto", questo spiega il motivo per cui è altrettanto arduo far emergere, durante la terapia, qualsiasi risposta emotiva in questi pazienti. Tuttavia gli effetti di tale genere d’esperienza sono ancor più insidiosi.
Quando la realtà si tinge di un’atmosfera d’irrealtà, la mente si protegge dalla confusione diffidando delle sensazioni e dei sentimenti. Nega la loro validità ed opera solo sulla base della logica e della razionalità. In verità, la logica e la razionalità presuppongono l’esistenza del sentimento, ma il comportamento non proviene direttamente dal sentimento. La persona agisce come se avesse dei sentimenti, ma quegli stessi sentimenti non sono evidenti nelle azioni. In queste persone è presente una qualità inumana o irreale ed esse, inevitabilmente, divengono dei "mostri" agli occhi di coloro i quali hanno bisogno e diritto di aspettarsi da loro una risposta emozionale. La disumanità, che da bambini ha provocato in loro orrore, genera in questi ancora disumanità la quale si trasforma in orrore per la generazione successiva.
 

 

Il trattamento di questo problema

 
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Generalmente, il disturbo presente in persone che sono passate attraverso il genere di esperienze descritte precedentemente, è la depressione. Esse cadono in depressione nel momento in cui crolla l’illusione di poter rimanere al di sopra dell’orrore delle proprie vite. Sfortunatamente esse non sono consapevoli dell’illusione o dell’orrore delle loro vite. Ciò rende il trattamento piuttosto difficile. Abbiamo inoltre osservato come qualsiasi tentativo di raggiungere i loro sentimenti sia fortemente respinto.
D’altro canto essi sono consapevoli che c’è qualcosa che non va e che sono depressi. Hanno bisogno del nostro aiuto e ce lo domandano. Ma come possiamo riuscire ad entrare in contatto con loro? Se l’approccio terapeutico è psicologico, essi impiegano la logica e la razionalità per bloccare una comprensione del loro problema. Se l’approccio è di tipo fisico, vale a dire lavoro corporeo, compiono i movimenti come se provassero sentimenti; e quindi negano qualsiasi sentimento o significato all’esperienza corporea. Comunque, poiché non sono disponibili altri approcci, il terapeuta deve impiegare entrambi questi approcci nel miglior modo possibile, tenendo in mente le difese in cui si imbatterà.
In realtà nessuna terapia dipende dal tipo di approccio al problema. In ogni terapia l’agente importante è il terapeuta, la capacità di comprensione che egli possiede del problema, la sua sensibilità ed il suo calore come essere umano. Tali fattori sono decisivi nel trattamento di questo problema. Il senso d’irrealtà del paziente è posto dinanzi alla realtà del sentimento umano del terapeuta e tale confronto può mettere in movimento le forze vitali presenti nel paziente.
Secondo il mio parere, il terapeuta deve rispondere alla difficile situazione del paziente con due tipi di emozioni. La prima è la solidarietà verso il dilemma del paziente, associata ad un sincero desiderio di portare aiuto. La seconda è la rabbia verso il paziente per la sua negazione del sentimento e per la sua mancanza di calore umano. La rabbia non può essere simulata, essa deve nascere in maniera spontanea. Non dovrebbe essere usata come stratagemma terapeutico; essa deve rappresentare una genuina risposta alla mostruosità del comportamento insensibile in una situazione che è potenzialmente adatta all’espressione delle emozioni. In questo caso la rabbia è la sincera espressione del terapeuta come reale essere umano, cioè un individuo che ha un sentimento vitale.
 

 
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Lo specifico blocco fisico in questo tipo di personalità risiede negli occhi. Un’espressione popolare afferma: "Vedere significa credere". È vero pure l’opposto. Se un individuo non vede, non ha bisogno di credere. Si può evitare di vedere per non lasciare che gli occhi colgano un’espressione ed un significato. Gli occhi sono utilizzati in maniera meccanica come lenti di una telecamera. Seguono l’immagine per registrarla, ma la spogliano di qualsiasi significato emozionale. In origine ciò veniva fatto durante l’infanzia per proteggersi dalla vista dell’orrore della propria situazione. Una volta insediatosi, comunque, il blocco diviene generalizzato. Quando una persona non riesce a vedere l’orrore, di conseguenza non è in grado di vedere nemmeno la bellezza, la tristezza, la rabbia, la paura o l’amore. E, certamente, egli non può permettere a questi sentimenti di rivelarsi attraverso i suoi occhi.
Quindi è indispensabile per il terapeuta stabilire un contatto oculare con il paziente. Questo non è questo il contesto per descrivere le varie procedure e tecniche adatte a raggiungere un tale obbiettivo, ma è importante sapere che schiudendo la vista del paziente verso l’esterno, gli si rivela la sua visione interiore. Per tale personalità questo è, forse, il modo più adeguato per prendere coscienza. Posso aggiungere che per schiudere la vista del paziente verso l’esterno, devo fare in modo che egli guardi verso i miei occhi e provi ad accogliere la loro espressione.
Il blocco negli occhi è in relazione con la dissociazione della testa dal tronco.
Le tensioni alla base del cranio e nella parte posteriore della testa, servono entrambe per dissociare la testa dal resto del corpo e per bloccare il flusso di energia verso gli occhi. È stato fatto un lavoro sperimentale considerevole su queste tensioni allo scopo di ristabilire il flusso energetico dal corpo entro gli occhi ed i centri percettivi della parte frontale del cervello. Allo stesso tempo è stato compiuto un consistente lavoro teorico riguardo tutti gli aspetti della terapia sia a livello analitico che fisico.

L’orrore culturale

 
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L’orrore che si riscontra nelle famiglie è un riflesso di un più esteso, analogo orrore presente nella società. Per comprendere questa affermazione bisogna tenere presente che l’orrore è direttamente proporzionale alla mancanza di sentimento umano nelle relazioni interpersonali. Questo aspetto dell’orrore è più importante della violenza dilagante nelle nostre città. È più importante perché riguarda chiunque e dà origine alla violenza. Quest’ultima almeno è reale per colui che compie la violenza. Può darsi che essa rappresenti la sua unica modalità per spezzare l’incantesimo dell’irrealtà che attanaglia una metropoli come New York.
Sono nato e cresciuto a New York, di conseguenza la città mi è familiare. Tuttavia a quei tempi essa non aveva il carattere impersonale che possiede oggi. Vivevo in un quartiere dove ci si conosceva tutti personalmente. Grazie alla semplicità dei rapporti eravamo intimi amici del minuto negoziante che ci serviva. Un controllore incassava i nichelini ad ogni fermata. Chiunque poteva dirgli "Buon giorno".
Un gelataio consegnava gelati ogni giorno. Non avevamo molte possibilità, ma avevamo molti contatti umani. Ed avevamo tempo. Ricordo una tempesta di neve che bloccò per quattro giorni tutti gli affari, in città. Nessuno se ne lagnò. Ci godevamo la neve. Oggi giorno, se questo accadesse per un solo giorno, sarebbe una calamità. La macchina degli affari deve essere tenuta in movimento continuo e il sentimento umano non conta.
Camminando oggi nella stessa città, non la riconosco più. L’alluminio e i grattacieli di vetro possiedono, ai miei occhi, una qualità irreale. I rifiuti e la sporcizia danno la sensazione che la città si stia deteriorando, ed in effetti è proprio così. Il ritmo frenetico, l’incessante attività, il traffico posseggono una qualità d’incubo. La gente si sente isolata. Vivono in dormitori, parlando raramente tra loro. Nessuno si fida dell’altro. Ciascun individuo vive in mondo proprio, come fa la gente ricoverata in un manicomio.
Ma non è solamente l’aspetto impersonale ad essere orribile; è la perdita di valori umani. L’unico valore che conta, a New York, è il denaro. Quanto denaro realizzi e quanto ne spendi? Non è la povertà ad essere disumana, sono la sozzura e l’indifferenza. È la distruzione della dignità personale. Sono la volgarità, la pornografia, l’oscenità. Ma ciò non interessa a nessuno, perché occuparsene è futile.
Esiste qualche incantesimo per cui l’orrore che è fuori riesce a penetrare anche nelle case? Non possediamo alcuna modalità per tenerlo fuori. Radio e televisione introducono le loro brutture all’interno delle nostre stanze private. E non vediamo l’orrore di questo, perché se lo vedessimo, andremmo immediatamente fuori di senno. Ma siamo storditi e lo dimostrano i volti inespressivi, la mancanza di canti e di risate, il movimento da robot, come se non avessimo sentimenti.
Non c’è molto di meglio fuori dalla città, come ben sanno coloro che vivono alla periferia. Il traffico non si ferma mai, i negozi che rimangono aperti 24 ore su 24,ed interminabili aggeggi che promettono di migliorare la vita, ma che invece ci costringono a vivere come dettagli senza valore. Non penso che vi sia alcun automobilista che negherebbe il fatto che guidare in città o in autostrada sia un incubo.
Eppure noi dobbiamo agire come se questo fosse reale, come se tutto ciò rappresentasse il significato della vita. Oh, sì, è reale, così come è reale qualsiasi orrore, ma è una realtà che è incongruente con la natura umana. Se accettiamo tale realtà, dobbiamo negare la realtà del corpo ed i suoi sentimenti. Questo è quanto avevano fatto i miei pazienti ed erano turbati. Se neghiamo la realtà di questo tipo di vita, il nostro equilibrio mentale diviene discutibile. Siamo in trappola, ed anche questo, per lo spirito umano, rappresenta un genere d’orrore.
 

 
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Come se non bastasse, c’è l’orrore delle droghe. Per qualsiasi ragione la gente fa uso di droghe, ed alcuni la impiegano per sfuggire all’orrore delle loro vite, ma la droga crea un orrore peggiore di quello da cui stanno tentando di sottrarsi. Il drogato diviene un essere inumano. Egli perde quei sentimenti che noi identifichiamo come umani. Egli sembra irreale. Sono sicuro che egli non percepisca l’orrore della sua condizione, poiché la droga lo rende cieco, tuttavia aumenta l’orrore intorno a noi.
In realtà l’orrore inizia al momento in cui nasciamo in un moderno ospedale. Se avete visto una moderna sala parto, potete realizzare quanto in sommo grado rassomigli alla camera dell’orrore di uno scienziato pazzo, così come abbiamo visto al cinema. Nella sala parto non esiste una finestra, per paura che, se fosse lasciata aperta, il nuovo nato potrebbe essere contaminato da un soffio d’aria fresca.
Il tavolo da parto, il tipo d’illuminazione e gli strumenti potrebbero essere usati in una stanza delle torture. Come medico, ho trascorso la mia parte di tempo in una sala da parto e perciò so di cosa sto parlando.
L’effetto dell’orrore è di rendere inumana una persona nel momento in cui vi è stata esposta per molto tempo. E una volta che ha perso la sua umanità, non riesce più a vedere l’orrore. Impara a vivere in esso come se fosse reale e significativo. Non è in grado di fare ciò con sentimento, ma soltanto con il suo intelletto. E di conseguenza impara a vivere nella sua testa. Non si ritira in sé come uno schizofrenico che vive in un mondo di fantasia. Diviene un computer che si occupa dei numeri come se i numeri fossero la vera essenza, mentre tratta il sangue, la carne ed i sentimenti, come se fossero oggetti privi di significato da manipolare nella partita del monopoli a cui tutti noi giochiamo.
La mente è affascinata dall’orrore perché esso rappresenta l’incomprensibile. Come tale si beffa della logica e dell’ordine dei nostri pensieri. Sfida la superbia della mente umana che deve spiegare e ricondurre tutte le forze a proporzioni umane. Poiché eliminiamo i misteri, non rimane nulla di cui avere timore. Facciamo lo stesso con l’orrore. Applichiamo una legge di causa ed effetto che privi l’orrore della sua forza d’impatto sui nostri sensi, e così alla fine non riusciamo più a vedere alcun orrore.
Mi sono spesso domandato per quale motivo i bambini siano affascinati dai film dell’orrore. Suppongo lo siano pure gli adulti. Ho pensato che ciò rappresenti il loro bisogno di sconfiggere il senso dell’orrore quanto basta per essere in grado di agire in un mondo che ne contiene molto.
Tuttavia l’introduzione dell’orrore attraverso i film non ci aiuta a fronteggiare l’orrore. Al contrario, ci impedisce di vederlo, facendoci supporre che esso sia una parte naturale della vita. Impariamo ad accettare l’orrore, non a respingerlo. In questo modo ne diveniamo vittime.

 
 
Riferimenti

 
Lowen A. Il Piacere, Roma, Astrolabio, 1984.
Lowen A. Il tradimento del corpo, Roma, Mediterranee, 1982.
Traduzione di Andrea Monteduro, a cura di Luciano Marchino e Marta Pozzi.
 
 
 

 

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