Gli oltre settant’anni dalla nascita del 
compositore e studioso canadese R. Murray Schafer (n.1933) sono l’occasione per 
un bilancio critico della sua opera, ma anche, forse, per una presentazione del 
personaggio a un pubblico più largo di quello addetto alle discipline musicali e 
musicologiche. Murray Schafer nasce a Sarnia, Ontario, nel 1923. Oltre a 
frequentare il Conservatorio di musica di Toronto, studia in Europa, in 
particolare in Austria e in Inghilterra. Fin dall’inizio della sua carriera 
pratica una parallela attività di musicista e di studioso. Anche se è 
riconosciuto oggi come il maggiore compositore contemporaneo canadese, in questa 
sede ci soffermeremo solo sul suo lavoro di studioso, in quanto fondatore di un 
particolare approccio multidisciplinare ai problemi del suono, del rumore e 
dell’ambiente. Infatti, a parte alcune pregevoli monografie e articoli di 
carattere musicologico dedicati alla musica canadese e ad alcune figure 
importanti della cultura europea nei loro rapporti con la musica (E.T.A. 
Hoffmann e Ezra Pound), l’originalità della sua ricerca si concentra nella 
creazione di una vera e propria disciplina “interdisciplinare” da lui chiamata 
ecologia acustica. Siccome tale termine ha conosciuto nel corso del tempo una 
ampia diffusione, sarà utile ricostruire il contesto d’origine nel quale è nato.
A partire dai primi anni Settanta Murray Schafer crea, insieme con altri quattro 
compositori e studiosi canadesi (Howard Broomfield, Bruce Davis, Peter Huse e 
Barry Truax) un progetto di ricerca per lo studio comparato dei paesaggi sonori 
del mondo, denominato “World Soundscape Project” (Progetto Mondiale per il 
Paesaggio sonoro), che suddiviso in numerose branche intende studiare l’ambiente 
acustico secondo nuove modalità. Diretta emanazione della ricerca saranno una 
serie di volumi -andati sotto il titolo di Music of the Environment- e 
soprattutto il voluminoso testo, che porta la firma, e quindi la responsabilità, 
del solo Schafer, dal titolo The Tuning of the World (1977), tradotto in 
italiano con il titolo di Il paesaggio sonoro (1985). A questo studio faremo 
d’ora in poi riferimento proponendo due temi di riflessione desunti dall’opera.
1. Bioregionalismo sonoro
A differenza dei più comuni e diffusi studi sull’inquinamento acustico, che si 
limitano ad una rilevazione quantitativa dei possibili danni all’udito e di 
conseguenza alla percezione globale degli individui, Murray Schafer fin dalle 
prime pagine del volume si inserisce in quella corrente di critici radicali 
della civiltà industriale, in particolare in quel filone di pensiero che, 
partendo dalle ottocentesche riflessioni di Henry David Thoreau, giungono fino 
alle attuali elaborazioni della cosiddetta “Deep Ecology” (Ecologia Profonda). 
Quest’ultima, che ha nel filosofo norvegese Arne Naess il suo fondatore, a 
differenza dell’Ecologia Superficiale, prevalentemente ispirata a un’etica del 
valore strumentale, sostiene invece la tesi del valore intrinseco degli oggetti 
naturali. Estendendo tale visione all’ambiente acustico questo comporta una 
valorizzazione degli ambienti acustici naturali per le loro intrinseche qualità, 
non solo di carattere naturale e sociale, ma anche simboliche e metafisiche. 
Schafer, anzitutto, conia un nuovo termine per indicare l’ambiente dei suoni: “soundscape”, 
tradotto in italiano con il termine “paesaggio sonoro”; quindi ripercorre la 
storia della civiltà umana sotto l’aspetto acustico. Attraverso ampi excursus 
nella letteratura e nella mitologia di tutti i paesi e di tutte le epoche, 
Schafer mostra come una grande cesura si sia prodotta con la moderna rivoluzione 
industriale, quando i suoni della tecnologia, dilagando per città e per 
campagne, hanno prodotto un paesaggio sonoro a low-fidelity (bassa fedeltà), 
ossia un ambiente in cui i segnali sono così numerosi da sovrapporsi, con il 
risultato di mancanza di chiarezza e presenza di effetti di mascheramento. La 
rivoluzione elettrica, da par suo, accentua molti dei temi già presenti nella 
rivoluzione industriale aggiungendovi inoltre alcuni nuovi effetti suoi propri. 
Vengono introdotte due nuove tecniche: la conservazione e l’accumulazione del 
suono e la dissociazione dei suoni dal loro contesto originale. A quest’ultimo 
fenomeno Schafer dà il nome di “schizofonia”, per indicare la frattura esistente 
tra un suono originale e la sua riproduzione elettroacustica. Mentre i suoni 
originali sono legati al meccanismo che li ha prodotti, i suoni riprodotti 
elettroacusticamente sono invece delle copie e possono essere riprodotti e 
ri-enunciati in un altro momento o in un altro luogo. Schafer si serve di questo 
vocabolo, mediato dalla terminologia “clinica”, per sottolineare l’effetto 
aberrante di questo sviluppo, proprio del nostro secolo. In un certo senso 
Schafer anticipa una serrata critica alla globalizzazione sub specie sonoris 
contrapponendo ad essa una pratica interdisciplinare chiamata “acustic design” 
(design acustico). Tale pratica, descritta in particolare nell’ultima parte del 
volume, richiede il talento di scienziati, specialisti in scienze sociali e 
artisti (musicisti, soprattutto). Il design acustico cerca di scoprire quei 
principi grazie ai quali può essere migliorata la qualità estetica di un 
paesaggio sonoro e può anche occuparsi della composizione di ambienti-modello, 
mostrandosi sotto questo aspetto vicino alla composizione musicale moderna. Una 
parte di rilievo in tale pratica è data dalla salvaguardia delle “impronte 
sonore (soundmarks). Il termine deriva da landmark (punto di riferimento, pietra 
miliare) e si applica a quei suoni comunitari che sono unici oppure a quei suoni 
che possiedono peculiarità tali da far sì che gli abitanti di una comunità 
abbiano nei loro confronti un atteggiamento e una capacità di riconoscimento 
particolari. Di qui all’idea della “comunità acustica” il passo è breve, 
fondandosi quest’ultima proprio sulle caratteristiche acustiche di un 
territorio. È evidente che qui l’ecologia acustica di Murray Schafer incontra 
l’elaborazione teorica e la pratica sociale del Bioregionalismo. Quest’ultimo 
termine, coniato negli anni Settanta da Peter Berg e Raymond Dasmann, uno 
scrittore e un ecologista americani, indica la volontà di ri-diventare nativi 
della propria bioregione, ossia del luogo geografico riconoscibile per le sue 
caratteristiche di suolo, di specie vegetali e animali, di clima, oltre che per 
la cultura umana sviluppatasi in armonia con tutto questo. Obiettivi del 
movimento sono: il ripristino e il mantenimento dei sistemi naturali locali, 
stili di vita sostenibili per soddisfare bisogni primari, il lavoro 
ri-abilitativo. Nato dall’attività di un piccolo gruppo di ecologisti 
statunitensi raccolti intorno alla fondazione “Planet Drum” di San Francisco e 
alla rivista “Raise the Stakes”, il Bioregionalismo si è ormai esteso a numerose 
aree del mondo, dalla Germania al Giappone, dalla Gran Bretagna al Nord-Europa. 
In Italia esiste dal 1996 un’organizzazione nazionale, la Rete Bioregionale 
Italiana, che ha anche una sua Newsletter, “Lato Selvatico” (coordinata da 
Giuseppe Moretti, morettig@iol.it). Anche 
il Bioregionalismo sonoro propugnato da Murray Schafer ha portato alla nascita 
di un’organizzazione internazionale, il “World Forum for Acustic Ecology” (WFAE), 
fondata a Banff nel 1993; successivi incontri si sono svolti a Parigi, 
Stoccolma, Amsterdam, Peterborough, Devon e Melbourne. Del WFAE fanno parte 
varie organizzazioni regionali fra cui il “Forum für Klanglandschaft” (FKL), per 
Svizzera, Germania, Austria, Italia), il cui sito, disponibile anche in italiano 
è <www.rol3.com/vereine/klanglandschaft>
2. Ursound
Se già la critica radicale alla civiltà occidentale sub specie sonoris spesso 
non è stata accettata fino in fondo dagli studiosi di ecologia acustica, c’è un 
altro aspetto che addirittura non è stato quasi mai preso in considerazione: la 
valenza simbolica e metafisica del suono. Secondo Schafer, infatti, i suoni 
dell’ambiente fin dai primordi della storia dell’uomo non costituiscono soltanto 
un’identità culturale e sociale, ma posseggono delle valenze di natura cosmica. 
Sorvolando su alcuni aspetti del pensiero di Schafer che abbiamo sottoposto a 
revisione in un nostro studio di prossima uscita (vedi riferimenti bibliografici 
alla fine dell’articolo), ricordiamo quanto il concetto di paesaggio sonoro sia 
debitore di una rilettura dei più antichi miti che ci descrivono l’origine del 
mondo. Dall’Occidente all’Oriente, dal Nord al Sud, buona parte delle culture 
umane di cui abbiamo conoscenza hanno posto un suono originario (Ursound) 
all’origine di tutte le cose. Se già il pensiero simbolico costituisce una 
dimensione più originaria e antropologicamente unificante rispetto al pensiero 
concettuale, il simbolo sonoro costituisce a sua volta l’elemento più profondo 
di tale pensiero simbolico. Se questo è vero, il richiamo schaferiano alla 
matrice simbolica dei suoni, o forse meglio ancora, alla matrice acustica dei 
simboli può costituire un invito a ripensare ai suoni che ci circondano 
alternativo tanto al linguaggio delle scienze naturali quanto a quello delle 
grammatiche musicali. Riscoprire la matrice sonora dei simboli può anche 
costituire la fonte per una nuova pratica musicale, che ponga il rapporto con 
l’ambiente al centro del processo creativo. Ci riferiamo in particolare alla 
pratica della cosiddetta environmental music (musica ambientale), termine con il 
quale s’intende la pratica artistica che, in ambito di musica sperimentale, fa 
riferimento a strumenti musicali o a generiche fonti sonore facilmente 
reperibili e che non richiedono particolari abilità esecutive; anche 
l’attrezzatura elettroacustica, quando viene usata, in genere non va oltre le 
apparecchiature più diffuse. I lavori sono quasi sempre destinati a 
un’esecuzione dal vivo, con buona dose di indeterminazione. Se il design 
acustico pone le basi dell’identità sociale e culturale di una comunità 
acustica, la musica ambientale ne realizza quella trasfigurazione che possiamo 
chiamare “stato alterato del paesaggio sonoro”. Usiamo quest’ultimo termine con 
evidente riferimento ai cosiddetti “stati alterati di coscienza”, lo studio dei 
quali si sta rivelando come una preziosa risorsa vitale per l’uomo 
contemporaneo, dalle profonde cadute terapeutiche. Per accennare solamente al 
nostro paese ricordiamo che, a partire dal dicembre 1990 è stata fondata la 
Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza (SISSC), che si propone 
come sede aggregativa e di diffusione delle informazioni che riguardano il vasto 
e multidisciplinare campo di ricerca sugli stati di coscienza: un campo le cui 
tematiche possono spaziare dagli stati di possessione e di transe sciamaniche 
alla neurofisiologia degli stati estatici, dai nuovi movimenti religiosi e 
filosofici psichedelici alla storia del rapporto umano (tradizionale e 
scientifico) con i vegetali e i composti psicoattivi. La Società, oltre a un 
bollettino interno, pubblica l’annuario “Altrove” (diretto da Gilberto Camilla, 
è appena giunto all'undicesimo numero) grazie al quale si può verificare lo 
stato della ricerca su questi argomenti. Ogni ulteriore informazione è 
reperibile sul sito: <www.ecn.org/sissc>.
Al valore simbolico e metafisico del suono proprio delle cosmogonie sonore, 
Schafer fa infatti corrispondere il valore mistico e psichedelico dei suoni 
riscontrabile soprattutto nel cosiddetto Soniferus Garden (giardino pieno di 
suoni). Per Schafer, che ricorda nel suo testo la descrizione di giardini 
storici, come quello medievale di Bagdad o quelli italiani del Rinascimento e 
dell’età barocca, è necessario porre oggi nuovamente l’accento sull’importanza 
di parchi ben concepiti dal punto di vista acustico che lui ama chiamare più 
poeticamente “giardini pieni di suoni”, in cui i materiali naturali: acqua, 
vento, uccelli, legno e pietra, dovranno essere modellati e strutturali in modo 
tale da produrre le loro armonie più autentiche. Non solo, ma in un angolo del 
giardino potrebbe trovare posto anche uno strumentario a disposizione del 
pubblico, progettato per essere installato in permanenza nel parco, in modo che 
chiunque possa suonarli insieme ad altri. Il modello è l’orchestra gamelan 
balinese. Non solo, ma il parco acustico dovrà prevedere anche un Tempio del 
Silenzio, una costruzione il cui unico scopo è la meditazione. È qui che l’uomo 
moderno per il quale la contemplazione del silenzio totale si è trasformata in 
un’esperienza negativa e terrificante può riscoprire l’anāhata, il suono “non 
percosso”, che riempie chi lo riceve di musica e di luce.
Riferimenti bibliografici
1) R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, Ricordi/Unicopli, Milano 1985.
2) (a cura di Albert Mayr), Musica e suoni dell’ambiente, Clueb, Bologna 2001
3) (a cura di Antonello Colimberti), Ecologia della musica, Donzelli, Roma 2004
 
 
Da:
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=589