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FILOTEA  
PRIMA PARTE 
 Contiene consigli ed 
esercizi necessari per condurre l’anima dal primo desiderio della vita devota 
fina alla ferma risoluzione di abbracciarla
 
Capitolo I 
DESCRIZIONE DELLA VERA DEVOZIONE Mia cara Filotea, tu 
vorresti giungere alla devozione perché sai bene, come cristiana, quanto questa 
virtù sia accetta a Dio: ma, siccome i piccoli errori commessi all’inizio di 
qualsiasi impresa, ingigantiscono con il tempo e risultano, alla fine, 
irreparabili o quasi, è necessario, prima di tutto, che tu sappia che cos’è la 
virtù della devozione. Di vera ce n’è una sola, ma di false e vane ce ne sono 
tante; e se non sai distinguere la vera, puoi cadere in errore e perdere tempo 
correndo dietro a qualche devozione assurda e superstiziosa. 
 Arelio dava a tutti i 
volti che dipingeva le sembianze e l’espressione delle donne che amava; ognuno 
si crea la devozione secondo le proprie tendenze e la propria immaginazione. Chi 
si consacra al digiuno, penserà di essere devoto perché non mangia, mentre ha il 
cuore pieno di rancore; e mentre non se la sente di bagnare la lingua nel vino e 
neppure nell’acqua, per amore della sobrietà, non avrà alcuno scrupolo nel 
tuffarla nel sangue del prossimo con la maldicenza e la calunnia. 
 Un altro penserà di essere 
devoto perché biascica tutto il giorno una filza interminabile di preghiere; e 
non darà peso alle parole cattive, arroganti e ingiuriose che la sua lingua 
rifilerà, per il resto della giornata, a domestici e vicini. Qualche altro metterà mano 
volentieri al portafoglio per fare l’elemosina ai poveri, ma non riuscirà a 
cavare un briciolo di dolcezza dal cuore per perdonare i nemici; ci sarà poi 
l’altro che perdonerà i nemici, ma di pagare i debiti non gli passerà neanche 
per la testa; ci vorrà il tribunale. Tutta questa brava gente, 
dall’opinione comune è considerata devota, ma non lo è per niente. Ricordi l’episodio degli 
sgherri di Saul che cercano Davide? Micol li trae in inganno mettendo nel letto 
un fantoccio con gli abiti di Davide, e fa loro credere che Davide è ammalato. 
Così molti si coprono di alcune azioni esteriori, proprie della santa devozione 
e la gente crede che si tratti di persone veramente devote e spirituali; ma se 
vai a guardar bene, scopri che sono soltanto fantocci e fantasmi di devozione. La vera e viva devozione, 
Filotea, esige l’amore di Dio, anzi non è altro che un vero amore di Dio; non un 
amore genericamente inteso. Infatti l’amore di Dio si chiama grazia in quanto 
abbellisce l’anima, perché ci rende accetti alla divina Maestà; si chiama 
carità, in quanto ci dà la forza di agire bene; quando poi è giunto ad un tale 
livello di perfezione, per cui, non soltanto ci dà la forza di agire bene, ma ci 
spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza, allora si chiama devozione. 
Gli struzzi non possono volare, le galline svolazzano di rado, goffamente e 
rasoterra; le aquile, le rondini e i colombi volano spesso, con eleganza e in 
alto. Similmente i peccatori non 
riescono a volare verso Dio, ma si spostano esclusivamente sulla terra e per la 
terra; le persone dabbene, che non possiedono ancora la devozione, volano verso 
Dio per mezzo delle buone azioni, ma di rado, con lentezza e pesantemente; le 
persone devote volano in Dio con frequenza, prontezza e salgono in alto. A dirlo in breve, la 
devozione è una sorta di agilità e vivacità spirituale per mezzo della quale la 
carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e 
affetto. Ora, com’è compito della carità farci praticare tutti i Comandamenti di 
Dio senza eccezioni e nella loro totalità, spetta alla devozione aggiungervi la 
prontezza e la diligenza. Ecco perché chi non osserva tutti i Comandamenti di 
Dio non può essere giudicato né buono né devoto. Per essere buoni ci vuole la 
carità e per essere devoti, oltre alla carità, bisogna avere grande vivacità e 
prontezza nel compiere gli atti. Siccome la devozione si 
trova in grado di carità eccellente, non soltanto ci rende pronti, attivi e 
diligenti nell’osservare tutti i Comandamenti di Dio; ma ci spinge inoltre a 
fare con prontezza e affetto tutte le buone opere che ci sono possibili, anche 
se non cadono sotto il precetto, ma sono soltanto consigliate o indicate. Come un uomo guarito di 
recente da una malattia, cammina quel tanto che gli è necessario, piano piano e 
trascinandosi un po’, così il peccatore, guarito dal suo peccato, cammina quel 
tanto che Dio gli comanda, trascinandosi adagio adagio fino a che non giunga 
alla devozione. Allora, da uomo completamente sano, non soltanto cammina, ma 
corre e salta nella via dei Comandamenti di Dio e, inoltre, prende di corsa i 
sentieri dei consigli e delle ispirazioni celesti. In conclusione, si può 
dire che la carità e la devozione differiscono tra loro come il fuoco dalla 
fiamma; la carità è un fuoco spirituale, che quando brucia con una forte fiamma 
si chiama devozione: la devozione aggiunge al fuoco della carità solo la fiamma 
che rende la carità pronta, attiva e diligente, non soltanto nell’osservanza dei 
Comandamenti di Dio, ma anche nell’esercizio dei consigli e delle ispirazioni 
del cielo. 
Capitolo II 
CARATTERISTICHE ED ECCELLENZA DELLA DEVOZIONE Coloro i quali volevano 
scoraggiare gli Israeliti dall’entrare nella terra promessa, dicevano che era un 
paese che divorava gli abitanti, ossia, che l’aria era talmente pestilenziale 
che nessuno vi poteva vivere a lungo; per di più era abitata da mostri che 
divoravano gli uomini come locuste: allo stesso modo, mia cara Filotea, la gente 
della strada dice tutto il male che può della devozione e dipinge le persone 
devote immusonite, tristi e imbronciate, e va blaterando che la devozione rende 
malinconici e insopportabili. Ma sull’esempio di Giosuè e di Caleb, che, non 
solo sostenevano che la terra promessa era fertile e bella, ma che il suo 
possesso sarebbe stato utile e piacevole, lo Spirito Santo, per bocca di tutti i 
santi, e Nostro Signore, con la sua Parola, ci danno assicurazione che la vita 
devota è dolce, facile e piacevole. La gente vede che i devoti 
digiunano, pregano, sopportano le ingiurie, servono gli infermi, assistono i 
poveri, fanno veglie, controllano la collera, dominano le passioni, fanno a meno 
dei piaceri dei sensi e compiono altre azioni simili a queste, di per sé e per 
loro natura aspre e rigorose; ma non sa vedere la devozione interiore e cordiale 
che trasforma tutte queste azioni in piacevoli, dolci e facili. Guarda l’ape sul timo: ne 
può ricavare soltanto un succo amaro, ma succhiandolo lo trasforma in miele, 
perché questa è la sua caratteristica. Mi rivolgo a te, persona 
del mondo, e ti dico: le anime devote incontrano molta amarezza nei loro 
esercizi di mortificazione , questo è certo, ma praticandoli li trasformano in 
dolcezza e soavità. Il fuoco, la fiamma, la 
ruota, la spada per i martiri sembravano fiori odorosi, perché erano devoti; e 
se la devozione riesce a rendere piacevoli le torture più crudeli e la stessa 
morte, cosa non riuscirà a fare per le azioni proprie della virtù? Lo zucchero rende dolci i 
frutti un po’ acerbi e toglie il pericolo che facciano male quelli troppo 
maturi; la devozione è il vero zucchero spirituale, che toglie l’amarezza alle 
mortificazioni e la capacità di nuocere alle consolazioni: toglie la rabbia ai 
poveri e la preoccupazione ai ricchi; la desolazione a chi è oppresso e 
l’insolenza al favorito dalla sorte; la tristezza a chi è solo e la dissipazione 
a chi è in compagnia; ha la funzione di fuoco in inverno e di rugiade in estate, 
sa affrontare e soffrire la povertà, trova ugualmente utile l’onore e il 
disprezzo, riceve il piacere e il dolore con un cuore quasi sempre uguale, e ci 
colma di una meravigliosa soavità. Guarda la scala di 
Giacobbe, che è la vera immagine della vita devota: i due montanti, tra i quali 
si sale ed ai quali sono fissati gli scalini, rappresentano l’orazione, che 
chiede l’amore di Dio e i Sacramenti, che lo conferiscono; gli scalini sono i 
diversi livelli della carità, per i quali si sale, di virtù in virtù; o 
discendendo in aiuto e sostegno del prossimo, o salendo per la contemplazione 
all’unione d’amore con Dio. Ed ora dà uno sguardo a 
coloro che si trovano sulla scala: sono uomini con il cuore di Angeli, o Angeli 
con il corpo di uomini; non sono giovani, ma lo sembrano, perché sono pieni di 
forza e di agilità spirituale; hanno ali per volare e si lanciano in Dio con la 
santa orazione; ma hanno anche i piedi per camminare con gli uomini in una santa 
e piacevole conversazione; i loro volti sono belli e radiosi, per cui ricevono 
tutto con dolcezza e soavità; le gambe, le braccia e la testa sono scoperte, 
perché i loro pensieri, i loro affetti e le loro azioni hanno il solo scopo di 
piacere a Dio. Il resto del corpo è coperto da una tunica fine e leggera, perché 
sono realmente inseriti nel mondo e usano le cose di questo mondo, ma in modo 
pulito e limpido, prendendo esclusivamente il necessario: così agiscono le 
persone devote. Cara Filotea, devi 
credermi: la devozione è la dolcezza delle dolcezze e la regina delle virtù, 
perché è la perfezione della carità. Se vogliamo paragonare la carità al latte, 
la devozione ne è la crema; se la paragoniamo ad una pianta, la devozione ne è 
il fiore; se ad una pietra preziosa, la devozione ne è lo splendore; se ad un 
unguento prezioso, né è il profumo soave che dà la forza agli uomini e gioia 
agli Angeli. 
Capitolo III 
LA DEVOZIONE SI ADATTA A TUTTE LE VOCAZIONI E 
PROFESSIONI Nella creazione Dio 
comandò alle piante di portare frutto, ciascuna secondo il proprio genere: allo 
stesso modo, ai Cristiani, piante vive della Chiesa, ordina di portare frutti di 
devozione, ciascuno secondo la propria natura e la propria vocazione. La devozione deve essere 
vissuta in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal 
principe, dalla vedova, dalla nubile, dalla sposa; ma non basta, l’esercizio 
della devozione deve essere proporzionato alle forze, alle occupazioni e ai 
doveri dei singoli. Ti sembrerebbe cosa fatta 
bene che un Vescovo pretendesse di vivere in solitudine come un Certosino? E che 
diresti di gente sposata che non volesse mettere da parte qualche soldo più dei 
Cappuccini? Din un artigiano che passasse le sue giornate in chiesa come un 
Religioso? E di un Religioso sempre alla rincorsa di servizi da rendere al 
prossimo, in gara con il Vescovo? Non ti pare che una tal sorta di devozione 
sarebbe ridicola, squilibrata e insopportabile? Eppure queste stranezze 
capitano spesso, e la gente di mondo, che non distingue, o non vuol distinguere, 
tra la devozione e le originalità di chi pretende essere devoto, mormora e 
biasima la devozione, che non deve essere confusa con queste stranezze. Se la devozione è 
autentica non rovina proprio niente, anzi perfeziona tutto; e quando va contro 
la vocazione legittima, senza esitazione, è indubbiamente falsa. 
 Aristotele dice che l’ape 
ricava il miele dai fiori senza danneggiarli, e li lascia intatti e freschi come 
li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non porta 
danno alle vocazioni e alle occupazioni, ma al contrario, le arricchisce e le 
rende più belle. Qualunque genere di pietra 
preziosa, immersa nel miele diventa più splendente, ognuna secondo il proprio 
colore; lo stesso avviene per i cristiani: tutti diventano più cordiali e 
simpatici nella propria vocazione se le affiancano la devozione: la cura per la 
famiglia diventa serena, più sincero l’amore tra marito e moglie, più fedele il 
servizio del principe e tutte le occupazioni più dolci e piacevoli. Pretendere di eliminare la 
vita devota dalla caserma del soldato, dalla bottega dell’artigiano, dalla corte 
del principe, dall’intimità degli sposi è un errore, anzi un’eresia. E’ vero che 
la devozione contemplativa, monastica e religiosa non può essere vissuta in 
quelle vocazioni; ma è anche vero che, oltre a queste tre devozioni ce ne sono 
tante altre, adatte a portare alla perfezione quelli che vivono fuori dai 
monasteri. Abramo, Isacco, Giacobbe, Davide, Giobbe, Tobia, Sara, Rebecca e 
Giuditta ne sono la prova per l’Antico Testamento; nel Nuovo abbiamo S. 
Giuseppe, Lidia, S. Crispino che vissero la perfetta devozione nelle loro 
botteghe; S. Anna, S. Marta, S. Monica, Aquila, Priscilla, nel matrimonio; 
Cornelio, S. Sebastiano, S. Maurizio nella vita militare; Costantino, Elena, S. 
Luigi, il Beato Amedeo, S. Edoardo sul trono. E’ capitato anche che molti 
abbiano perso la perfezione nella solitudine, per sé molto utile alla vita 
perfetta, mentre l’avevano conservata in mezzo alla moltitudine, che sembra 
invece, di natura sua, poco adatta a favorire la perfezione. Lot, dice S. 
Gregorio, fu casto in città e peccatore nella solitudine. Poco importa dove ci 
troviamo: ovunque possiamo e dobbiamo aspirare alla devozione. 
Capitolo IV 
NECESSITA’ DI UN DIRETTORE SPIRITUALE PER 
ENTRARE E PROGREDIRE NELLA DEVOZIONE Quando il giovane Tobia 
ricevette l’ordine di recarsi a Rage, rispose: Non conosco la strada. Il padre 
gli disse allora: Va tranquillo e cerca qualcuno che ti faccia da guida. Ti dico la stessa cosa, 
Filotea. Vuoi metterti in cammino verso la devozione con sicurezza? Trova 
qualche uomo capace che ti sia di guida e ti accompagni; è la raccomandazione 
delle raccomandazioni. Qualunque cosa tu cerchi, dice il devoto Avila, troverai 
con certezza la volontà di Dio soltanto sul cammino di una umile obbedienza, 
tanto raccomandata e messa in pratica dai devoti del tempo antico. La Beata Madre Teresa, 
vedendo Caterina di Cordova fare grandi penitenze, ebbe un grande desiderio di 
imitarla contro il parere del confessore che glielo proibiva e al quale era 
tentata di non obbedire, almeno in questo, Dio allora le disse: Figlia mia, tu 
stai camminando su una strada buona e sicura. Vedi le sue penitenze? Eppure io 
preferisco la tua obbedienza! Teresa concepì tanto amore per questa virtù che, 
oltre all’obbedienza dovuta ai Superiori, votò una particolare obbedienza ad un 
uomo straordinario, impegnandosi a seguirne la direzione e la guida; ne ebbe 
grandi consolazioni. Prima e dopo di lei, è capitata la stessa cosa a molte 
anime elette che, per garantirsi una più perfetta sottomissione a Dio, hanno 
posto la loro volontà sotto la direzione dei suoi servi; cosa che S. Caterina da 
Siena elogia con sante espressioni nei suoi Dialoghi. La devota principessa S. 
Elisabetta obbediva, con estrema esattezza, al dotto Maestro Corrado; ecco un 
consiglio dato da S. Luigi sul letto di morte a suo figlio: "Confessati spesso, 
scegli un confessore adatto, che sia molto prudente e che possa insegnarti con 
sicurezza, a fare il tuo dovere". "L’amico fedele, dice la 
S. Scrittura, è una forte protezione; chi lo trova, trova un tesoro". L’amico 
fedele è un balsamo di vita e d’immortalità; coloro che temono Dio, lo trovano. 
Queste parole divine si riferiscono, in primo luogo, come puoi notare, 
all’immortalità, per camminare verso la quale è necessario, prima di tutto, 
avere un amico fedele che diriga le nostre azioni con le sue esortazioni e i 
suoi consigli; ci eviterà così i tranelli e gli inganni del nemico; sarà per noi 
un tesoro di sapienza nelle afflizioni, nelle tristezze e nelle cadute; sarà il 
balsamo per alleviare e consolare i nostri cuori nelle malattie spirituali; ci 
proteggerà dal male e ci renderà stabili nel bene; e se dovesse colpirci qualche 
infermità, impedirà che diventi mortale e ci farà guarire. Ma chi può trovare un 
amico di tal sorta? Risponde il Saggio: coloro che temono Dio; ossia gli umili, 
che desiderano ardentemente avanzare nella vita spirituale. Giacché ti sta tanto a 
cuore camminare con una buona guida, in questo santo viaggio della devozione, 
cara Filotea, prega Iddio, con grande insistenza, che ne provveda una secondo il 
suo cuore; e poi non dubitare: sii certa che, a costo di mandare un Angelo dal 
cielo, come fece per il giovane Tobia, ti manderà una guida capace e fedele. Per te deve rimanere 
sempre un Angelo: ossia, quando l’avrai trovato, non fermarti a dargli stima 
come uomo, e non riporre la fiducia nelle sue capacità umane, ma in Dio 
soltanto, che ti incoraggerà e ti parlerà tramite quell’uomo, ponendogli nel 
cuore e sulla bocca ciò che sarà utile al tuo bene; tu devi ascoltarlo come un 
Angelo venuto dal cielo per condurti là. Parla con lui a cuore aperto, in piena 
sincerità e schiettezza; manifestagli con chiarezza il bene e il male senza 
infingimenti e dissimulazione: in tal modo il bene sarà apprezzato e reso più 
solido e il male corretto e riparato; nelle afflizioni ti sarà di sollievo e di 
forza, nelle consolazioni di moderazione e misura. Devi riporre in lui una 
fiducia senza limiti, unita a un grande rispetto, ma in modo che il rispetto non 
diminuisca la fiducia e la fiducia non tolga il rispetto. Apriti a lui con il 
rispetto di una figlia verso il padre e portagli rispetto con la fiducia di un 
figlio verso la madre; per dirla in breve: deve essere una amicizia forte e 
dolce, santa, sacra, degna di Dio, divina, spirituale. A tal fine, scegline uno 
tra mille, dice Avila; io ti dico, uno tra diecimila, perché se ne trovano meno 
di quanto si dica capaci di tale compito. Deve essere ricco di carità, di 
scienza e di prudenza: se manca una di queste tre qualità, c’è pericolo. Ti 
ripeto, chiedilo a Dio e, una volta che l’hai trovato, benedici la sua divina 
Maestà, fermati a quello e non cercarne altri; ma avviati, con semplicità, 
umiltà e confidenza; il tuo sarà un viaggio felice. 
Capitolo V 
SI DEVE COMINCIARE DALLA PURIFICAZIONE 
DELL’ANIMA "I fiori sono apparsi nei 
campi", dice lo Sposo nel Cantico dei Cantici, "è giunto il tempo di potare e 
sfrondare". I fiori del nostro cuore, o Filotea, sono i buoni desideri. Ora, 
appena compaiono, bisogna mettere mano alla roncola per sfrondare dalla nostra 
coscienza tutte le opere morte e inutili. La ragazza straniera, per sposare un 
Israelita, doveva togliersi la veste della prigionia, tagliarsi le unghie e 
radersi i capelli: similmente l’anima che vuole andare sposa al Figlio di Dio, 
deve spogliarsi del vecchio uomo e rivestirsi del nuovo, lasciando il peccato; 
poi tagliare e radere tutti gli impedimenti che distolgono dall’amore di Dio. Essersi purificati dalla 
malizia del peccato è l’inizio della salvezza. S. Paolo venne purificato 
totalmente in un attimo; lo stesso avvenne a Caterina da Genova, S. Maddalena, 
S. Pelagia e qualche altro. Ma questa sorta di purificazione è miracolosa ed 
eccezionale in grazia, come la resurrezione dei morti lo è in natura: non 
possiamo pretenderla. Ordinariamente la 
purificazione, come la guarigione, sia del corpo che dello spirito, avviene 
adagio adagio, per gradi, un passo dopo l’altro, a fatica e con il tempo. Sulla 
scala di Giacobbe gli Angeli hanno le ali, ma non volano, anzi salgono e 
scendono ordinatamente, uno scalino dopo l’altro. L’anima che sale dal peccato 
alla devozione viene paragonata all’alba, che, quando spunta, non mette 
immediatamente in fuga le tenebre, ma gradatamente. Dice il Saggio che la 
guarigione la quale avviene senza fretta è sempre la più sicura; le infermità 
del cuore, come quelle del corpo, vengono a cavallo o in carrozza, ma se ne 
vanno a piedi e al piccolo trotto. Devi essere dunque 
coraggiosa e paziente in questa impresa, Filotea. Che pena vedere anime che, 
scoprendo di essere afflitte da molte imperfezioni, dopo essersi impegnate per 
un po’ nel cammino della devozione, si inquietano, si turbano e si scoraggiano e 
rischiano di cedere alla tentazione di lasciare tutto e di tornare indietro. 
D’altra parte, uguale pericolo corrono quelle anime che, per la tentazione 
contraria, si illudono di essere liberate dalle loro imperfezioni il primo 
giorno della purificazione, e si considerano perfette ancor prima di 
essere fatte: pretendono di volare senza le ali! Filotea, quelle sono 
veramente in grande pericolo di cadere, perché troppo presto hanno voluto 
sottrarsi alle mani del medico. Non alzarti prima che ci si veda, dice il 
Profeta Davide; e alzati dopo esserti seduto! Egli stesso mette in pratica 
quello che dice e, una volta lavato e profumato, chiede di rimettersi all’opera. L’esercizio della 
purificazione dell’anima può e deve finire soltanto con la vita: perciò non 
agitiamoci per le nostre imperfezioni; quello che si chiede a noi è di 
combatterle; se non le vedessimo, non potremmo combatterle e non potremmo 
vincerle se non ci imbattessimo in esse. La nostra vittoria non consiste nel non 
sentirle, ma nel non acconsentirvi; e non è acconsentire esserne turbati. Anzi, 
ogni tanto, ci fa bene una ferita in questa battaglia spirituale, per 
fortificare la nostra umiltà; non saremo mai vinti finché non avremo perso la 
vita o il coraggio. Le imperfezioni e i 
peccati veniali non possono strapparci la vita spirituale, che si perde soltanto 
con il peccato mortale; è il coraggio di combattere che non dobbiamo perdere! 
Diceva Davide: Liberami, Signore, dalla vigliaccheria e dallo scoraggiamento. In 
questa guerra ci troviamo in una condizione di favore, perché, per vincere, ci 
basta la volontà di combattere. 
Capitolo VI 
PRIMA PURIFICAZIONE: DAL PECCATO MORTALE La prima purificazione è 
quella dal peccato; il mezzo: il sacramento della penitenza. Cercati il miglior 
confessore che puoi; serviti anche di qualche libretto scritto a questo scopo; 
leggi con attenzione e nota, punto per punto, dove hai mancato, cominciando da 
quando hai avuto l’uso di ragione fino a oggi. Se ti fidi poco della memoria, 
metti per iscritto quello che hai trovato. Una volta trovate e messe insieme le 
brutture peccaminose della tua coscienza, detestale e respingile con una 
contrizione e un dispiacere grande quanto il tuo cuore riesce a concepire, 
prendendo in considerazione questi quattro punti: per il peccato tu hai perso la 
grazia di Dio, hai perso il diritto al paradiso, hai accettato i tormenti eterni 
dell’inferno, hai rinunciato all’eterno amore di Dio. Hai capito, Filotea, che 
ti parlo della confessione generale di tutta la vita che, lo so bene anch’io, 
fortunatamente, non sempre è necessaria; ma io la considero molto utile in 
questo inizio, per cui te la consiglio vivamente. Capita spesso che le 
confessioni abituali di coloro che conducono una vita ordinaria di cristiani 
comuni, siano piene di difetti: per lo più si prepara poco o per niente, non si 
ha la contrizione richiesta, anzi capita addirittura che molte volte ci si vada 
a confessare con il segreto proposito di tornare a peccare, visto che non si ha 
alcuna intenzione di evitare l’occasione, né di prendere gli opportuni 
accorgimenti per correggersi; in tutti questi casi la confessione generale è 
necessaria per dare una scossa all’anima. Inoltre la confessione 
generale ci porta a conoscere noi stessi, ci provoca a una salutare vergogna del 
nostro passato, ci fa ammirare la misericordia di Dio, che ci ha atteso con 
tanta pazienza; porta la pace nel cuore, la serenità nello spirito, suscita 
buoni propositi, offre l’occasione al nostro padre spirituale di darci consigli 
più adatti alla nostra reale situazione e ci apre il cuore alla semplicità 
fiduciosa che ci farà essere molto sinceri nelle confessioni che seguiranno. E poiché parliamo di un 
rinnovamento generale del cuore e della conversione totale dell’anima a Dio, per 
mezzo della vita devota, mi sembra, o Filotea, di avere ragione nel consigliarti 
questa confessione generale. 
Capitolo VII 
SECONDA PURIFICAZIONE: DAGLI AFFETTI AL 
PECCATO Tutti gli Israeliti 
uscirono materialmente dall’Egitto, ma non tutti ne uscirono con il cuore; ecco 
perché, nel deserto, molti di essi rimpiangevano le cipolle e la carne d’Egitto. Allo stesso modo ci sono 
dei peccatori che escono materialmente dal peccato, ma non ne abbandonano 
l’affetto: ossia, fanno il proposito di non peccare più, ma si privano e si 
astengono dai piaceri del peccato con una certa malavoglia e con rimpianto; il 
loro cuore rinuncia al peccato e se ne allontana, ma non per questo smette di 
volgersi in continuazione da quella parte, come la moglie di Lot verso Sodoma. Si tengono lontani dal 
peccato come fanno i malati con i cocomeri quando il medico li ha minacciati di 
pericolo di morte se ne dovessero mangiare; ci stanno male a non poterne 
mangiare, ne parlano e mercanteggiano la possibilità di superare il divieto, 
almeno per assaggiarne, e giudicano fortunati quelli che possono mangiarne. Fanno la stessa cosa quei 
penitenti deboli e fiacchi che si astengono un po’ dal peccato, a malincuore; 
vorrebbero poter peccare senza andare all’inferno, parlano con rimpianto e 
compiacimento del peccato e giudicano fortunati quelli che lo fanno. Un uomo 
deciso a vendicarsi, cambierà proposito nella confessione, ma subito dopo lo 
travi tra gli amici, felice di poter parlare della sua lite: e dice che, se non 
fosse per il timor di Dio, farebbe questo e quest’altro, e aggiunge che, su 
questo punto, la legge di Dio, che impone il perdono, è molto dura; volesse Dio 
che fosse permesso vendicarsi! Chi non vede che questo 
Tizio, anche se legalmente fuori dal peccato, è ancora tutto preso dall’affetto 
al peccato e, mentre fisicamente è uscito dall’Egitto, vi abita ancora con il 
desiderio, bramandone le carni e le cipolle. Lo stesso si dica di quella donna 
che, dopo aver detestato i suoi amori perversi, si compiace di essere civetta e 
ricercata. Tale gente è in grande pericolo! Filotea, poiché vuoi dare 
inizio alla vita devota, non deve bastarti di abbandonare il peccato, ma devi 
sbarazzare il tuo cuore da tutti gli affetti legati al peccato; perché, oltre al 
pericolo di ricadere, questi miserabili affetti renderebbero perpetuamente 
malato e intorpidito il tuo spirito, a tal punto che non riuscirebbe a compiere 
il bene con prontezza, diligenza e di frequente. Mentre proprio in questo 
consiste l’essenza della devozione. Le anime uscite dallo 
stato di peccato, ma che hanno ancora questi affetti e debolezze, io le 
assomiglio alle ragazze che hanno un colore pallido: non sono malate, ma tutto 
il loro comportamento è da malati: mangiano senza gusto, dormono senza riposare, 
ridono senza gioia, si trascinano invece di camminare; allo stesso modo tali 
anime fanno il bene con una tale stanchezza spirituale, che tolgono ogni grazia 
ai loro esercizi di pietà, che poi, oltre tutto, sono pochi di numero e poveri 
di risultati. 
Capitolo VIII 
COME FARE LA SECONDA PURIFICAZIONE La prima ragione che deve 
spingerci ad operare questa seconda purificazione, è la coscienza viva e nitida 
del male enorme che ci causa il peccato; riusciremo, in tal modo, ad entrare in 
una contrizione profonda e travolgente: infatti la contrizione, per piccola che 
sia, se è sincera, e soprattutto se congiunta alla forza dei Sacramenti, ci 
purifica sufficientemente dal peccato; se poi la contrizione è profonda e 
travolgente, ci purifica anche da tutti gli affetti che derivano dal peccato. Un odio e un astio debole 
e fiacco ci permette di sopportare, anche se di malanimo, colui che odiamo; se 
poi ci è possibile, ne stiamo lontani; ma se il nostro odio è mortale e 
violento, non solo fuggiamo e troviamo insopportabile colui che odiamo, ma ci 
ripugna e non possiamo soffrire nemmeno la compagnia di coloro che la pensano 
come lui, dei suoi amici, dei suoi parenti. Non sopportiamo nemmeno la vista del 
suo ritratto e delle cose che gli appartengono. Similmente, se il 
penitente odia il peccato solo leggermente, benché sinceramente, è vero che fa 
il proposito di non peccare più, ma non è come quando lo odia con una 
contrizione forte e vigorosa; in tal caso, non solo detesterà il peccato, ma 
anche tutti gli affetti, le conseguenze e i sentieri del peccato. E’ per questo, Filotea, 
che dobbiamo rendere la nostra contrizione e il pentimento più profondi 
possibile, perché tutto ciò che appartiene al peccato sia travolto. Così fece la 
Maddalena che, convertendosi, perse talmente il gusto del peccato e dei piaceri 
che non ci pensò più; e Davide, che protestava di odiare non soltanto il 
peccato, ma anche le sue vie e i suoi sentieri: questo è il ringiovanimento 
dell’anima, che lo stesso Profeta paragona a quello dell’aquila che muta le 
penne. Ora per giungere a questa 
presa di coscienza ed alla contrizione, devi immergerti con cura nelle 
meditazioni che qui di seguito ti propongo; se ti ci impegnerai con serietà, con 
l’aiuto della grazia di Dio, strapperai dal tuo cuore il peccato e i principali 
affetti al peccato; le ho impostate proprio a questo scopo. Le farai una dopo l’altra, 
nell’ordine che te le propongo, una al giorno, di mattino, se ti è possibile; 
perché è il tempo più adatto alle operazioni dello spirito; e ci rifletterai 
sopra per tutta la giornata. Se poi non hai 
dimestichezza con le meditazioni, leggi quello che ne dico nella seconda parte 
di questo libretto. 
Capitolo IX 
Prima Meditazione: LA CREAZIONE Preparazione 
 
 Considerazioni 
 
 Affetti e propositi 
 
 Conclusione 
 
 Padre nostro, Ave Maria. Uscendo dall’orazione 
raccogli un po’ qua e un po’ là e, scegliendo tra le considerazioni fatte, 
confeziona un mazzetto di devozione; così, durante tutto l’arco della giornata, 
potrai odorarne il profunmo. 
Capitolo X 
Seconda meditazione: IL FINE PER IL QUALE 
SIAMO CREATI Preparazione 
 
 
 Considerazioni 
 
 Affetti e propositi 
 
 Conclusione 
 
 
Capitolo XI 
Terza Meditazione: I BENEFICI DI DIO Preparazione 
 
 Considerazioni 
 
 
 
 Affetti e propositi 
 Conclusioni 
 
 
 
Capitolo XII 
Quarta Meditazione: IL PECCATO Preparazione 
 
 Considerazioni 
 
 
 Affetti e propositi 
 
 Conclusione 
 
 
Capitolo XIII 
Quinta Meditazione: LA MORTE Preparazione 
 
 Considerazioni 
 
 Affetti e risoluzioni 
 
 Conclusione Ringrazia Dio dei 
propositi che ti ha dato la forza di concepire; offrili alla sua Maestà; pregalo 
spesso che ti conceda una morte beata per i meriti di quella del Figlio. Chiedi 
l’aiuto della Vergine e dei Santi. Pater, Ave Maria. Componi un mazzetto di 
mirra. 
Capitolo XIV 
Sesta Meditazione: IL GIUDIZIO Preparazione 
 
 Considerazioni 
 
 Affetti e propositi 
 
 Conclusione 
 
 
 
Capitolo XV 
Settima Meditazione: L’INFERNO Preparazione 
 
 Considerazioni 
 
 
 
 Affetti e propositi 
 
 
Capitolo XVI 
Ottava Meditazione: IL PARADISO Considerazioni 
 
 
 
 Affetti e propositi 
 
 
Capitolo XVII 
Nona Meditazione: ELEZIONE E SCELTA DEL 
PARADISO Preparazione 
 
 Considerazioni Immagina di essere in 
aperta campagna, sola con il tuo Angelo, come il giovane Tobia sulla via di Rage; 
immagina che l’Angelo ti inviti alla contemplazione del Paradiso, spalancato in 
alto, davanti a te: tu vi scorgi tutte le cose belle sulle quali abbiamo già 
meditato. In basso poi, ti fa vedere 
la voragine dell’inferno, anch’essa spalancata davanti a te, con tutti i 
tormenti che ti ho descritto quando ti ho guidato alla meditazione dell’inferno. Dopo aver immaginato 
questa doppia visione, mettiti in ginocchio davanti al tuo Angelo. 
 
 Scelta 
 
 
 
Capitolo XVIII 
Decima Meditazione: L’ELEZIONE E LA SCELTA 
DELLA VITA DEVOTA Preparazione 
 Considerazioni 
 
 
 Scelta 
 
 
 
Capitolo XIX 
COME FARE LA CONFESSIONE GENERALE Ecco dunque, cara Filotea, 
le meditazioni che fanno al caso nostro. Una volta che le hai profondamente 
meditate, in ispirito di umiltà, va coraggiosamente a fare la tua confessione 
generale. Ti prego di non angosciarti per alcun motivo. Lo scorpione è velenoso 
quando ci punge, ma, ridotto in olio, è un efficace rimedio contro le sue 
punture; il peccato è riprovevole quando lo commettiamo, ma una volta 
trasformato in confessione e penitenza, è pegno di onore e di salvezza. La 
contrizione e la confessione sono così belle e così profumate, che cancellano la 
bruttezza e distruggono il lezzo del peccato. Simone il lebbroso diceva che 
Maddalena era peccatrice, ma Nostro Signore dice di no e parla soltanto del 
profumo che spande e del suo grande amore. Se noi siamo molto umili, o Filotea, 
il peccato ci darà un grande dispiacere perché offende Dio. Ma l’accusa del 
nostro peccato diverrà dolce e piacevole perché onora Dio: quando diciamo al 
medico il male che ci tormenta, proviamo già un certo sollievo. Quando sarai 
davanti al padre spirituale, immagina di essere sul Calvario, ai piedi di Gesù 
Cristo crocifisso, il cui sangue, grondando da tutte le parti, ti lava dalle 
iniquità; infatti anche se non si tratta fisicamente del sangue del Salvatore, è 
sempre il merito di quel sangue versato che continua a scorrere abbondantemente 
sui penitenti che si trovano attorno al confessionale. Apri bene il cuore per 
farne uscire i peccati destinati alla confessione; a misura che usciranno, 
entrerà il merito prezioso della Passione di Cristo per riempirlo di 
benedizioni. Esponi tutto bene, con semplicità e naturalezza; almeno per questa 
volta fa contenta la tua coscienza. Dopo ascolta la correzione 
e i consigli del servitore di Dio, e dì nel tuo cuore: Parla, Signore, che il 
tuo servo ti ascolta. Sì, Filotea, è Dio che tu ascolti, perché ha detto ai suoi 
rappresentanti: Chi ascolta voi, ascolta me. Dopo, prendi in mano la 
promessa che ho scritto per te e che trovi nel capitolo seguente; serve di 
conclusione al tuo atto di contrizione. Prima devi meditarla. Leggila con 
attenzione e con tutta la partecipazione che ti sarà possibile. 
Capitolo XX 
PROMESSA PER IMPRIMERE NELL’ANIMA IL 
PROPOSITO DI SERVIRE DIO, A CONCLUSIONE DEGLI ATTI DI PENITENZA Io sottoscritta, prostrata 
davanti a Dio e a tutta la Corte celeste, dopo aver considerato l’immensa 
misericordia della divina bontà nei confronti di me, indegna e insignificante 
creatura, che Egli ha tratto dal nulla, conservata, nutrita e liberata da tanti 
pericoli, e colmata di tanti benefici; ma soprattutto dopo aver consideratola 
dolcezza, e la clemenza, superiore a quanto si può pensare, in virtù della quale 
tanto benignamente mi ha sopportata nelle mie iniquità, ispirandomi molto spesso 
con amore e invitandomi a correggermi; considerando che mi ha atteso tanto 
pazientemente perché facessi penitenza fino all’età che oggi ho; e questo, 
nonostante le mie ingratitudini, le slealtà e le infedeltà con le quali ho 
differito la conversione, disprezzando le sue grazie e per di più sfacciatamente 
offendendolo; dopo aver preso in considerazione anche il fatto che nel giorno 
del Battesimo sono stata consacrata e donata a Dio, per essere sua figlia; e 
che, contrariamente alla promessa fatta allora in mio nome, ho molte volte, 
agendo da disgraziata e in modo riprovevole, profanato e violato il mio spirito, 
usandolo contro la Maestà divina; essendo ritornata finalmente in me stessa, 
prostrata con il cuore e con lo spirito davanti al trono della giustizia divina, 
riconosco, ammetto e confesso di meritare di essere accusata e convinta del 
crimine di lesa Maestà divina, in quanto colpevole della Morte e Passione di 
Gesù Cristo, ucciso dai peccati da me commessi; infatti per loro causa è morto 
dopo aver sofferto i tormenti della croce; per questo riconosco di essere degna 
di venire condannata alla perdizione eterna. Ma oso rivolgermi al trono 
dell’infinita misericordia del medesimo Dio. Detesto con tutto il cuore e con 
tutte le forze le iniquità della mia vita passata, domando e impetro umilmente 
grazia e perdono e per questo ti chiedo una totale assoluzione dei miei crimini, 
in forza della Morte e Passione di quel medesimo Signore e Redentore dell’anima 
mia; fidando su quella, quale unica speranza per la mia salvezza, ripeto 
nuovamente e rinnovo la promessa di fedeltà fatta in mio nome a Dio, in 
occasione del battesimo, e rinuncio al demonio, al mondo e alla carne; detesto 
le loro malefiche suggestioni, le vanità e i desideri insani, per tutta la vita 
che mi resta e per l’eternità. Voglio convertirmi a Dio 
buono e pietoso; desidero, propongo, scelgo e decido irrevocabilmente di 
servirlo e amarlo adesso e per l’eternità. A tal fine gli affido, gli dedico e 
gli consacro il mio spirito con tutte le sue facoltà, la mia anima con tutte le 
sue potenze, il mio cuore con tutti i suoi affetti, il mio corpo con tutti i 
suoi sensi; protesto di non voler più in alcun modo, abusare di nessuna parte 
del mio essere contro la sua divina volontà e la sua Maestà sovrana; a lei mi 
sacrifico e mi immolo in ispirito, per essere per sempre nei suoi confronti, una 
creatura leale, obbediente e fedele, senza più volermi ricredere o pentire. Ma, se per suggestione del 
nemico o qualche umana infermità. Dovesse capitarmi di venir meno in qualche 
cosa a questa mia promessa e a questa consacrazione, fin d’ora protesto e mi 
propongo, con l’aiuto della grazia dello Spirito Santo, di rialzarmi 
immediatamente, appena ne avrò coscienza, di rivolgermi di nuovo alla 
misericordia divina senza attendere un solo istante. Questa è la mia volontà, 
la mia intenzione e la mia decisione irremovibile, di cui ho piena coscienza e 
la confermo senza riserve o eccezioni, davanti a Dio e alla Chiesa trionfante, 
alla Chiesa militante mia Madre, che riceve questa mia dichiarazione nella 
persona di colui che, come ministro, mi ascolta in questo atto. Ti piaccia, o eterno 
Iddio, onnipotente e buono, Padre, Figlio e Spirito Santo, confermare in me 
questo proposito e accettare e gradire il dono che ti faccio in questo momento 
con tutto il cuore, dal profondo di me stessa. Come mi hai dato ispirazione e 
volontà per offrirtelo, dammi anche grazia e forza per non mancare di parola. O 
Signore, tu sei il mio Dio, il Dio del mio cuore, il Dio della mia anima, il Dio 
del mio Spirito; come tale ti riconosco e ti adoro per tutta l’eternità. Viva 
Gesù! 
Capitolo XXI 
CONCLUSIONE DELLA PRIMA PURIFICAZIONE Fatta la promessa, rimani 
molto attenta e apri bene il cuore per ascoltare con tutta l’anima le parole di 
assoluzione che il Salvatore della tua anima, assiso sul trono della 
misericordia, pronuncerà lassù in Cielo, davanti agli Angeli e ai Santi, nello 
stesso istante in cui, in suo nome, il sacerdote ti assolverà quaggiù in terra. La schiera dei Beati 
gioisce per la tua felicità e canta il cantico spirituale di una gioia che non 
ha confronti; tutti ti accolgono e abbracciano il tuo cuore che ha ritrovato la 
grazia e la santità. E’ un ottimo contratto, 
Filotea: tu doni ora te stessa alla Maestà di Dio e ottieni in cambio che Egli 
si doni a te per l’eternità. Non ti resta più che 
prendere la penna e apporre la firma all’atto della tua promessa; dopo di che, 
ti recherai all’altare; così anche Dio firmerà e apporrà il suo sigillo a 
conferma dell’assoluzione e ti prometterà il paradiso; per mezzo del sacramento 
anzi, sarà Lui stesso il sigillo di garanzia sul tuo cuore nuovo. Così la tua 
anima sarà libera dal peccato e da tutti gli affetti al peccato. Ma siccome questi affetti 
rispuntano facilmente nell’anima, a causa della nostra infermità e della nostra 
concupiscenza, che può essere mortificata, ma non eliminata, finché vivremo su 
questa terra, io ti darò dei consigli: se li segui ti terrai lontana dal peccato 
mortale e dai suoi affetti così mai più il peccato avrà posto nel tuo cuore. 
Visto poi che gli stessi consigli sono utili anche per una purificazione più 
radicale, prima di darteli, voglio spendere qualche parola per chiarirti che 
cosa intendo per purezza totale, che è quella alla quale desidero guidarti. 
Capitolo XXII 
BISOGNA LIBERARSI DALL’AFFETTO AL PECCATO 
VENIALE A misura che il giorno 
cresce, scopriamo meglio nello specchio le macchie e le impurità del nostro 
volto; così, a misura che la luce interiore dello Spirito Santo illumina le 
nostre coscienze, distinguiamo con maggiore chiarezza i peccati, le tendenze e 
le imperfezioni che possono impedirci di raggiungere la vera devozione. La 
stessa luce che ci fa notare queste tare e questa zavorra, ci anima al desiderio 
di mondarcene e di liberarcene. Scoprirai dunque, cara 
Filotea, che oltre al peccato mortale e agli affetti al peccato mortale, di cui 
ti sei già liberata con gli esercizi sopra indicati, nell’anima tu conservi 
ancora molte tendenze e affetti ai peccati veniali. Non dico che scoprirai dei 
peccati veniali, ma degli affetti e delle tendenze ad essi; ora, sono due cose 
ben diverse: non saremo mai liberi completamente dai peccati veniali, almeno per 
un lungo tempo; ma possiamo benissimo non avere affetto ai peccati veniali. 
Infatti è ben diverso dire una frottola una volta o due, in allegria, in cosa di 
poca importanza, dal trovare gusto a mentire ed essere incalliti in quel genere 
di mancanza. Dico che bisogna liberare 
la propria anima da tutti gli affetti ai peccati veniali, ossia non bisogna, in 
alcun modo, incoraggiare deliberatamente la volontà a rimanere nel peccato 
veniale; sarebbe una debolezza troppo grande conservare consapevolmente nella 
nostra coscienza un proposito che dispiace a Dio, quale la volontà di voler fare 
cosa a Lui non gradita. Il peccato veniale, per 
piccolo che sia, dispiace a Dio, anche se non in misura da volere, per questo, 
dannarci o perderci. Se il peccato veniale gli dispiace, la volontà e l’affetto 
ad esso, sono un chiaro proposito di voler dispiacere alla Maestà divina. E 
com’è possibile che un’anima per bene, non soltanto voglia dispiacere a Dio, ma 
sia attaccata al desiderio di dispiacergli? Questi affetti, Filotea, 
sono direttamente contrari alla devozione, come gli affetti al peccato mortale 
lo sono alla carità: indeboliscono le forze dello spirito, impediscono le 
consolazioni divine, aprono la porta alle tentazioni; se è vero che non uccidono 
l’anima, la rendono però gravemente inferma. Le mosche morenti, dice il 
Saggio, rovinano e corrompono il pregio dell’unguento: con ciò vuol dire che le 
mosche le quali non si fermano che pochissimo sull’unguento e ne succhiano solo 
passando, rovinano solo quello che prendono e lasciano il resto intatto; ma 
quando vi cadono dentro morte, gli tolgono il pregio e nessuno più lo vuole. Allo stesso modo, i 
peccati veniali, che capitano in un’anima devota senza soffermarsi per molto 
tempo, non le recano un danno molto grave; ma se quei peccati rimangono 
nell’anima a causa dell’affetto che c’è in noi per essi, questi le fanno perdere 
senz’altro il pregio dell’unguento, ossia la santa devozione. I ragni non uccidono le 
api, ma ne contaminano e ne corrompono il miele, e le ostacolano con le loro 
ragnatele, di modo che le api non possono più lavorare; questo quando tessono 
ragnatele per fermarsi. Così, il peccato veniale non uccide l’anima, ma corrompe 
la devozione e intralcia talmente le potenze dell’anima con le cattive abitudini 
e tendenze, che essa non riesce più ad attuare la prontezza della carità, nella 
quale consiste la devozione; questo avviene quando il peccato veniale alberga 
nella nostra coscienza per l’affetto che gli portiamo. Dire qualche bugia, è cosa 
da nulla; come pure dire qualche parola fuori posto, superare un po’ i giusti 
limiti nell’agire, negli sguardi, negli abiti, nelle battute, negli scherzi, nei 
balli, purché, appena presa coscienza di questi ragni spirituali, li respingiamo 
e li buttiamo fuori, come fanno le api con i ragni veri. Ma se permettiamo loro di 
fermarsi nei nostri cuori, e per di più ci affezioniamo a trattenerli e 
moltiplicarli, presto troveremo che il nostro miele è andato perduto e l’alveare 
della nostra coscienza contaminato e disfatto. Ma, ripeto ancora una volta, che 
senso ha che una anima generosa trovi gusto a dispiacere a Dio, si affezioni ad 
essergli sgradita e voglia quello che sa bene che Dio non vuole? 
Capitolo XXIII 
BISOGNA LIBERARSI DALL’AFFETTO ALLE COSE 
INUTILI E PERICOLOSE I giochi, i balli, i 
banchetti, le feste, gli spettacoli, in sé non sono cose cattive, ma 
indifferenti, e possono essere vissute in bene o in male. Sono tuttavia sempre 
pericolose e ancor più pericoloso è attaccarsi ad esse. Anche se è permesso 
giocare, danzare, agghindarsi, assistere a spettacoli onesti, fare banchetti; 
esserci attaccati è contrario alla devozione e può nuocere e costituire 
pericolo. Il male non è farli, ma affezionarsi. E’ da insensati seminare 
nella terra del nostro cuore affetti così vuoti e insulsi: occupano lo spazio 
destinato ai buoni sentimenti, e impediscono che la linfa della nostra anima 
nutra buone tendenze. Gli antichi Nazirei non 
solo si astenevano dal vino e da tutto ciò che poteva ubriacarli, ma anche 
dall’uva, sia matura che acerba, non perché l’uva, magari acerba, ubriachi, ma 
perché c’era pericolo che mangiando uva acerba venisse la voglia di mangiarne di 
matura, e mangiandone poi di matura nascesse il desiderio di assaggiare il mosto 
e bere vino. Non dico che non dobbiamo fare uso di queste cose pericolose, ma 
insisto che non dobbiamo impegnarvi l’affetto se non vogliamo rovinare la 
devozione. I cervi che hanno messo su 
troppo grasso, si ritirano in disparte e si nascondono nei cespugli, sapendo 
che, se per caso dovessero essere attaccati, il grasso non permetterebbe loro di 
correre agilmente: il cuore dell’uomo, quando si carica di affetti inutili, 
superflui o pericolosi, non riesce più a correre con prontezza, agilità e 
facilità dietro al suo Dio, che è il centro della devozione. Ai bambini piacciono 
farfalle e le inseguono; nessuno trova da ridire perché sono bambini. Ma vedere 
uomini maturi attaccarsi a simili cose e correre dietro a tali bagatelle, 
sarebbe davvero uno spettacolo non solo ridicolo, ma penoso. Lo stesso si deve 
dire di quelle cose che ho detto sopra, perché, non soltanto sono inutili, ma 
inseguendole rischiamo di diventare degli originali e dei disordinati. 
 Ecco perché, cara Filotea, 
ti dico che bisogna liberarsi da quegli affetti e ti ripeto che, se anche le 
relative azioni non sono sempre contrarie alla devozione, di sicuro gli affetti 
a tali azioni le recano sempre danno. 
Capitolo XXIV 
OCCORRE LIBERARSI DALLE CATTIVE INCLINAZIONI Ci sono poi in noi altre 
tendenze naturali le quali, visto che non hanno origine dai nostri peccati 
personali, e non sono nemmeno veri e propri peccati, né mortali, né veniali, noi 
le chiamiamo imperfezioni, e i loro atti difetti o mancanze. 
 S. Paola, per esempio, 
stando al racconto di S. Girolamo, era fortemente portata alla tristezza e ai 
rimpianti, tanto che in occasione della morte dei figli e del marito, corse il 
pericolo di morire di dolore: quella era un’imperfezione, non un peccato, 
giacché era contro il suo gusto e la sua volontà. Alcuni sono per natura 
loro di spirito leggero, altri burberi, altri ancora incapaci di ascoltare; 
alcuni sono portati ad indignarsi di tutto, altri a montare in collera, altri ad 
innamorarsi; se guardiamo bene troviamo pochissima gente che non abbia qualche 
imperfezione. Ora, benché siano spontanee e naturali, si riesce, con cura e 
attenzione, a correggerle, o almeno a temperarle, e qualche volta addirittura 
anche a correggerle e ad eliminarle totalmente: Filotea, io ti dico allora che 
devi farlo! Se si è trovato il modo di 
trasformare le mandorle amare in mandorle dolci, semplicemente facendo 
un’incisione alla base per farne uscire il succo, perché dovrebbe essere 
impossibile far uscire da noi le tendenze perverse per diventare migliori? Non c’è temperamento al 
mondo che, per buono che sia, non possa essere reso cattivo dalle cattive 
abitudini; al contrario, non esiste temperamento così perverso che, con la 
grazia di Dio in primo luogo, e poi con lo sforzo e l’impegno, non possa essere 
corretto e migliorato. Per questo ora ti darò dei 
consigli e ti proporrò esercizi, attraverso i quali, potrai liberare la tua 
anima dagli affetti pericolosi, dalle imperfezioni e da tutti gli affetti ai 
peccati veniali; in tal modo renderai sempre più forte la tua coscienza contro 
il peccato mortale. Dio faccia la grazia di 
praticarli bene!   
SECONDA PARTE Contiene diversi 
consigli per l’elevazione dell’anima a Dio per mezzo dell’Orazione e dei 
Sacramenti. 
 
Capitolo I 
NECESSITA’ DELL’ORAZIONE 
 
 
 
 
 
 
Capitolo II 
BREVE METODO DI MEDITAZIONE e, in primo 
luogo, LA PRESENZA DI DIO 
PRIMO PUNTO DELLA PREPARAZIONE E’ possibile, Filotea, che 
tu non sappia come va condotta l’orazione mentale: ai giorni nostri pochi lo 
sanno ed è un male. E’ per questo che brevemente e con semplici parole ti 
espongo un metodo, in attesa che tu, leggendo libri sull’argomento e soprattutto 
con la pratica, ne raggiunga una conoscenza più profonda e completa. 
* * Inizio dalla preparazione 
che consta di due momenti: primo, mettersi alla presenza di Dio; secondo, 
invocarne l’assistenza. Per metterti alla presenza 
di Dio ti propongo quattro vie, che, all’inizio, possono esserti utili. 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo III 
SECONDO PUNTO DELLA PREPARAZIONE: 
L’INVOCAZIONE Ecco come devi fare 
l’invocazione: una volta che la tua anima si sente alla presenza di Dio, deve 
umiliarsi in profondo sentimento di rispetto, perché sa di essere indegna di 
trovarsi di fronte alla sovrana Maestà di Dio; ma poiché sa anche che è la sua 
immensa Bontà che vuole così, gli chiede la grazia di servirlo bene e di 
adorarlo nella meditazione che si accinge a compiere. Se ti sembra opportuno, 
puoi anche servirti di qualche Parola concisa e piena di ardore come le seguenti 
di Davide: Non respingermi dalla tua presenza, o Dio, e non privarmi della 
grazia del tuo santo Spirito. Risplenda il tuo volto sulla tua serva. Voglio 
ammirare le tue meraviglie. Dammi intelletto e capirò la tua Legge e la 
osserverò con tutto il cuore. Sono la tua serva, dammi lo Spirito; e altre 
simili. Ti sarà utile aggiungere 
l’invocazione all’Angelo custode e a tutti i Santi presenti nel mistero sul 
quale vuoi meditare. Per esempio, se mediti su quello della morte del Signore, 
potrai invocare la madonna, S. Giovanni, la Maddalena, il buon Ladrone perché ti 
facciano partecipe dei sentimenti e dei movimenti interiori ricevuti in quel 
mistero. Se mediti sulla tua morte potrai invocare il tuo buon Angelo, che sarà 
presente in quel momento, affinché ti ispiri pensieri adatti; e così per gli 
altri misteri. 
 
Capitolo IV 
TERZO PUNTO DELLA PREPARAZIONE: LA 
PRESENTAZIONE DEL MISTERO Dopo i due punti indicati 
per iniziare e che sono comuni a tutte le meditazioni, ce n’è un terzo che non è 
comune a tutte. C’è chi lo chiama ricostruzione del luogo, chi lezione 
interiore. In fin dei conti si tratta 
soltanto di presentare alla tua immaginazione su cui vuoi meditare, 
ricostruendolo nella sua realtà storica. Per esempio, se vuoi 
meditare su Nostro Signore in croce, devi immaginare di trovarti sul monte 
Calvario e rivedere tutto ciò che avvenne e si disse nel giorno della Passione; 
o se preferisci, ed è la stessa cosa, immaginarti che la crocifissione di Nostro 
Signore avvenga proprio nel luogo in cui ti trovi, seguendo il racconto degli 
Evangelisti. Puoi procedere allo stesso 
modo meditando sulla morte, come ti ho detto nella meditazione sulla stessa; 
come pure per quella sull’inferno e simili misteri dove ci troviamo di fronte a 
cose sensibili e visibili; per gli altri misteri: sulla grandezza di Dio, 
l’eccellenza delle virtù, il fine per il quale siamo stati creati, non possiamo 
usare questo procedimento basato sull’immaginazione, perché si tratta di realtà 
invisibili. Tuttavia possiamo sempre servirci di qualche similitudine o qualche 
paragone per aiutarci nella meditazione; ma non sono cose facili. Voglio 
parlartene con molta semplicità perché non vorrei che tu ti sentissi obbligata a 
impegnarti in invenzioni che ti farebbero soltanto distrarre. Aiutandoci con 
l’immaginazione, chiudiamo il nostro spirito nel mistero che vogliamo meditare, 
perché non si metta a correre qua e là. Proprio come si chiude un uccellino in 
gabbia o si lega lo sparviero alla catenella perché rimanga sul pugno. Qualcuno 
ti dirà che è meglio servirsi semplicemente della riflessione di fede e di una 
operazione esclusivamente mentale e spirituale, quando vogliamo rappresentarci 
questi misteri, o anche tener presente che tutto avviene all’interno del proprio 
spirito; ma sono modi troppo sottili per l’inizio, e fino a che Dio non ti 
innalzi un po’, ti consiglio, Filotea, di rimanere nella valle che ti vado 
indicando. 
Capitolo V 
SECONDA PARTE DELLA MEDITAZIONE: LE 
CONSIDERAZIONI All’operazione 
dell’immaginazione segue quella dell’intelletto, che noi chiamiamo meditazione; 
non è altro che una riflessione, o anche più di una, per muovere i nostri 
affetti verso Dio e le cose divine: in ciò la meditazione differisce dallo 
studio e da altri modi di pensare e di riflettere, che non si prefiggono 
l’acquisizione della virtù o dell’amor di Dio, ma qualche altro fine come il 
diventare dotti, per poi scriverne o dissertarne. Dopo aver dunque rinchiuso 
il tuo spirito, come ho detto, nell’ambito del soggetto su cui vuoi meditare, o 
con l’immaginazione, se si tratta di un soggetto sensibile, o per semplice 
presentazione, se non è sensibile, ti metterai a riflettere sul medesimo, 
seguendo la traccia che ti ho indicato con gli esempi concreti di meditazioni 
presentate nella prima parte. Se il tuo spirito ci si 
trova a suo agio, si sente illuminato e ricava frutto da una delle riflessioni, 
fermati e non andare oltre; proprio come le api che non lasciano il fiore 
fintanto che vi trovano miele. Ma se in nessuna delle considerazioni ti trovi a 
tuo agio, dopo aver provato e insistito per un po’, passa ad un’altra; tutta 
l’operazione deve essere sempre molto semplice e procedere senza fretta. 
Capitolo VI 
TERZA PARTE DELLA MEDITAZIONE: AFFETTI E 
PROPOSITI La meditazione arricchisce 
la volontà, che è la parte affettiva della nostra anima, di buoni movimenti, 
quali l’amore di Dio e del prossimo, il desiderio del Paradiso e della sua 
gloria, lo zelo per la salvezza delle anime, l’imitazione della vita di Nostro 
Signore, la pietà per gli altri, l’ammirazione, la gioia, il timore di cadere in 
disgrazia di Dio, del suo giudizio, dell’inferno, l’odio per il peccato, la 
fiducia nella bontà e nella misericordia di Dio, la vergogna per i disordini 
della vita passata: il nostro spirito deve esprimersi ed allargarsi il più 
possibile in questi affetti. Tuttavia, cara Filotea, 
non soffermarti troppo sugli affetti generali, ma mutali subito in propositi 
specifici e dettagliati per correggerti e liberarti dai difetti. Per esempio, la 
prima Parola che Nostro Signore disse sulla Croce, farà sorgere senz’altro nella 
tua anima un affetto che ti spingerà all’imitazione, ossia il desiderio di 
perdonare ed amare i tuoi nemici. Io ti dico che questo è poco se non ci 
aggiungi un proposito così formulato: Coraggio, allora, d’ora in poi non mi 
offenderò più di certe parole cattive del tal vicino o della tal vicina, del mio 
domestico o della mia domestica; e nemmeno di quelle ingiurie sprezzanti che mi 
sono stae rivolte da quell’altro. Al contrario farò questa o quella cosa gentile 
per conquistarlo, e così per gli altri. In tal modo, Filotea, in 
poco tempo correggerai le tue colpe, mentre, poggiando soltanto sugli affetti, 
ci metteresti molto di più e con un risultato dubbio. 
Capitolo VII 
LA CONCLUSIONE E IL MAZZETTO SPIRITUALE La meditazione va conclusa 
con tre azioni da compiersi con la massima umiltà. 
 A tutto ciò aggiungo che è 
necessario comporre un mazzetto di devozione; ed eccoti cosa voglio dire: chi 
passeggia in un bel giardino non ne esce volentieri senza cogliere qualche fiore 
da odorare e conservare: similmente il nostro spirito, dopo che si è immerso in 
un mistero con la meditazione, deve scegliere uno o due, o anche tre punti, che 
lo hanno colpito favorevolmente, e che sono più adatti al proprio progresso 
spirituale, per conservarli per il resto della giornata ed ogni tanto aspirarne 
il profumo. Questo si deve operare nel posto nel quale si è meditato, rimanendo 
fermi o passeggiando in solitudine per qualche tempo. 
Capitolo VIII 
CONSIGLI MOLTO UTILI SULLA MEDITAZIONE Uscendo dalla meditazione, 
Filotea, devi portare con te soprattutto i propositi e le decisioni prese, per 
metterle in pratica immediatamente, nella giornata. E’ questo il frutto 
irrinunciabile della meditazione; se manca, non soltanto la meditazione è 
inutile, ma spesso anche dannosa perché le virtù meditate, ma non praticate, 
gonfiano lo spirito di presunzione e finiamo per credere di essere quello che ci 
eravamo proposto di essere: noi potremo diventare come ci siamo proposti di 
essere soltanto quando i propositi saranno pieni di vita e solidi; non quando 
sono fiacchi e inconsistenti e quindi destinati a non venire attuati. Occorre, con ogni mezzo, 
fare sforzi per metterli in atto, approfittando di tutte le occasioni sia 
piccole che grandi: per esempio, se ho preso la risoluzione di conquistare con 
la dolcezza il cuore di coloro che mi offendono, cercherò, nel corso della 
giornata, di incontrarli per salutarli amabilmente; e se non mi sarà dato di 
incontrarli, perlomeno parlerò bene di loro e pregherò Dio per loro. 
 Uscendo dall’orazione che 
ha impegnato il cuore, devi fare attenzione a non provocargli scosse; 
rischieresti di rovesciare il balsamo raccolto con l’orazione. Intendo dire che, 
possibilmente, devi rimanere un po’ in silenzio e riportare per gradi il tuo 
cuore dall’orazione agli affari, conservando il più a lungo possibile i 
sentimenti e gli affetti fioriti in te. Un uomo che ha ricevuto in un bel vaso 
di porcellana un liquore di gran pregio da portare a casa, cammina con 
attenzione, senza voltarsi di lato, ma guarda solo davanti a sé, per paura di 
inciampare in un sasso o mettere un piede in fallo e tiene contemporaneamente 
d’occhio il vaso per non rovesciarlo. Tu devi fare la stessa 
cosa uscendo dalla meditazione: non distrarti di colpo, ma guarda soltanto 
davanti a te: ossia se devi incontrare qualcuno e prestargli attenzione, fallo 
pure, adattati alla necessità; ma senza perdere di vista il tuo cuore, perché il 
liquore prezioso dell’orazione si perda il meno possibile. Devi abituarti a passare 
dall’orazione a qualsiasi attività e occupazione che comporta la tua 
professione, anche quando può sembrare molto distante dagli affetti avuti 
nell’orazione. Voglio dire che un avvocato deve saper passare dall’orazione alla 
difesa della causa; il commerciante agli affari; la donna sposata ai doveri del 
suo matrimonio e della casa, con dolcezza e serenità, senza mettersi in 
angustia. Infatti essendo entrambi secondo la volontà di Dio, bisogna passare 
dall’una agli altri in umiltà e devozione. Qualche volta ti potrà 
capitare di sentirti trascinare dalla commozione immediatamente dopo la 
preparazione: in tal caso, Filotea, allenta le briglie e non pretendere di 
seguire il metodo che ti ho indicato; è vero che ordinariamente le 
considerazioni devono precedere gli affetti e i propositi, ma se lo Spirito 
Santo ti concede gli affetti prima delle considerazioni, non devi insistere a 
voler correre dietro alle considerazioni, visto che hanno il solo scopo di 
muovere gli affetti. In breve; in qualunque momento ti si presentano gli 
affetti, devi accoglierli e far loro posto, poco importa se prima o dopo le 
considerazioni. Ho messo gli affetti dopo 
tutte le considerazioni, soltanto per distinguere i vari momenti dell’orazione; 
è la regola generale: ma mai devi comprimere gli affetti. Lasciali sgorgare 
appena manifestano la presenza. Questo lo dico per tutti 
gli affetti, compreso il ringraziamento, l’offerta e la preghiera, che si 
possono fare in ogni momento durante le considerazioni; non bisogna frenarli, 
proprio come ti ho detto per gli affetti, anche se dopo, a conclusione della 
meditazione, debbono essere ripetuti nuovamente. Quanto invece ai 
propositi, devi formarli soltanto alla fine della meditazione, dopo gli affetti, 
perché, ricordandoci situazioni familiari e dettagliate, rischierebbero di farci 
distrarre se li facessimo insieme agli affetti. Tra gli affetti e i 
propositi, è bene far ricorso al colloquio, e parlare un po’ con Nostro Signore, 
con gli Angeli e con i personaggi del mistero, con i Santi e con se stessi, con 
i peccatori ed anche con le creature insensibili, come fa Davide nei Salmi e gli 
altri Santi nel corso delle loro meditazioni e orazioni. 
Capitolo IX 
LE ARIDITA’ CHE CI AFFLIGGONO NELLE 
MEDITAZIONI Se ti capita, o Filotea, 
di non provare alcuna attrattiva né alcuna consolazione nella meditazione, ti 
prego di non agitarti, ma apri la porta alle preghiere vocali: lamentati di te 
stessa con Nostro Signore, confessa la tua indegnità, pregalo di aiutarti, bacia 
la sua immagine, rivolgigli le parole di Giacobbe: Io non ti lascio, Signore, 
finché tu non mi abbia benedetto; o quelle della Cananea: Sì, Signore, io sono 
un cane, ma i cani mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei padroni. 
Altre volte prendi un libro e leggilo con attenzione fino a che il tuo spirito 
si riprenda pienamente; qualche volta sprona il cuore con atti e movimenti di 
devozione esteriore: prostrati per terra, metti le mani in croce sul petto, 
abbraccia il Crocifisso; questo, si capisce, se ti trovi in luogo appartato. E se, dopo tutto ciò, sei 
come prima, per quanto grande sia la tua aridità, non avvilirti, ma rimani con 
devoto contegno davanti a Dio. Quanti cortigiani, nel corso dell’anno, fanno 
cento volte l’anticamera del principe senza speranza di potergli parlare, ma 
soltanto per essere visti da lui e compiere il loro dovere. Così, mia cara 
Filotea, noi dobbiamo recarci all’orazione semplicemente per compiere il nostro 
dovere e dimostrare la nostra fedeltà. Che se poi piace alla divina Maestà di 
rivolgerci la parola e fermarsi con noi con le sue sante ispirazioni e 
consolazioni interiori, questo sarà per noi un grande onore e motivo di un 
piacere delizioso; ma se non ci fa questa grazia, non rivolgendoci la parola, 
come se non ci vedesse e come se non fossimo alla sua presenza, non per questo 
dobbiamo andarcene, anzi, al contrario, dobbiamo rimanere lì, davanti alla somma 
Bontà, con un contegno devoto e sereno; gradirà molto la nostra pazienza e 
noterà la nostra fedeltà e la nostra perseveranza; e quando ritorneremo davanti 
a Lui, ci favorirà e si fermerà con noi con le sue consolazioni, facendoci 
assaporare tutto il fascino dell’orazione. Ma anche se non dovesse 
farlo, accontentiamoci, Filotea; è già un grandissimo onore trovarci presso di 
Lui, al suo cospetto. 
Capitolo X 
ESERCIZIO DEL MATTINO Oltre a questa orazione 
mentale strutturata e completa, e altre preghiere vocali da dire durante il 
giorno, ci sono altre cinque forme di preghiere brevi e che sono come 
prolungamenti e fioriture della grande orazione. La prima è quella del mattino, 
che è una preparazione generale alla giornata. Ecco come devi farla: 
 
 
 
 
 Ti prego, Filotea, non 
trascurarlo mai! 
Capitolo XI 
L’ESERCIZIO DELLA SERA E L’ESAME DI COSCIENZA Prima del pranzo materiale 
hai fatto la meditazione, che è come un pranzo spirituale; allo stesso modo, 
prima di cena devi fare una piccola cena devota e spirituale, o almeno uno 
spuntino. Trova un po’ di tempo prima di cena, inginocchiati davanti a Dio, 
raccogli il tuo spirito vicino a Gesù Cristo crocifisso (che ti rappresenterai 
per mezzo di una riflessione semplice, come un’occhiata interiore), ravviva nel 
tuo cuore l’ardore della meditazione del mattino, per mezzo di una dozzina di 
vivaci aspirazioni, di atti di umiltà, e di slanci pieni d’amore verso il divin 
Salvatore della tua anima; se lo preferisci, potrai anche riprendere i punti più 
salienti della meditazione del mattino o scuoterti con qualche altro pensiero, a 
tuo piacere. Quanto all’esame di 
coscienza, che ognuno deve fare prima di coricarsi, tutti sanno come deve essere 
fatto. 
 
 Questo esercizio non deve 
mai essere tralasciato, come del resto quello del mattino; con quello del 
mattino spalanchi la tua finestra al sole di giustizia, con quello della sera, 
la sbarri alle tenebre dell’inferno. 
Capitolo XII 
IL RACCOGLIMENTO SPIRITUALE Ora, cara Filotea, ti 
auguro tanta buona volontà per seguire di cuore il mio consiglio: in questo 
capitolo ti porto a conoscenza di uno dei modi più sicuri per progredire 
spiritualmente. Durante il giorno 
mantieniti alla presenza di Dio con uno dei quattro mezzi che ti ho indicato 
(vedi cap. II); dà uno sguardo all’azione di Dio e alla tua. Scoprirai che Dio 
ha sempre gli occhi rivolti verso di te e ti guarda con infinito amore. Tu dirai 
allora: O Dio, perché anch’io non ti guardo senza stancarmi, come tu guardi me? 
Perché tu pensi tanto a me e io così poco a Te? Dove ci troviamo, anima mia? Il 
nostro posto è in Dio; ma dove ci troviamo? Allo stesso modo che gli uccelli 
hanno i nidi sugli alberi per potercisi rifugiare quando ne sentono il bisogno, 
e i cervi hanno i loro cespugli e i loro rifugi, dove si raccolgono e si mettono 
al riparo, godendosi il fresco e l’ombra in estate, così, o Filotea, il nostro 
cuore, ogni giorno, deve cercare e trovare un posto per potersi, all’occorrenza, 
raccogliere: o sul Calvario, o nelle piaghe di Nostro Signore, o in qualche 
luogo vicino. Potrà quivi sostare e ritemprarsi, pur tra le occupazioni 
esteriori, e difendersi, se necessario, come in una fortezza, dalle tentazioni. Beata l’anima che in tutta 
sincerità potrà dire al Signore: Tu sei il mio rifugio, il mio bastone di 
sicurezza, il tetto contro la pioggia, l’ombra che mi difende dal caldo. Ricordati sempre, Filotea, 
di raccoglierti spesso nella solitudine del tuo cure, mentre materialmente ti 
trovi coinvolta nelle conversazioni e negli affari; quella solitudine mentale 
non deve in alcun modo essere impedita da quelli che ti stanno intorno; infatti 
non si trovano intorno al tuo cuore, ma al tuo corpo; il tuo cuore può rimanere 
in solitudine in compagnia di Dio. Questo esercizio lo faceva 
anche Davide in mezzo a tutte le occupazioni, come ci risulta da un’infinità di 
passi dei Salmi, come, quando dice: Signore, io sono sempre con Te. Vedo il mio 
Dio costantemente davanti a me. Ho alzato gli occhi verso di te, mio Dio, che 
abito in Cielo. I miei occhi sono sempre in Dio. Abitualmente le 
conversazioni non sono così impegnative che non si possa, ogni tanto, sottrarre 
il cuore per condurlo in quella solitudine divina. I genitori di Santa 
Caterina da Siena le avevano tolto ogni comodità di luogo e di tempo per pregare 
e meditare; Nostro Signore le ispirò di farsi un piccolo oratorio spirituale 
nella propria anima, nel quale si raccoglieva mentalmente e così, pur in mezzo a 
tutte le occupazioni esteriori, poteva consacrarsi a quella santa solitudine di 
cuore. In seguito, quando il mondo l’assillava, non ne soffriva alcun danno, 
perché, come essa diceva, si chiudeva nella sua cameretta interiore, nella quale 
restava in dolce compagnia con il suo celeste sposo. Per questo consigliava ai 
suoi figli spirituali di procurarsi una camera nel proprio cuore per potervi 
sostare. Raccogli dunque qualche 
volta il tuo spirito nel tuo cure e lì, isolata dagli altri, potrai parlare con 
Dio, cuore a cuore, della tua anima e dirai con Davide: Ho vegliato e sono stato 
simile al pellicano nella solitudine; come un uccello notturno o un gufo tra le 
macerie, o come il passero solitario sul tetto. Queste parole, oltre al 
senso letterale (provano che quel grande Re prendeva qualche ora di solitudine 
per contemplare le cose spirituali), prese nel senso mistico, ci indicano tre 
luoghi di ritiro, come tre eremi, nei quali possiamo trovare la solitudine, 
seguendo l’esempio del Salvatore che sul Monte Calvario è come il pellicano del 
deserto, che, con il proprio sangue, ridà la vita ai piccoli morti; nella 
nascita in una stalla abbandonata, assomiglia al gufo tra le rovine che si 
lamenta e piange le nostre mancanze e i nostri peccati; nel giorno 
dell’ascensione è come il passero che si isola e sale al Cielo che è il tetto 
del mondo. In questi tre luoghi anche noi possiamo raccoglierci pur essendo 
circondati dal frastuono delle nostre occupazioni. Al Beato Eleazaro, conte 
di Arian in Provenza, che si trovava lontano da casa da molto tempo, la sua 
devota e casta Delfina mandò un messo per chiedere notizie della salute. 
Eleazaro rispose: "Sto bene, mia cara; se vuoi vedermi, cercami nella piaga del 
costato del dolce Gesù, perché è là che abito e là mi potrai trovare. Invano mi 
cercheresti altrove". Quello sì che era un cavaliere cristiano! 
Capitolo XIII 
LE ASPIRAZIONI, LE GIAGULATORIE E I BUONI 
PENSIERI Ci raccogliamo in Dio 
perché aspiriamo a Lui e aspiriamo a Lui per poterci in Lui raccogliere, di modo 
che l’aspirazione a Dio e il raccoglimento spirituale si sostengono a vicenda, 
ed entrambi hanno origine e nascono dai buoni pensieri. Aspira dunque spesso a 
Dio, Filotea, con slanci del cuore brevi ma ardenti: canta la sua bellezza, 
invoca il suo aiuto, gettati in ispirito ai piedi della croce, adora la sua 
bontà, interrogalo spesso sulla tua salvezza, donagli mille volte al giorno la 
tua anima, fissa i tuoi occhi interiori sulla sua dolcezza, tendigli la mano 
come fa un bambino con il papà, perché ti guidi; mettilo sul petto come un 
profumato mazzolino di fiori, innalzalo nella tua anima come uno stendardo e 
conduci il tuo cuore in mille modi alla ricerca dell’amore di Dio, e scuotilo 
perché giunga ad un appassionato e tenero amore per questo Sposo divino. 
 Questo è il modo di 
innalzare le orazioni giaculatorie, che il grande S. Agostino consigliava con 
tanto zelo alla devota Proba. Se il nostro spirito si mette a frequentare con 
intimità e familiarità il suo Dio, o Filotea, rimarrà profumato delle sue 
perfezioni; questo esercizio non disturba l’andamento della giornata perché può 
trovare posto tra gli affari e le occupazioni, senza recar loro alcun 
pregiudizio, poiché, nel raccoglimento spirituale, come in questi slanci 
interiori, si operano soltanto piccole e brevi interruzioni che non nuocciono a 
quello che stiamo facendo, ma anzi sono di giovamento. Il pellegrino che prende 
un sorso di vino per sollevare il cuore e rinfrescare la bocca, benché per fare 
questo sosti un po’, non si può dire che interrompa il viaggio, anzi recupera le 
forze per poi portarlo a termine con più celerità e maggior facilità; si ferma 
per poter proseguire più speditamente. Esistono molte raccolte di 
aspirazioni vocali, che sono veramente utili; ma, se tu mi ascolti, non devi 
legarti a nessuna formula, ma dire dentro di te o a voce, quelle che ti 
suggerirà il cuore sul momento; te ne suggerirà a volontà! E’ vero che ci sono certe 
massime che possiedono una forza particolare per dare soddisfazione al cuore in 
questo campo, come gli slanci profusi così abbondantemente nei Salmi di Davide, 
le varie invocazioni del nome di Gesù, e le espressione d’amore che si trovano 
nel Cantico dei Cantici. Anche i Canti spirituali possono servire allo scopo, 
purché siano cantati con attenzione. Voglio farti un paragone: 
coloro che si amano di un amore umano e naturale, hanno quasi costantemente il 
pensiero rivolto alla persona amata, il cuore trabocca di amore per lei, la 
bocca non fa che tesserne le lodi, e quando l’amata è assente manifestano la 
loro passione con lettere e non c’è albero su cui non lascino inciso il loro 
amore; allo stesso modo coloro che amano Dio non possono passare un momento 
senza pensare a Lui, respirare per Lui, tendere a Lui, parlare di Lui, e 
vorrebbero, se fosse possibile, incidere sul petto di tutti gli uomini il santo 
nome di Gesù. Tutte le creature ti 
invitano a questo. Non c’è creatura che non proclami la lode dell’Amato; dice S. 
Agostino, seguendo S. Antonio, che tutto ciò che esiste al mondo parla, magari 
con un linguaggio muto, del proprio amore; tutte le cose ti incitano a buoni 
pensieri, da cui vengono, per forza, slanci e aspirazioni a Dio. Eccone qualche 
esempio: S. Gregorio, Vescovo di 
Nazianzo, raccontava al popolo che, mentre un giorno passeggiava lungo la riva 
del mare, guardava le onde che, giungendo sulla spiaggia, lasciavano conchiglie 
e chiocciolette, ciuffi d’erba, ostriche e altri rifiuti che il mare rigettava, 
si potrebbe quasi dire, sputava sulla spiaggia; poi, ritornava con altre onde, 
riprendeva e inghiottiva di nuovo una parte del tutto. Gli scogli invece 
rimanevano ben saldi, nonostante che le onde li investissero con violenza. E 
fece questa riflessione: i deboli, come conchiglie, chiocciole e ciuffi d’erba 
si lasciano trascinare un momento nell’afflizione, un altro nella gioia, in 
balia delle onde della sorte; ma la gente che ha coraggio, rimane salda e 
immobile in mezzo a qualsiasi bufera. Da questo pensiero passava allo slancio di 
Davide: Signore, salvami, perché le acque sono penetrate fino in fondo 
all’anima; Signore, salvami dalle acque profonde; sono trascinato in fondo al 
mare, la tempesta mi fa affondare. Era un momento in cui era nella sofferenza, 
perché massimo aveva iniziato i suoi maneggi per usurpargli la Diocesi. S. Fulgenzio, Vescovo di 
Ruspe, trovandosi in una assemblea di nobili romani che veniva arringata da 
Teodorico re dei Goti, guardando tutta quella gente elegante, ognuno al proprio 
posto secondo il grado e il censo, disse: O Dio, quanto deve essere bella la 
Gerusalemme celeste se è tanto solenne la Roma terrestre! Se a coloro che amano 
la vanità in questo mondo è concesso tanto splendore, quale deve essere 
nell’altro mondo la gloria riservata agli amanti della verità! Si dice che S, Anselmo, 
Arcivescovo di Canterbury, per nascita onore delle nostre montagne, era 
eccezionale nel saper ricavare buoni pensieri: un leprotto, inseguito dai cani, 
si rifugiò sotto il cavallo del santo Vescovo, che, per caso, passava da quelle 
parti, per cercare protezione contro la morte che lo minacciava. I cani tutt’intorno 
abbaiavano, ma non avevano il coraggio di violare l’immunità cui la loro preda 
si era affidata; tutto il seguito scoppiò a ridere a quella scena. Ma non il 
grande Anselmo che, sospirando e con le lacrime agli occhi disse: Voi ridete, ma 
non ride la povera bestiola; i nemici dell’anima, perduta nel labirinto di molti 
peccati, l’aspettano al passaggio della morte per rapirla e sbranarla, ed essa, 
spaventata, cerca ovunque rifugio e protezione; se non ne trova ai suoi nemici 
non importa proprio nulla e se la ridono. E se ne andò pensieroso. Costantino il Grande aveva 
scritto una lettera a S. Antonio; ciò meravigliò molto i religiosi che gli 
stavano intorno. Antonio disse: Perché vi meravigliate che un Re scriva ad un 
uomo? Ammirate piuttosto che Dio eterno abbia scritto la sua legge ai mortali, 
anzi, abbia loro parlato direttamente per mezzo del Figlio! S. Francesco, vedendo una 
pecora, tutta sola in mezzo ad un gregge di capre, disse al suo compagno: Guarda 
com’è dolce quella pecora in mezzo a quelle capre; così era Nostro Signore, 
dolce e umile in mezzo ai Farisei! Un’altra volta, vedendo un 
agnello sbranato da un maiale piangendo esclamò: Piccolo agnellino, quanto mi 
ricordi la morte del mio Salvatore. Un grande personaggio e 
anche grande santo del nostro tempo, Francesco Borgia, quand’era ancora Duca di 
Candia, mentre andava a caccia si immergeva in molti pensieri spirituali come 
questo: Ammira come il falco ritorni sul pugno, si lasci bendare gli occhi e 
legare alla pertica, mentre gli uomini sono così ribelli alla voce di Dio! Il grande S. Basilio 
diceva che la rosa tra le spine è un insegnamento per gli uomini: Le cose più 
gradevoli di questo mondo, o mortali, sono frammiste a sofferenza. Niente è 
schietto: il rimpianto è sempre unito alla gioia, la vedovanza al matrimonio, la 
premura al risultato, l’umiliazione alla gloria, il prezzo agli onori, la 
ripugnanza alle delizie, la malattia alla buona salute. La rosa, dice il nostro 
Santo, è un bel fiore, ma mi dà una grande tristezza, perché mi ricorda il mio 
peccato, a causa del quale la terra è stata condannata a produrre spine. Un’anima devota, vedendo 
il cielo stellato, che si specchia nell’acqua limpida di un ruscello dirà: Mio 
Dio, queste stelle le avrò sotto i piedi quando mi avrai accolto nelle tue 
tende. E come le stelle del cielo le vedi specchiate sulla terra, allo stesso 
modo gli uomini della terra li vedi riflessi nel cielo della sorgente purissima 
della carità divina. Ci sarà anche chi, vedendo 
scorrere un fiume dirà: La mia anima non avrà riposo finché non si immerga nel 
mare profondo di Dio che è la sua origine. S. Francesca Romana, un 
giorno, mentre contemplava un ruscello, sulla cui sponda si era fermata a 
pregare, fu rapita in estasi e, senza sosta, ripeteva queste belle parole: La 
grazia del mio Dio scende con la dolcezza e la soavità di questo ruscello. Un altro, vedendo gli 
alberi in fiore, esclamerà: Perché solo io sono senza fiori nel giardino della 
Chiesa? Un altro, osservando dei 
pulcini raccolti sotto la chioccia, dirà: Signore, conservaci sotto la 
protezione delle tua ali. Un altro ancora, alla 
vista del girasole, penserà: Quando avverrà, Dio mio, che la mia anima segua le 
attrattive della tua bontà? Vedendo poi delle viole 
del pensiero coltivate, belle a vedersi, ma senza profumo, dirà: Ecco come sono 
i miei pensieri, belli a chiacchiere, ma poi non sanno di niente! Ecco, Filotea, come si 
possono ricavare buoni pensieri e sante ispirazioni dalle situazioni di questa 
vita mortale. Infelici sono coloro che distolgono le creature dal loro Creatore 
per ricondurle al peccato; beati invece quelli che indirizzano le creature alla 
gloria del loro Creatore e si servono del poco che sono per fare onore alla 
verità. S. Gregorio di Nazianzo dice di avere l’abitudine di indirizzare tutte 
le cose al profitto spirituale. Leggi il devoto epitaffio che S. Girolamo ha 
composto per S. Paola: è bello constatare come sia ricco delle ispirazioni e dei 
santi pensieri che la Santa sapeva ricavare da qualsiasi incontro. Nell’esercizio del 
raccoglimento spirituale e delle preghiere giaculatorie si trova la profonda 
radice della devozione: può supplire alla mancanza di tutte le altre forme di 
orazione. Ma se manca questo non c’è modo di rimediare. Senza questo esercizio non 
è possibile la vita contemplativa, anzi sarà mal condotta anche quella attiva; 
senza questo il riposo è ozio, il lavoro preoccupazione; perciò ti supplico di 
abbracciarlo con tutto il cuore, senza staccartene mai! 
Capitolo XIV 
COME ASCOLTARE LA SANTA MESSA 
 
 
 
 
 
 
 Ma se durante la Messa 
vuoi fare la tua meditazione sui misteri che stai seguendo giorno per giorno, 
non è necessario che tu segua queste indicazioni; sarà sufficiente che 
all’inizio manifesti la tua intenzione di voler adorare e offrire questo santo 
Sacrificio per mezzo della meditazione e dell’orazione, poiché in tutte le 
meditazioni ci sono, o esplicitamente o implicitamente, le operazioni sopra 
indicate. 
Capitolo XV 
GLI ALTRI ESERCIZI PUBBLICI E COMUNI Oltre a ciò, Filotea, le 
Domeniche e le Feste devi assistere, per quello che potrai, al canto delle Ore e 
dei Vespri; quelli sono giorni consacrati a Dio e bisogna fare qualcosa di più 
in suo onore e gloria. Proverai una infinita 
dolcezza spirituale, secondo quanto afferma S. Agostino nelle Confessioni: 
all’inizio della conversione, assistere agli Uffici divini, lo commuoveva fino 
alle lacrime. E poi (e voglio dirlo una 
volta per tutte), si ricava sempre maggior frutto e più consolazione dalle 
celebrazioni pubbliche della Chiesa, che non dalle devozioni personali; perché 
Dio ha così voluto dando la preferenza assoluta agli atti di comunità su quelli 
privati. Entra volentieri nelle 
Confraternite che trovi sul posto, soprattutto in quelle le cui pratiche offrono 
un frutto maggiore e più edificazione. Facendo così ti renderai molto gradita a 
Dio. E’ vero che Dio non ti fa obbligo di far parte delle Confraternite, ma te 
lo raccomanda la Chiesa che, a significare questo suo desiderio, le arricchisce 
di indulgenze e di altri privilegi. E poi, è sempre una cosa 
molto ben fatta unirsi ad altri e cooperare con essi per la riuscita di buoni 
progetti. Benché possa capitare di fare anche in privato pratiche di pietà 
altrettanto buone come quelle che si fanno in comune nell’ambito della 
Confraternita, e addirittura di trovare più trasporto in quelle private, 
ciononostante Dio è glorificato maggiormente dall’unione agli altri e dal 
contributo che noi diamo ai fratelli e al prossimo in un atto comune. Questo vale per tutte le 
preghiere e le devozioni pubbliche, alle quali, nella misura del possibile, 
dobbiamo dare il contributo del nostro buon esempio per l’edificazione del 
prossimo e il nostro affetto per la gloria di Dio e l’unione dei cuori in azioni 
comuni. 
Capitolo XVI 
BISOGNA ONORARE E INVOCARE I SANTI Spesso Dio ci fa giungere 
le sue ispirazioni per mezzo degli Angeli; perciò anche noi dobbiamo fare la 
stessa cosa indirizzando a Lui le nostre aspirazioni con lo stesso mezzo. Le anime sante dei defunti 
che ora si trovano in Paradiso, in compagnia degli Angeli, uguali ad essi, come 
dice Nostro Signore, hanno lo stesso ufficio: ispirarci con le loro preghiere e 
portare a Dio le nostre aspirazioni. Uniamo, Filotea, i nostri cuori a questi 
spiriti celesti e a queste anime beate: come il piccolo usignolo impara a 
cantare stando con i grandi, così, con questo scambio con i Santi, noi 
riusciremo a pregare e a cantare le lodi di Dio: Canterò i Salmi, dice Davide, 
davanti agli Angeli. Onora, riverisci e 
rispetta con amore speciale la santa e gloriosa Vergine Maria: ella è Madre del 
nostro Padre sovrano e perciò anche nostra cara nonna. Ricorriamo aLei quali 
nipotini, gettiamoci sulle sue ginocchia con assoluta fiducia; in ogni momento, 
in ogni circostanza, facciamo appello a questa dolce Madre, invochiamo il suo 
amore materno e, facendo ogni sforzo per imitare le sue virtù, abbiamo per Lei 
un sincero cuore di figli. Renditi molto amico degli 
Angeli; impara a vederli sempre presenti, anche se invisibili, nella tua vita; 
soprattutto ama e rispetta quello della Diocesi in cui ti trovi, quelli delle 
persone con le quali vivi, e in modo particolare il tuo; pregali spesso, prendi 
l’abitudine di lodarli, confida nel loro aiuto e nella loro assistenza per tutte 
le circostanze tanto spirituali che materiali, perché si prendano a cuore i tuoi 
progetti. Il grande Pietro Favre, 
primo sacerdote, primo predicatore, primo lettore di Teologia della santa 
Compagnia di Gesù, e primo compagno del Beato Ignazio, fondatore della stessa, 
tornando un giorno dalla Germania, dove aveva reso grandi servizi in onore di 
Nostro Signore, sostando nella nostra Diocesi, sua patria d’origine, raccontava 
che attraversando molti paesi eretici, aveva ricevuto infinite consolazioni nel 
salutare gli Angeli protettori delle parrocchie e diceva di averne sperimentato 
sensibilmente l’assistenza: lo avevano protetto dalle imboscate degli eretici, 
avevano reso molte anime aperte e docili nel ricevere la dottrina della 
salvezza. Lo esponeva con tanto calore che una donna, allora giovane, avendolo 
udito direttamente dalla sua bocca, lo ripeteva agli uditori ancora con profonda 
commozione, quattro anni fa, ossia sessanta anni dopo! L’anno scorso ho avuto la 
consolazione di consacrare un altare nel luogo dove nacque quel santo prete, nel 
villaggio di Villaret, tra le nostre più aspre montagne. Scegliti qualche santo 
particolare la cui vita e i cui esempi maggiormente ti invitano all’imitazione e 
nella cui intercessione ti trovi ad avere maggior fiducia: come quello del nome 
che porti e che ti è stato assegnato nel Battesimo. 
Capitolo XVII 
COME VA ASCOLTATA LA PAROLA DI DIO Devi essere devota alla 
Parola di Dio: sia che tu l’oda in conversazioni familiari assieme ai tuoi amici 
spirituali, sia nella solennità di un sermone, devi ascoltarla sempre con 
attenzione e rispetto. Ricavane profitto: non lasciarla cadere a terra, ma 
accoglila nel tuo cuore come un unguento prezioso, seguendo l’esempio della 
Santissima Vergine, che conservava con cura nel proprio, tutte le lodi dette in 
onore del Figlio. Ricordati che Nostro 
Signore accoglie le parole che gli rivolgiamo nelle preghiere, nella misura 
nella quale accogliamo quelle che Egli ci rivolge con la predicazione. Conserva 
presso di te sempre qualche buon libro di devozione, come quello di S. 
Bonaventura, il Combattimento Spirituale di Scupoli, le Confessioni
di S. Agostino, le Lettere di S. Girolamo e simili. Tutti i giorni 
leggine un brano con grande devozione, come leggeresti lettere inviate 
personalmente a te dai Santi del Cielo, per indicarti il cammino e darti 
coraggio di avviarti in esso. Leggi anche le Storie e le 
vite dei santi, nelle quali puoi vedere la vita cristiana, come in uno specchio; 
adatta le loro azioni ai casi della tua vita secondo il tuo stato. Benché molte 
azioni dei Santi non siano imitabili in senso letterale, da gente che vive nel 
mondo, hanno senz’altro qualche cosa da insegnarci o da vicino o da lontano; per 
esempio, puoi imitare la solitudine di Paolo, primo eremita, con il tuo 
raccoglimento spirituale e con quello reale, cose di cui in parte abbiamo 
parlato (cap.XII) e in parte parleremo (Parte V). Puoi imitare l’estrema povertà 
di S. Francesco con gli esercizi di povertà che ti proporremo (parte III), e 
così per il resto. Ti accorgerai che ci sono 
episodi più illuminanti di altri per la nostra vita, come la vita della Beata 
Madre Teresa, che è notevole per questo; la vita dei primi Gesuiti, quella di S. 
Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, di S. Luigi di Francia, di S. Bernardo, i 
fioretti di S. Francesco e altre. Ce ne sono anche di quelle 
che sono più adatte per essere ammirate che imitate, come quella di S. Maria 
Egiziaca, S. Simeone stilita, le due Caterine, da Siena e da Genova, di S. 
Angela e altre simili, che non per questo non sono una prova piacevole del 
grande amore di Dio. 
Capitolo XVIII 
COME VANNO ACCOLTE LE ISPIRAZIONI Chiamiamo ispirazioni gli 
inviti, i movimenti, i rimproveri, i rimorsi interiori, i lumi e le cognizioni 
che Dio genera in noi prevenendo il nostro cuore con le sue benedizioni, con 
attenzione e affetto di Padre per svegliarci, scuoterci, spingerci, attirarci 
verso la virtù, l’amore celeste, i buoni propositi: in breve, verso tutto ciò 
che ci mette in cammino per il nostro bene eterno. Lo Sposo lo chiama bussare 
alla porta e bussare al cuore della Sposa, svegliarla se dorme, invocarla e 
chiamarla quand’è assente, invitarla a gustare il miele e a cogliere i frutti e 
i fiori nel suo giardino, a cantare e a fare udire la voce alle sue orecchie. Tre sono i movimenti che 
si susseguono nella promessa sposa prima di giungere al matrimonio: in primo 
luogo le viene proposto il matrimonio, poi ella lo trova di suo gradimento, 
infine dà il suo consenso. Allo stesso modo, quando 
Dio vuole compiere in noi, per mezzo di noi e con noi un’opera di rilievo, in 
primo luogo ce la propone ispirandocela; poi tocca a noi esprimerci dicendo se 
ci piace; in terzo luogo aderiamo con il sì. Lo stesso processo lo 
seguiamo per cadere nel peccato: anche il tal caso i movimenti sono tre: la 
tentazione, il compiacimento, il consenso. Per conquistare le virtù i 
gradini sono sempre tre: l’ispirazione, che è il contrario della tentazione; il 
compiacimento nell’ispirazione che è il contrario del compiacimento nella 
tentazione; il consenso all’ispirazione, che è il contrario del consenso alla 
tentazione. Anche se l’ispirazione 
dovesse insistere per tutto l’arco della nostra vita, se non la trovassimo bella 
e piacevole, non saremmo in alcun modo accetti a Dio; anzi la sua divina Maestà 
ne sarebbe offesa, come lo fu nei confronti degli Israeliti, che aveva inseguito 
inutilmente per quarant’anni chiamandoli alla conversione senza trovare in essi 
risposta. Giurò che mai più li avrebbe fatti entrare nella sua pace. Così un signore che abbia 
per molto tempo corteggiato una giovane donna, sarebbe molto contrariato, se, 
dopo tutto, lei non volesse saperne di matrimonio. Il piacere che si prova 
nelle ispirazioni è un avvio determinante alla gloria di Dio e in tal modo si 
comincia ad essere graditi alla divina Maestà; benché questo compiacimento non 
sia ancora un consenso pieno, perlomeno è una disposizione favorevole. Se è vero che è un buon 
segno e cosa molto utile compiacersi nell’ascolto della Parola di Dio, tanto che 
possiamo considerarlo un’ispirazione esteriore, è cosa altrettanto buona e 
gradita a Dio compiacersi nell’ispirazione interiore: è quel piacere di cui 
parla la Sposa quando dice: la mia anima si è sciolta di piacere, quand’ho udito 
la voce dell’amato. Il gentiluomo è 
soddisfatto quando vede che la dama che egli serve è contenta del suo servizio. In conclusione è il 
consenso che completa l’atto virtuoso: perché anche se ispirati e contenti 
dell’ispirazione, neghiamo poi il consenso a Dio, siamo degli ingrati e 
offendiamo gravemente la Maestà divina, perché il disprezzo sembra ancora 
maggiore. E’ quanto capitò alla Sposa, perché, pur avendole il canto del suo 
Amato toccato il cuore di piacere, ella non gli aprì la porta e si scusò con una 
ragione sciocca. Lo Sposo si indignò, passò oltre e se ne andò. Così un gentiluomo che 
dopo aver corteggiato lungamente una donna e averle reso gentilmente servizio, 
si vede alla fine respinto e disprezzato, avrà senz’altro più motivo di 
risentimento di quanto ne avrebbe avuto se fosse stato subito accolto male e 
trattato peggio. Risolviti, Filotea, ad 
accettare di buon cuore tutte le ispirazioni che Dio vorrà mandarti. Quando ti 
giungeranno accoglile come ambasciatrici del Re del Cielo, che vuole unirsi in 
matrimonio con te. Ascolta con cuore sereno quello che ti propongono; considera 
l’amore che te le ha fatte mandare e trattale bene. Acconsenti con un’adesione 
piena d’amore e fedele all’ispirazione; in modo che Dio, che non sei in grado di 
costringere, si sentirà fortemente obbligato dal tuo affetto. Ma prima di dare 
il consenso alle ispirazioni per cose importanti e straordinarie, per non 
rischiare di cadere in inganno, consigliati sempre con la tua guida, perché 
esamini se l’ispirazione è vera o falsa. Se il nemico vede un’anima pronta a 
consentire alle ispirazioni, gliene propone subito di false per trarla in 
inganno; cosa che gli sarà impossibile se ella, con umiltà, ubbidirà a chi la 
conduce. Una volta dato il 
consenso, bisogna far sì che abbia seguito e l’ispirazione si attui: questo è il 
culmine della virtù autentica. Consentire nel cuore senza passare ai fatti, è 
come piantare una vigna senza volerne frutto. A questo scopo è molto utile 
praticare l’esercizio del mattino e il raccoglimento spirituale, indicati sopra. 
Il tal modo non solo ci prepariamo a fare in modo generico il bene, ma 
concretamente lo realizziamo. 
Capitolo XIX 
LA SANTA CONFESSIONE Il nostro Salvatore ha 
lasciato alla sua Chiesa il sacramento della Penitenza o Confessione perché 
potessimo purificarci dalle nostre iniquità, per numerose che siano, tutte le 
volte che ci infanghiamo. 
 Perciò, Filotea, non 
tollerare mai per lungo tempo che il tuo cure rimanga contagiato dal peccato, 
disponendo tu di un rimedio sempre pronto e facile da applicare. La leonessa che 
si è unita ad un leopardo corre immediatamente a lavarsi per togliere da sé il 
lezzo, perché il leone, avvertendolo, non si adombri e si irriti. L’anima che ha 
acconsentito al peccato deve avere orrore di se stessa e ripulirsi 
immediatamente, per rispetto alla Maestà divina che sempre la segue. Perché 
vogliamo lasciarci morire spiritualmente quando abbiamo a disposizione un 
rimedio così sicuro? Confessati devotamente e 
umilmente ogni otto giorni, e, se puoi, ogni volta fai la comunione, anche se 
non avverti nella coscienza il rimorso di alcun peccato mortale. In tal caso, 
con la confessione, non soltanto riceverai l’assoluzione dei peccati veniali 
confessati, ma anche una grande forza per evitarli in avvenire, una grande 
chiarezza per distinguerli e una efficace grazia per rimediare a tutto il danno 
che ti hanno causato. Praticherai la virtù dell’umiltà, dell’obbedienza, della 
semplicità e della carità; con il solo atto della Confessione praticherai più 
virtù che con qualsiasi altro. Abbi sempre un sincero 
dispiacere dei peccati che confessi, per piccoli che siano, e prendi una ferma 
decisione di correggerti. Molti si confessano dei peccati veniali per abitudine, 
quasi meccanicamente, senza pensare minimamente ad eliminarli; e così per tutta 
la vita ne saranno dominati e perderanno molti beni e frutti spirituali. Se, per esempio, ti 
confessi di aver mentito senza recar danno, o di aver detto qualche parola 
grossolana, o di aver giocato troppo, pentiti e fa proposito di correggerti; è 
un abuso confessare un peccato, sia mortale che veniale, senza aver intenzione 
di emendarsene, perché la Confessione è stata istituita proprio per quello 
scopo. Non fare accuse generiche, 
come fanno molti, in modo macchinale, tipo queste: Non ho amato Dio come era mio 
dovere; Non ho ricevuto i Sacramenti con il rispetto dovuto, e simili. Ti 
chiarisco il motivo: Ciò dicendo tu non offri alcuna indicazione particolare che 
possa dare al confessore un’idea dello stato della tua coscienza; tutti i Santi 
del Paradiso e tutti gli uomini della terra potrebbero dire tranquillamente la 
stessa cosa. Cerca qual è la ragione specifica dell’accusa, una volta trovata, 
accusati della mancanza commessa con semplicità e naturalezza. Se, per esempio, ti accusi 
di non avere amato il prossimo come avresti dovuto, può darsi che si sia 
trattato di un povero veramente bisognoso che tu non hai aiutato come avresti 
potuto o per negligenza, o per durezza di cuore, o per disprezzo; vedi un po’ tu 
il motivo! Similmente non accusarti 
di non aver pregato Dio con la dovuta devozione; ma specifica se hai avuto delle 
distrazioni volontarie perché non hai avuto cura di scegliere il luogo, il tempo 
e il contegno atti a favorire l’attenzione nella preghiera; accusati con 
semplicità di quello in cui trovi di aver mancato, senza ricorrere a quelle 
espressioni generiche che, nella confessione, non fanno né caldo né freddo. Non accontentarti di 
raccontare i tuoi peccati veniali solo come fatto; accusati anche del motivo che 
ti ci ha portato. Non dimenticarti, per 
esempio, di dire che hai mentito senza coinvolgere nessuno; ma chiarisci, se è 
stato per vanità, se era per vantarti o scusarti, o per gioco, o per 
cocciutaggine. Se hai peccato nel gioco, specifica se è stato per soldi, o per 
il piacere della conversazione, e così via. Dì anche se sei rimasto 
per lungo tempo nel tuo male, perché, in genere, il tempo aggrava il peccato. 
C’è molta differenza tra la vanità di un momento, che ha occupato il nostro 
spirito sì e no per un quarto d’ora, e quella nella quale il nostro cuore è 
rimasto immerso per uno, due o tre giorni! In conclusione, bisogna 
esporre il fatto, il motivo e la durata dei nostri peccati; perché, anche se 
comunemente non siamo obbligati ad essere così esatti nel dichiarare i nostri 
peccati veniali, anzi non siamo nemmeno obbligati a confessarli, è pur sempre 
vero che coloro che vogliono pulire per bene l’anima per raggiungere più 
speditamente la santa devozione, devono avere molta cura di descrivere al medico 
spirituale il male, per piccolo che sia, se vogliono guarire. Non trascurare di 
aggiungere quanto serve per far capire il tipo dell’offesa, come il motivo che 
ti ha fatto montare in collera, o ti ha fatto accettare il vizio di qualcuno. 
Per esempio, se un uomo che non mi va a genio, mi provoca con qualche leggera 
parola per ischerzo, io la prendo a male e monto in collera: cosa che se 
l’avesse fatta un altro che mi è simpatico, l’avrei accettata, anche se avesse 
caricato la dose. Preciserò dunque con 
chiarezza: Mi sono lasciato trasportare a parole di collera contro una persona, 
perché ho preso a male ciò che mi aveva detto, non per le parole in se stesse, 
ma perché mi è antipatico colui che le ha dette. E se fosse necessario 
precisare le parole per farti capire meglio, penso che faresti bene a dirle. 
Accusandoci in questo modo, con naturalezza, non solo mettiamo fuori i peccati 
fatti, ma anche le cattive inclinazioni, le usanze, le abitudini e le altre 
radici del peccato, in modo che il padre spirituale abbia una chiara conoscenza 
del cuore che gli è affidato e quindi predisponga i rimedi più opportuni. 
Tuttavia non fare il nome di chi ha eventualmente cooperato al tuo peccato, 
almeno finché ti sarà possibile. Fa attenzione a numerosi 
peccati che vivono e spadroneggiano, spesso senza essere avvertiti, nella 
coscienza e accusali per potertene liberare; a questo fine leggi attentamente i 
Capitoli VI, XXVII, XXVIII, XXIX, XXXV e XXXVI della III parte e il Capitolo 
VIII della IV parte. Non cambiare facilmente di 
confessore, ma scegline uno e rendigli conto della tua coscienza nei giorni che 
avrai stabilito; e digli con naturalezza e franchezza i peccati commessi; di 
tanto in tanto, ogni mese o ogni due mesi, digli anche a che punto sei con le 
inclinazioni, benché in quelle non ci sia peccato; digli se sei afflitta dalla 
tristezza, dal rimpianto, se sei invece portata alla gioia, al desiderio di 
acquisire ricchezze, e simili inclinazioni. 
Capitolo XX 
LA COMUNIONE FREQUENTE Si dice che Mitridate, re 
del Ponto, avesse inventato un veleno con il quale aveva talmente rinvigorito il 
proprio organismo, che, quando volle avvelenarsi per sfuggire alla schiavitù dei 
Romani, non riuscì a portare a compimento il proposito. Il Salvatore ha istituito 
l’augusto sacramento dell’Eucarestia, che contiene realmente la sua carne e il 
suo sangue, affinché chi ne mangia viva eternamente. Ecco perché, chiunque vi 
ricorre spesso con devozione, rinforza talmente la salute e la vitalità 
dell’anima, che è quasi impossibile che rimanga avvelenata dai cattivi affetti 
di qualunque sorta siano. Non è possibile nutrirsi 
di questo cibo di vita e continuare a vivere gli affetti di morte; allo stesso 
modo che gli uomini nel paradiso terrestre non avrebbero potuto morire quanto al 
corpo in virtù del frutto della vita del Signore vi aveva collocato, così essi 
non possono morire spiritualmente in virtù di questo sacramento di vita. Se è vero che i frutti più 
teneri, soggetti a corrompersi, come le ciliegie, le albicocche e le fragole, si 
conservano facilmente tutto l’anno una volta canditi nello zucchero e nel miele, 
nessuna meraviglia che i nostri cuori, benché fragili e deboli, siano resi 
immuni dalla corruzione del peccato quando sono trattati con quello zucchero e 
quel miele che sono la carne e il sangue incorruttibili del Figlio di Dio. O 
Filotea, i cristiani che saranno condannati, resteranno senza parola allorché il 
Giudice giusto rinfaccerà loro il torto che hanno avuto di lasciarsi morire 
spiritualmente, quando era loro così facile mantenersi in vita e buona salute 
nutrendosi del suo Corpo offerto a tal fine. Miserabili, dirà loro. Come avete 
potuto lasciarvi morire, quando avevate l’ordine di nutrirvi del cibo di vita? "Io non lodo e non biasimo 
il fatto di ricevere la comunione eucaristica tutti i giorni; ma consiglio ed 
esorto ciascuno a fare la comunione tutte le Domeniche, purché lo spirito non 
abbia affetti al peccato". Sono parole testuali di S. 
Agostino, al quale mi associo non biasimando e non lodando chi fa la comunione 
tutti i giorni; lascio la decisione su questo punto alla discrezione del Padre 
spirituale di chi vorrà prendere decisioni a questo proposito; infatti le 
disposizioni per accostarsi così di frequente alla santa comunione devono essere 
di un livello di perfezione, che non è opportuno dare in materia un parere 
generico. D’altra parte, siccome tali disposizioni, benché richiedono un livello 
di perfezione alto, possono trovarsi in molte anime buone, non è nemmeno bene 
distogliere e dissuadere tutti. Va deciso dopo aver preso in esame lo stato 
interiore di ciascuno in particolare. Sarebbe imprudente 
consigliare a tutti indiscriminatamente la comunione frequente; ma sarebbe 
ugualmente imprudente biasimare chi la facesse, soprattutto quando c’è di mezzo 
il parere di un prudente direttore di spirito. Bella la risposta di S, Caterina 
da Siena, quando, a proposito della sua comunione quotidiana, le fu citato S. 
Agostino che non loda e non biasima chi si comunica tutti i giorni: Ebbene, 
disse, poiché S. Agostino non lo biasima, prego anche voi di fare altrettanto, e 
mi basta. Ma vedi bene, Filotea, che 
S. Agostino esorta e consiglia con forza di fare la comunione tutte le 
domeniche; falla anche tu più spesso che puoi. Giacché, io lo credo, tu non hai 
alcun affetto al peccato mortale, e nemmeno al peccato veniale, sei nella 
disposizione richiesta da S. Agostino, e anche qualcosa di più; perché non solo 
non hai l’affetto a peccare, ma non hai nemmeno l’affetto al peccato. Sicché se 
il tuo padre spirituale lo trova bene, puoi fare la comunione anche più spesso 
di ogni domenica. Possono tuttavia sorgere 
molte difficoltà, non da parte tua, ma da parte di coloro che vivono con te, che 
potrebbero consigliare al tuo saggio direttore di non farti comunicare così 
spesso. Se, per esempio, tu sei sottomessa a qualcuno, e coloro cui devi 
obbedienza e rispetto siano così mal istruiti e così strani da sentirsi inquieti 
e turbati nel vederti fare la comunione così spesso, nel caso, tutto 
considerato, sarà bene andare incontro alla loro malattia e fare la comunione 
soltanto ogni quindici giorni; ciò solo nel caso che la difficoltà non possa 
esse superata in altro modo. In questo campo non bisogna dare direttive 
generali, occorre stare a quanto dice il padre spirituale; tuttavia mi sento in 
obbligo di affermare con certezza che la massima distanza tra una comunione e 
l’altra non deve superare il mese, almeno in quelli che intendono servire Dio 
devotamente. Se sai essere molto 
prudente, non c’è né madre, né moglie, né marito, né padre che ti impedisca di 
comunicare spesso: e sai perché. Perché il giorno in cui avrai fatto la 
comunione, non diminuirai la cura per quello che fa parte dei doveri del tuo 
stato, anzi sarai più dolce e gentile e non rifiuterai l’adempimento di nessun 
dovere; la conseguenza sarà che gli altri non avranno alcun interesse a 
distoglierti da questo esercizio che non causa loro alcun pregiudizio; a meno 
che non siano gretti e incapaci di ragionare; in tal caso, come già detto, usa 
condiscendenza, secondo il consiglio del tuo direttore. Devo aggiungere una parola 
per la gente sposata: Dio, nell’antica Legge, trovava cosa fatta male che i 
creditori esigessero il loro debito nei giorni di festa; ma non se l’aveva a 
male se il debitore pagava e rendeva il debito a chi lo esigeva. E’ cosa poco 
conveniente, benché non sia un grande peccato, chiedere la soddisfazione del 
debito coniugale nel giorno in cui si è fatta la comunione; ma non è 
sconveniente, anzi direi che è meritorio, renderlo. Ecco perché a causa di tali 
doveri, nessuno deve essere privato della Comunione, quando la sua devozione lo 
spinge a chiederla. Nella Chiesa primitiva i cristiani comunicavano tutti i 
giorni, pur essendo sposati e benedetti da tanti figli; ecco perché ho detto che 
la comunione frequente non deve generare alcuna sorta di problemi né ai papà, né 
alle mamme, né ai mariti, né alle mogli purché l’anima che si accosta alla 
comunione sia prudente e discreta. Quanto alle malattie 
corporali non ce n’è alcuna che impedisca questa santa partecipazione, eccetto 
quelle che causano vomito molto frequente. Per fare la comunione ogni 
otto giorni occorre non avere peccati mortali e non avere affetto al peccato 
veniale, e avere un grande desiderio di fare la comunione; ma per fare la 
comunione tutti i giorni, oltre a ciò, bisogna aver superato la maggior parte 
delle cattive inclinazioni ed avere il parere favorevole del padre spirituale. 
Capitolo XXI 
COME BISOGNA FARE LA COMUNIONE La preparazione alla santa 
Comunione comincia la sera precedente, con molte aspirazioni e slanci d’amore. 
Ritirati per tempo in camera tua, prima del solito; così il mattino seguente 
sarai pronta per alzarti più presto. Se durante la notte dovessi svegliarti, 
metti subito nel cuore e sulla bocca qualche pensiero odoroso, per profumare la 
tua anima e prepararla a ricevere lo sposo che veglia mentre dormi e si prepara 
ad arricchirti di infinite grazie e favori se sei pronta a riceverli. Al mattino alzati con 
grande gioia per la felicità che speri e, dopo esserti confessata, va, con 
grande fiducia, ma anche con grande umiltà, a ricevere quel cibo celeste che ti 
nutre per l’immortalità. Dopo aver pronunciato le sante parole: Signore, non 
sono degna, non muovere più né la testa né le labbra, non per pregare e ancor 
meno per sospirare, ma apri dolcemente e mediamente la bocca e, alzando la testa 
quel tanto che basta perché il sacerdote veda quello che fa, ricevi piena di 
fede, di speranza e di carità Colui al quale, il quale, per il quale e nel quale 
tu credi, speri, bruci d’amore. Filotea, immaginati che, 
simile all’ape che dopo aver raccolto sui fiori la rugiada del cielo, e il succo 
più squisito della terra lo trasforma in miele e lo trasporta nella sua arnia; 
il sacerdote sull’altare prende tra le mani il Salvatore del mondo, vero Figlio 
di Dio, simile a rugiada discesa dal cielo e vero Figlio della Vergine, simile a 
fiore sbocciato dalla terra della nostra umanità, e lo offre in cibo di soavità 
alla tua bocca e al tuo corpo. Appena Gesù è in te scuoti 
il cuore perché venga a rendere omaggio al re della salvezza; esamina con lui la 
tua situazione interiore, pensa che hai in te e che c’è venuto per la tua 
felicità; accoglilo meglio che puoi e comportati in modo tale che si veda, da 
tutte le tue azioni, che Dio è con te. Ma se non avessi la grazia 
di comunicare realmente nella santa Messa, comunicati almeno con il cuore e lo 
spirito, unendoti con un ardente desiderio alla carne del Salvatore. La tua prima intenzione 
nella comunione deve essere di progredire, fortificarti e stabilizzarti 
nell’amore di Dio; perché quello che ti è dato soltanto per amore, tu lo devi 
ricevere con amore. Non è possibile immaginare il Salvatore impegnato in 
un’azione più piena di amore e più tenera di questa, nella quale, si può dire 
che distrugga se stesso riducendosi in cibo per entrare nelle nostre anime e 
unirsi intimamente al cuore e al corpo dei fedeli. Se ti domandano perché tu 
fai la comunione così spesso, rispondi che è per imparare ad amare Dio, per 
purificarti dalle imperfezioni, per liberarti dalle miserie, per consolarti 
nelle afflizioni, per trovare sostegno nelle debolezze. Rispondi che sono due le 
categorie di persone che devono fare spesso la comunione: i perfetti, perché, 
essendo ben disposti, farebbero molto male a non accostarsi alla sorgente della 
perfezione; e gli imperfetti, per poter camminare verso la perfezione; i forti 
per non rischiare di scoprirsi deboli, e i deboli per diventare forti; i malati 
per guarire e i sani per non ammalarsi; tu poi, creatura imperfetta, debole e 
ammalata, hai bisogno di comunicare spesso con la perfezione, la forza e il 
medico. Rispondi che coloro i 
quali non hanno molte occupazioni, devono fare la comunione perché ne hanno il 
tempo; quelli invece che sono molto occupati, la devono fare perché ne hanno 
bisogno, perché chi lavora molto ed è carico di preoccupazioni deve nutrirsi di 
cibi sostanziosi e mangiare spesso. Comunicati spesso, 
Filotea, più spesso che puoi, secondo il parere del tuo padre spirituale; e 
credimi, le lepri, qui da noi, sulle nostre montagne, in inverno diventano 
bianche perché non vedono e non mangiano che neve; anche tu, a forza di adorare 
e di nutrirti di bellezza, di bontà e della stessa purezza di questo Divin 
Sacramento, diventerai bella, santa e pura.   
TERZA PARTE 
Contiene molti consigli per l’esercizio delle 
virtù 
 
  
Capitolo I 
LA SCELTA NECESSARIA NELL’ESERCIZIO DELLE 
VIRTU’ Come la regina delle api 
non esce mai senza essere circondata da tutto il suo piccolo popolo, così la 
carità non entra mai in un cuore senza condurre al suo seguito tutte le altre 
virtù. Come un buon capitano le mantiene tutte in esercizio e le impiega in vari 
compiti, come soldati: chi per un servizio, chi per un altro; chi in un modo, 
chi in un altro; chi prima e chi dopo; chi in questo luogo chi in quell’altro. Il giusto è come un albero 
piantato lungo un corso d’acqua che porta i frutti nella sua stagione. Quando la 
carità entra in un’anima, produce in essa frutti di virtù, ciascuno a suo tempo. La musica briosa, tanto 
gradevole in sé, può essere fuori luogo in un lutto. Sono molti ad avere il 
difetto che ora ti dico: siccome si sono impegnati in una determinata virtù, si 
intestardiscono a volerla praticare in tutte le circostanze, e vogliono o 
piangere senza interruzione o ridere senza fine; proprio come certi antichi 
filosofi. Anzi, fanno di peggio: trovano da ridire e coprono di biasimo quelli 
che non li seguono nell’esercizio delle "loro" virtù. L’Apostolo dice che 
bisogna rallegrarsi con quelli che sono contenti e piangere con quelli che sono 
afflitti; dice anche che la carità è paziente e benevola, aperta e prudente, 
accondiscendente. Ci sono, a dire il vero, 
delle virtù che hanno un impiego quasi universale, per cui, non soltanto non 
devono essere praticate separatamente, ma anzi devono arricchire delle loro 
qualità gli atti di tutte le altre virtù. Per esempio, le occasioni di praticare 
la forza, la magnanimità, la munificenza, non sono molto frequenti; altre virtù 
invece, come la dolcezza, la temperanza, l’onestà e l’umiltà devono dare colore 
e splendore agli atti di tutte le altre virtù. Non è che non ci siano virtù 
superiori in eccellenza; ma il fatto è che queste sono richieste con maggior 
frequenza. Lo zucchero è più buono del sale, ma il sale ha un impiego più 
frequente e più generale. Questa è la ragione per la quale occorre avere sempre 
pronta una buona provvista di queste virtù generali. Si può dire che il loro 
impiego sia necessario quasi ininterrottamente. Nell’esercizio delle virtù 
dobbiamo dare la precedenza a quelle più utili al compimento del nostro dovere, 
non a quelle che ci piacciono di più. A Santa Paola piacevano le asprezze delle 
mortificazioni corporali per godere più facilmente delle dolcezze dello spirito, 
ma il suo primo dovere era l’obbedienza ai superiori; questa è la ragione per la 
quale S. Girolamo dice che era da riprendere perché si dava a digiuni 
incontrollati contro il parere del suo Vescovo. Gli Apostoli, per contro, 
istituiti per predicare il Vangelo e distribuire il pane celeste alle anime, 
giudicarono cosa molto ben fatta, per poter esercitare tale mansione senza 
distrazioni, tralasciare la pratica della virtù della cura dei poveri, che pure, 
in sé, è ottima. 
 Ogni vocazione ha le sue 
virtù particolari: le virtù proprie di un Vescovo non sono quelle di un 
principe; le virtù adatte ad un soldato non sono quelle di una donna sposata; 
quelle di una vedova, sono altre ancora. E’ vero che tutti devono possedere 
tutte le virtù, ma questo non vuol dire che debbano praticarle allo stesso modo; 
ognuno deve impegnarsi in modo tutto speciale in quello proprie dello stato cui 
è stato chiamato. Tra le virtù che non 
riguardano in modo specifico il nostro stato, dobbiamo dare la preferenza alle 
migliori e non alle più appariscenti. Alla vista le comete sembrano più grandi 
delle stelle e ai nostri occhi hanno una dimensione maggiore; e invece non sono 
nemmeno paragonabili alle stelle, né per grandezza, né per luminosità; ci 
sembrano più grandi solo perché sono più vicine a noi e composte di materiale 
più grossolano di quello delle stelle. Lo stesso avviene per 
certe virtù che, per il fatto che sono più vicine a noi, sono sensibili e direi 
quasi palpabili, il popolino le stima molto e le preferisce. Per questo rimane più 
colpito dall’elemosina materiale che da quella spirituale; antepone il cilicio, 
il digiuno, la nudità, la disciplina e le mortificazioni del corpo alla 
dolcezza, alla bontà, alla modestia e altre mortificazioni del cuore: se 
vogliamo essere onesti, queste ultime sono di molto migliori. Tu, Filotea, devi 
scegliere le virtù più consistenti, non quelle che godono di maggior stima; le 
più efficaci, non le più appariscenti; le migliori, non le più onorate. E’ bene che ognuno scelga 
l’esercizio particolarmente intenso di qualche virtù, non per questo 
abbandonando le altre , ma per tenere sempre abitualmente il proprio spirito 
ordinato e occupato. Una giovane donna, 
bellissima, splendida più del sole, vestita come una regina, cinta di una corona 
di olivo, apparve a S. Giovanni, Vescovo di Alessandria e gli disse: Sono la 
figlia primogenita del Re, se mi accetti come amica ti condurrò alla sua 
presenza. La riconobbe, era la Misericordia verso i poveri che Dio voleva da 
lui. Vi si consacrò con tanta assiduità che fu chiamato S. Giovanni 
Elemosiniere. Eulogio di Alessandria 
desiderava compiere qualche cosa di speciale per il Signore: siccome non aveva 
abbastanza salute per abbracciare la vita dell’eremita o per porsi sotto 
l’obbedienza di un altro, accolse presso di sé un emarginato dalla società, 
campione di ogni vizio e ladroneria, per esercitare nei suoi confronti la carità 
e la mortificazione; per farlo ancora meglio fece voto di onorarlo, trattarlo e 
servirlo come un domestico nei confronti del suo padrone e signore. Ad un certo 
momento, sia l’uno che l’altro, ebbero la tentazione di separarsi; chiesero 
consiglio al grande S. Antonio che disse: Figli miei, guardatevi bene dal 
separarvi uno dall’altro; siete oramai prossimi alla vostra fine, e se l’Angelo 
non vi trova insieme, correte grande pericolo di perdere le vostre corone. Il Re S. Luigi considerava 
un premio visitare gli ospedali e serviva gli ammalati di persona. S.Francesco amava tanto la 
povertà, che la chiamava la sua signora; S. Domenico invece, amava tanto la 
predicazione, che ne ha dato il nome ai suoi Frati. S. Gregorio il Grande, 
sull’esempio di Abramo, trattava i pellegrini con affetto, e il Re della gloria 
gli fece lo stesso onore che aveva fatto al Patriarca Abramo presentandosi a lui 
in veste di pellegrino. Tobia esercitava la virtù 
della sepoltura dei morti. S. Elisabetta, che pure era una grande principessa, 
amava l’abiezione di se stessa. S. Caterina da Genova, rimasta vedova, si 
consacrò al servizio degli ospedali. Cassiano racconta che una ragazza devota, 
volendo esercitare la virtù della pazienza, ricorse a S. Atanasio, che le pose a 
fianco una vedova triste, collerica, dispettosa, insofferente che, aggredendola 
senza interruzione, le diede modo di praticare alla perfezione la dolcezza e la 
condiscendenza. Tra i Servitori di Dio c’è 
chi si impegna nel servizio dei malati, chi ad aiutare i poveri, chi a 
promuovere la conoscenza della dottrina cristiana tra i piccoli, chi a radunare 
le anime perdute o smarrite, chi a preparare le chiese e ad ornare gli altari, 
chi a procurare la pace e la concordia tra gli uomini. In ciò imitano i 
ricamatori, i quali, su fondi diversi, dispongono in studiata varietà le sete, 
l’oro, l’argento, per formare fiori di ogni specie; la stessa cosa fanno quelle 
anime pie che iniziano uno speciale esercizio di devozione. Tale devozione serve 
loro da fondo per il ricamo spirituale, sul quale poi impostano le variazioni di 
tutte le altre virtù; in tal modo mantengono i loro atti e i loro affetti uniti 
e ordinati proprio in forza del rapporto in cui mantengono le singole virtù con 
la principale. Per tale motivo il loro spirito appare nel suo bel vestito di 
broccato d’oro ricamato e trapunto di vari motivo all’ago. Quando siamo combattuti da 
qualche vizio, abbracciamo la virtù contraria, sempre che siamo in condizione di 
farlo, riconducendo le altre a quella. In tal modo sconfiggeremo il nemico e 
continueremo a progredire in tutte le virtù. Se sono combattuto 
dall’orgoglio e dalla collera, devo assolutamente chinarmi e piegarmi all’umiltà 
e alla dolcezza; per riuscirvi, ricorrerò all’orazione, ai Sacramenti, alla 
prudenza, alla costanza, alla sobrietà. Prendo il paragone del 
cinghiale, il quale, per rendere aguzze le zanne di difesa le sfrega e le 
appuntisce con l’aiuto degli altri denti, il che fa sì che tutti ne risultino 
affilati e taglienti; allo stesso modo, l’uomo virtuoso, che ha iniziato l’opera 
della perfezione, deve limare e affilare quella virtù della quale sente 
maggiormente il bisogno per la propria difesa; e questo per mezzo dell’esercizio 
delle altre virtù, che, a loro volta, mentre affilano quella, ne traggono 
vantaggio, migliorano e risultano meno ruvide. Così capitò a Giobbe, che 
esercitando in modo particolare la virtù della pazienza, a causa di tante 
tentazioni cui era sottoposto, finì col diventare perfettamente santo e virtuoso 
in tutte le virtù e sotto ogni aspetto. Secondo quanto dice S. 
Gregorio di Nazianzo, può capitare che, per un solo atto perfetto di una virtù, 
qualcuno raggiunga l’apice di tutte le virtù. Come esempio porta Raab che, per 
aver praticato in modo perfetto l’ospitalità, giunse a somma gloria; ciò si deve 
intendere solo per i casi in cui l’atto è stato veramente perfetto, e animato da 
un grande fervore di carità. 
Capitolo II 
CONTINUAZIONE DEL MEDESIMO DISCORSO SULLA 
SCELTA DELLA VIRTU’ Molto bene dice S. 
Agostino quando afferma che coloro i quali iniziano il cammino della devozione 
commettono certi errori che, stando al rigore dei canoni sulla perfezione, sono 
biasimevoli; ma per un altro verso sono lodevoli perché sono segno della grande 
pietà che seguirà; ne sono in certo modo l’avvio. Il timore servile, frutto 
d’ignoranza, che genera scrupoli eccessivi nelle anime di coloro che escono 
dall’abitudine al peccato, all’inizio può essere una virtù raccomandabile; fa 
prevedere con sicurezza una retta coscienza in futuro. Se lo stesso timore 
dovesse persistere in coloro che hanno già fatto un certo progresso, sarebbe un 
segno negativo; perché nel cuore di costoro deve dominare l’amore che, per 
gradi, elimina il timore servile. Agli inizi, S. Bernardo 
era rigido e rude con coloro che si ponevano sotto la sua direzione: diceva 
loro, per prima cosa, che era necessario abbandonare il corpo per continuare 
verso di Lui solo con lo spirito. Quando ascoltava le loro confessioni, 
aggrediva con tale severità ogni loro difetto, per piccolo che fosse, e faceva 
pressioni con tanta forza su quei poveri principianti, che volendo spingerli con 
troppa forza verso la perfezione, finiva per farli rinunciare e tornare 
indietro. Sotto quelle pressioni ininterrotte si scoraggiavano e si sentivano 
incapaci di affrontare una salita così ripida e così lunga. Se rifletti un po’, 
Filotea, giungi alla conclusione che si trattava di uno zelo molto bruciante di 
un’anima perfetta che consigliava a quel grande santo quel tipo di metodo. 
Quello zelo era senz’altro una grande virtù in sé, ma una virtù che pur essendo 
tale, nel caso specifico era da riprovare. Dio stesso gli apparve e lo corresse 
e colmò la sua anima di uno spirito dolce, soave, amabile e tenero, che lo 
resero totalmente un altro. Si accusò di essere troppo rigido e severo e si 
trasformò in un uomo tanto cordiale e arrendevole con tutti, da potergli 
applicare il detto: Tutto a tutti, per conquistare tutti. S.Girolamo racconta che la 
sua cara figlia spirituale S. Paola, non solo era portata all’esagerazione, ma 
era testarda nella pratica delle mortificazioni corporali, fino a non volersi 
arrendere al parere contrario che il suo Vescovo, S. Epifanio, le aveva espresso 
al riguardo. Oltre a ciò, si era lasciata andare talmente al pianto per la morte 
dei suoi, che aveva rischiato di morire. S. Girolamo conclude: Mi direte che 
anziché tessere le lodi di questa santa, sto scrivendone critiche e rimproveri. 
Ma, davanti a Gesù, che ella ha servito e che io voglio servire, affermo che non 
mento né pro né contro, come cristiano di una cristiana; voglio dire che io ne 
sto scrivendo la storia e non un panegirico; i suoi vizi sono virtù per gli 
altri. Intende dire cjìhe gli scarti e i difetti di S. Paola sarebbero state 
virtù in un’anima meno perfetta; se consideriamo seriamente le cose troveremo 
degli atti che vengono considerati difetti in coloro che sono perfetti, che 
potrebbero essere considerate grandi perfezioni in coloro che sono imperfetti. 
In uno che esce dalla malattia è buon segno avere le gambe gonfie, perché 
dimostra che la natura ha già ripreso vigore e si sbarazza degli umori 
superflui; ma lo stesso sintomo sarebbe cattivo indizio in una persona non 
malata, perché starebbe ad indicare che la natura non ha sufficiente vigore per 
eliminare e assorbire gli umori. Filotea, bisogna avere una 
buona opinione di quelli che vediamo impegnati nella pratica delle virtù, anche 
se frammiste a imperfezioni; anche i Santi le hanno praticate in tal modo. Per quello che ci riguarda 
personalmente, dobbiamo impegnarci ad esercitarle molto seriamente, non soltanto 
con fedeltà, ma anche con prudenza. A tal fine facciamo nostro il consiglio del 
Saggio: Non fare affidamento sulla tua prudenza, ma su quella di coloro che Dio 
ti ha dato per guidarti. Ci sono alcune cose che 
molti considerano virtù, e invece non lo sono affatto! Bisogna che te ne parli 
in po’. Sono le estasi, i rapimenti, l’insensibilità, l’impassibilità, l’unione 
deificante, le elevazioni, le trasformazioni e simili perfezioni su cui si 
dilungano alcuni libri, che promettono l’elevazione dell’anima fino alla 
contemplazione puramente intellettuale, all’adesione essenziale dello spirito e 
alla vita superiore. Vedi, Filotea, queste 
perfezioni non sono virtù; sono piuttosto ricompense che Dio concede come premio 
alle virtù o, meglio ancora, saggi della felicità della vita futura, che, 
qualche volta, il Signore fa intravedere agli uomini per far loro desiderare il 
tutto lassù in paradiso. Questa non è una ragione 
per esigere tali grazie, anche perché non sono in nessun modo necessarie per 
servire e amare Dio, che deve essere la nostra unica aspirazione. Non sono 
grazie che possono essere conquistate con lavoro e impegno perché, più che di 
azioni si tratta di passioni, che siamo in grado di ricevere, ma non di 
procurare. Aggiungo che noi abbiamo 
iniziato un cammino per diventare persone oneste, gente devota, uomini pii, 
donne pie; ecco perché dobbiamo impegnarci seriamente. Se poi Dio ha deciso di 
innalzarci fino a quelle perfezioni angeliche, sapremo essere anche dei buoni 
angeli; in attesa, con molta semplicità, umiltà e devozione, esercitiamoci alle 
piccole virtù, messe da Nostro Signore alla portata del nostro impegno e del 
nostro lavoro: e sono, ad esempio, la pazienza, la bontà, la mortificazione del 
cuore, l’umiltà, l’obbedienza, la povertà, la castità, la dolcezza nei confronti 
del prossimo, la sopportazione delle sue imperfezioni, la diligenza e il fervore 
delle cose sante. Lasciamo volentieri le 
altezze alle anime grandi: non siamo capaci di un ruolo così elevato nel 
servizio di Dio. Saremo già contenti di poterlo servire in cucina o come fornai, 
di essere suoi servi, suoi facchini, magari suoi camerieri; è Lui soltanto che 
può decidere di chiamarci a far parte degli intimi e del consiglio privato. E’ così, Filotea. Perché 
questo Re di gloria non dà ai suoi servi le ricompense secondo il livello dei 
compiti assegnati, ma secondo l’amore e l’umiltà che hanno messo 
nell’esercitarli. Saul cercava le asine di 
suo padre e trovò il regno di Israele; Rebecca abbeverò i cammelli di Abramo e 
divenne sposa del figlio; Ruth, dopo aver spigolato dietro ai mietitori di Booz, 
si coricò ai suoi piedi, ma egli la volle al suo fianco e divenne sua sposa. La pretesa di cose 
straordinarie così alte ed elevate è facilmente occasione di illusioni, inganni, 
e falsità. Capita qualche volta che coloro i quali pensano di essere angeli non 
siano nemmeno uomini come si deve; in loro, alla prova dei fatti, trovi soltanto 
sfoggio di parole e termini magniloquenti, ma vuoto di sentimenti e assenze di 
opere. Tuttavia non è bene disprezzare e censurare in modo temerario; Benediciamo Dio per la superiorità degli altri, ma rimaniamo nel nostro cammino, che corre più a valle ma è più sicuro, meno appariscente, ma più alla portata della nostra insufficienza e della nostra pochezza; e se noi ci manteniamo in quello con umiltà e fedeltà, Dio ci innalzerà a grandezze maggiori. 
Capitolo III 
LA PAZIENZA Voi avete bisogno di 
pazienza, affinché, facendo la volontà di Dio, meritiate di conseguire la sua 
promessa, dice l’Apostolo. Il Salvatore aveva detto: con la pazienza 
conquisterete la padronanza delle vostre anime. Dominare la propria anima 
è la massima aspirazione dell’uomo, e il dominio dell’anima è commisurato al 
livello della pazienza! Ricordati spesso che 
Nostro Signore ci ha salvato soffrendo con costanza; è nello stesso modo che noi 
potremo operare la nostra salvezza, sopportando la sofferenza, le afflizioni, le 
ingiurie, le contraddizioni, i dispiaceri con la maggior dolcezza che ci sarà 
possibile. Non limitare la tua 
pazienza a un genere determinato di ingiurie o di afflizioni, ma estendile a 
tutte quelle che il Signore ti manderà o permetterà che tu incontri. Alcuni 
vogliono sopportare soltanto le tribolazioni che procurano onore, come per 
esempio: essere feriti in guerra, essere prigionieri di guerra, essere 
maltrattati a causa della religione, diventare poveri per una lite da cui sono 
usciti vincitori. Io dico che costoro non amano la tribolazione, ma soltanto 
l’onore che ne deriva. Il vero paziente, ossia chi vuole servire Dio, sopporta 
con animo uguale le tribolazioni unite al disonore e quelle che danno onore. Se 
ci disprezzano, ci attaccano e ci accusano i cattivi, per un uomo di coraggio è 
una vera gioia; ma se quelli che ci attaccano, ci accusano e ci maltrattano, 
sono gente per bene, amici, i genitori, altri parenti, allora sì che va bene! Ho una stima maggiore per 
la dolcezza con la quale S. Carlo Borromeo sopportò a lungo gli attacchi che gli 
sferrava pubblicamente dal pulpito un predicatore di fama, appartenente ad un 
Ordine rigorosissimo nell’ortodossia, che non per tutti gli altri attacchi 
sopportati. Le punture delle api fanno 
più male di quelle delle mosche; allo stesso modo il male che riceviamo dalla 
gente per bene e le opposizioni che ci fanno, risultano molto più difficili da 
sopportare che qualunque altra. Capita abbastanza spesso che due brave persone, 
entrambi con la migliore intenzione di questo mondo, per divergenza di opinione, 
si facciano guerra senza quartiere, accanendosi l’uno contro l’altro. Non essere paziente 
soltanto nel momento culminante della tribolazione, ma anche in tutti gli 
inconvenienti e i guai che si trascina dietro. Molti accetterebbero anche di 
avere qualche guaio a condizione di non soffrirne conseguenze. Non sono 
dispiaciuto di essere caduto in povertà, dirà uno, però questo nuovo stato di 
cose mi impedisce di essere utile agli amici, di educare i miei figli e di 
vivere in modo decoroso, come avrei voluto. Dirà un altro: Io non mi 
preoccuperei se la gente non dicesse che è colpa mia. C’è anche quello che non 
tiene in alcun conto le maldicenze contro di lui e le sopporterebbe volentieri 
se i presenti non prestassero fede al maldicente. Altri ancora accettano di 
provare qualche conseguenza del male, ma, a loro parere, tutte sono troppe! Non 
si impazientiscono, dicono, di essere malati, ma solo perché non hanno il denaro 
per farsi curare; trovano anche la scusa che in tale stato sono di peso agli 
altri. Io dico, Filotea, che occorre sopportare con pazienza, non solo lo stato 
di malattia, ma anche la malattia che Dio vuole, nel luogo dove vuole, 
circondati dalle persone che vuole, e con gli inconvenienti che vuole; e così 
per tutte le altre tribolazioni. Quando sarai colpita dal 
male, contrapponi tutti i rimedi che Dio ha messo a tua disposizione; agire 
diversamente sarebbe tentare la divina Maestà: ma, una volta fatto ciò, aspetta 
con una fiducia totale, l’effetto che Dio vorrà loro concedere. Se Dio crede 
bene che i rimedi vincano il male, tu lo ringrazierai con umiltà; ma se invece 
crede bene di permettere che il male vinca i rimedi, benedicili con pazienza. Io sono del parere di San 
Gregorio: quando ti accusano giustamente di qualche colpa realmente commessa, 
umiliati molto, confessa che meriti l’accusa che ti è stata mossa. Se poi sei 
accusata ingiustamente, discolpati con calma, prova che non sei colpevole: hai 
l’obbligo di rispettare la verità anche per il buon esempio al prossimo. Ma se 
dopo la tua sincera e onesta spiegazione dei fatti a tua discolpa, gli altri 
insistono nel caricare su di te le responsabilità dei fatti, non angustiarti in 
alcun modo e non cercare altre strade per far accettare la versione autentica 
dei fatti. Sai perché? Dopo che hai reso il suo alla verità, rendilo ora 
all’umiltà. Lamentati meno che puoi 
per i torti che ricevi; è un fatto certo che chi abitualmente si lamenta finisce 
per peccare. E’ colpa dell’amor proprio che ingigantisce per professione i torti 
subiti: ma quello che più ti raccomando e di non andare a lamentarti con persone 
facili all’indignazione e a pensare male. Se proprio non puoi fare a meno di 
lamentarti con qualcuno, sia per riparare l’offesa, sia per calmare te stessa, 
rivolgiti a persone calme e piene di amore di Dio. Se non farai così, il tuo 
cuore, invece di ricavarne serenità, sarà spinto ad essere ancora più inquieto: 
invece di toglierti la spina che ti punge appena, te la conficcherebbero più 
profondamente nel piede. Ci sono poi alcuni che quando sono ammalati, afflitti o 
offesi da qualcuno, stanno bene attenti a non lamentarsi e a dimostrare troppa 
permalosità; a loro parere, ed è vero, ciò darebbe prova di grande debolezza e 
di mancanza di generosità; ma poi, nel fondo di loro stessi, desiderano 
intensamente che qualcuno li compatisca e si danno da fare con mille arti a tale 
scopo. Vogliono che tutti sappiano che loro sono afflitti, ma anche pazienti e 
coraggiosi! Ti pare che quella sia pazienza? Chiamala come vuoi, ma quella è 
soltanto una finta pazienza. In fondo è soltanto un’abile e studiata ambizione, 
è vanità: ne ricavano gloria, ma non davanti a Dio! Il vero paziente non si 
lamenta del male e non desidera essere compatito; ne parla con naturalezza, 
sincerità e semplicità, senza lamenti, senza rimpianti, senza esagerazioni; se 
lo compatiscono, sopporta con pazienza i compatimenti, a meno che addirittura 
siano per mali che non ha; in tal caso, con molta umiltà, farà notare che quel 
male non l’ha e poi si manterrà con animo sereno nella pace tra la verità e la 
pazienza, ammettendo sì il male, ma senza lamentele. Nelle contrarietà che ti 
piomberanno addosso nell’esercizio della devozione, e vedrai che non 
mancheranno, ricordati della parola di nostro Signore: La donna quando 
partorisce provi dolori molto forti, ma tutto dimentica alla vista del bambino, 
perché ha dato un uomo alla vita. Nella tua anima hai concepito il figlio più 
meraviglioso di questo mondo, Gesù Cristo. Prima che sia dato completamente alla 
luce e generato, può darsi che ti procuri ansia e sofferenza; ma fatti animo 
perché, passati quei dolori, ti rimarrà la gioia senza fine di aver dato tale 
uomo al mondo. Per quello che ti riguarda sarà generato totalmente solo quando 
l’avrai formato completamente nel tuo cuore e nelle tue azioni con l’imitazione 
della sua vita. Quando sarai malata, offri 
i tuoi dolori, gli inconvenienti e le debolezze per il servizio del Signore, e 
chiedigli, con insistenza, di unirli a quanto Egli ha sopportato per te. 
Obbedisci al medico, prendi le medicine, i cibi e gli altri rimedi per amore di 
Dio; ricordati del fiele che egli ha preso per amore nostro. Desidera pure di guarire 
per servirlo, ma non rifiutare di essere ammalata per obbedirgli; e preparati 
anche alla morte, se quella a lui piacesse, per lodarlo e gioire con Lui. Le api 
nel periodo in cui fanno il miele, vivono e si nutrono con una sostanza molto 
amara; lo stesso avviene per noi: non potremo mai compiere atti di grande 
dolcezza e pazienza, fare il miele delle buone virtù, finché non saremo capaci 
di mangiare il pane dell’amarezza e vivere tra le sofferenze. Il miele ricavato 
dai fiori di timo, piccola erba amara è, senza confronti, il migliore; lo stesso 
è della virtù esercitata nell’amarezza delle tribolazioni più vili, basse e 
abbiette. Guarda spesso con gli 
occhi interiori Gesù cristo crocifisso, spogliato, bestemmiato, calunniato, 
abbandonato, oppresso da ogni sorta di mali, tristezze e ansie, e pensa che 
tutte le tue sofferenze non sono in alcun modo paragonabili alle sue, né per 
intensità, né per numero; e pensa che mai riuscirai a soffrire per Lui quello 
che Egli ha sofferto per te. Considera i tormenti 
atroci sopportati dai Martiri e le sofferenze che tante persone sopportano e che 
sono, senza confronto, più penose delle tue, e poi dì a te stessa: Le 
contrarietà che mi affliggono sono consolazioni e le mie spine sono rose a 
confronto di coloro che vivono in una morte continua, oppressi da croci 
infinitamente più gravose e questo senza aiuti, senza consolazioni, senza alcun 
sollievo. 
Capitolo IV 
 
L’UMILTA’ ESTERIORE Disse il profeta Eliseo ad 
una povera vedova: Prendi tutti i vasi vuoti che hai e riempili d’olio. Per 
ricevere la grazia di Dio nei nostri cuori, dobbiamo vuotarli di noi stessi. Il 
gheppio, stridendo e fissando gli uccelli da preda, li mette in fuga per una 
forza misteriosa; per questo è il preferito delle colombe, che vicine a lui si 
sentono sicure. Allo stesso modo l’umiltà respinge Satana e conserva in noi le 
grazie e i doni dello Spirito Santo. E’ per questo che i Santi, e in modo 
particolare il Re dei Santi e sua Madre, onorano e amano l’umiltà più di tutte 
le altre virtù morali. Sono diverse le ragioni 
per le quali dobbiamo considerare vana la gloria che ci viene attribuita: o 
perché non è in noi, o anche perché, pur essendo in noi, non è nostra; o anche 
perché, pur essendo in noi ed essendo nostra, non è meritata. La nobiltà della 
stirpe, il favore dei potenti, la popolarità, sono glorie che non hanno radice 
in noi, ma o nei nostri predecessori o nella stima degli altri. C’è gente che va 
superba e altera perché cavalca un bel destriero, perché ha un bel pennacchio 
sul cappello, perché indossa vestiti meravigliosi. Non ti pare che quella gente 
sia un po’ matta? Se proprio vogliamo parlare di gloria, spetta al cavallo, allo 
struzzo, al sarto. Ci vuole proprio un bel coraggio per prendere in prestito un 
po’ di stima da un cavallo, da una piuma, da una piega dell’abito! Altri si sentono 
importanti e si danno delle arie per un bel paio di baffi all’insù, per una 
barba ben curata, per i capelli ricciuti, per le mani delicate; perché sanno 
danzare, giocare, cantare; e non ti pare che anche questi abbiano una rotellina 
fuori posto? Vorrebbero aumentare il proprio pregio e la propria reputazione con 
cose frivole e insulse! Ci sono poi quelli che, 
per quel poco che sanno, esigono onore e rispetto dal mondo intero; tutti 
dovrebbero, secondo loro, precipitarsi a imparare qualcosina alla loro scuola. 
Loro si sentono maestri, la gente li considera soltanto dei pedanti. Ci sono 
anche quelli che sono convinti di essere molto belli e credono che tutti li 
corteggino. Tutto ciò è tremendamente 
vuoto, sciocco e senza senso; la gloria che proviene da "valori" così 
insignificanti deve essere ritenuta vana, sciocca e frivola. Il bene vero si conosce 
come il vero balsamo: la prova della genuinità del balsamo si fa distillandolo 
nell’acqua; se va a fondo e rimane sommerso è valutato finissimo e prezioso. 
Allo stesso modo per sapere 
 se un uomo è veramente 
saggio, sapiente, generoso, nobile, bisogna vedere se le sue doti tendono 
all’umiltà, alla modestia, al nascondimento; in tal caso si tratta di doti 
genuine; ma se galleggiano e si mettono in mostra sono false e tanto maggiori 
saranno gli sforzi che faranno per farsi notare, tanto più sarà evidente che non 
sono doti autentiche. Le perle nate e cresciute 
all’aperto, al vento e al rumore dei tuoni, hanno soltanto l’involucro di perle, 
dentro sono vuote. Allo stesso modo le virtù e le belle qualità degli uomini, 
nate e cresciute nell’orgoglio, nell’esaltazione di sé e nella vanità, hanno 
soltanto l’apparenza del bene, senza linfa, senza midollo e senza solidità. Gli 
onori, la stirpe, le dignità sono come lo zafferano: più lo calpesti e più si 
rinforza e rende bene. Essere belli, quando ci si tiene, perde il suo pregio: la 
bellezza per piacere deve essere disinvolta; la scienza ci rende ridicoli quando 
ci gonfia e degenera in pedanteria. Se siamo puntigliosi per 
la stirpe, per il rango, per i titoli, offriamo le nostre qualità all’esame 
sindacatore degli altri, alla loro inchiesta su di noi, all’indagine e così ci 
ritroveremo le nostre credute qualità svuotate e scostanti; sì, perché l’onore 
che è bello quand’è ricevuto in dono, diventa dozzinale e di nessun pregio 
quando è preteso, cercato e mendicato. Quando il pavone fa la 
ruota per farsi notare, drizzando le sue belle piume, scopre tutto il resto e fa 
vedere da tutte le parti ciò che ha di meno bello; i fiori sono belli quando 
sono piantati in terra; una volta staccati appassiscono. Il profumo della 
mandragora può esserci di aiuto per capire: coloro che la odorano da lontano e 
di passaggio, ne rimangono conquistati; ma coloro che la odorano da vicino e con 
insistenza ne rimangono intontiti o addirittura ammalati; lo stesso avviene per 
gli onori che danno una dolce consolazione a chi li gode da lontano e solo 
leggermente senza spenderci troppo e diventare ansioso; ma chi ci si attacca e 
se ne ciba, merita di essere biasimato e ripreso. La ricerca e l’amore della 
virtù ci rende già un po’ virtuosi; la ricerca e l’amore degli onori invece, ci 
rende soltanto meritevoli di disprezzo e di rimprovero. Le persone serie non 
perdono tempo nell’inutile groviglio di gerarchie, di onori, di saluti; hanno 
altro da fare! Questo è un terreno per il perditempo. Chi può avere perle non va 
alla ricerca di conchiglie: coloro che tendono alla virtù, non si agitano alla 
caccia di onori. Ognuno ha diritto di 
rimanere nel proprio rango senza mancare di umiltà, a condizione che ciò avvenga 
con naturalezza e senza contese. Mi sembra che si possa 
fare un paragone con quelli che tornano dal Perù i quali, oltre all’oro e 
all’argento, portano con sé anche scimmie e pappagalli; costano poco e non 
pesano molto per il carico della nave; così è di coloro che tendono alla virtù 
senza per questo lasciare il loro rango e gli onori inerenti; a condizione che 
ciò non sottragga loro troppo tempo e troppa attenzione e che sia senza gravarsi 
di dubbi, d’inquietudine, di dispute e di contese. Tuttavia non parlo di coloro 
la cui dignità è in rapporto con una carica pubblica e nemmeno di alcune 
situazioni particolari nelle quali le conseguenze potrebbero incidere 
negativamente; in tali casi ognuno deve rimanere al posto che gli compete con 
prudenza e discrezione, accompagnate sempre da carità e cortesia. 
Capitolo V 
L’UMILTA’ INTERIORE Tu, Filotea, mi chiedi di 
condurti avanti nell’umiltà: quello che ho detto finora riguarda più il campo 
della saggezza che quello dell’umiltà; quindi andiamo avanti. Molti non vogliono pensare 
alle grazie che Dio ha loro dato personalmente, non ne hanno il coraggio perché 
temono di cadere nella vanagloria e nel vuoto compiacimento. E qui si sbagliano: 
S. Tommaso d’Aquino dice che il mezzo per giungere all’amore di Dio è il 
pensiero dei suoi benefici; meglio li conosciamo e più amiamo Dio. Direi proprio che niente 
può umiliarci di fronte alla misericordia di Dio quanto i suoi benefici, e 
niente può umiliarci di fronte alla sua giustizia quanto le nostre offese. 
Pensiamo a quello che Egli ha fatto per noi e a quello che noi abbiamo fatto 
contro di Lui; e, come dobbiamo pensare ai nostri peccati più piccoli, dobbiamo 
pensare alle sue grazie più piccole. Non dobbiamo temere che il conoscere i doni 
che ha posto in noi ci gonfi; è sufficiente che abbiamo sempre presente questa 
verità: ciò che di buono c’è in noi non viene da noi. Rifletti: i muli, animali 
pesanti e maleodoranti, non cessano di essere tali solo perché sono carichi di 
mobili preziosi e profumati appartenenti al principe. Che cosa abbiamo di buono 
che non ci sia stato dato? E se ci è stato dato, 
perché insuperbircene? E’ proprio il contrario: la seria riflessione sui doni 
ricevuti ci rende umili; la conoscenza genera la riconoscenza. Ma se poi, vedendo i doni 
di Dio in noi, venisse a solleticarci in qualche modo la vanità, c’è sempre 
pronto un rimedio infallibile: pensiamo alla nostra ingratitudine, alla nostra 
imperfezione, alla nostra miseria: se pensiamo ai guai che abbiamo combinato 
quando Dio non era con noi, scopriremo subito che quanto di buono riusciamo ad 
imbastire con Lui, non è nel nostro stile e del nostro sacco. Ne proveremo gioia 
sincera perché il bene c’è, ma ne daremo il merito a Dio perché Lui solo ne è 
l’autore. La Santa Vergine dice che 
Dio opera in lei meraviglie, e lo fa soltanto per umiliarsi e dare gloria a Dio; 
la mia anima magnifica il Signore, dice, perché ha fatto in me cose grandi. Spesso diciamo che non 
siamo nulla, anzi che siamo la miseria in persona, la spazzatura del mondo; ma 
resteremmo molto male se ci prendessero alla lettera e se ci considerassero in 
pubblico secondo quanto diciamo. E’ proprio il contrario: fingiamo di fuggire e 
di nasconderci solo perché ci inseguano e ci cerchino; dimostriamo di voler 
essere gli ultimi, seduti proprio all’ultimo angolino della tavola, ma soltanto 
per passare con grande onore a capotavola. L’umiltà vera non finge di 
essere umile, a fatica dice parole di umiltà; perché è suo intendimento non solo 
nascondere le altre virtù, ma soprattutto vorrebbe riuscire a nascondere se 
stessa; se le fosse lecito mentire, o addirittura scandalizzare il prossimo, 
prenderebbe atteggiamenti arroganti e superbi, per potercisi nascondere e vivere 
completamente ignorata e nascosta. Eccoti il mio parere, 
Filotea: o evitiamo di dire parole di umiltà, oppure diciamole con profonda 
convinzione, profondamente rispondente alle parole. Non abbassiamo gli occhi 
senza umiliare il cuore; non giochiamo a fare gli ultimi se non intendiamo 
esserlo per davvero. Questa è la mia regola generale e non faccio alcuna 
eccezione; aggiungo soltanto questo: la buona educazione esige qualche volta che 
cediamo la precedenza a persone che certamente non l’accetteranno; questa non è 
doppiezza o falsa umiltà: in tal caso l’offerta della precedenza è un segno 
d’onore, e poiché non ci è concesso di tributarlo a chi di dovere secondo il 
merito, non è cosa fatta male darne almeno un piccolo segno. Questo vale anche 
per alcune espressioni di onore e di rispetto che, strettamente prese, non 
sembrano rispecchiare la verità: ma lo sono abbastanza se colui che le pronuncia 
ha seriamente l’intenzione di onorare e dimostrare rispetto a colui cui sono 
indirizzate. Anche se le parole hanno un significato che va oltre la nostra 
intenzione, non facciamo nulla di male a servircene quando l’uso è corrente. 
Personalmente preferirei che le parole fossero rispondenti, il più fedelmente 
possibile, ai nostri pensieri, e questo per poter seguire sempre e dappertutto 
la linea della semplicità e della spontaneità affettuosa. L’uomo sinceramente umile 
sarebbe più contento se fosse un altro, anziché lui stesso, a dire di lui che è 
un miserabile, un nulla, un buono a nulla; o, perlomeno, se sa che si dice, non 
si oppone, ma approva di cuore. Perché, se è vero che ne è convinto, è naturale 
che ne sia contento di vedere condivisa la sua opinione. Molti affermano che 
vogliono lasciare l’orazione mentale ai perfetti perché essi non ne sono degni; 
altri protestano che non hanno il coraggio di fare spesso la comunione, perché 
non si sentono sufficientemente purificati; altri ancora dicono di temere di 
essere causa di disonore per la devozione se ci si impegnano, a causa della loro 
enorme miseria e fragilità; altri rifuggono dal mettere i loro talenti al 
servizio di Dio e del prossimo perché, dicono, conoscono la loro debolezza e 
potrebbero inorgoglirsi vedendosi strumenti di qualche cosa di buono; temono di 
consumarsi facendo luce agli altri. Tutte queste preoccupazioni sono soltanto 
inganni, una sorta di umiltà non soltanto falsa, ma perversa, per mezzo della 
quale, con molta sottigliezza e senza dirlo, si critica l’operato di Dio, o 
almeno si tenta di coprire di umiltà l’orgoglio della propria opinione, della 
propria indole, della propria pigrizia. Domanda a Dio un segno 
dall’alto, dal cielo o dal basso, dal profondo del mare, dice il Profeta 
all’infelice Acaz, che risponde: No, non lo domanderò e non tenterò il Signore! 
E’ veramente perverso. Ostenta un grande sentimento di rispetto verso Dio e, 
colorando d’umiltà la sua presunzione, rifiuta la grazia di cui Dio vuole dargli 
un segno. Non pensa che rifiutare i doni che Dio vuole darci è orgoglio! 
Dobbiamo ricevere i doni che Dio ci manda; l’umiltà è obbedire e seguire da 
vicino i suoi disegni. Dio vuole che noi siamo perfetti e unendoci a Lui esige 
che lo seguiamo da vicino il più possibile. Il superbo, che confida solo in se 
stesso, ha infinite ragioni per non porre mano ad alcuna iniziativa; ma l’umile 
trova tutto il coraggio nella sua incapacità: più si sente debole e più diventa 
intraprendente, perché tutta la sua fiducia è riposta in Dio, che si compiace di 
manifestare la sua potenza nella nostra debolezza e far trionfare la sua 
misericordia basandola sulla nostra miseria. Molto umilmente e 
santamente dobbiamo tentare tutto quello che è giudicato opportuno per il nostro 
progresso spirituale da coloro che hanno la responsabilità della nostra anima. Pensare di sapere ciò che 
non si sa, è stupidità manifesta; voler fare il sapiente in un campo in cui 
sappiamo benissimo di essere ignoranti, è una vanità insopportabile; per conto 
mio non vorrei fare il sapiente nemmeno in quello che so, ma nemmeno atteggiarmi 
a ignorante. Quando lo richiede la 
carità, bisogna dare al prossimo, con franchezza e dolcezza allo stesso tempo, 
non soltanto quanto gli è utile all’istruzione, ma anche ciò che gli fa piacere. 
L’umiltà nasconde e copre le virtù per conservarle, le lascia vedere quando lo 
esige la carità, per accrescerle, svilupparle e perfezionarle. 
 L’umiltà richiama alla 
mente quell’albero delle isole di Tilo che di notte chiude e protegge i suoi bei 
fiori di colore incarnato e li dischiude soltanto quando si alza il sole, sicché 
la gente del paese dice che questo fiore di notte dorme. Così fa l’umiltà che 
copre e nasconde tutte le virtù e le perfezioni umane e le lascia apparire solo 
per il servizio della carità, perché è una virtù del cielo, non della terra, 
divina, non umana: è il vero sole delle virtù sulle quali deve sempre brillare. 
Si può concludere che le forme di umiltà che portano pregiudizio alla carità, 
sono certamente false. Non vorrei atteggiarmi a 
matto, ma nemmeno a saggio: perché se l’umiltà mi impedisce di fare il saggio, 
la semplicità e la franchezza mi impediscono di fare il matto; se è vero che la 
vanità è contraria all’umiltà, è anche vero che l’artificio, l’affettazione e la 
finzione sono contrarie alla franchezza ed alla semplicità. E anche se qualche celebre 
servitore di Dio ha fatto il matto per essere schernito dal mondo, ammiriamolo 
pure, ma non imitiamolo. Per lasciarsi andare a quegli eccessi quei Servi di Dio 
hanno avuto motivi personali fuori dall’ordinario che non ci autorizzano a 
trarre conclusioni per noi. Davide, saltando e 
danzando più di quanto sembrasse opportuno, davanti all’Arca dell’alleanza, non 
voleva fare il matto; ma, molto semplicemente e senza artifici, con quelle danze 
voleva dimostrare la gioia straordinaria di cui traboccava il suo cuore. Quando sua moglie Micol 
glielo rimproverò cime una follia, non fece caso all’umiliazione, ma continuò a 
manifestare con naturale schiettezza la sua gioia e diede prova di saper 
accettare un po’ di disprezzo per il suo Dio. Per questo io ti dico che, 
se a seguito di atti di una vera e schietta devozione, sarai stimata persona di 
poco conto, degna di disprezzo o pazza, l’umiltà ti farà gioire per quel 
fortunato attacco che non ha le sue ragioni in te, ma in coloro che ti 
attaccano. 
Capitolo VI 
L’UMILTA’ CI FA AMARE L’ABIEZIONE Procedo oltre, Filotea, e 
ti dico di amare l’abiezione sempre e in tutto. Ma, mi chiederai, che cosa vuol 
dire amare la propria abiezione? In latino abiezione vuol dire umiltà e umiltà 
vuol dire abiezione; di modo che, quando la Madonna nel suo Cantico dice che, 
poiché il Signore ha visto l’umiltà della sua serva, tutte le generazioni la 
chiameranno beata, vuol dire che il Signore, con bontà, ha guardato la sua 
abiezione, la sua meschinità, la sua bassezza, per colmarla di grazia e di 
favori. C’è tuttavia differenza tra la virtù dell’umiltà e l’abiezione; 
l’abiezione è la pochezza, la bassezza e la meschinità che alberga in noi, senza 
che ci pensiamo; la virtù dell’umiltà invece, è la conoscenza veritiera e 
l’ammissione della nostra abiezione. L’apice dell’umiltà così 
intesa consiste non soltanto nel riconoscere la nostra abiezione, ma nell’amarla 
ed esserne contenti; non per mancanza di coraggio o di generosità, ma per 
esaltare maggiormente la Maestà divina e dare al prossimo una stima maggiore che 
a noi stessi. Ti incoraggio a questo e, per essere più esplicito, ti dirò che, 
tra i mali che ci affliggono, alcuni sono spregevoli, altri onorati; a quelli 
onorati molti si adattano, ma nessuno vuol saperne di quelli spregevoli. Prendi, 
per esempio, un devoto eremita, coperto di cenci e tremante dal freddo: tutti 
onoreranno il suo abito a brandelli e proveranno compassione per la sua 
sofferenza; ma se un povero artigiano, un povero galantuomo o una povera ragazza 
si trovano nelle stesse condizioni, verranno coperti di disprezzo, derisi e la 
loro povertà sarà spregevole. Se un Religioso accetta 
con devozione un duro richiamo dal superiore, o un figlio dal padre, tutti 
chiameranno quel comportamento mortificazione, obbedienza, saggezza; se un 
cavaliere o una dama dovessero subire, per amore di Dio, la stessa cosa da parte 
di qualcuno, di qualunque cosa si tratti, tutti la chiameranno codardia o 
vigliaccheria: ecco un altro male spregevole. Poni il caso che uno abbia 
un tumore al braccio e un altro al volto: il primo soffre soltanto il male, ma 
il secondo, con il male, si trova il disprezzo, l’isolamento e l’abiezione. Io ti dico che non 
soltanto devi amare il male, il che è opera della virtù della pazienza; tu devi 
amare anche l’abiezione, e questo è opera dell’umiltà. 
 Ci sono poi delle virtù 
disprezzate e delle virtù onorate: la pazienza, la dolcezza, la semplicità e la 
stessa umiltà, per i mondani , sono virtù vili e da disprezzare; per contro 
stimano molto la prudenza, il valore, la liberalità. Ci sono addirittura atti 
della stessa virtù che a volte sono disprezzati e a volte onorati; prendi, ad 
esempio, l’elemosina o il perdono delle offese; sono entrambi atti di carità: la 
prima è onorata da tutti, il secondo è disprezzato dal mondo. Un giovanotto o 
una ragazza che non si lasciano trascinare ai disordini di una brigata dissoluta 
nel parlare, nel giocare, nel ballare, nel bere, nel vestire come loro, saranno 
scherniti e criticati e il loro riserbo sarà chiamato bigottismo o 
esibizionismo. Amare queste conseguenze vuol dire amare la propria abiezione. Passiamo a un altro campo: 
la visita agli ammalati. Se ti mandano dal più reietto secondo il mondo, per te 
sarà un’abiezione; per questo l’amerai. Se ti mandano da gente bene sarà 
un’abiezione secondo lo spirito, perché il merito e le virtù saranno minori; 
amerai anche quella abiezione. Se si cade nel bel mezzo della strada, oltre al 
male, ci trovi la vergogna; anche questa va amata. Ci sono alcune colpe che non 
comportano altro male all’infuori dell’abiezione; l’umiltà non esige che le 
commettiamo apposta, ma, che una volta commesse, non ce ne preoccupiamo. Si 
tratta di certe sciocchezze, mancanze di educazione, o sbadataggini, che vanno 
evitate finché si è in tempo, per comportarsi educatamente e con prudenza; ma 
una volta che ci siamo caduti, bisogna accettare l’abiezione che ne consegue ed 
accettarla di cuore per amore dell’umiltà. Ma vado oltre: se per 
collera o mancanza di controllo, mi sono lasciata andare a parole indecorose o 
offensive di Dio e del prossimo, me ne pentirò sinceramente e sarò profondamente 
dispiaciuta per l’offesa che cercherò di riparare meglio che potrò; ma non 
lascerò passare l’occasione per accettare volentieri l’abiezione e il disprezzo 
che ricadranno su di me. Se fosse possibile separare le due cose, respingerei 
con forza il peccato e terrei umilmente l’abiezione. Ma pur amando l’abiezione 
che deriva dal male, non bisogna arrendersi alle fatalità del male che ne è la 
causa; bisogna correre ai ripari. Occorre farlo in modo efficace e con cura, 
soprattutto poi, quando il male è soltanto una conseguenza. Se sono afflitta da un 
male spregevole al volto, farò di tutto per guarire, senza far nulla perché sia 
dimenticata l’abiezione che me ne è venuta. Se ho commesso qualche cosa che non 
offende alcuno, non cercherò scuse, perché, pur trattandosi di un difetto, non è 
permanente; se mi scusassi sarebbe solo per evitare l’abiezione che me ne viene. 
Questo l’umiltà non lo permette. Ma, se per disattenzione o leggerezza, ho 
offeso o scandalizzato qualcuno, riparerò l’offesa con qualche scusa che 
risponda a verità; perché in tal caso, il male ha radici e la carità esige che 
lo sradichi. Qualche volta capita anche 
che la verità esiga che poniamo rimedio all’abiezione per il bene del prossimo, 
al quale è necessaria la nostra buona reputazione; in tal caso pur togliendo 
l’abiezione dagli occhi del prossimo, per impedirne lo scandalo, dobbiamo 
rinchiuderla e nasconderla nel nostro cuore perché ne sia edificato. Tu, Filotea, vuoi sapere 
quali sono le abiezioni migliori: ti dico subito, e senza esitazione, che quelle 
più utili all’anima e più gradite a Dio, sono quelle che incontriamo per caso o 
che sono legate alla nostra condizione; la ragione è che non le abbiamo scelte 
noi, ma le abbiamo ricevute come Dio ce le ha mandate. E Lui sa scegliere sempre 
meglio di noi. Se fosse necessario scegliere, ricordati che le più grandi sono 
le migliori; e sai quali sono le più grandi? Quelle maggiormente contrarie alle 
nostre inclinazioni, sempre, beninteso, in linea con la nostra vocazione. Te lo 
dico una volta per sempre: la nostra scelta e la nostra preferenza rovina, o 
almeno diminuisce, tutte le nostre virtù. Chi ci farà la grazia di poter dire 
con il grande Re Davide: "Ho scelto di essere abietto nella casa del Signore. 
Piuttosto che abitare nelle tende dei peccatori"? Il solo che lo può, cara 
Filotea, è Colui che per innalzare noi, è vissuto e morto come obbrobrio degli 
uomini e abiezione del popolo. Ti ho detto molte cose che 
potranno sembrarti dure quando ci rifletterai sopra; ma, credimi, risulteranno 
più dolci dello zucchero e del miele, quando le metterai in atto. 
Capitolo VII 
COME VA CONSERVATO IL BUON NOME PRATICANDO L’UMILTA’ Per una virtù ordinaria 
non ci si scomoda a lodare, ad onorare, a dare gloria a chi la possiede; questo 
si fa soltanto quando la virtù è eccellente. Con la lode, infatti non 
vogliamo portare gli altri ad avere stima per le ottime qualità di qualcuno; con 
l’onore facciamo sapere a tutti che quella stima noi l’abbiamo; la gloria, poi, 
a mio parere, è il lustro della reputazione che scaturisce dalla somma di molte 
lodi e onori: possiamo dire che le lodi e gli onori sono come pietre preziose, 
dalla composizione delle quali, come un gioiello, nasce la gloria. L’umiltà non accetta che 
noi pensiamo di essere migliori e che abbiamo diritto di essere anteposti agli 
altri; non permette nemmeno che andiamo alla caccia di lodi, di onori, di 
gloria, cose che devono essere tributate soltanto all’ottimo. Accetta il consiglio del 
Saggio che dice di aver cura del nostro buon nome, perché il buon nome è la 
stima, non dell’ottimo, ma soltanto di una semplice e ordinaria prudenza e 
onestà di vita, che l’umiltà non ci impedisce di riconoscere in noi stessi; di 
conseguenza non ci vieta di desiderarne il relativo buon nome. E’ vero che l’umiltà 
disprezzerebbe il buono nome se la carità non ne avesse bisogno; ma visto che è 
uno dei fondamenti della società umana, e che, senza di essa, noi siamo 
addirittura dannosi per la gente e non soltanto inutili, a motivo dello scandalo 
che daremmo; la carità richiede e l’umiltà di buon grado accetta, che noi 
desideriamo e conserviamo con cura il buon nome. Prendi a paragone le 
foglie degli alberi che, di per sé, non valgono gran che, e tuttavia rendono un 
grande servizio, non solo nel dare un bell’aspetto all’albero, ma anche nel 
proteggere i frutti finché sono teneri; è la stessa cosa per il buon nome che, 
per sé, non è da considerare fortemente; tuttavia è molto utile, non soltanto 
come abbellimento della vita, ma anche per proteggere le nostre virtù, in modo 
particolare quelle ancora tenere e deboli. L’obbligo di conservare il 
buon nome e di essere realmente come la gente ci stima, esige che abbiamo un 
coraggio generoso sostenuto da una forte e dolce violenza. Conserviamo le nostre 
virtù, cara Filotea, perché sono gradite a Dio, grande e sommo fine di tutte le 
nostre azioni; ma allo stesso modo che coloro i quali vogliono conservare i 
frutti, non si accontentano di fare marmellate, ma li sigillano in vasi adatti 
alla conservazione, così, pur rimanendo l’amore di Dio la principale garanzia 
per le nostre virtù, possiamo servirci, a tale scopo, anche del buon nome e con 
utilità. Tuttavia nella difesa del 
nostro buon nome non dobbiamo essere troppo zelanti, esatti e puntigliosi: 
quelli che sono delicati e sensibili in modo esagerato per tutto ciò che 
concerne la loro reputazione, assomigliano a quelli che ingurgitano medicine per 
il minimo disturbo: costoro, infatti, volendo proteggere la loro salute, la 
rovinano del tutto; così, chi vuole, con troppa premura, proteggere il proprio 
buon nome, lo perde del tutto, e sai perché? La tenerezza verso se stessi rende 
strani, ribelli, insopportabili, pasto ideale per i maldicenti. Non dar peso e disprezzare 
l’ingiuria e la calunnia, ordinariamente è un rimedio molto efficace del 
risentimento, della contestazione, della vendetta: il dispetto le rende 
evanescenti; chi se ne inquieta, invece, dà l’impressione di confessare. I coccodrilli fanno del 
male soltanto a coloro che ne hanno paura; la maldicenza fa del male solo a chi 
se ne preoccupa. Il timore eccessivo di 
perdere il buon nome dimostra mancanza di fiducia nel suo fondamento, che è la 
vita onesta. Le città dotate di ponti di legno su grandi fiumi, ad ogni 
alluvione temono di vederli travolti; quelle invece che sono dotate di ponti in 
pietra, temono soltanto in caso di piene eccezionali. Similmente coloro che 
hanno un’anima cristiana con solide basi, non fanno abitualmente caso alle 
alluvioni delle lingue malefiche; coloro invece che si sentono deboli, temono di 
essere travolti ad ogni occasione. Chi vuol godere di un buon 
nome nei confronti di tutti, lo perde proprio nei confronti di tutti: merita di 
perdere l’onore chi vuole mendicarlo da coloro che il vizio ha reso 
indiscutibilmente infami e senza onore. Il buon nome è l’insegna 
che indica dove alloggia la virtù; è evidente che la virtù viene prima. Ecco 
perché, se ti dicono: sei un ipocrita perché ti sei incamminata nella devozione; 
se ti considerano un uomo senza carattere perché hai perdonato un’ingiuria, 
lascia correre, non farci caso. Per prima cosa abbi presente che tali giudizi 
sono emessi da persone vuote e superficiali; quand’anche poi il buon nome si 
perdesse davvero, l’importante è non perdere la virtù e non deviare dal suo 
cammino; mi pare logico che si dia la preferenza ai frutti sulle foglie, ossia 
ai beni spirituali interiori su quelli esteriori. Va bene essere gelosi del 
proprio buon nome, ma non idolatri! E’ vero che non bisogna scandalizzare 
l’occhio dei buoni, ma nemmeno si deve contentare quello dei cattivi. La barba è 
un ornamento adatto al volto dell’uomo e i capelli a quello della donna: se si 
strappano alla radice i peli dal mento o i capelli dalla testa , probabilmente 
non rispunteranno più; ma se li tagli soltanto, o magari anche li radi, 
rispunteranno molto presto, più forti e più folti. Lo stesso avviene per il buon 
nome: la lingua dei maldicenti può tagliarlo o anche addirittura raderlo, 
giacché, dice Davide, è come un rasoio affilato; ma niente paura! Rispunterà 
presto più bello di prima e anche più forte! Se invece il nostro buon nome viene 
distrutto dai nostri vizi, dalle vigliaccherie, dalla nostra cattiva condotta, 
beh! Allora possiamo aspettare tutto il tempo che vogliamo, e non rispunterà! 
Sarà inutile l’attesa perché abbiamo estirpato la radice. La radice del buon nome è 
la bontà e l’onestà della vita; finché sono presenti in noi, possono sempre 
rigenerare il buon nome giustamente conquistato. Lascia quella vuota 
conversazione, quell’attività inutile, quell’amicizia frivola, quella compagnia 
equivoca, se danneggiano il tuo buon nome, perché il buon nome vale più di tutte 
quelle vuote soddisfazioni; ma se la gente mormora, riprova o calunnia perché ti 
impegni nella pietà per avanzare nella devozione e nel cammino verso il bene 
eterno, lascia abbaiare i cani contro la luna; anche se dovessero riuscire a 
costruire un’opinione negativa sul tuo buon nome, e in tal modo tagliare e 
radere i capelli e la barba del buon nome, sta tranquilla che presto rispunterà. 
Il rasoio della maldicenza sarà utile al tuo onore, come la roncola alla vigna, 
perché la rende copiosa di frutti. Teniamo sempre gli occhi 
fissi a Gesù Cristo crocifisso, camminiamo al suo servizio con fiducia e 
semplicità, accompagnata da saggezza e devozione: sarà lui a proteggere il 
nostro buon nome. Se permette che ci sia tolto è solo per darcene uno migliore o 
per favorirci nella crescita dell’umiltà. Ricorda bene che un’oncia di umiltà 
vale più di mille libre di onore. Se veniamo ripresi 
ingiustamente, opponiamo serenamente la verità alla calunnia; se persiste, 
insistiamo nell’umiltà. Mettiamo il nostro buon nome, unitamente alla nostra 
anima nelle mani di Dio,; non potremo trovare migliore garanzia. Serviamo Dio nella buona e 
nella cattiva fama, sull’esempio di S. Paolo; potremo così dire con Davide: Mio 
Dio, è soltanto per Te che ho sopportato l’obbrobrio e che ho tollerato che la 
vergogna coprisse il mio volto. Faccio eccezione per certi 
crimini talmente atroci e infamanti che nessuno deve accettare di vedersene 
attribuita la paternità; anzi bisogna liberarsi anche del sospetto se si può 
fare nel rispetto della giustizia. La stessa eccezione va 
fatta per le persone dal cui buon nome dipende l’edificazione di molti; in tali 
casi è necessario perseguire la riparazione del torto ricevuto, e questo secondo 
la più rigorosa morale teologica. 
Capitolo VIII 
LA DOLCEZZA VERSO IL PROSSIMO E IL RIMEDIO 
CONTRO L’IRA Il sacro crisma che, per 
tradizione apostolica, la Chiesa usa nelle confermazioni e nelle benedizioni, è 
composto di olio di oliva e balsamo: questi due elementi ricordano, tra l’altro, 
le due meravigliose virtù che risplendevano in modo particolare nella persona di 
Nostro Signore. Egli ce le ha raccomandate personalmente, quasi che, per mezzo 
di esse soltanto, il nostro cuore possa essere consacrato al suo servizio e 
trascinato ad imitarlo: Imparate da me, dice, che sono mite e umile di cuore. L’umiltà ci fa crescere in 
perfezione davanti a Dio e la dolcezza davanti al prossimo. Il balsamo che, come 
ho detto sopra, scende sempre a fondo, raffigura l’umiltà, e l’olio di oliva, 
che rimane sempre in superficie, raffigura la dolcezza e la bonomia, che 
superano tutte le virtù ed eccellono quali splendidi fiori della carità che, 
stando a s. Bernardo, raggiunge la perfezione quando non è soltanto paziente, ma 
anche dolce e affabile. Fa attenzione, Filotea: 
questo mistico crisma composto di dolcezza e di umiltà deve trovarsi dentro al 
tuo cuore; l’abile inganno del nemico, infatti, è quello di far sì che molti si 
fermino alle parole ed agli atteggiamenti esterni di queste due virtù, per cui, 
nella loro imperdonabile superficialità, pensano di essere umili e dolci, mentre 
non lo sono affatto; e si tradiscono perché, nonostante la loro cerimoniosa 
dolcezza e umiltà, alla minima parola leggermente scortese, alla più piccola 
ingiuria, scattano con un’arroganza inaspettata. Si dice che coloro i quali 
si sono immunizzati per mezzo del controveleno chiamato comunemente "la grazia 
di S. Paolo", se vengono punti o morsicati d una vipera, non si gonfiano, a 
condizione che "la grazia" fosse di prima qualità. Quando l’umiltà e la dolcezza 
sono vere e sincere capita la stessa cosa: ci difendono dal gonfiore e dal 
bruciore che le ingiurie abitualmente provocano nei nostri cuori. Ne consegue 
che se reagisci mostrandoti orgogliosa, gonfia d’ira, indispettita, allorché sei 
punta e morsicata dalle male lingue, vuole dire che la tua umiltà e la tua 
dolcezza non sono profonde e sincere ma soltanto superficiali ed epidermiche. Il santo ed illustre 
Patriarca Giuseppe, quando dall’Egitto rispedì i fratelli a casa del padre, 
diede loro un consiglio: Per via, non adiratevi. A te dico la stessa cosa, 
Filotea. Questa vita terrena è soltanto un cammino versa quella beata, non 
adiriamoci dunque per la strada gli uni contro gli altri; camminiamo 
tranquillamente e in pace con i fratelli e i compagni di viaggio. Con chiarezza, e senza 
eccezioni, ti dico: Se ti è possibile, non inquietarti affatto, non deve 
esistere alcun pretesto perché tu apra la porta del cuore all’ira. S. Giacomo, 
senza tanti giri di parole, dice chiaramente: L’ira dell’uomo non opera la 
giustizia di Dio. Bisogna resistere 
seriamente al male e reprimere i vizi di coloro di cui abbiamo la 
responsabilità, con costanza e con decisione, ma sempre con dolcezza e serenità. 
Niente calma un elefante infuriato come la vista di un agnellino e nulla attenua 
la violenza delle cannonate come la lana. La correzione dettata 
dalla passione, anche quando ha basi ragionevoli, ha molto meno efficacia di 
quella che viene unicamente dalla ragione; questo perché l’anima ragionevole sa 
cedere alla ragione, ma rifiuta di piegarsi alla passione ed alla tirannia. Di 
modo che la ragione accompagnata dalla passione è odiosa, perché la sua giusta 
autorità è avvilita dall’alleanza con la tirannia. I Principi, quando fanno 
visita con un seguito di pace, onorano e danno gioia ai popoli; ma quando 
arrivano con i soldati, anche se è per il bene pubblico, la loro visita è sempre 
sgradita e apportatrice di danni; perché, anche qualora riescano a far osservare 
rigorosamente la disciplina ai loro soldati, non potranno mai riuscire ad 
impedire che scoppi qualche disordine, in cui il civile ha la peggio e viene 
oppresso. Allo stesso modo, quando 
domina la ragione e distribuisce pacificamente castighi, correzioni, rimproveri, 
anche se lo fa con rigore e severità, tutti le vogliono bene ugualmente e 
approvano il suo operato; ma se porta con sé l’ira, la collera, la stizza, che, 
dice S. Agostino, sono i suoi soldati, da amabile diventa piuttosto temibile e 
il cuore ne esce sempre maltrattato e calpestato. Dice sempre S. Agostino, 
scrivendo a Profuturo: E’ meglio chiudere la porta all’ira giusta e imparziale, 
anche se di minime proporzioni, perché, una volta entrata, è molto difficile 
farla uscire, poiché entra come un piccolo germoglio, e in brevissimo tempo, 
cresce e diventa un albero. Che se poi giunge fino 
alla notte e il sole tramonta sulla nostra ira, ciò che l’Apostolo proibisce, si 
tramuta in odio e non te ne liberi più. Perché essa si nutre di mille false 
convinzioni. Non si è mai trovato un uomo adirato il quale fosse convinto che la 
sua ira era ingiusta. Meglio imparare a vivere 
senza collera, che volersi servire con moderazione e saggezza della collera, e 
quando, a causa della nostra imperfezione e debolezza, ci coglie di sorpresa, è 
meglio respingerla immediatamente che voler entrare in trattativa con essa. E 
sai perché? Per poco che tu le conceda, diventa subito padrona della piazza e fa 
come il serpente che, dove riesce a far passare la testa, fa passare tutto il 
corpo. Ma come faccio a 
respingerla? Dirai. Semplicissimo, ti rispondo. Al primo allarme raccogli tutte 
le tue forze, non con precipitazione e violenza, ma con dolcezza, tuttavia con 
serio impegno. Hai notato quello che accade nelle sedute di molti senati e 
parlamenti? Gli uscieri che gridano: zitti là o zitti qui, fanno più confusione 
di quelli che vorrebbero far tacere. Allo stesso modo, può capitarci che quando 
con forza vogliamo reprimere la collera, provochiamo più agitazione nel nostro 
cuore di quanta non ne avrebbe causata la collera; il cuore così agitato non 
riesce più ad essere padrone di se stesso. Dopo questo sforzo 
compiuto con calma, segui il consiglio che S. Agostino, già vecchio, diede al 
giovane Vescovo Ausilio: Fa ciò che deve fare un uomo; e se ti capita ciò che 
l’uomo di Dio dice nel Salmo: Il mio occhio è turbato da grande collera, ricorri 
a Dio e grida: Abbi misericordia di me, Signore; e così egli stenderà la sua 
mano destra e reprimerà la tua collera. Voglio dire che bisogna 
invocare l’aiuto di Dio, quando ci sentiamo agitati dalla collera, ad imitazione 
degli Apostoli, sballottati sul mare dal vento e dalla tempesta: comanderà alle 
nostre passioni e subentrerà una grande calma. Ma non mi stancherò mai di 
ripeterti che l’orazione che si fa contro la collera in atto che ci sta 
travolgendo, deve essere fatta con dolcezza, tranquillità, non con violenza. E’ 
una norma generale per tutti i rimedi contro questo male. Di più, appena ti accorgi 
che ti sei lasciata andare a qualche atto di collera, rimedia con un atto di 
dolcezza, nei confronti della stessa persona con cui ti sei irritata. Rimedio sovrano contro la 
menzogna, è correggerla subito, appena uno si accorge di averla detta; per la 
collera bisogna agire nello stesso modo: appena ti accorgi di esserci caduta, 
ripara subito con un atto contrario di dolcezza. C’è un detto che fa al caso 
nostro: la piaga recente si cura meglio. Fa qualche cosa di più: 
quando sei calma e senza alcun motivo di collera, fa rifornimento di dolcezza e 
di affabilità, parlando e agendo, nelle tue azioni piccole e grandi, nel modo 
più cortese che ti sarà possibile, ricordandoti che la Sposa, nel Cantico dei 
Cantici, non soltanto ha il miele sulle labbra e sulla lingua, ma anche nel 
petto, ove non c’è soltanto miele, ma anche latte. Perché non basta avere la 
parola dolce nei confronti del prossimo, bisogna averla anche nel petto, ossia 
nell’intimo della nostra anima. Non basta nemmeno avere la dolcezza del miele, 
che è aromatico e profumato, e raffigura la dolcezza della conversazione educata 
con gli estranei, ma bisogna avere anche la dolcezza del latte verso i familiari 
e i vicini: in questo mancano seriamente quelli che sono angeli per la strada e 
diavoli in casa. 
Capitolo IX 
LA DOLCEZZA VERSO NOI STESSI Uno dei metodi più 
efficaci per conseguire la dolcezza è quello di esercitarla verso se stessi, non 
indispettendosi mai contro di sé e contro le proprie imperfezioni. E’ vero che 
la ragione richiede che quando commettiamo errori ne siamo dispiaciuti e 
rammaricati, ma non che ne proviamo un dispiacere distruttivo e disperato, 
carico di dispetto e di collera. E in questo molti sbagliano grossolanamente 
perché si mettono in collera, poi si infuriano perché si sono infuriati, 
diventano tristi perché si sono rattristati, e si indispettiscono perché si sono 
indispettiti. In tal modo conservano il cuore come frutta candita a bagno nella 
collera: può anche sembrare che la seconda collera elimini la prima, ma in 
realtà è soltanto per fare spazio maggiore alla seconda, alla prima occasione. C’è di più: queste collere 
e amarezze contro di se stessi portano all’orgoglio e sono soltanto espressione 
di amor proprio, che si tormenta e si inquieta per le imperfezioni. Il 
dispiacere che dobbiamo avere per le nostre mancanze deve essere sereno, 
ponderato e fermo; un giudice punisce molto meglio i colpevoli quando emette 
sentenze ragionevoli in ispirito di serenità, che quando procede con 
aggressività e passione. In tal caso non punirebbe le colpe secondo la loro 
natura, ma secondo la propria passione. Allo stesso modo noi puniamo molto 
meglio noi stessi se usiamo correzioni serene e ponderate e non aspre, 
precipitose e colleriche; tanto più che queste correzioni fatte con irruenza non 
sono proporzionate alle nostre colpe ma alle nostre inclinazioni. Per esempio, chi è 
attaccato alla castità, andrà su tutte le furie e sarà inconsolabilmente 
amareggiato per la minima colpa contro di essa, e poi farà le matte risate per 
una gravissima maldicenza commessa. Per contro, chi odia la maldicenza, andrà in 
crisi per una leggera mormorazione e non darà peso ad una grave mancanza contro 
la castità; e così via. E questo capita perché la coscienza di costoro non 
giudica secondo ragione, ma secondo passione. Devi credermi, Filotea: le 
osservazioni di un papà, se fatte con dolcezza e cordialità, hanno molta più 
efficacia per correggere il figlio, della collera e delle sfuriate. La stessa 
cosa avviene quando il nostro cuore è caduto in qualche colpa: se lo riprendiamo 
con osservazioni dolci e serene e gli dimostriamo più compassione che passione, 
lo incoraggiamo a correggersi, il pentimento sarà molto più profondo e lo 
compenetrerà più di quanto non farebbe un pentimento pieno di dispetto, di ira e 
di minacce. Per conto mio, posto che 
ci tenessi molto a non cadere nel vizio di vanità, e ciononostante ci fossi 
caduto, e seriamente, non vorrei correggere il mio cuore con parole come le 
seguenti: Guarda quanto sei miserabile e abominevole; dopo tante risoluzioni, 
guarda come ti sei lasciato travolgere! Muori di vergogna, non azzardarti più ad 
alzare gli occhi verso il cielo; cieco, svergognato, traditore e sleale con il 
tuo Dio, e simili cose. Io procederei invece, ragionevolmente, con compassione: 
Coraggio, mio povero cuore, eccoci caduti nella trappola da cui avevamo promesso 
di stare lontano; rialziamoci e liberiamocene per sempre, invochiamo la 
misericordia di Dio e speriamo in essa; d’ora in poi ci darà la sua assistenza 
per renderci più decisi, rimettiamoci in cammino con umiltà. Coraggio, d’ora in poi 
stiamo in guardia, Dio ci aiuterà, ce la faremo. E su questa correzione vorrei 
costruire un solido e fermo proposito di non ricaderci più, prendendo i mezzi 
più idonei a tal fine, compreso il parere del mio direttore spirituale. Se poi qualcuno pensasse 
di non essere sufficientemente scosso da questo tipo di correzione, potrebbe 
servirsi di un richiamo o di un rimprovero duro e forte per provocare una 
vergogna profonda, purché, dopo aver rudemente sgridato e strapazzato il proprio 
cuore, chiuda con una consolazione, ponendo termine alla sua amarezza e al suo 
corruccio con una dolce e santa fiducia in Dio, ad imitazione di quel grande 
penitente che, vedendo un’anima afflitta, la risollevava in questo modo: Perché 
sei triste, anima mia? Perché mi turbi? Spera in Dio, io lo benedirò ancora 
perché è la salvezza del mio volto e il mio vero Dio. Rialza dunque dolcemente 
il tuo cuore quando cade, umiliati grandemente davanti a Dio alla conoscenza 
della tua miseria; ma non meravigliarti della tua caduta: è naturale che 
l’infermità sia malata, che la debolezza sia debole, e la miseria sia misera. 
Disprezza con tutte le forze l’offesa che Dio ha ricevuto da te e, con coraggio 
e fiducia nella sua misericordia, rimettiti nel cammino della virtù, che avevi 
abbandonato. 
Capitolo X 
LE OCCUPAZIONI VANNO AFFRONTATE CON 
ATTENZIONE, MA SENZA PRECIPITAZIONE E FRETTA ECCESSIVA La cura e la diligenza che 
dobbiamo mettere nelle nostre occupazioni non hanno nulla in comune con l’ansia, 
l’apprensione e la fretta eccessiva. Gli Angeli hanno cura 
della nostra salvezza e la procurano con diligenza, ma senza ansia, apprensione 
e fretta; la cura e la diligenza sono espressione della loro carità, mentre 
l’ansia, l’apprensione e la fretta sarebbero contrarie al loro stato di 
beatitudine; giacché la cura e la diligenza possono essere compagne della 
serenità e della pace dello spirito; non invece l’ansia, la preoccupazione, e 
ancor meno l’angustia precipitosa. Sii dunque accurata e 
diligente in tutte le responsabilità che ti saranno affidate, Filotea; se Dio te 
le ha affidate, tu ne devi avere grande cura; ma se ti è possibile, non cadere 
nell’ansia e nell’apprensione, ossia non affrontarle con cuore inquieto, ansioso 
e tormentato. Non agire con 
precipitazione nel compimento dei tuoi doveri: la precipitazione turba la 
ragione e il giudizio, e ci impedisce di compiere bene proprio quello verso cui 
ci precipitiamo! Quando Nostro Signore 
riprende Marta, dice: Marta, Marta, sei ansiosa e ti agiti per molte cose. Vedi, 
se ella fosse stata semplicemente premurosa, non si sarebbe agitata; ma è 
proprio perché era preoccupata e inquieta che si affretta e si agita, ed è 
proprio questo che Nostro Signore le rimprovera. I fiumi che scorrono 
dolcemente nella pianura portano grandi battelli con ricche merci; le piogge che 
cadono dolcemente sulla campagna la rendono feconda di foraggi e di grano; ma i 
torrenti ed i corsi d’acqua che precipitano a valle con rapide e cascate, 
rovinano le campagne circostanti e non sono utili al traffico; lo stesso fanno 
le piogge violente e tempestose che travolgono i terreni lavorati e rovinano i 
pascoli. Un lavoro fatto con violenza e precipitazione non riesce mai bene: 
Bisogna affrettarsi con calma, dice l’antico proverbio. Colui che ha fretta, dice 
Salomone, corre il rischio di inciampare e urtare contro tutto. Facciamo sempre 
abbastanza presto quando facciamo bene. I fuchi fanno molto più 
rumore e si spostano con molta più fretta della api, ma producono soltanto cera, 
non miele. Più o meno fanno la stessa cosa coloro che si affrettano con un’ansia 
bruciante e con un’apprensione disordinata: finiscono con il fare poco e male! Le mosche non ci danno 
noia per la mole, ma per il numero: allo stesso modo si può dire che le 
occupazioni importanti non ci mettono in agitazione come le piccole, perché 
queste si presentano molto numerose. Accetta in pace le 
incombenze che ti capitano, e cerca di portarle a termine con ordine, una dopo 
l’altra. Se vuoi farle tutte in una volta e disordinatamente, farai soltanto 
sforzi che ti angustieranno e prostreranno il tuo spirito; e finirai quasi 
sempre schiacciato sotto il loro peso e senza risultato. In tutte le tue 
occupazioni appoggiati completamente alla Provvidenza di Dio, che è la sola che 
possa dare compimento ai tuoi progetti; tuttavia, da parte tua, lavora 
dolcemente per cooperare con essa , e sii certa che se confidi in Dio, il 
risultato che conseguirai sarà sempre il migliore per te, sia che ti sembri 
personalmente buono che cattivo. Fa come i bambini che con 
una mano si aggrappano a quella del papà e con l’altra raccolgono le fragole e 
le more lungo le siepi; anche tu fai lo stesso: mentre con una mano raccogli e 
ti servi dei beni di questo mondo, con l’altra tinti aggrappata al Padre 
celeste, volgendoti ogni tanto verso di Lui, per vedere se le tue occupazioni e 
i tuoi affari sono di suo gradimento. Fa attenzione a non lasciare la sua mano e 
la sua protezione, pensando così di raccogliere e accumulare di più. Se il Padre 
celeste ti lascia non farai più nemmeno un passo, ma finirai subito a terra. 
Voglio dire, Filotea, che quando sarai in mezzo agli affari e alle occupazioni 
ordinarie, che non richiedono un’attenzione molto accurata e assidua, guarda Dio 
più delle occupazioni; quando gli affari sono così importanti che richiedono 
tutta la tua attenzione per riuscire bene, ogni tanto dà uno sguardo a Dio, come 
fanno coloro che navigano in mare i quali per raggiungere il porto previsto, 
guardano più il cielo che la nave. Così Dio lavorerà con te, in te e per te, e 
il tuo lavoro sarà accompagnato dalla gioia. 
Capitolo XI 
L’OBBEDIENZA Soltanto la carità ci 
eleva alla perfezione; ma l’obbedienza, la povertà e la castità sono i tre 
grandi mezzi per acquistarla. L’obbedienza consacra il nostro cuore, la castità 
il nostro corpo, e la povertà i nostri beni all’amore e al servizio di Dio: sono 
i tre bracci della croce spirituale, che poggiano sul quarto che è l’umiltà. Non intendo parlare di 
queste virtù in quanto oggetto di voto pubblico; riguarda soltanto i religiosi; 
e nemmeno in quanto oggetto di voto privato, perché il voto aggiunge sempre 
grazie e meriti a tutte le virtù. Tuttavia per portarci a perfezione non è 
necessario che siano oggetto di voto; l’importante è che siano vissute. Quando sono legate al 
voto, soprattutto se pubblico, mettono l’uomo nello stato di perfezione; per 
metterlo invece semplicemente nella perfezione è sufficiente viverle. C’è molta 
differenza tra lo stato di perfezione e la perfezione: tutti i vescovi e i 
religiosi sono nello stato di perfezione, ma non per questo sono nella 
perfezione, il che si vede anche troppo! Sforziamoci, Filotea, di 
mettere bene in pratica queste tre virtù, ciascuno secondo la propria vocazione; 
è vero che non ci mettono nello stato di perfezione, ma ci daranno l’autentica 
perfezione; tutti siamo obbligati a praticare queste tre virtù, anche se non 
tutti allo stesso modo. Due sono i generi 
d’obbedienza: l’obbligatoria e la volontaria. In forza dell’obbligatoria devi 
obbedire umilmente ai tuoi superiori ecclesiastici, come il papa, il vescovo, il 
parroco e i loro rappresentanti; devi poi obbedire ai tuoi superiori civili, 
ossia il principe e i magistrati da lui preposti al governo del tuo paese; poi 
devi ubbidire anche ai tuoi superiori familiari, ossia tuo padre, tua madre, il 
padrone e la padrona. Questa obbedienza si chiama obbligatoria perché nessuno 
può dispensarsi dall’obbligo di ubbidire ai superiori sunnominati, perché è Dio 
che ha dato loro l’autorità di comandare e di governare, ognuno nei suoi limiti. 
Fa dunque quello che ti è comandato. E’ necessario. Ma per essere perfetto devi 
seguire i loro consigli e anche i loro desideri e le preferenze nella misura in 
cui te lo permettono la prudenza e la carità. Obbedisci quando ti ordinano una 
cosa gradevole, come mangiare, prendere un po’ di ricreazione; può anche 
sembrare che non ci sia grande virtù ad obbedire in queste cose. E’ certo che 
sarebbe un difetto grave disobbedire. Obbedisci alle cose 
indifferenti, quali indossare un abito anziché un altro, passare per una strada 
anziché per un’altra, cantare o tacere; sarà un’obbedienza molto preziosa. 
Obbedisci nelle cose difficili, aspre e dure; quella sarà un’obbedienza 
perfetta. Obbedisci poi con 
dolcezza, senza repliche; con prontezza, senza ritardi; con gioia, senza 
tristezza; soprattutto obbedisci con amore, per amore di colui che, per amor 
nostro, si è fatto obbediente fino alla morte in Croce, e che, come dice S. 
Bernardo, preferì rinunciare alla vita piuttosto che all’obbedienza. Per imparare ad obbedire 
con facilità ai tuoi superiori, accondiscendi senza difficoltà alla volontà dei 
tuoi pari, cedendo al loro parere in ciò che non ha nulla di male, lasciando da 
parte un comportamento litigioso ed aspro; adattati volentieri ai desideri dei 
tuoi inferiori nei limiti del ragionevole, senza prendere atteggiamenti 
intransigenti d’autorità, almeno finché si comportano bene. 
 E’ falso credere che da 
religioso o da religiosa ci sarebbe più facile obbedire; sarebbe la stessa cosa. 
Se ora troviamo difficile ed arduo obbedire a coloro che Dio ci ha preposto, 
nulla cambierebbe mutando stato! Chiamiamo obbedienza 
volontaria quella cui ci leghiamo per nostra scelta, e che non ci è imposta da 
alcuno. Abitualmente il principe e il vescovo non li scegliamo noi, né il padre, 
né la madre; qualche volta nemmeno il marito. Ma scegliamo invece il confessore 
e il direttore spirituale. Ora, sia che alla scelta si aggiunga il voto di 
obbedirgli, come fece S. Teresa che, oltre all’obbedienza solenne votata al 
superiore dell’Ordine, si era obbligata con voto semplice, ad obbedire al P. 
Graziano; o anche senza voto, si prometta obbedienza a qualcuno, questa rimarrà 
sempre un’obbedienza volontaria, perché è decisa dalla nostra volontà in base 
alla nostra scelta. Bisogna ubbidire a tutti i 
superiori, a ciascuno nel campo che lo riguarda. Per ciò che riguarda lo Stato e 
la cosa pubblica, bisogna ubbidire alle autorità civili; per ciò che riguarda il 
campo religioso, ai vescovi; per le cose di casa, al padre, al marito, al 
padrone; per la guida personale dell’anima al confessore e al direttore. Fatti indicare dal padre 
spirituale gli esercizi di pietà che devi praticare; riusciranno meglio ed 
avranno doppia grazia e doppio valore: la prima, per se stessi, perché sono pii 
esercizi; l’altra la ricevono dall’obbedienza che li ha prescritti e in virtù 
della quale sono compiuti. Gli obbedienti sono dei fortunati, perché il Signore 
non permetterà mai che si perdano. 
Capitolo XII 
LA NECESSITA’ DELLA CASTITA’ La castità è il giglio 
delle virtù; rende gli uomini simili agli Angeli. Niente è bello se non è puro, 
e la purezza degli uomini è la castità. Alla castità si dà il nome di onestà, e 
alla sua conservazione, onore, Viene anche chiamata integrità e il contrario 
corruzione. Gode di gloria tutta speciale perché è la bella e splendida virtù 
dell’anima e del corpo. Non è mai permesso 
prendere piaceri impudichi dai nostri corpi, poco importa in che modo. Li 
legittima soltanto il matrimonio che, con la sua santità, compensa il discredito 
insito nel piacere. Anche nel matrimonio bisogna avere cura che l’intenzione sia 
onesta, perché se ci dovesse essere qualche sconvenienza nel piacere che si 
prende, ci sia sempre l’onestà nell’intenzione che lo ha cercato. Il cuore casto è come la 
madreperla, che può ricevere soltanto le gocce d’acqua che scendono dal cielo, 
giacché può accogliere soltanto i piaceri del matrimonio, che viene dal cielo. 
Fuori da ciò non deve nemmeno tollerare il pensiero voluttuoso, volontario e 
prolungato. Come primo grado in questa 
virtù, Filotea, guarda di non accogliere in te alcun genere di piacere 
inammissibile e proibito, quali sono tutti quelli che si prendono fuori del 
matrimonio, o anche nel matrimonio, se si prendono contro le regole del 
matrimonio. Come secondo grado, 
taglia, per quanto ti sarà possibile, anche i piaceri inutili e superflui, 
benché permessi e leciti. Per il terzo, non legare 
il tuo affetto ai piaceri e alle soddisfazioni che sono comandate e prescritte; 
è vero che bisogna prendere i piaceri necessari, ossia quelli che sono legati al 
fine e alla natura stessa del santo matrimonio, ma non per questo devi impegnare 
in essi il cuore e lo spirito. Del resto, tutti hanno 
molto bisogno di questa virtù. Coloro che vivono nella vedovanza devono avere 
una castità coraggiosa, che non soltanto disprezza le occasioni presenti e le 
future, ma resiste alle fantasie che i piaceri leciti provati nel matrimonio 
possono suscitare nel loro spirito, che per questo sono più sensibili alle 
suggestioni poco oneste. E’ questa la ragione per 
cui S. Agostino ammira la purezza del suo caro Alipio, che aveva completamente 
dimenticato e non teneva in alcun conto i piaceri carnali, che aveva conosciuto, 
almeno in parte, nella sua giovinezza. Prendi a paragone i frutti: un frutto 
sano e intero può essere conservato o nella paglia o nella sabbia o nelle 
proprie foglie; ma una volta intaccato, è impossibile conservarlo se non 
facendone marmellata con l’aggiunta di miele o di zucchero; così avviene per la 
castità non ancora ferita e contaminata: sono tanti i modi per conservarla, ma 
una volta intaccata, può conservarla soltanto una devozione eccellente che, come 
ho detto spesso, è l’autentico miele e lo zucchero delle anime. Le vergini hanno bisogno 
di una devozione semplice e delicata, per bandire dal loro cuore ogni genere di 
pensieri curiosi ed eliminare con un disprezzo totale ogni genere di piacere 
immondo che, a essere sinceri, non meritano nemmeno di essere considerato dagli 
uomini, visto che i somari e i porci li superano in questo campo. Quelle anime pure stiamo 
bene attente; senza alcun dubbio dovranno sempre avere per certo che la castità 
è incomparabilmente molto meglio di tutto ciò che le è contrario; il nemico, 
infatti, dice S. Girolamo, spinge fortemente le vergini al desiderio di provare 
il piacere. A tal fine lo rappresenta loro molto più attraente e delizioso di 
quanto non sia; questo le turba molto, dice quel Padre, perché pensano che 
quello che non conoscono sia più dolce. La piccola farfalla ci è 
maestra: vedendo la fiamma così bella vuol provare se non sia altrettanto dolce; 
e, spinta da questo desiderio, non si arrende finché, alla prima prova, ci 
rimane. I giovani agiscono allo stesso modo: si lasciano talmente affascinare 
dal falso e vuoto luccichio delle fiamme del piacere che, dopo averci girato 
intorno con mille pensieri curiosi, finiscono per cadere e perdersi. In questo 
sono più sciocchi delle farfalle, perché quelle, in una certa misura, hanno 
motivo di pensare che il fuoco sia anche buono perché è veramente bello; mentre 
questi sanno bene che quello che vogliono è disonesto, ma non per questo 
tagliano la stima folle ed esagerata che hanno del piacere. Per gli sposati dico che è 
sicuro, anche se la gente comune non riesce a pensarlo, che la castità è loro 
molto necessaria; per essi non consiste nell’astenersi in modo totale dai 
piaceri carnali, ma nel sapersi moderare. Ora, a mio parere, il comando: 
Adiratevi e non peccate, è più difficile di quest’altro: Non adiratevi affatto. 
Riesce più facile evitare la collera che controllarla. Lo stesso si può dire dei 
piaceri carnali: è più facile astenersene completamente che essere moderati. E’ vero che la grazia del 
sacramento del matrimonio dà una forza particolare per attenuare il fuoco della 
concupiscenza, ma la debolezza di coloro che ne usufruiscono passa facilmente 
alla permissività, poi alla dissoluzione, dall’uso all’abuso. Molti ricchi sono ladri, 
non per bisogno, ma per avarizia. Così molta gente sposata ruba piaceri 
disordinati solo per mancanza di padronanza e lussuria, benché abbiano un campo 
legittimo sufficientemente ampio nel quale muoversi; la loro concupiscenza 
assomiglia a un fuoco fatuo, che balla qua e là senza fermarsi in alcun luogo. E’ sempre pericoloso 
prendere medicine troppo forti, perché qualora se ne prenda più della giusta 
dose, o anche se la medicina non è stata ben preparata, ce ne viene del danno: 
il matrimonio è stato istituito, in parte, anche quale rimedio della 
concupiscenza; senz’altro è un rimedio di ottima efficacia, ma , attenzione, 
perché è molto forte, di conseguenza può essere molto pericoloso se non è usato 
con discrezione. Aggiungo che i casi della 
vita, oltre alle lunghe malattie, spesso separano i mariti dalle mogli. Ecco 
perché gli sposati hanno bisogno di due generi di castità: la prima, per essere 
capaci di vivere in astinenza assoluta quando sono separati, nelle occasioni cui 
ho appena accennato; la seconda, per essere capaci di moderarsi, quando vivono 
insieme. S. Caterina da Siena vide 
tra i dannati dell’inferno molti che erano tormentati con supplizi 
particolarmente atroci per avere profanato la santità del matrimonio: e questo 
era loro capitato, diceva, non per la gravità del peccato in sé, perché gli 
omicidi e le bestemmie sono più gravi, ma perché coloro che li avevano commessi 
vi avevano preso l’abitudine senza più farci caso, e così avevano persistito 
negli stessi per lungo tempo. Vedi dunque che la castità 
è necessaria a tutti. Procura di essere in pace con tutti, dice l’Apostolo, e di 
possedere la santità senza di cui nessuno vedrà Dio. Ora, per santità, secondo 
S. Girolamo e S. Giovanni Crisostomo, intende la castità. Filotea, è proprio vero, 
nessuno vedrà Dio se non è casto, nessuno abiterà nella sua santa tenda se non è 
puro di cuore; e, come dice il Salvatore stesso: I cani e i peccatori di 
sensualità ne saranno esclusi, e beati i puri di cuore perché vedranno Dio. 
Capitolo XIII 
CONSIGLI PER CONSERVARE LA CASTITA’ Filotea, tienti lontana 
dagli inganni e dagli allettamenti della sensualità. E’ un cancro che corrode 
impercettibilmente; e da inizi invisibili ti porta in breve a situazioni 
incontrollabili; è più facile evitarlo che guarirlo. I corpi umani assomigliano 
a vasi di vetro che non possono essere trasportati insieme senza porre qualche 
cosa tra l’uno e l’altro; senza tale precauzione, il rischio di mandarli in 
pezzi è molto grande. Anche la frutta ci può insegnare qualcosa: infatti anche 
se la frutta che trasporti è sana e matura al punto giusto, rischi di ammaccarla 
tutta sballottandola, se non metti qualcosa tra un frutto e l’altro. Anche 
l’acqua, per limpida che sia, quando la versi in un vaso, se ci mette il muso un 
animale sporco la sua limpidezza è svanita. Non permettere mai, Filotea, che 
qualcuno ti tocchi in modo screanzato, né per leggerezza, né per amicizia; è 
vero che, volendo, la castità può essere conservata anche in simili situazioni, 
che sanno più di leggerezza che di malizia; ma la freschezza del fiore della 
castità ne soffre sempre e ci perde qualche cosa. Se poi uno si lascia toccare 
in modo disonesto, è la fine totale della castità. La castità ha la sua 
radice nel cuore, ma è il corpo la sua abitazione; ecco perché si perde a causa 
dei sensi esteriori del corpo e per i pensieri e i desideri del cuore. Guardare, 
ascoltare, parlare, odorare, toccare cose disoneste è impudicizia se il cuore vi 
si immerge e ci prende piacere. S. Paolo taglia corto: La fornicazione non deve 
nemmeno essere nominata tra di voi. Le api evitano nel modo 
più assoluto di toccare le carogne, ma non basta: fuggono e non riescono nemmeno 
a sopportare il lezzo che ne emana. Nel Cantico dei Cantici, la Sposa dalle mani 
distilla mirra, profumo che preserva dalla corruzione; le sue labbra sono 
coperte di un nastro rosso, segno del pudore delle sue parole; i suoi occhi 
assomigliano a quelli di una colomba per la loro purezza; il suo naso è 
incorruttibile come i cedri del Libano. E’ così l’anima devota deve essere: 
casta, pura, onesta di mani, di labbra, di orecchie, di occhi e di corpo. A questo proposito ti 
riporto quello che dice il padre [del deserto] Cassiano, come uscito dalla bocca 
del grande S. Basilio, che disse un giorno, parlando di se stesso: Non ho mai 
conosciuto donne eppure non sono vergine. La castità si può perdere in tanti 
modi quanti sono i generi di impudicizie e di lascivie, che poi, secondo che 
sono grandi o piccole, l’indeboliscono, la feriscono, o la fanno morire del 
tutto. Certe familiarità, certe passioncelle leggere e un po’ sensitive, a voler 
essere nel giusto, non ledono gravemente la castità; tuttavia la indeboliscono, 
la rendono malaticcia e offuscano il suo splendore. Ci sono poi altre 
familiarità e passioni, che non sono soltanto indiscrete, ma viziose; non 
soltanto leggere, ma disoneste; non soltanto sensitive, ma carnali; la castità 
da queste ne rimarrà sempre almeno ferita e paralizzata. Ho detto almeno, perché 
abitualmente muore e scompare del tutto quando le leggerezze e le lascivie danno 
alla carne il massimo del piacere voluttuoso, perché in tal caso, la castità 
perisce nel modo più indegno, perverso e infelice che si possa immaginare. E’ 
peggio di quando si perde per fornicazione, adulterio e incesto, perché questi 
ultimi sono soltanto peccati, ma gli altri, dice Tertulliano, nel libro 
dell’Impudicizia, sono ‘mostri’ di iniquità e di peccato. Cassiano non crede, e io 
nemmeno, che S. Basilio si riferisca a queste sregolatezze, quando dice di non 
essere più vergine; penso che si riferisse soltanto ai cattivi pensieri di 
sensualità che, pur non avendo contaminato il corpo, avevano contaminato il 
cuore, della cui castità, abitualmente, le anime riservate sono molto gelose. Nel modo più assoluto, 
Filotea, non frequentare le persone licenziose, soprattutto se in più, sono 
anche svergognate, il che avviene quasi sempre; sai perché? Sono come i caproni 
che, leccando i mandorli dolci, li rendono amari. Quelle anime maleodoranti 
e quei cuori infetti non riescono a conversare con alcuno, poco importa di quale 
sesso, senza trascinarlo in qualche modo nell’impudicizia. Hanno il veleno negli 
occhi e nell’alito come i basilischi. Frequenta piuttosto le 
persone caste e virtuose, pensa e leggi spesso cose sante, perché la Parola di 
Dio è casta e rende casti coloro che vi si compiacciono; sicché Davide la 
paragona al topazio, pietra preziosa, che ha la proprietà di calmare l’ardore 
della concupiscenza. Tienti sempre vicino a 
Gesù Cristo crocifisso; fallo spiritualmente con la meditazione e realmente con 
la santa Comunione: perché allo stesso modo che coloro i quali si coricano 
sull’erba detta "agnus castus" diventano casti e puri, se tu riposi il cuore su 
Nostro Signore, che è il vero Agnello casto e immacolato, scoprirai presto che 
la tua anima e il tuo corpo sono mondati da tutte le sozzure e le sensualità. 
Capitolo XIV 
LA POVERTA’ DI SPIRITO OSSERVATA NELLE 
RICCHEZZE Beati i poveri di spirito, 
perché di essi è il regno dei cieli; infelici dunque i ricchi di spirito, perché 
li aspetta la miseria dell’inferno. Il ricco di spirito è 
quello che ha le ricchezze nel cuore e il cuore nelle ricchezze; il povero di 
spirito è colui che non ha né le ricchezze nel cuore, né il cuore nelle 
ricchezze. Gli alcioni fanno i nidi in forma di palma e vi lasciano soltanto una 
piccola apertura in alto. Li piazzano sulla riva del mare e li costruiscono così 
solidi e impermeabili che se anche le onde dovessero travolgerli, le acque non 
penetrano; anzi rimangono sempre a galla in mezzo al mare, sul mare e padroni 
del mare. Così deve essere il tuo 
cuore, cara Filotea, aperto soltanto al cielo, e impenetrabile alle ricchezze e 
ai beni caduchi. Se possiedi delle ricchezze, non impegnare il cuore in esse; fa 
in modo di dominarle sempre e, pur essendo in mezzo ad esse, comportati come se 
ne fossi senza. Non affogare quel dono del cielo, che è il cuore, nei beni della 
terra; conservalo sempre superiori ad essi, sopra di essi, senza smarrirlo in 
essi. Possedere del veleno ed 
essere avvelenati non è la stessa cosa: i farmacisti possiedono quasi sempre del 
veleno per servirsene in varie circostanze, ma non per questo sono avvelenati; 
non hanno il veleno nel corpo, ma nel laboratorio. Allo stesso modo puoi 
possedere ricchezze senza esserne avvelenata: questo se lo hai in casa o nel 
portafoglio, ma non nel cuore. Essere ricco di fatto e 
povero nel cuore è una gran fortuna per il cristiano; in tal modo ha gli agi 
della ricchezza in questo mondo e il merito della povertà per ‘altro! Sai, Filotea? Nessuno al 
mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere contagiati da 
questo tarlo che inaridisce il cuore. Chi adduce a scusa il pesante fardello dei 
figli, chi la necessità di crearsi una posizione solida. Non si possiede mai 
abbastanza; si scopre sempre un motivo per avere di più: quelli poi che sono 
avari più degli altri, non ammetteranno mai di esserlo, e il bello è che, in 
coscienza, sono proprio convinti di non esserlo! L’avarizia è una febbre 
maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili. 
 Mosè vide la fiamma che 
bruciava un cespuglio senza consumarlo; al contrario il fuoco dell’avarizia, 
consuma e divora l’avaro senza mai bruciarlo. Tra gli ardori e i calori più 
forti, egli si vanta di provare la più riposante freschezza di questo mondo, e 
ritiene la sua sete insaziabile una sete naturale e piacevole. Se desideri lungamente, 
ardentemente e con ansia i beni che non possiedi, hai un bel dire che non li 
vuoi acquistare ingiustamente. Non sarà per questo che cesserai di essere un 
autentico avaro. Chi brama di bere con arsura, con insistenza e con ansia, anche 
se desidera bere solo acqua, dimostra chiaramente di aver la febbre. Filotea, non so fino a che 
punto sia un giusto desiderio voler possedere giustamente quello che un altro 
giustamente già possiede; con questo desiderio noi vogliamo fare il comodo 
nostro incomodando gli altri. Chi già possiede giustamente un bene, non ha forse 
più ragioni di conservarlo giustamente, che noi di volerglielo portar via 
giustamente? E perché vogliamo allungare il nostro desiderio sul suo bene per 
portarglielo via? Ma anche volendo supporre che questo nostro desiderio sia 
giusto per davvero, di sicuro non è caritatevole; è certo che noi saremmo molto 
contrariati se qualcuno, anche giustamente volesse impadronirsi di quello che 
giustamente possediamo noi! Questo è il peccato di Acab, che voleva 
impossessarsi giustamente della vigna di Nabot, mentre Nabot giustamente voleva 
conservarla. La desiderò con tanto ardore, così a lungo e tormentandosi che finì 
con l’offendere Dio. Aspetta, Filotea, a 
desiderare il bene del prossimo che il prossimo abbia il desiderio di 
disfarsene; in tal caso il suo desiderio renderà il tuo più che giusto, 
addirittura caritatevole. Sì, sono d’accordo che tu 
abbia cura di accrescere il tuo patrimonio e le tue possibilità, ma sempre con 
giustizia, con calma e carità. Sì, sono d'accordo che tu 
abbia cura di accrescere il tuo patrimonio e le tue possibilità, ma sempre con 
giustizia, con calma e carità. Se sei molto attaccata ai 
beni che possiedi, se ne sei tutta presa e ci metti dentro il cuore e i 
pensieri, e temi con un timore intenso e ossessivo di perderli, credimi, hai 
ancora la febbre. Chi ha la febbre beve l'acqua che gli offrono con 
un'ingordigia, una bramosia e una soddisfazione che i sani abitualmente non 
manifestano. Non è possibile trovare molta soddisfazione in una cosa, se non 
nutriamo per la stessa molto affetto. Se capita che tu perda dei 
beni e che il tuo cuore rimanga desolato, fortemente afflitto, credi a me, 
Filotea, vuol dire che lì c'era molto del tuo affetto. Infatti l'afflizione per 
la cosa perduta è la prova più certa dell'affetto che si aveva per essa. E allora non desiderare 
con una brama travolgente e definita il bene che non hai; non impegnare troppo 
il cuore in quello che possiedi; non disperarti per i rovesci che potranno 
colpirti. Avrai allora qualche motivo di pensare che, pur essendo ricca di 
fatto, non lo sei di affetto, ma sei povera di spirito e quindi felice, perché 
il Regno dei cieli è tuo. 
Capitolo XV
 
COME DEVE ESSERE PRATICATA LA POVERTA REALE 
RIMANENDO RICCHI DI FATTO Il pittore Parrasio, 
dipingendo il popolo di Atene, ebbe un'idea geniale: lo rappresentò con 
espressioni sempre diverse: di collera, di rabbia, di incostanza, di cortesia, 
di clemenza, di misericordia, di alterigia, di superbia, di umiltà, di vanità, 
di timidezza, e tutto ciò contemporaneamente; io, cara Filotea, vorrei mettere 
allo stesso modo contemporaneamente nel tuo cuore la ricchezza e la povertà, una 
grande cura e un grande disprezzo dei beni temporali. Devi avere più cura tu di 
rendere i tuoi beni utili e fruttuosi di quanta non ne abbia la gente di mondo. 
Infatti i giardinieri dei grandi principi non sono forse più accurati e 
diligenti nel coltivare ed abbellire i giardini loro affidati che se fossero di 
loro proprietà? E perché? P- semplice: pensano che quei giardini appartengono ai 
principi e ai re nelle grazie dei quali vogliono entrare con quel servizio. Filotea, tutto quello che 
possediamo non è nostro: Dio ce l'ha affidato e vuole che lo rendiamo fruttuoso 
e utile; se ne abbiamo cura per bene il nostro servizio gli sarà accetto. Deve 
essere una cura maggiore e più continua di quella che la gente del mondo ha per 
i propri beni. Essi si impegnano soltanto per amore di se stessi, noi invece 
lavoriamo per amore di Dio. Se metti a confronto 
questi due amori arrivi alla conclusione che, poiché l'amore di sé è un amore 
violento, turbolento e ossessivo, anche la cura dei beni fondata su di esso sarà 
agitata, rabbiosa e piena di paure; per contro poiché l'amore di Dio è dolce, 
sereno e tranquillo, la cura dei beni fondata su di esso sarà serena, dolce e 
tranquilla. Cerchiamo di essere calmi nella cura dei nostri beni temporali, sia 
per conservarli, sia anche, all'occasione, per accrescerli, se la nostra 
condizione lo richiede. Questa è la volontà di Dio e noi dobbiamo realizzarla 
per amore. Ma fa attenzione agli 
inganni dell'amor proprio; sa così bene scimmiottare l'amore di Dio, che a volte 
sembra proprio lui! Per impedire questo equivoco, ossia che la cura dei beni 
temporali si tramuti in avarizia, oltre a quanto ti ho indicato nel capitolo 
precedente, dobbiamo molto spesso praticare una povertà reale ed effettiva, pur 
vivendo circondati da tutte le ricchezze che Dio ci ha dato. Comincia col disfarti di 
un po' dei tuoi beni dandoli di tutto cuore ai poveri: dare significa 
impoverirsi nella misura in cui si dà, e più darai e più sarai povera. t- vero 
che Dio ti ricompenserà, non soltanto nell'altro mondo, ma anche in questo; 
infatti niente rende gli affari tanto prosperi quanto l'elemosina. Tuttavia, in 
attesa mancherai di quello che hai dato! Ed è una santa e ricca 
povertà quella procurata dall'elemosina. Ama i poveri e la povertà; 
è questo amore che ti farà sinceramente povera, giacché, come dice la Scrittura, 
noi assomigliamo alle cose che amiamo. L'amore rende simili gli amanti. Chi è 
infermo e io non sono come lui? dice S. Paolo. Avrebbe anche potuto dire: Chi è 
povero e io non lo sono come lui? L'amore lo rendeva simile a quelli che amava. Se dunque ami i poveri 
parteciperai realmente della loro povertà e sarai povera con loro. Se è vero che 
ami i poveri, frequentali spesso: sii contenta quando vengono a casa tua e tu va 
a trovarli a casa loro. Parla volentieri con loro, sii contenta se ti vengono 
vicino in chiesa, per strada, ovunque. Usa un linguaggio semplice con loro, 
parlando come usano parlare tra di loro. Devi invece essere ricca di mano, 
distribuendo loro con abbondanza dei tuoi beni. Vuoi fare ancora di più, 
Filotea? Non accontentarti di essere povera come i poveri, ma sii più povera dei 
poveri. E come? Il servo è minore del padrone: e allora tu fatti serva dei 
poveri. Va a servirli nei loro giacigli quando sono ammalati, intendo di 
persona, con le tue mani; sii la loro cuoca a tue spese; sii la loro cameriera, 
la loro lavandaia. Filotea, questo servizio vale più di una corona reale. Sono preso da sconfinata 
ammirazione ogni volta che penso allo zelo con il quale S. Luigi lo mise in 
pratica: io considero quel monarca uno dei più grandi re della terra, ma di una 
grandezza che abbraccia tutti i settori. Spesso serviva alla tavola dei poveri 
che manteneva a sue spese; e quasi tutti i giorni tre li faceva sedere alla sua 
mensa e spesso mangiava con amore quello che rimaneva nei loro piatti. Quando 
visitava gli ammalati negli ospizi, e lo faceva spesso, abitualmente serviva 
quelli che erano colpiti dalle malattie più ributtanti, come lebbrosi, cancerosi 
e simili; li serviva a capo scoperto e in ginocchio, rispettando in essi la 
persona del Salvatore del mondo; dimostrava loro una tenerezza che soltanto una 
madre premurosa ha per il proprio figlio. S. Elisabetta, figlia del 
re d'Ungheria, si univa abitualmente ai poveri e qualche volta, per 
divertimento, si vestiva poveramente tra le sue dame e diceva loro: Se fossi 
povera, mi vestirei così. Cara Filotea, quel 
principe e quella principessa erano poveri sul serio in mezzo alle ricchezze ed 
erano ricchi nella loro povertà. Beati quelli che sono 
poveri in questo modo, perché di essi è il regno dei cieli. Ho avuto fame e mi 
avete dato da mangiare, ho avuto freddo e mi avete vestito; possedete il regno 
che vi è stato preparato fin dalla creazione del mondo, dirà nel giudizio finale 
il Re dei poveri a coloro che a loro volta avranno voluto essere re, dominando 
le cose materiali. Tutti, prima o poi, 
incontriamo situazioni nelle quali sperimentiamo la mancanza di qualche comodità 
e ne sentiamo il peso. Ci capita, ad esempio, di ospitare una persona che 
vorremmo e dovremmo trattare con riguardo e non c'è modo a causa dell'ora; 
oppure ti capita di avere gli abiti belli in un luogo mentre ti servirebbero in 
un altro per presentarti meglio; ti può capitare ancora che in cantina i vini si 
siano voltati in aceto e ti rimane solo un vino cattivo e aspro; oppure ti trovi 
in campagna in una bicocca dove manca tutto: il letto, la camera, un tavolo, il 
personale! Capita spesso di avere 
bisogno di qualche cosa anche se si è ricchi; in tal caso bisogna saper essere 
poveri in quello che manca. Filotea, sii contenta in 
queste situazioni, accettale volentieri e sopportale serenamente. Quando ti capiteranno 
rovesci che ti impoveriranno, o molto o poco, quali la grandine, il fuoco, le 
inondazioni, la siccità, le ruberie, i processi, allora sì che è il tempo di 
praticare la povertà; accetta serenamente la diminuzione dei beni, adattati con 
pazienza e costanza all'impoverimento. Esaù si presentò -a suo 
padre con le mani coperte di peli, e Giacobbe lo imitò; ma siccome il pelo che 
copriva le mani di Giacobbe non apparteneva alla sua pelle, ma ai guanti, se lo 
poteva togliere senza scorticarsi; al contrario il pelo di Esaù apparteneva alla 
sua pelle; era peloso per natura; chi avesse voluto levarglielo gli avrebbe 
causato un atroce dolore, lo avrebbe fatto urlare e si sarebbe difeso. Quando i nostri beni sono 
legati al cuore, se la grandine, i ladri o gli imbroglioni ce ne strappano una 
parte, che urla, che agitazione, che tormento ne abbiamo! Ma se i nostri beni 
sono attaccati a noi solo per la cura che Dio vuole che ne abbiamo e non sono 
attaccati al cuore, se ce li strappano, non sarà per quello che daremo in smanie 
e cadremo in svenimento. I vestiti degli uomini e 
degli animali differiscono proprio in questo: i vestiti delle bestie fanno parte 
della loro carne, quelli degli uomini sono soltanto sovrapposti, per poterli 
indossare e togliere quando si vuole. 
Capitolo XVI
 
COME PRATICARE LA RICCHEZZA DI SPIRITO NELLA 
POVERTA' REALE Se sei povera di fatto, 
cara Filotea, cerca di esserlo anche nello spirito; fa di necessità virtù, e 
considera la pietra preziosa della povertà per quello che vale. Il mondo non 
apprezza il suo splendore che rimane ugualmente meraviglioso e unico. Coraggio, Filotea, sei in 
buona compagnia: Nostro Signore, la Madonna, gli Apostoli, tanti Santi e Sante 
sono stati poveri, pur avendo avuto la possibilità di essere ricchi, se 
l'avessero voluto. Quante persone del mondo, vincendo contrasti, a volte 
durissimi, sono andati alla ricerca, con un amore impareggiabile, di madonna 
Povertà nei chiostri e negli ospedali. E hanno tanto sofferto per trovarla! Lo 
testimoniano S. Alessio, S. Paola, S. Paolino, S. Angela e tanti altri. Per te, 
Filotea, la Povertà si è scomodata personalmente ed è venuta a trovarti; l'hai 
incontrata senza bisogno di cercarla nella sofferenza. Abbracciala perché è 
l'amica del cuore di Gesù Cristo, che è nato, vissuto e morto con lei vicino; 
per tutta la vita l'ha avuta per governante. La tua povertà, Filotea, 
ha due grandi privilegi che possono procurarti molto merito. Il primo è che non l'hai 
scelta tu, ma è la volontà di Dio che ti ha creata povera senza alcun concorso 
della tua volontà. Ora ciò che riceviamo dalla volontà di Dio senza altri 
interventi, gli è gradito di più, se noi l'accettiamo di cuore e per amore della 
sua santa volontà; quando c'è poco di nostro, c'è molto di DIO. L'accettazione pura e 
semplice della volontà di Dio rende purissima la sofferenza. Il secondo privilegio di 
questa povertà è quello di essere povera sul serio. Una povertà lodata, 
corteggiata, stimata, aiutata e assistita assomiglia piuttosto alla ricchezza, 
o, perlomeno, non è povera del tutto; ma una povertà disprezzata, isolata, 
rinfacciata e abbandonata è veramente povera. Così è abitualmente la povertà 
della gente che vive nel mondo: non sono poveri perché l'hanno voluto, ma perché 
ci si sono trovati, e di questo non si tiene conto; e per il fatto che di questo 
non si tiene conto, la loro povertà è più povera di quella dei religiosi, 
benché, d'altra parte, questa abbia un valore più grande e raccomandabile, a 
motivo del voto e dell'intenzione per cui è stata scelta. Non lamentarti, dunque, 
cara Filotea, della tua povertà; ci si lamenta soltanto di ciò che ci dispiace; 
e se la povertà ti dispiace, non sei povera nello spirito, ma anzi ricca nel 
cuore. Non lamentarti di non essere aiutata come si dovrebbe; in questo consiste 
il valore della povertà. Voler essere poveri e non volerne patire gli 
inconvenienti, è una pretesa assurda. E’ pretendere l'onore della povertà e gli 
agi delle ricchezze. Non vergognarti di essere 
povera e di chiedere l'elemosina per carità; accetta con umiltà quello che ti 
verrà dato e sopporta l'eventuale rifiuto con dolcezza. Ricordati spesso del 
viaggio che la Madonna fece in Egitto per portare in salvo il Figlio, e quanto 
disprezzo, povertà e miseria dovette sopportare! Se vivrai così sarai molto 
ricca nella tua povertà. 
Capitolo XVII
 
L'AMICIZIA E, PRIMA DI TUTTO, LA CATTIVA E LA 
FRIVOLA L'amore occupa il primo 
posto tra le passioni dell'anima: è il re di tutti i movimenti del cuore, fa 
convergere tutto a sé e ci rende simili a ciò che amiamo. Fa attenzione, Filotea, a 
non amare cose cattive: saresti irrimediabilmente e subito cattiva anche tu! L'amicizia è l'amore più 
pericoloso: gli altri amori possono anche fare a meno di comunicare, l'amicizia 
invece è fondata essenzialmente proprio sulla comunicazione. Di norma è 
impossibile che l'amicizia non ci faccia partecipare delle qualità della persona 
amata. Non ogni amore è amicizia. 
 3. In più coloro che si 
amano, devono avere qualche bene in comune a base della loro amicizia. L'amicizia si differenzia 
secondo la diversità dei modi di comunicare e i modi di comunicare si 
differenziano secondo i beni che costituiscono l'oggetto dello scambio: se si 
tratta di beni falsi e vani, l'amicizia è falsa e vana; se si tratta di beni 
veri, l'amicizia è vera; e migliori saranno i beni, migliore sarà l'amicizia. 
Infatti, allo stesso modo che il miele raccolto dalle gemme dei fiori più 
deliziosi è il migliore, così l'amore fondato sullo scambio di un bene squisito 
è ottimo. Esiste in Eraclea del 
Ponto un genere di miele velenoso, che fa impazzire coloro che ne mangiano. t 
velenoso perché viene raccolto dalla pianta dell'aconito, presente in abbondanza 
in quella regione. Lo stesso è dell'amicizia fondata sullo scambio di beni vuoti 
e viziosi: risulterà totalmente falsa e cattiva. Lo scambio di piaceri carnali è 
semplicemente un'attrazione reciproca e un'esca bestiale che, tra gli uomini, 
non merita di essere chiamata con il nome di amicizia; parola che del resto non 
ci si sogna nemmeno di usare quando ci si riferisce agli stessi rapporti tra i 
somari e i cavalli; e se nel matrimonio lo scambio si riducesse a questo, non 
sarebbe possibile alcuna amicizia; ma siccome, oltre a ciò, c'è lo scambio della 
vita, dell'iniziativa, degli affetti e di una indissolubile fedeltà, ecco perché 
l'amicizia nel matrimonio è vera e santa. L'amicizia fondata sullo 
scambio del piacere dei sensi è grossolana e non merita il nome di amicizia; 
così pure quella fondata su virtù frivole e inutili, perché sono virtù che 
dipendono dai sensi. Do il nome di piaceri dei 
sensi a quelli che sono legati in modo diretto e principale ai sensi esteriori, 
quali sono il piacere di ammirare la bellezza, di ascoltare una voce dolce, di 
toccare e simili. Do il nome di virtù 
frivole a certe abilità e qualità inutili che gli spiriti deboli chiamano virtù 
e perfezioni. Ascolta quello che dicono la maggior parte delle ragazze, delle donne e dei 
giovanotti in genere: non esiteranno a dire che Tizio è molto virtuoso, ha tante 
perfezioni, perché balla bene, sa destreggiarsi abilmente in tutti i giochi, sa 
vestirsi con gusto, canta bene, ha una brillante conversazione, ha un bell'aspetto. 
I ciarlatani considerano migliori tra loro quelli che meglio riescono nell'arte 
di fare i buffoni. Siccome tutto ciò riguarda 
i sensi, per tale ragione le amicizie che hanno tali fondamenti si chiamano 
sensuali, vane e frivole e meriterebbero più di essere chiamate follie che 
amicizie. Di questo genere sono 
abitualmente le amicizie dei giovani che riguardano i baffi, i capelli, lo 
sguardo, gli abiti, il sussiego, la parlantina. Sono virtù caratteristiche 
dell'età degli amanti, che hanno virtù poco solide, come la loro peluria del 
mento e hanno il senno in bocciolo. Tali amicizie sono soltanto passeggere e 
fondono come neve al sole. 
Capitolo XVIII
 
LE PASSIONCELLE (I FLIRTS) 
 Quando queste allegre 
amicizie hanno luogo tra persone di diverso sesso, senza alcuna intenzione di 
giungere al matrimonio, si chiamano passioncelle; sono soltanto aborti, o meglio 
ancora, fantasie di amicizie; ma non si deve dare loro il nome di amicizie o di 
amori perché sono vuote e senza senso. Cionondimeno i cuori degli uomini e delle 
donne vi rimangono catturati e si impegolano e si allacciano tra di loro in 
affetti vani e leggeri, che hanno per fondamento soltanto quegli scambi frivoli 
e quelle sciocche attrattive di cui ho appena parlato. Benché questi sciocchi 
amori finiscano abitualmente per naufragare ed affogare in carnalità e lascivie 
molto volgari, bisogna riconoscere che non è mai la prima intenzione degli 
interessati tale conclusione. Altrimenti non sarebbero passioncelle, ma 
impudicizie dichiarate. A volte potranno anche 
trascorrere molti anni, senza che capiti tra coloro che sono afflitti da questa 
follia, un solo gesto che sia contrario alla santità del corpo. Gli interessati 
si limiteranno, con varie scuse, a stemperare i loro cuori in auguri, desideri, 
sospiri, complimenti e simili scemenze e vanità. Alcuni vogliono soltanto 
appagare il cuore nel dare e ricevere amore seguendo la loro inclinazione 
all'amore; nella scelta degli amori costoro non riflettono minimamente: è loro 
sufficiente seguire il gusto e l'istinto; sicché, quando incontrano una persona 
piacevole, senza pensare al lato interiore, né al comportamento morale della 
stessa, danno subito la stura alle loro passioncelle e si impigliano in una rete 
dalla quale in seguito, faticheranno molto per liberarsi. Altri vi si lasciano 
andare per vanità perché pensano che non è piccola gloria prendere e legare i 
cuori con l'amore; costoro, poiché fanno la loro scelta per vanità, collocano le 
loro tagliole e tendono le loro reti in luoghi privilegiati, eccelsi, distinti e 
illustri. Altri ancora sono spinti 
contemporaneamente dalla tendenza all'amore e dalla vanità, e agiscono in questo 
modo perché, pur avendo il cuore fortemente attirato dall'amore, vogliono 
aggiungervi anche un po' di gloria. Simili amicizie sono 
cattive, folli e vane: cattive, perché vengono e 
finiscono nel peccato della carne; rubano l'amore, e di conseguenza anche il 
cuore, a Dio, alla moglie, al marito, a chi era dovuto; folli perché non hanno 
basi, né motivazioni serie; vane, perché non recano alcuna utilità, nessun 
onore, nessuna gioia. Al contrario, ci fanno perdere tempo, offuscano l'onore, e 
non offrono alcun piacere, a meno che non si voglia chiamare piacere l'ansia di 
attendere e sperare, senza sapere né quello che si vuole, né che cosa si 
attende. Questi spiriti piccoli e 
deboli sono persuasi che c'è un non so che nelle testimonianze di amore che 
ricevono, ma non saprebbero precisare che cos’è; per questo la loro brama è 
insaziabile ed alimenta, senza soste, nel loro cuore, eterne diffidenze, gelosie 
e tormenti. S. Gregorio di N'azianzo, 
scrivendo contro le donne vanitose, dice meraviglie, a questo proposito; cito un 
brano che egli indirizza alle donne, ma va molto bene anche per gli uomini: " La 
tua bellezza naturale è sufficiente per tuo marito; se poi vuoi che sia per 
molti uomini, come una rete tesa per molti uccelli, che succederà? Ti piacerà 
colui che ti troverà bella, ad occhiata risponderai con occhiata, a sguardo con 
sguardo; presto verranno i sorrisi e le frasettine d'amore, all'inizio, fatte 
scivolare di nascosto, ma presto si giungerà alla familiarità e al 
chiacchiericcio manifesto. Sta attenta, lingua mia chiacchierona, a non dire 
quello che verrà dopo; ma questa verità voglio dirla: niente di tutto ciò che i 
giovanotti e le donne dicono o fanno insieme in quelle folli galanterie va senza 
grosse ferite. Tutte le passioncelle sono legate insieme e si susseguono tutte, 
proprio come un ferro preso da una calamita che, a sua volta, attira altri ferri 
uno dopo l'altro ". Come ha ragione questo 
santo Vescovo! Che cosa vuoi fare? Dare amore, non è vero? Nessuno può dare 
volontariamente amore senza necessariamente riceverne in cambio; in questo gioco 
chi prende è preso. L'erba chiamata aproxis, alla sola vista riceve e genera 
fuoco: così sono anche i nostri cuori. Appena vedono un'anima che brucia d'amore 
per loro, si infiammano immediatamente per lei. Voglio stare al gioco, 
dirà qualcuno, ma poco per volta t'inganni: quel fuoco è forte e penetrante più 
di quanto sembri. Pensi di non essere colpito che da una scintilla, e ti accorgi 
che in un baleno tutto il cuore è incendiato, ridotti in cenere i tuoi propositi 
e in fumo il tuo buon nome. Grida il Saggio: Chi avrà compassione di un 
incantatore morso da un serpente? E io grido con lui: pazzo e insensato, pensavi 
di domare l'amore per dosarlo a tuo piacimento! Volevi divertirti con lui, ma 
egli ti ha punto e morso profondamente. Sai cosa dirà la gente? Rideranno di te 
perché hai voluto incantare l'amore e, pieno di presunzione, ti sci messo in 
seno una serpe pericolosa che ti ha rovinato e ci hai rimesso l'anima e l'onore. Mio Dio, che cieca pazzia 
è mai questa? Rischiare in questo modo, con garanzie così fragili, la parte più 
nobile della nostra anima! Sì, Filotea, perché Dio vuole l'uomo solo per 
l'anima, l'anima solo per la volontà e la volontà solo per l'amore. Non abbiamo 
amore a sufficienza nemmeno per ciò che è necessario! Voglio dire: già è molto 
se ne abbiamo abbastanza per amare Dio; ciononostante, miserabili come siamo, lo 
disperdiamo e dilapidiamo in cose sciocche, vane e frivole, come se ne avessimo 
troppo! Quel grande Dio che aveva riservato per sé soltanto l'amore delle nostre 
anime, quale riconoscenza per la creazione, la conservazione e la Redenzione, 
esigerà un conto rigoroso delle sottrazioni che avremo fatto; pensa: ha detto 
che ci chiederà conto delle parole oziose; come vuoi che non ce lo chieda delle 
amicizie oziose, sciocche, pazze e dannose? Il noce reca molto danno 
ai campi e alle vigne in cui è piantato, perché è grande ed assorbe tutte le 
sostanze della terra, che così non riesce a nutrire anche le altre piante; il 
suo fogliame è così folto che fa un'ombra grande e spessa. Per di più attira i 
passanti che, per prenderne i frutti rovinano e calpestano tutt'intorno. Queste passioncelle 
producono danni simili all'anima; l'occupano talmente e condizionano così 
potentemente i suoi movimenti, che essa non è più disponibile per alcun'altra 
opera buona; le foglie, ossia i chiacchiericci, i divertimento e i 
corteggiamenti sono così frequenti che non lasciano spazio; infine attirano così 
numerose le tentazioni, le distrazioni, i sospetti e tutto ciò che vi si 
accompagna, sicché il cuore ne è rovinato e calpestato. In breve, queste 
passioncelle, non solo allontanano l'amore celeste, ma anche il timore di Dio; 
prostrano lo spirito, indeboliscono il buon nome. In una parola è il giocattolo 
delle corti, ma la peste dei cuori! 
Capitolo XIX
 
LE VERE AMICIZIE Ama tutti, Filotea, con un 
grande amore di carità, ma legati con un rapporto di amicizia soltanto con 
coloro che possono operare con te uno scambio di cose virtuose. Più le virtù 
saranno valide, più l'amicizia sarà perfetta. Se lo scambio avviene nel 
campo delle scienze, la tua amicizia sarà, senza dubbio, molto lodevole; più 
ancora se il campo sarà quello delle virtù, come la prudenza, la discrezione, la 
fortezza, la giustizia. Ma se questo scambio 
avverrà nel campo della carità, della devozione, della perfezione cristiana, 
allora sì, che si tratterà di un'amicizia perfetta. Sarà ottima perché viene da 
Dio, ottima perché tende a Dio, ottima perché il suo legame è Dio, ottima perché 
sarà eterna in Dio. L bello poter amare sulla 
tetra come si ama in cielo, e imparare a volersi bene in questo mondo come 
faremo eternamente nell'altro. Non parlo qui del semplice amore di carità, 
perché quello dobbiamo averlo per tutti gli uomini; parlo dell'amicizia 
spirituale, nell'ambito della quale, due, tre o più persone si scambiano 
la devozione, gli affetti spirituali e diventano realmente un solo spirito. A 
ragione quelle anime felici possono cantare: Com'è bello e piacevole per i 
fratelli abitare insieme. Ed è vero, perché il delizioso balsamo della devozione 
si effonde da un cuore all'altro con una comunicazione ininterrotta, di modo che 
si può veramente dire che Dio ha effuso la sua benedizione e la sua vita su 
simile amicizia per i secoli dei secoli. Mi sembra che tutte le 
altre amicizie siano soltanto fantasmi a confronto di questa e i loro legami 
anelli di vetro e di giaietto, a confronto del legame della devozione che è 
tutta di oro fino. Non stringere amicizie di 
altro genere; intendo dire quelle che dipendono da te. Non devi lasciar cadere, 
né disprezzare quelle che la natura e i doveri precedenti ti obbligano a 
intrattenere: quali quelle con i parenti, i soci, i benefattori, i vicini e 
altri; ripeto, mi riferisco a quelle che tu scegli liberamente di persona. Può darsi che qualcuno ti 
dica che non bisogna avere alcun genere di particolare affetto o amicizia, 
perché ciò ingombra il cuore, distrae lo spirito, dà luogo ad invidie; ma si 
sbagliano. Negli scritti di molti santi e devoti autori, hanno letto che le 
amicizie particolari e gli affetti fuori dell'ordine sono molto dannosi per i 
religiosi; pensano che la regola valga per tutti, ma su questo ci sarebbe molto 
da dire. Premesso che in un 
monastero ben ordinato, il progetto comune è di tendere tutti insieme alla vera 
devozione, è evidente che non sono necessari questi scambi particolari, per 
timore che, mentre si cerca in particolare ciò che è comune, non si passi dalle 
particolarità alle parzialità. Ma per coloro che vivono tra la gente del mondo e 
abbracciano la vera virtù, è indispensabile stringere un'alleanza reciproca con 
una santa amicizia; infatti appoggiandosi ad essa, ci si fa coraggio, ci si 
aiuta, ci si sostiene nel cammino verso il bene. Coloro che camminano in 
piano non hanno bisogno di prendersi per mano, ma coloro che si trovano in un 
cammino scabroso e scivoloso si sostengono l'un l'altro per camminare con 
maggiore sicurezza. I religiosi non hanno bisogno di amicizie particolari, ma 
coloro che vivono nel mondo, sì, per darsi reciprocamente sicurezza e aiuto in 
tutti i passaggi pericolosi che devono affrontare. Nel mondo, non tutti tendono 
allo stesso fine, non tutti hanno lo stesso spirito; bisogna dunque riflettere e 
stringere amicizie secondo i nostri programmi; questa particolarità crea 
veramente una parzialità, ma è una santa parzialità che non crea divisioni se 
non quella del bene dal male, delle pecore dalle capre, delle api dai fuchi, che 
sono separazioni necessarie. IR fuor di dubbio, e 
nessuno si sogna di negarlo, che Nostro Signore nutrisse un'amicizia più tenera 
e personale per Giovanni, Lazzaro, Marta, Maddalena; lo dice la Scrittura. 
Sappiamo che S. Pietro aveva una predilezione per Marco e per Santa Petronilla; 
S. Paolo per S. Timoteo e S. Tecla. S. Gregorio di Nazianzo si gloria cento 
volte dell'amicizia che aveva per S. Basilio e così la descrive: " Si aveva 
l'impressione che in noi due ci fosse una sola anima con due corpi. P, vero che 
non bisogna prestare fede a coloro che dicono che tutto è in tutto; tuttavia è 
vero che tutti e due eravamo in ciascuno e ciascuno nell'altro; coltivare la 
virtù e ordinare i programmi della nostra vita alle speranze future; questo era 
il modo di uscire da questa terra mortale, prima di morire ". S. Agostino dice che S. 
Ambrogio voleva molto bene a S. Monica, per le rare virtù che ammirava in lei, 
ed ella gli voleva bene come a un angelo di Dio. Ma ho torto -a farti 
perdere tempo per una cosa così chiara. S. Girolamo, S. Agostino, S. Gregorio, 
S. Bernardo e tutti i più grandi Servi di Dio hanno avuto amicizie personali 
senza pregiudizio per la loro perfezione. S. Paolo, rimproverando ai Gentili il 
disordine morale della vita, li accusa di essere gente senza affetto, ossia 
gente incapace di amicizia. S. Tommaso, come del resto tutti i buoni filosofi, 
dice che l'amicizia è una virtù: certamente parla dell'amicizia personale 
perché, dice, la vera amicizia non può essere estesa a molte persone. La perfezione dunque, non 
consiste nel non avere amicizie, ma nell'averne una buona, santa e bella. 
Capitolo XX
 
LA DIFFERENZA TRA LE VERE AMICIZIE E QUELLE 
FUTILI Fa attenzione, Fílotea: 
voglio metterti in guardia perché tu non corra pericolo. Non so se tu sappia che 
il miele di Eraclea, molto velenoso, assomiglia incredibilmente al miele comune; 
e il pericolo di prendere uno per l'altro è reale, come pure quello di 
mischiarli: nel qual caso l'inganno è anche peggiore perché la buona qualità 
dell'uno non impedisce l'effetto velenoso dell'altro. Bisogna fare attenzione a 
non lasciarsi trarre in inganno nelle amicizie, soprattutto quando si stringono 
tra persone di sesso diverso, poco importa per quale motivo; spesso Satana si 
sostituisce a coloro che amano. Si comincia sempre 
dall'amore virtuoso, ma, se non si è molto saggi, si insinua presto l'amore 
frivolo, poi si passa all'amore sensuale, poi a quello carnale; il pericolo 
esiste persino nell'amore spirituale, se non si fa molta attenzione; benché in 
questo sia molto più difficile la confusione e l'equivoco, perché la sua purezza 
e il suo nitore rendono più evidenti le brutture che Satana vuole insinuarvi: 
ecco perché il diavolo, quando ci prova, fa le cose con maggior finezza e tenta 
di far scivolare le brutture quasi impercettibilmente. Distinguerai l'amicizia 
mondana da quella santa e virtuosa, esattamente come si distingue il miele di 
Eraclea dall'altro: il miele di Eraclea è più dolce al palato dei miele 
ordinario; è l'aconito che gli aumenta la dolcezza; così fa abitualmente 
l'amicizia mondana che sforna a ripetizione quantità enormi di parole melliflue, 
una pioggia di frasette appassionate e di lodi sulla bellezza, la grazia e le 
qualità sensuali: l'amicizia sana invece ha un linguaggio semplice e schietto, 
loda soltanto la virtù e la grazia di Dio, unico suo fondamento. Il miele di Eraclea, una 
volta ingoiato, provoca dei capogiri; allo stesso modo l'amicizia futile provoca 
dei disorientamenti di spirito che rendono insicura la persona nella castità e 
nella devozione. La conducono a sguardi languidi, vezzosi, insistiti; a carezze 
sensuali, a sospiri equivoci, a piccole lamentele di non essere amati a 
sufficienza; ad artifici ben mascherati, ma abili e cattivanti: galanterie, 
abuso di baci e altre libertà e familiarità che portano alla volgarità e sono 
sicuro presagio di una imminente resa dell'onestà. L'amicizia santa, invece, 
ha occhi semplici e casti; gli atti di cortesia sono controllati e schietti; se 
ci sono sospiri, saranno per il cielo, le libertà solo per lo spirito, i lamenti 
saranno soltanto perché Dio non è abbastanza amato, prova infallibile 
dell'onestà. Il miele di Eraclea turba 
la vista; l'amicizia mondana turba il senno, di modo che coloro che ne sono 
colpiti, pensano di agire bene mentre agiscono male, e sono convinti che le loro 
scuse, i loro pretesti, e le loro parole sono motivi validi. Temono la luce e 
amano le tenebre. L'amicizia santa invece ha gli occhi luminosi e non si 
nasconde, anzi si fa vedere volentieri dalla gente per bene. Infine il miele di Eraclea 
lascia un forte sapore amaro in bocca: avviene lo stesso nelle false amicizie 
che si tramutano e finiscono in parole e richieste carnali e degne delle fogne; 
in caso di rifiuto, esploderanno le ingiurie, le calunnie, le imposture, le 
tristezze, le confessioni e le gelosie che si concludono quasi sempre 
nell'abbrutimento e in isterismi; l'amicizia pulita è sempre uguale nell'onestà, 
educata e amabile, e si muta soltanto in una unione degli spiriti più pura e più 
perfetta, immagine vivente dell'amicizia beata che regna in Cielo. S.Gregorio di Nazianzo 
dice che il pavone quando fa la ruota, emette il suo verso caratteristico e si 
pavoneggia, eccitando le femmine che l'odono, alla lubricità. Allo stesso modo, 
quando vedi un uomo pavoneggiarsi, agghindarsi e così parato, avvicinarsi per 
fare chiacchiericcio, per sussurrare, mercanteggiare alle orecchie di una donna 
matura o di una giovane, e tutto senza alcuna intenzione di matrimonio, beh, sta 
certa che è soltanto per tentarla a qualche impudicizia; la donna onorata turerà 
le proprie orecchie per non udire il verso di quel pavone e la voce 
dell'incantatore che vuole sedurla; se ascolterà sarà l'inizio della perdita del 
cuore. I giovani che fanno gesti 
leziosi, smancerie, e carezze, o dicono parole che non vorrebbero che fossero 
udite dai loro padri, madri, mariti, mogli o confessori, dimostrano in tal modo 
che si stanno occupando non proprio dell'onore e della coscienza. La Madonna rimase turbata 
vedendo un Angelo in sembianza di uomo, perché era sola e la stava lodando con 
molta solennità: non dimentichiamo che erano lodi celesti! 0 Salvatore del 
mondo! La purezza teme un Angelo in forma umana; perché la nostra purità non 
dovrebbe temere un uomo, anche se in sembianza di Angelo, quando tesse lodi 
sensuali o almeno umane? 
Capitolo XXI
 
CONSIGLI E RIMEDI PER COMBATTERE LE CATTIVE 
AMICIZIE Ma che cosa fare per 
combattere gli amori futili, le stranezze, le pazzie, le brutture cui ho 
accennato? Appena ne avverti i primi sintomi, volgiti subito dall'altra parte e, 
respingendo nel modo più assoluto quelle stupidità, corri presso la Croce del 
Salvatore, afferra la sua corona di spine e cingine il tuo cuore di modo che 
quelle piccole volpi non possano avvicinarsi. Sta bene attenta a non 
scendere a patti con il nemico; non dire: lo ascolterò, ma poi non farò nulla di 
quanto mi suggerirà; gli presterò orecchio, ma gli rifiuterò il cuore. Filotea, 
in tali circostanze, devi essere intransigente: il cuore e le orecchie sono 
collegati, e com'è impossibile arrestare un torrente che scende a valle dalla 
montagna, così è difficile impedire che l'amore entrato in un orecchio non 
scenda presto nel cuore. Secondo Alcmeone le capre 
respirano per le orecchie e non per le froge; Aristotele lo nega; io non ne so 
niente, ma di certo so che il nostro cuore respira per l'orecchio, e siccome 
inspira ed espira i suoi pensieri per mezzo della lingua, respira anche per 
l’orecchio, per mezzo del quale riceve i pensieri degli altri. Proteggiamo 
dunque scrupolosamente le nostre orecchie dai colpi d'aria delle parole inutili; 
in caso contrario ben presto il nostro cuore ne sarà contagiato. Sotto nessun pretesto devi 
ascoltare proposte oscene di alcun genere: è questo il solo caso in cui non 
corri pericolo di essere incivile e scortese. Ricordati che hai 
consacrato il cuore a Dio, gli hai dato il tuo amore, e sarebbe un sacrilegio 
sottrargliene anche una briciola soltanto; rinnova la tua offerta con mille 
propositi e promesse e rimani in quelle come un cervo nel suo rifugio e poi 
invoca Dio. Egli ti verrà in aiuto: prenderà il tuo amore sotto la sua 
protezione, per farlo vivere unicamente in Lui. Se poi sei già incappata 
nelle reti di quei futili amori, allora sento l'obbligo di dirti che ti sarà 
difficile sbarazzartene. Mettiti alla presenza della divina Maestà, riconosci 
l'enormità della tua miseria, la tua debolezza, la tua vanità; poi con l'impegno 
massimo di cui sarai capace, detesta quegli amori già iniziati, rinnega la 
sciocca manifestazione che ne hai fatto, rinuncia a tutte le promesse ricevute 
e, con una volontà forte e risoluta, decidi nel cuore e risolviti a mai più 
ricominciare quei giochi e quelle schermaglie d'amore. Se poi ti è possibile 
allontanarti fisicamente dalla persona coinvolta, sono d'accordissimo, perché, 
allo stesso modo che coloro i quali sono stati morsi da un serpente, non possono 
guarire facilmente in presenza di coloro che già sono stati morsi a loro volta, 
la persona ferita d'amore difficilmente riuscirà a guarire da quella passione, 
finché sarà vicina a quella ferita dallo stesso morso. Il mutamento del luogo è 
molto utile per calmare la febbre e l'agitazione causate sia dal dolore che 
dall'amore. Il ragazzo di cui parla S. Ambrogio nel II libro della Penitenza,
ritornò da un lungo viaggio completamente guarito dai futili amori che 
l'avevano attanagliato prima; alla sciocca amante che, incontrandolo gli disse: 
Non mi conosci? sono sempre la stessa! Sì, certo, rispose, ma sono io che non 
sono più lo stesso. La lontananza aveva operato in lui quel felice mutamento. S. Agostino dice che per 
alleviare il dolore per la morte dell’amico si allontanò da Tagaste, dove quegli 
era morto, e se ne andò a Cartagine. Ma chi non può 
allontanarsi? Deve troncare ogni conversazione privata, gli incontri segreti, 
gli sguardi languidi, i sorrisi e in genere tutti gli scambi e gli ammiccamenti 
che possono nutrire questo fuoco maleodorante e fuligginoso. Se poi le 
circostanze esigono che si rivolga la parola al complice, deve essere per 
dichiarare, con una coraggiosa, breve e seria protesta, il divorzio definitivo 
che abbiamo giurato. Grido a voce alta, a chiunque sia caduto in questi lacci 
passionali: taglia, tronca, spezza. Non bisogna perdere tempo a discutere queste 
futili amicizie; bisogna strapparle non perdere tempo a sciogliere i nodi; 
bisogna spezzarli è tagliarli; tanto quei cordoni e quei legami non hanno alcun 
pregio. 
 Non bisogna avere riguardi 
per un amore che è contrario all'amore di Dio. Ma, dopo avere in questo 
modo spezzate le catene di quell'infame schiavitù, è possibile che resti qualche 
strascico. I marchi e le piaghe dei ferri rimarranno impressi nei piedi, ossia 
negli affetti. Non fa nulla, Filotea, se tu hai concepito per il tuo male tutto 
l'orrore che merita; se farai così non sarai più agitata dalle ansie; proverai 
soltanto un forte orrore per quell'amore infame e per tutto quello ad esso 
collegato e sarai libera da ogni altro affetto per la persona che hai lasciato; 
ti rimarrà soltanto un amore purissimo per Iddio. Se poi, a causa 
dell'imperfezione del pentimento, rimane in te qualche inclinazione cattiva, 
procura per la tua anima una solitudine mentale, come ti ho già insegnato, e 
ritirati in essa con tutte le tue facoltà, e con mille slanci ripetuti dello 
spirito, rinuncia alle tue inclinazioni, rinnegale con tutte le forze; datti 
alla lettura dei Libri santi più di quanto non sei solita fare, confessati e 
comunicati più spesso, con umiltà e sincerità parla di tutte queste suggestioni 
e tentazioni al tuo direttore spirituale, se ti è possibile; o almeno con 
qualche anima dalla fede profonda e molto prudente; sta certa che il Signore ti 
libererà da tutte le passioni, se tu continuerai fedelmente questi esercizi. Ma, mi dirai, non è 
ingratitudine rompere così drasticamente un'amicizia? lo ti dico: quant'è bella 
l'ingratitudine che ti rende accetta a Dio! Filotea, non sarà ingratitudine, ma 
anzi un'azione meritoria in favore del tuo amante; perché, spezzando i tuoi 
legami, romperai anche i suoi; e se anche, sul momento, non saprà apprezzare la 
sua felicità, lo farà ben presto e con te canterà in ringraziamento: 0 Signore, 
tu hai spezzato i miei legami, io ti sacrificherò la vittima di lode e invocherò 
il tuo santo Nome. 
Capitolo XXII
 
   L'amicizia richiede un 
intenso scambio tra coloro che si vogliono bene: diversamente non può nascere e 
tanto meno mantenersi. Ecco perché avviene spesso che agli scambi che sono alla 
base dell'amicizia, se ne aggiungano molti altri che si insinuano 
insensibilmente da cuore a cuore: e così gli affetti, le tendenze e le opinioni 
passano in continuazione da uno all'altro. Questo soprattutto quando 
all'affetto si aggiunge la stima; in tal caso apriamo il cuore all'amico con 
molta larghezza per cui, con essa, entrano con facilità in noi tutte le sue 
tendenze e le sue opinioni, poco importa se siano buone o cattive. Le api che raccolgono il 
miele di Eraclea cercano soltanto il miele, ma con esso succhiano anche le 
qualità velenose dell'aconito sul quale fanno la raccolta. A questo proposito, 
Filotea, bisogna mettere in pratica la parola che il Salvatore delle anime 
nostre era solito ripetere e che gli antichi ci hanno insegnato: Sii abile 
cambiavalute, batti buona moneta; ossia, non accettare il denaro falso con il 
buono, né l'oro di bassa lega con l'oro fino; separa il metallo prezioso dal 
vile. Fa' attenzione perché nessuno va esente da imperfezioni. E che motivo c'è di 
ricevere alla rinfusa difetti e imperfezioni dell'amico assieme alla sua 
amicizia? E’ evidente che bisogna volergli bene nonostante le sue imperfezioni, 
ma non bisogna voler bene alle sue imperfezioni e prenderle su di noi; 
l'amicizia richiede che ci comunichiamo il bene, non il male. A somiglianza di coloro 
che cavano la ghiaia dal Taro e separano l'oro che trovano Per portarlo via, 
mentre lasciano il resto sulla riva del fiume, coloro che comunicano con l'amico 
devono saper separare la sabbia delle imperfezioni e non lasciarla penetrare 
nelle loro anime. S. Gregorio di Nazianzo ci 
dice che molti, i quali volevano bene e ammiravano S. Basilio, erano talmente 
portati alla sua imitazione, che lo scimmiottavano anche nelle sue imperfezioni 
esteriori, nel suo modo di parlare lentamente e con lo spirito assorto e 
pensoso, nel taglio della barba e nel modo di camminare. Noi vediamo dei mariti, 
delle mogli, dei figli, degli amici, che hanno tanta stima dei loro amici, dei 
loro padri, dei loro mariti, delle loro mogli, che per condiscendenza o 
imitazione, prendono da loro, assieme all'amicizia, mille piccole tendenze 
cattive. Questo non deve accadere: 
ciascuno ne ha abbastanza dei propri difetti senza bisogno di caricarsi anche di 
quelli degli altri; aggiungo che l’amicizia non soltanto non lo richiede, ma al 
contrario, ci obbliga a darci reciprocamente una mano per liberarci da tutte le 
forme di imperfezione. E’ fuor di dubbio che 
bisogna sopportare con dolcezza l'amico nelle sue imperfezioni, ma non 
incoraggiarlo in quelle, e ancor meno trasferirle in noi. Parlo soltanto di 
imperfezioni; quanto ai peccati non bisogna accettarli e sopportarli nemmeno 
nell'amico. Un'amicizia che lascia morire l'amico senza prestargli aiuto, è 
un'amicizia debole e cattiva; vedere un amico che muore di un ascesso e non 
avere il coraggio di dare il colpo di bisturi per salvarlo, non è amicizia. L'amicizia vera e vitale 
non sopravvive tra i peccati. Si dice che, dove si adagia, la salamandra spegne 
il fuoco; il peccato distrugge l'amicizia in cui si annida: se si tratta di un 
peccato passeggero, l'amicizia lo mette immediatamente in fuga con la 
correzione; ma se ci rimane e ci si ferma, l'amicizia perisce immediatamente, 
perché per vivere ha bisogno della virtù; da qui risulta molto chiaro che non è 
possibile peccare per amicizia. L'amico diventa nemico 
quando vuole condurci al peccato e merita di perdere l'amicizia se vuol condurre 
l’amico alla rovina e alla dannazione; una delle prove più sicure di una falsa 
amicizia è vederla praticata tra persone viziose, qualunque sia il genere di 
peccato che le accomuna. Se colui al quale vogliamo bene è preda del vizio, la 
nostra amicizia è sicuramente viziosa; giacché se non può avere per base una 
solida e sincera virtù, è giocoforza che sia fondata su una virtù apparente o su 
qualche aspetto sensuale. Una società costituita tra 
i commercianti per il profitto temporale ha soltanto l'apparenza di vera 
amicizia. Essa non ha per fine l'amore delle persone, ma l'amore del denaro. Infine eccoti due massime, 
fondamentali colonne della vita cristiana; una è del Saggio: Chi teme Dio 
incontrerà una buona amicizia; l'altra è di S. Giacomo: L'amicizia di questo 
mondo è nemica di Dio. 
Capitolo XXIII 
GLI ESERCIZI DELLA MORTIFICAZIONE ESTERIORE Coloro che si intendono di 
agricoltura e di coltiva2ione di alberi da frutta assicurano che se si incide 
una parola su una mandorla intatta e poi si rimette nel suo nocciolo, si 
richiude e si salda a perfezione, e si pianta, tutte le mandorle che produrrà 
l'albero che ne nascerà porteranno scritta la parola incisa nella mandorla 
piantata. Non ho mai approvato il 
metodo di coloro che per riformare l'uomo cominciano dall'esterno: dal contegno, 
dall'abito, dai capelli. Mi sembra che si debba cominciare dal di dentro: 
Convertitevi a me con tutto il cuore, dice Dio. Figlio mio, dammi il tuo cuore; 
e questo perché è il cuore la sorgente delle azioni, per cui le azioni sono 
secondo il cuore. Lo Sposo divino invita 
l'anima e le dice: Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul 
tuo braccio. E’ proprio vero perché chi ha Gesù nel cuore lo ha ben presto anche 
in tutte le azioni esteriori. Ecco perché, cara Filotea, 
prima di tutto, voglio incidere e scrivere nel tuo cuore questo santissimo 
Motto: VIVA GESU’; e sono sicuro che in seguito la tua vita, vero albero 
nato dal cuore, come il mandorlo dal nocciolo, produrrà tutte le azioni, ossia i 
suoi frutti, segnati dallo stesso motto della salvezza. Quel dolce Gesù, che 
sarà vivente nel tuo cuore, lo si vedrà nei tuoi occhi ' sulla tua bocca, nelle 
tue mani e persino dai tuoi capelli; e potrai dire sinceramente, sull'esempio di 
S. Paolo: Vivo sì, ma non più io; è Cristo che vive in me. A dirla in breve, chi 
conquista il cuore e dell'uomo conquista tutto l'uomo. Ma proprio questo cuore, 
dal quale vogliamo cominciare, ha bisogno di essere educato su come darsi una 
linea di condotta e un comportamento, di modo che non si manifesti soltanto la 
santa devozione, ma anche una profonda saggezza con altrettanta discrezione. A 
tal fine eccoti alcuni consigli. Se sei in condizione di 
sopportare il digiuno, farai bene a digiunare qualche giorno in più di quelli 
che comanda la Chiesa; perché, oltre all'effetto ordinario del digiuno, che è 
quello di liberare lo spirito, sottomettere la carne, praticare la virtù e 
accrescere l'eterna ricompensa in cielo, il digiuno ci dà modo di dominare i 
nostri appetiti, e mantenere la sensualità e il corpo sottomessi allo spirito; e 
anche se i digiuni non saranno molti, il nemico quando si accorgerà che sappiamo 
digiunare, ci temerà di più. Il mercoledì, il venerdì e 
il sabato sono i giorni che i primi cristiani più facilmente consacravano alla 
astinenza: scegline uno tra di essi per digiunare, secondo quanto ti consiglierà 
la tua devozione e la discrezione del tuo direttore spirituale. Ripeto volentieri quanto 
dice S. Girolamo a Leta: I digiuni lunghi ed esagerati mi indispongono molto, 
soprattutto se sono effettuati da persone in giovane età. Ho sperimentato che il 
somarello fiacco cerca di deviare dal sentiero; ossia, i giovani che si ammalano 
per digiuni eccessivi, si girano facilmente verso le cose delicate. I cervi 
corrono goffamente in due circostanze: quando sono troppo grassi e quando sono 
troppo magri. Anche noi siamo molto fragili di fronte alle tentazioni sia quando 
il nostro corpo è troppo pasciuto, come quando è troppo debole; nel primo caso è 
presuntuoso nel suo benessere, nell'altro è disperato nel suo malessere; quando 
è troppo grasso non riusciamo a portarlo, quando è troppo magro lui non porta 
noi. La mancanza di misura nei digiuni, nelle flagellazioni, nell'uso del 
cilicio, nelle asprezze rende molte persone incapaci di consacrare gli anni 
migliori della vita ai servizi della carità; questo avvenne anche a S. Bernardo 
che si pentì in seguito di aver abusato di penitenze troppo dure; chi ha 
trattato con troppa durezza il proprio corpo all'inizio, finirà col blandirlo 
alla fine. Non pensi che se quei tali avessero agito con più senno, se gli 
avessero riservato un trattamento sempre uguale e -adeguato ai suoi compiti ed 
alle sue occupazioni avrebbero fatto meglio? Il digiuno e il lavoro 
domano e prostrano la carne. Se il lavoro che fai ti è 
necessario, o è molto utile alla gloria di Dio, sono dei parere che sia meglio 
per te affrontare la fatica del lavoro che quella del digiuno; questo è il 
pensiero della Chiesa che dispensa anche dai digiuni comandati quelli che si 
consacrano a lavori utili al servizio di Dio -e del prossimo. C'è chi fa fatica a 
digiunare, chi invece a servire gli ammalati, un altro a visitare i prigionieri, 
a confessare, a predicare, consolare gli afflitti, Pregare ed altri esercizi 
simili: queste ultime fatiche valgono di più di quella del digiuno, perché, 
oltre a darci ugualmente il dominio sulla carne, in Più ci offrono frutti molto 
più apprezzabili. Come principio generale è 
meglio conservare forze corporali più di quanto serve, che perderne più di 
quanto è necessario; si può sempre fiaccarle, volendolo; ma non sempre basta 
volerlo, per recuperarle. Mi sembra che dobbiamo 
avere una grande considerazione per la frase che Nostro Signore, Salvatore e 
Redentore disse ai suoi discepoli: Mangiate ciò che vi sarà presentato Io sono 
del parere che sia maggiore virtù mangiare senza scelta ciò che ti viene 
presentato, e nell'ordine in cui ti viene presentato, senza far caso se sia di 
tuo gusto o meno, che scegliere sempre quanto c'è di peggiore. Perché se anche 
questo ultimo modo di agire sembra più austero, l'altro denota maggiore 
mortificazione, perché non ti porta soltanto alla rinuncia al tuo gusto, ma 
anche alla scelta personale; e mi sembra che non sia una mortificazione da poco 
piegare il proprio gusto alle circostanze del caso e tenerlo sottomesso alle 
situazioni fortuite; in Più questo genere di mortificazione passa inosservato, 
non dà noia ad alcuno ed è di un valore ineguagliabile quanto a buona 
educazione! Mettere da parte un cibo 
per prenderne un altro, piluccare e assaggiare tutto senza mai trovare nulla di 
ben preparato e a puntino, giocare a fare il misterioso ad ogni boccone. Tutto 
ciò manifesta un cuore da mollusco, sensibile solo ai piatti e alle scodelle. 
Ammiro di più S. Bernardo che beve olio per acqua o vino per colpa di altri, che 
se avesse bevuto assenzio per propria scelta; quello che fece disse chiaramente 
che non faceva caso a quello che beveva! E in questa indifferenza a 
ciò che si mangia e a ciò che si beve si trova la perfezione di questa parola: 
Mangiate ciò che vi sarà presentato. Faccio eccezione per i 
cibi che nuocciono alla salute o che disturbano lo spirito, come sono, per 
molti, i cibi caldi e le spezie che riscaldano e che gonfiano; o anche certe 
circostanze nelle quali la natura deve essere sostenuta, per avere la forza di 
affrontare qualche impegno per la gloria di Dio. Una sobrietà costante e 
moderata è molto meglio che le privazioni violente fatte di tanto in tanto, 
intervallate da periodi di grande rilassatezza. Se presa con moderazione, 
la disciplina dà meravigliosi risultati nel risvegliare il desiderio della 
devozione. Il cilicio domina potentemente il corpo, ma il suo uso abitualmente 
non è consigliabile agli sposati, alle persone di costituzione delicata, o a 
quelli che devono sopportare altre grosse fatiche. Tuttavia si può impiegare, 
volendo, nei giorni forti di penitenza, sempre che il confessore sia d'accordo. La notte, ciascuno secondo 
la propria costituzione, deve prendersi il tempo sufficiente per dormire; questo 
per poter essere pienamente sveglio e fresco di giorno. Si aggiunga che la Sacra 
Scrittura in cento modi, l'esempio dei Santi e motivi di ordine naturale, ci 
raccomandano fortemente, come momento più ricco e producente del giorno, il 
mattino. Oltre a ciò pensa che Nostro Signore viene chiamato Sole che sorge, la 
Madonna Alba del giorno. Penso che tutto ciò 
indichi che è segno di virtù coricarsi di buon'ora la sera per potersi alzare 
per tempo il mattino. Certamente è il tempo più bello, il più dolce e il meno 
occupato; anche gli uccelli ci invitano, al mattino per tempo, a lodare Dio; di 
modo che l'alzarsi presto giova alla salute e alla santità. Balaam, cavalcando la sua 
asina, stava recandosi a trovare Balac; ma siccome la sua intenzione non era 
retta, l'Angelo lo attendeva sulla strada con la spada sguainata per ucciderlo. 
L'asina, che vedeva l'Angelo, si fermò tre volte rifiutandosi di avanzare; 
Balaam la prendeva ferocemente a bastonate per farla avanzare; alla terza volta 
si coricò del tutto sotto Balaam e, per un grande prodigio, parlò e disse: Che 
cosa ti ho fatto? Perché mi hai già bastonato tre volte? Subito si apersero gli 
occhi a Balaam che vide l'Angelo, il quale gli disse: Perché hai percosso la tua 
asina? Se non ti avesse tenuto lontana) da me io ti avrei ucciso e lei l'avrei 
risparmiata! Rispose allora Balaam: Signore, ho peccato perché non sapevo che ti 
eri posto contro di me sulla via. Vedi, Filotea, Balaam ha 
fatto il male e bastona e percuote la povera asina che non c'entra per nulla. E’ quello che avviene 
spesso nella nostra vita. Guarda per esempio quella donna; cade malato il figlio 
o i marito, e subito ricorre al digiuno, alla disciplina, al cilicio, come fece 
Davide in un caso simile, Cara amica, tu percuoti il povero asino, affliggi il 
tuo corpo, che non ha niente a che fare con il tuo male. Non è lui che ha 
provocato la spada di Dio contro di te; correggi Piuttosto il cuore che idolatra 
il marito e che tollera mille vizi nel figlio, e lo conduce all'orgoglio, alla 
vanità, all'ambizione. Ci sarà qualche altro che 
cadrà pesantemente nel peccato di lussuria: il rimorso interiore aggredirà la 
sua coscienza con la spada in pugno per trapassarla di santo timore; e subito, 
riprendendo la padronanza del cuore griderà: carne traditrice, corpo traditore, 
tu mi hai rovinato. E subito infierirà a grandi colpi sulla carne, con digiuni 
sregolati, discipline senza criterio, cilici insopportabili. Povero te, se il 
tuo corpo potesse parlare come l'asina di Balaam! Ti direbbe: Miserabile, perché 
mi percuoti? t contro te, anima mia, che Dio prepara la vendetta; sei tu la 
criminale; perché mi conduci alle cattive conversazioni? Perché impieghi i miei 
occhi, le mie mani, le mie labbra nei piaceri? Perché mi turbi con cattive 
fantasie? Fa buoni pensieri e io non avrò cattivi movimenti, frequenta la gente 
onesta e lo non sarò agitato dalla concupiscenza. Sei tu che mi getti nel fuoco 
e poi pretendi che non arda. Mi getti il fumo negli occhi e non vuoi che gli 
occhi si infiammino. In questi casi Dio ti 
dice: Percuoti spezza fendi, strapazza prima il tuo cuore, perché è contro di 
esso che sono adirato. Per guarire il prurito non 
serve molto lavarsi e fare il bagno, quanto piuttosto purificare il sangue e 
rinfrescare il fegato. Allo stesso modo per sanare i nostri vizi, è bene, sì, 
mortificare la carne, ma più ancora e necessario purificare i nostri affetti e 
rinnovare il nostro cuore. Per chiudere, ricordati di 
non dare mai seguito a penitenze corporali senza aver avuto il parere favorevole 
del tuo direttore spirituale. 
Capitolo XXIV 
LE CONVERSAZIONI E LA SOLITUDINE Ricercare le conversazioni 
e fuggirle sono due estremi ugualmente riprovevoli in una devozione civile quale 
è quella che vado proponendoti. La fuga dalla 
conversazione tradisce un senso di superiorità e disprezzo nei confronti del 
prossimo; la ricerca, per contro, tradisce tendenza all'ozio e alla professione 
di perditempo. Bisogna amare il prossimo 
come se stessi e, per dimostrargli amore, non bisogna evitare di incontrarlo; ma 
per dimostrare che vogliamo bene anche a noi stessi, occorre rimanere con noi 
quando ne abbiamo I’opportunità. E questa l'abbiamo quando siamo soli: Pensa a 
te stesso, dice S. Bernardo, e poi agli altri. Se dunque nulla ti impone di far 
visite o riceverne a casa tua, rimani in te stessa e conversa con il tuo cuore. 
Ma se ti capita di trovarti in compagnia o, per qualche giusto motivo devi 
andare a cercarla tu stessa, vacci con Dio, Filotea, e guarda il prossimo con 
cuore contento e occhio felice. Vengono chiamate cattive 
conversazioni quelle che si tengono con intenzione perversa, o anche se quelli 
che vi partecipano sono viziosi, scriteriati, dissoluti; da quelle bisogna stare 
lontano, come fanno le api che si tengono lontane dai gruppi di tafani e di 
calabroni. Allo stesso modo che 
quelli i quali sono stati morsi da cani arrabbiati, sudano, hanno il fiato e la 
saliva pericolose, soprattutto per i bambini e le persone di costituzione 
delicata, quei viziosi depravati costituiscono sempre un pericolo e un rischio 
per coloro che li frequentano, soprattutto se si tratta di persone dalla 
devozione ancora tenera e delicata. Ci sono conversazioni che 
hanno il solo scopo di divertire, servono per distrarsi un po' dalle occupazioni 
serie; a quelle è chiaro che non dobbiamo consacrarci; lasciamo loro soltanto il 
tempo libero destinato a riposarci. Altre conversazioni hanno 
per fine la buona educazione, come, ad esempio, lo scambio di visite e certe 
riunioni che si fanno per onorare il prossimo: direi che per quelle non bisogna 
farsi scrupolo nel disertarle. Però nemmeno essere troppo incivili dimostrando 
per esse disprezzo. Facciamo con moderazione il nostro dovere, evitando in ugual 
misura di essere rozzi e leggeri. Rimangono le conversazioni 
utili, quali quelle delle persone devote e virtuose: Filotea, ritieni una grande 
grazia incontrarne spesso. La vigna piantata tra gli olivi dà un'uva grassa che 
sa di oliva; un'anima che si trovi a frequentare spesso gente di virtù partecipa 
necessariamente delle loro qualità. I fuchi da soli non fanno 
miele, ma in compagnia delle api qualche cosa riescono a fare. La conversazione 
con le anime devote ci aiuta molto nell'esercizio della devozione. In ogni conversazione 
occorre dare sempre la preferenza alla spontaneità, alla semplicità, alla 
dolcezza, alla misura. C'è gente che si comporta e si muove con tanto studio che 
tutti ne sono annoiati, Uno che non volesse mai spostarsi senza cadenzare il 
passo, che non volesse parlare senza cantare, sarebbe davvero un peso per tutti; 
non è diverso per quelli che hanno sempre un contegno studiato e agiscono 
soltanto con mosse calcolate; rendono impossibile la conversazione; la gente di 
questo tipo è ammalata di presunzione. In via ordinaria la nostra 
conversazione deve essere dominata da una gioia moderata. S. Romualdo e S. 
Antonio vengono molto lodati perché, nonostante tutte le austerità, avevano 
sempre il volto e le parole illuminate di gioia, allegria e civiltà. Sta allegra con chi è 
contento, ti ripeto con l'Apostolo; sii sempre contenta, ma in Nostro Signore, e 
la tua moderazione sia nota a tutti gli uomini. Per gioire in Nostro 
Signore, è necessario che '1 motivo della tua gioia, non solo sia lecito, ma 
anche onesto. Dico questo perché ci sono cose lecite che poi risultano 
disoneste; per mettere in evidenza, per esempio, la tua modestia, sta attenta a 
non diventare insolente, il che è sempre da riprovare. Fare lo sgambetto a uno, 
mettere in ombra un altro, pungere un terzo> fare del male a un menomato, sono 
scherni e soddisfazioni stupide, insolenti e anche cattive. Ma oltre alla solitudine 
mentale, nella quale ti è sempre possibile rifugiarti anche in mezzo alle più 
rumorose compagnie, e di cui ti ho già parlato, (P. Il, C. XII), devi amare 
anche la solitudine locale e reale; non voglio spedirti nel deserto, come S. 
Maria Egiziaca, S. Paolo, S. Antonio, Arsenio e gli altri padri eremiti, ma 
penso che ogni tanto ti farebbe bene rimanere sola in camera tua, nel tuo 
giardino o altrove, dove ti sia possibile raccogliere il tuo spirito nel tuo 
cuore e ritemprare la tua anima con buoni propositi e santi pensieri, o con 
qualche buona lettura, come faceva quel santo vescovo di Nazianzo che parlando 
di se stesso diceva: Passeggiavo con me stesso al tramonto del sole e 
trascorrevo il tempo in riva al mare; ho questa abitudine per riposarmi e 
liberarmi un po' dalle preoccupazioni quotidiane. Abbiamo anche l'esempio di 
S. Ambrogio riferito da S. Agostino ci racconta che spesso entrava in camera sua 
(non 'chiudeva mai la porta a nessuno), e lo guardava leggere. Aspettava un po', 
poi se ne andava per non disturbarlo e, senza dir parola, pensando che il tempo 
che rimaneva a quel grande pastore per ritemprare e distendere il proprio 
spirito, dopo il carico di una giornata di lavoro, non doveva essergli tolto. Anche Nostro Signore agì 
allo stesso modo con gli Apostoli dopo che gli avevano raccontato le loro 
fatiche nella predicazione e nel ministero: Venite in disparte, disse loro, e 
riposatevi un po'. 
Capitolo XXV 
IL BUON GUSTO E IL SENSO DELLA MISURA NEL 
VESTIRE S. Paolo vuole che le 
donne devote, vale anche per gli uomini, vestano abiti decenti, ornandosi con 
modestia e misura. Il decoro degli abiti e degli altri ornamenti si deduce dalla 
stoffa, dal taglio, dalla pulizia. Per quello che riguarda la 
pulizia deve essere costante e generale; per quanto ci è possibile non lasciamo 
sugli abiti tracce di sporcizia e segni di trascuratezza. La pulizia esteriore 
indica, in una certa misura, l'onestà interiore. Dio stesso esige la pulizia 
esteriore in coloro che si avvicinano al suo altare, e hanno la principale 
responsabilità della devozione. Per quello che riguarda la 
stoffa e il taglio degli abiti, il decoro va collegato a diverse circostanze: di 
tempo, di età, di rango, di ambiente, di situazioni. Abitualmente ci si veste 
meglio nei giorni di festa, tenuto conto anche della solennità che ricorre; in 
tempo di penitenza, come in Quaresima, si veste in tono molto dimesso; se vai a 
nozze ti vesti con l'abito adatto alle nozze; se vai a un funerale, con l'abito 
adatto al funerale; se vai dal principe, alzi il tono; se resti con i domestici, 
ti adegui a loro. La donna sposata, quand'è 
col marito, deve ornarsi per piacere a lui, se lo facesse quando lui è lontano 
sarebbe lecito chiedersi agli occhi' di chi voglia essere piacente. Alle ragazze sono permessi 
più fronzoli, perché hanno il giusto diritto di voler piacere a molti anche se 
deve essere soltanto per conquistarne uno in vista del matrimonio. Niente di male che anche 
le vedove, che cercano marito, si ornino con una certa evidenza, purché non 
esibiscano leggerezze; sono già madri di famiglia, hanno passato i dispiaceri 
della vedovanza; si ha il diritto di giudicarle persone di spirito maturo e 
formato. Le vere vedove, che s ' i 
sentono tali non solo nel corpo, ma anche nel cuore, devono rinunciare a tutti 
gli ornamenti; per esse c'è l'umiltà, la modestia, la devozione. Se vogliono 
dare amore agli uomini, non sono vedove vere, e se non ne vogliono dare, perché 
vanno in giro con le insegne? Chi non vuole più ricevere clienti, deve togliere 
l'insegna. Ci si diverte sempre alle spalle delle persone anziane che vogliono 
fare i belli: le pazzie si possono permettere solo ai giovani! Sii sempre in ordine, 
Filotea; non ci deve essere niente in te che sappia di trasandato, di 
approssimativo, di raffazzonato: sarebbe segno di disprezzo per quelli che 
incontri, andare da loro con un abito indecoroso; d'altra parte evita 
l'affettazione, la vanità, la ricercatezza, le follie. Fin che ti è possibile 
rimani semplice e modesta; è il più bell'ornamento della bellezza e la miglior 
copertura in caso che la bellezza non ci fosse! S. Pietro chiede, in modo 
particolare alle giovani donne, di non portare i capelli esageratamente 
increspati, arricciati, inanellati, ritorti a modo di serpente. Gli uomini tanto 
smidollati da perdere tempo in queste civetterie, sono additati da tutti come 
ermafroditi, e le donne vanitose sono considerate arrendevoli in fatto di 
castità. Se poi sono virtuose non è che si veda tanto in mezzo a tante scemenze 
e stupidaggini. Dicono, per difendersi, che non pensano male; ma io dico, come 
del resto ho già detto, che al male ci pensa il diavolo. Da parte mia vorrei che il 
devoto e la devota che seguono i miei consigli fossero quelli vestiti sempre con 
più gusto nella brigata, ma i meno ricercati e affettati; come dice il 
proverbio, vorrei che fossero ornati di grazia, di gentilezza e di dignità. S. 
Luigi lo esprime molto bene: Ci si deve vestire secondo la propria condizione, 
di modo che i saggi e i buoni non possano dire: ti sei caricato troppo; e i 
giovani: ti sei tirato troppo giù. Ma in caso che i giovani 
non fossero soddisfatti del nostro decoro, poco danno, atteniamoci al parere dei 
saggi! 
Capitolo XXVI 
SUL PARLARE E IN PRIMO LUOGO COME SI DEVE 
PARLARE DI DIO I medici, dall'esame della 
lingua di un paziente, si fanno un'opinione fondata sul suo stato di salute; per 
noi le informazioni valide sullo stato della nostra anima sono le parole: Dalle 
tue parole, dice il Salvatore, sarai giustificato e dalle tue parole sarai 
condannato. Quando proviamo un dolore, subito vi portiamo la mano sopra; lo 
stesso fa la lingua sull'amore che proviamo. Per cui, Filotea, se sei 
molto innamorata di Dio, parlerai spesso di Dio nelle conversazioni familiari 
con i i tuoi domestici, con gli amici, con i vicini: perché, la bocca del 
giusto mediterà la sapienza, e la sua lingua parlerà con giudizio. A somiglianza 
delle api, che con la loro boccuccia trattano solo il miele, la tua lingua sarà 
sempre profumata del suo Dio, e il tuo più grande piacere sarà quello di sentir 
fluire dalle tue labbra lodi e benedizioni al suo nome, proprio come si dice di 
S. Francesco d'Assisi, il quale, dopo che aveva pronunciato il santo nome del 
Signore, ripassava la lingua sulle labbra per continuare ad assaporare la più 
grande dolcezza del mondo. Ma quando parli di Dio, 
ricordati che stai parlando di Dio, ossia che lo devi fare con rispetto e 
devozione, non prendendo atteggiamento di sufficienza o il tono di una predica, 
ma con spirito di dolcezza, di carità e di umiltà, facendo scendere, come ben 
sai e come si dice della Sposa nel Cantico dei Cantici, il miele delizioso della 
devozione e delle cose divine, goccia a goccia, ora nell'orecchio dell'uno, ora 
nell'orecchio dell'altro; e pregherai Dio nell'intimo della tua anima che voglia 
far scendere quella santa rugiada fino al cuore di quelli che ascoltano. Questo 
compito angelico va condotto con dolcezza e soavità; bisogna evitare il tono 
della correzione; bisogna procedere per modo di ispirazione; sai bene che la 
soavità dei modi e l'amabilità nel proporre qualche buon suggerimento, compiono 
meraviglie ed hanno la forza di un invito irresistibile per i cuori. Non parlare mai di Dio e di devozione tanto per dire di averlo fatto, o per fare due chiacchiere; ma sempre con attenzione e devozione; questo te lo dico per impedirti di cadere in una sciocca vanità che si riscontra in molti che fanno professione di persone devote. Ad ogni piè sospinto dicono parole sante e piene di fervore, quasi per modo di battute, senza nemmeno pensarci. Dopo averle dette sono convinti di essere lo specchio delle parole che hanno detto; invece, proprio non lo sono! 
Capitolo XXVII 
L'ONESTA' NELLE PAROLE E IL RISPETTO DOVUTO 
ALLE PERSONE Dice S. Giacomo: Se uno 
non pecca in parole è un uomo perfetto. Fa scrupolosamente attenzione a non 
lasciarti sfuggire alcuna parola sconveniente; anche se non la dici con cattiva 
intenzione, coloro che l'odono, possono prenderla in tal senso. Se la parola 
sconveniente cade in un cuore debole, si estende e si allarga come una goccia 
d'olio su un lenzuolo; e qualche volta si impadronisce in modo tale del cuore da 
riempirlo di mille pensieri e tentazioni oscene. Tu sai che il veleno per 
il corpo entra dalla bocca; quello per il cuore entra dall'orecchio e la lingua 
che lo propina è assassina, anche se il veleno propinato non consegue l'effetto 
perché ha trovato immunizzati i cuori degli uditori. Se gli altri non sono morti 
non è perché mancasse la volontà di uccidere. Nessuno venga a dirmi che 
non ci pensa: Nostro Signore, che conosce i pensieri, ha detto che la bocca 
parla dell'abbondanza del cuore. Se il pensiero non ce lo mettiamo noi, sta pur 
certa che ce lo mette il diavolo e anche molto! t il suo segreto: servirsi di 
cattive parole per trafiggere i cuori di chi gli capita a tiro. Si dice che quelli che 
mangiano l'erba detta angelica, hanno sempre l'alito dolce e gradevole; coloro 
che hanno nel cuore l'onestà e la castità, che è una virtù angelica, usano 
sempre parole educate e pulite. Quanto alle cose indecenti e folli, l'apostolo 
non vuole nemmeno che se ne faccia il nome, e ci assicura che niente corrompe i 
buoni costumi quanto le conversazioni invereconde. Se queste parole indecenti 
sono dette di nascosto, in modo studiato e sottile, sono ancora più velenose; 
infatti più un dardo è appuntito e più profondamente penetra nel corpo; così, 
più una parola cattiva è sottile e più penetra nei nostri cuori. Coloro che pensano di 
essere gentiluomini perché usano tali parole nelle conversazioni, non hanno idea 
di che cosa sono le conversazioni; devono essere simili a sciami di api raccolte 
insieme per ricavare il miele da qualche dolce e virtuoso argomento, e non un 
mucchio di vespe che si uniscono per succhiare marciume. Se qualche stupido ti dice 
parole indecenti, fa vedere che le tue orecchie non vogliono udirle: interessati 
ad altro o manifesta la tua ripugnanza in qualche modo; sarà la tua prudenza a 
indicarti quello opportuno. Uno dei difetti peggiori 
dello spirito è quello di essere beffardo: Dio odia molto questo vizio e 
sappiamo che lo ha punito con castighi esemplari. Nessun vizio è così 
contrario alla carità, e più ancora alla devozione, quanto il disprezzo e la 
derisione del prossimo. La derisione e la beffa 
non vanno senza disprezzo; è per questo che è un peccato molto grave, e i 
moralisti hanno ragione di dire che la derisione è il modo peggiore di offendere 
il prossimo con parole; le altre offese salvano sempre, in una certa misura, la 
stima per la persona; la derisione invece non la risparmia in nulla. Cosa molto diversa sono le 
battute scherzose tra amici; si fanno in allegria e gioia serena. Si tratta 
addirittura di una virtù cui i Greci davano il nome di eutrapelia: noi diciamo 
buona conversazione. E’ il modo di prendersi una onesta e amabile ricreazione 
sulle situazioni buffe cui i difetti degli uomini danno occasione. Bisogna soltanto stare 
attenti a non passare dagli scherzi sereni alla derisione. La derisione provoca 
al riso per mancanza di stima e per disprezzo del prossimo; invece la battuta 
allegra e la burla scherzosa provocano al riso per la " trovata ", gli 
accostamenti imprevedibili fatti in confidenza e schiettezza amichevole; e 
sempre con molta cortesia di linguaggio. S. Luigi quando le persone 
bigotte volevano parlargli di argomenti impegnativi dopo il pranzo, era solito 
dire: Ora non è tempo di dotte discussioni, ora è tempo di allegria e di 
scherzi; ciascuno dica quello che si sente. in tal modo andava incontro alla 
nobiltà che lo circondava per ricevere gentilezze da Sua Maestà. Filotea, 
l'importante è passare il tempo di ricreazione in modo tale da conservare per 
devozione il pensiero della santa eternità. 
Capitolo XXVIII 
I GIUDIZI TEMERARI Non giudicare e non sarai 
giudicato, dice il Salvatore delle nostre anime; non condannare e non sarai 
condannato. Dice l'apostolo: Non giudicare prima del tempo, ossia fino a che non 
venga il Signore che svelerà il segreto nascosto nelle tenebre, e manifesterà i 
pensieri dei cuori. I giudizi temerari sono severamente riprovati da Dio! 1 
giudizi emessi dai figli degli uomini sono temerari perché gli uomini non sono 
autorizzati ad emettere giudizi gli uni sugli altri; ciò facendo usurpano 
l'ufficio che Nostro Signore si è riservato; in più sono temerari perché la 
principale malizia del peccato dipende dall'intenzione e dal disegno del cuore, 
che è per noi il segreto delle tenebre; sono temerari perché ciascuno è 
sufficientemente occupato a giudicare se stesso, senza mettersi a giudicare 
anche il prossimo. Per non correre il rischio 
di essere giudicati, è assolutamente necessario evitare di giudicare gli altri: 
fermiamoci invece a giudicare noi stessi. Nostro Signore ci ha proibito la prima 
cosa e l'apostolo ci comanda la seconda quando dice: Se noi giudichiamo noi 
stessi, non verremo giudicati. Noi facciamo invece esattamente il contrario: non 
manchiamo mai di fare quello che ci era stato proibito, sentenziando -a 
dritta e a manca sul prossimo; giudicare noi stessi, che sarebbe poi quello che 
ci è stato comandato, chi si sogna di farlo? Bisogna correre ai ripari 
partendo dalle cause dei giudizi temerari. Ci sono dei cuori acidi, amari e 
aspri per natura, che rendono acido e amaro tutto quello che ricevono; costoro, 
secondo il detto del Profeta, mutano il giudizio in assenzio, perché non sanno 
giudicare il prossimo senza rigore e asprezza. Simili persone hanno tanto 
bisogno di cadere tra le mani di un consumato medico spirituale, perché, dato 
che l'amarezza di cuore è loro connaturale, vincerla è difficile; benché per sé 
non sia peccato, anzi soltanto un'imperfezione, tuttavia è da ritenersi 
pericolosa, perché introduce nell’anima, e ve li fissa, il giudizio temerario e 
la maldicenza. Altri fanno giudizi 
temerari, non per acidità, ma per orgoglio; pensano che nella misura in cui 
abbassano l'onore degli altri, alzano il proprio! Sono spiriti arroganti e 
presuntuosi, pieni di ammirazione per se stessi, che si collocano così in alto 
nella propria stima, da vedere tutto il resto come cose piccole e basse: Non 
sono come gli altri uomini, diceva quel Fariseo. In alcuni questo orgoglio 
non è tanto evidente e si manifesta soltanto in un certo compiacimento nel 
considerare i difetti degli altri per assaporare con maggior piacere il bene 
contrario di cui si sentono dotati. Questo compiacimento è così segreto e 
impercettibile che, se non si è forniti di una buona vista, non lo si può 
scoprire; e persino quelli che ne sono affetti, non se ne accorgono se non si fa 
loro notare. Altri poi, per lusingarsi 
e trovare scuse nei confronti di se stessi, o per attenuare i rimorsi delle loro 
coscienze, pensano molto volentieri che gli altri siano contagiati dal vizio al 
quale si sono dati, o da qualche altro equivalente; pensano che il fatto di 
trovarsi ad essere in molti colpevoli dello stesso crimine, riduca la gravità. Molti si lasciano andare 
al giudizio temerario per il solo piacere di filosofeggiare e fare gli indovini 
sulle abitudini e i capricci della gente, quasi per esercitarsi! Che se poi, per 
disgrazia, qualche volta azzeccano i loro giudizi, l'audacia e la brama di 
andare avanti diventa tanto forte in essi, che solo a fatica si può riuscire a 
distoglierli. Altri ancora giudicano per passione e pensano sempre bene di ciò 
che amano e sempre male di ciò che odiano. Soltanto in un caso, sorprendente fin 
che si vuole, ma reale, l'eccesso di amore spinge ad emettere un giudizio 
negativo su ciò che si ama: come risultato è mostruoso, ma lo spieghi facilmente 
se pensi che viene da un amore equivoco, imperfetto, agitato, malato, che si 
chiama gelosia, che, come tutti sanno, per un semplice sguardo, per il minimo 
sorriso di questo mondo, condanna le persone accusandole di perfidia e di 
adulterio. Infine, spesso e molto, 
contribuiscono alla formazione di sospetti e giudizi temerari il timore, 
l'ambizione e altre simili debolezze dello spirito. Quali sono i rimedi? 
Coloro che bevono un estratto di un oppiaceo detto ofiusa, che cresce in 
Etiopia, credono di vedere ovunque serpenti e altre cose orribili: coloro che 
hanno trangugiato orgoglio, invidia, ambizione, odio, vedono tutte le cose come 
cattive e riprovevoli; chi ha bevuto l'oppiaceo, se vuol guarire, deve bere vino 
di palma; la stessa cosa devono fare i viziosi di cui sopra. Bevi più che puoi il sacro 
vino della carità; ti libererai da quegli umori perversi che ti fanno dare 
giudizi temerari. La carità teme l'incontro 
con il male, tanto meno lo cerca; quando ci si imbatte volge altrove lo sguardo 
e fa finta di niente, anzi chiude gli occhi prima di vederlo, alle prime 
avvisaglie e finisce con il credere, con santa semplicità, che quello non era 
male, ma soltanto un'ombra o un fantasma del male; se poi l'evidenza la 
costringe ad ammettere che è proprio male, se ne allontana immediatamente e 
cerca di dimenticarne l'aspetto. Per tutti i mali il grande 
rimedio è la carità; in modo particolare per questo. Tutto sembra giallo agli 
occhi degli ammalati gravi di itterizia; si dice che per guarirli da questo male 
bisogna obbligarli a mettere un po' d'erba detta celidonia sotto la pianta dei 
piedi. Il peccato del giudizio 
temerario è un'itterizia spirituale, che, agli occhi di coloro che ne sono 
affetti, trasforma tutte le cose in cattive; chi vuole guarirne, non deve curare 
gli occhi, ossia l'intelletto, ma gli affetti, che sono i piedi dell'anima: se i 
tuoi affetti sono dolci, se sono caritatevoli, anche i tuoi giudizi lo saranno. Voglio raccontarti tre 
esempi notevoli. Isacco aveva detto che 
Rebecca era sua sorella, Abimelech vide che gioiva con lei, ossia che 
l'accarezzava con tenerezza, e subito concluse che era sua moglie: un occhio 
maligno avrebbe invece pensato che era la sua amante, o caso mai, se realmente 
era sua sorella, che erano due incestuosi; Abimelech segue l'interpretazione più 
benevola del fatto. Bisogna agire sempre in questo modo, Filotea, interpretando 
sempre in favore del prossimo; e se un’azione avesse cento aspetti, tu ferma 
sempre la tua attenzione al più bello. La Madonna era incinta: S. 
Giuseppe lo vedeva bene. D'altra parte la vedeva tutta santa, tutta pura, tutta 
angelica; non poteva credere che fosse rimasta incinta mancando al suo onore. 
Decide allora di abbandonarla, lasciando a Dio il giudizio. Benché ci fossero 
tutte le circostanze evidenti per farsi una cattiva opinione di quella Vergine, 
egli non volle giudicarla. Perché? Perché era giusto, dice lo Spirito di Dio. 
L'uomo giusto quando non può scusare né il fatto né l'intenzione, di chi sa per 
altre vie essere uomo per bene, rifiuta di giudicare, se lo toglie dallo 
spirito, lascia a Dio solo la sentenza. Il Salvatore non può 
scusare completamente il peccato di coloro che lo stanno crocifiggendo; ne 
diminuisce la malizia, adducendo l'ignoranza. Quando non ci è possibile scusare 
il peccato, rendiamolo almeno degno di compassione, attribuendolo alla causa più 
comprensibile che si possa pensare, quali l'ignoranza e la debolezza. Ma allora, non è mai 
permesso giudicare il prossimo? No, mai! t Dio solo, Filotea, che giudica i 
colpevoli secondo giustizia. t vero che si serve della voce dei magistrati per 
renderla intelligibile alle nostre orecchie: sono il suo tramite e i suoi 
interpreti e devono pronunciare soltanto quello che hanno sentito da Lui, quasi 
come oracoli. Se agiscono diversamente, seguendo le loro passioni, in tal caso 
chi giudica sono loro e dovranno renderne conto essendo a loro volta giudicati, 
perché agli uomini, in quanto uomini, è proibito di giudicare. Vedere o conoscere una 
cosa, non è giudicare, perché il giudizio, stando al detto della Scrittura, 
presuppone la necessità di chiarire una difficoltà, che può essere piccola o 
grande, vera o apparente; infatti dice che coloro i quali non credono sono già 
giudicati; non ci sono dubbi sulla loro condanna eterna. Non c'è nulla di male 
nel dubitare del prossimo, perché non è proibito dubitare, ma giudicare! 
Tuttavia non e permesso dubitare o sospettare se non proprio quando 
rigorosamente non se ne può fare a meno, e siamo costretti a dubitare da motivi 
e ragioni serie. Al di fuori di ciò i dubbi e i sospetti sarebbero temerari. Se qualche occhio maligno 
avesse visto Giacobbe mentre baciava Rachele vicino al pozzo, e se avesse visto 
Rebecca accettare in dono braccialetti e orecchini da Eleazaro, forestiero in 
quel paese, avrebbe, senza alcun dubbio, pensato male di quei due modelli di 
virtù, ma senza ragione e senza fondamento; perché quando un'azione è per se 
stessa indifferente, tirarne cattive conclusioni è un sospetto temerario, a meno 
che siamo costretti al sospetto da molte indicazioni inequivocabili. Concludere da un'azione 
mal fatta la condanna della persona è un giudizio temerario; ma su questo, tra 
breve, parlerò con maggior chiarezza. E per finire ti dico che 
chi ha molta cura della propria coscienza non è quasi mai portato ai giudizi 
temerari; come le api vedendo la nebbia o il tempo nuvoloso s ' i rifugiano 
nelle loro arnie a sistemare il miele, allo stesso modo i pensieri delle anime 
buone non si posano su oggetti confusi, né sulle azioni poco chiare del 
prossimo. Anzi, per evitare il pericolo, si raccolgono all'interno del loro 
cuore per curare i buoni propositi del proprio emendamento. Soltanto un'anima 
insulsa può perdere tempo ad esaminare la vita degli altri. Faccio eccezione per 
quelli che hanno la responsabilità di altri, sia in famiglia che nella società: 
per essi gran parte della coscienza sta nel guardare e vegliare su quella degli 
altri. Adempiano al loro dovere 
con amore; al di fuori di ciò, si comportino come tutti. 
Capitolo XXIX 
LA MALDICENZA Il giudizio temerario 
causa preoccupazione, disprezzo del prossimo, orgoglio e compiacimento in se 
stessi e cento altri effetti negativi, tra i quali il primo posto spetta alla 
maldicenza, vera peste delle conversazioni. Vorrei avere un carbone ardente del 
santo altare per passarlo sulle labbra degli uomini, per togliere loro la 
perversità e mondarli dal loro peccato, proprio come il Serafino fece sulla 
bocca di Isaia. Se si riuscisse a togliere 
la maldicenza dal mondo, sparirebbero gran parte dei peccati e la cattiveria. A 
chi strappa ingiustamente il buon nome al prossimo, oltre al peccato di cui si 
grava, rimane l'obbligo di riparare in modo adeguato secondo il genere della 
maldicenza commessa. Nessuno può entrare in Cielo portando i beni degli altri; 
ora, tra tutti i beni esteriori, il più prezioso è il buon nome. La maldicenza è 
un vero omicidio, perché tre sono le nostre vite: la vita spirituale, con sede 
nella grazia di Dio; la vita corporale, con sede nell'anima; la vita civile che 
consiste nel buon nome. Il peccato ci sottrae la prima, la morte ci toglie la 
seconda, la maldicenza ci priva della terza. Il maldicente, con un sol colpo 
vibrato dalla lingua, compie tre delitti.- uccide spiritualmente la propria 
anima, quella di colui che ascolta e toglie la vita civile a colui del quale 
sparla. Dice S. Bernardo che sia colui che sparla come colui che ascolta il 
maldicente, hanno il diavolo addosso, uno sulla lingua e l'altro nell'orecchio. 
Davide, riferendosi ai maldicenti dice: Hanno affilato le loro lingue come 
quelle dei serpenti. Il serpente ha la lingua 
biforcuta, a due punte, come dice Aristotele; tale e quale è quella del 
maldicente, che con un sol morso ferisce e avvelena l'orecchio di chi ascolta e 
il buon nome di colui di cui parla male. Per questo ti scongiuro, 
carissima Filotea, di non sparlare mai di alcuno, né direttamente, né 
indirettamente. Sta attenta a non attribuire delitti e peccati inesistenti al 
prossimo, a non svelare quelli rimasti segreti, a non gonfiare quelli 
conosciuti, a non interpretare in senso negativo il bene fatto, a non negare il 
bene che sai esistere in qualcuno, a non fingere di ignorarlo, tanto meno poi 
devi sminuirlo a parole; agendo in questo modo offenderesti seriamente Dio, 
soprattutto se dovessi accusare falsamente il prossimo o negassi la verità a lui 
favorevole; mentire e contemporaneamente nuocere al prossimo è doppio peccato. Coloro che per seminare 
maldicenza fanno introduzioni onorifiche, e che la condiscono di piccole frasi 
gentili, o peggio di scherno, sono i maldicenti più sottili e più velenosi. Protesto, dicono, che gli 
voglio bene e che per il resto è un galantuomo, ma, continuano, la verità va 
detta: ha avuto torto nel commettere quella perfidia; quella è una ragazza 
virtuosissima, ma si è lasciata sorprendere..., e simili piccole cornici! Non capisci dov'è l'arte? 
Chi vuol scoccare una freccia, la tira più che può a sé, ma è soltanto per 
scagliarla con maggior forza: si può anche avere l'impressione che costoro 
tirino a sé la maldicenza, ma è soltanto per scoccarla con maggior sicurezza, 
per farla penetrare più a fondo nel cuore di coloro che ascoltano. La maldicenza portata 
sotto forma di scherno è la più cattiva di tutte; fa pensare alla cicuta che, di 
per sé, non è un veleno molto forte, anzi ha un'azione lenta e facilmente vi si 
può porre rimedio, ma se viene '1 vino, è senza scampo; lo stesso è di una presa 
con maldicenza che, di natura sua, secondo il detto, entrerebbe da un orecchio e 
uscirebbe dall'altro e che invece penetra fortemente nella mente degli 
ascoltatori quando è presentata in un contesto di parole sottili e gioviali. Dice Davide: Hanno il 
veleno dell'aspide sotto le loro labbra. La puntura dell'aspide è quasi 
impercettibile, e il suo veleno dà sulle prime un prurito gradevole, che allarga 
così il cuore e le viscere e favorisce così l'assorbimento del veleno, contro il 
quale non ci sarà più nulla da fare. Non dire mai: Il tale è un 
ubriacone, anche se l'hai visto ubriaco davvero; quello è un adultero, perché 
l'hai visto in adulterio; è incestuoso perché l'hai sorpreso in quella 
disgrazia; una sola azione non ti autorizza a classificare la gente. Il sole si 
fermò una volta per favorire la vittoria di Giosuè e si oscurò un'altra volta 
per la vittoria del Salvatore; a nessuno viene in mente per questo di dire che 
il sole è immobile e oscuro. Noè si ubriacò una volta; 
e così anche Lot e questi, in più, commise anche un grave incesto: non per 
questo erano ubriaconi, e non si può dire che quest'ultimo fosse incestuoso. E 
non si può dire che S. Pietro fosse un sanguinario perché una volta ha versato 
sangue, né che fosse bestemmiatore perché ha bestemmiato una volta. Per classificare uno 
vizioso o virtuoso bisogna che abbia fatto progressi e preso abitudini; è dunque 
una menzogna affermare che un uomo è collerico o ladro, perché l'abbiamo visto 
adirato o rubare una volta soltanto. Anche se un uomo è stato 
vizioso per lungo tempo, sì rischia di mentire chiamandolo vizioso. Simone il lebbroso chiamò 
Maddalena peccatrice, perché lo era stata prima; mentì, perché non lo era più, 
anzi era una santa penitente; e Nostro Signore la difese. Quell'altro Fariseo 
vanesio considerava grande peccatore il pubblicano, ingiusto, adultero, ladro; 
ma si ingannava, perché proprio in quel momento era giustificato. Poiché la bontà di Dio è 
così grande che basta un momento per chiedere e ottenere la sua grazia, come 
facciamo a sapere che uno, che era peccatore ieri, lo sia anche oggi? Il giorno 
precedente non ci autorizza a giudicare quello presente, e il presente non ci 
autorizza a giudicare il passato. Solo l'ultimo li classificherà tutti. Non potremo mai dire che 
un uomo è cattivo senza pericolo di mentire. In caso che sia necessario parlare 
possiamo dire che ha commesso tale o tal'altra azione cattiva, che ha condotto 
una vita disordinata in tale periodo, che agisce male al presente; ma non è 
lecito da ieri tirare delle conclusioni per oggi, né da oggi per ieri, e ancor 
meno da oggi per domani. Se è vero che bisogna 
essere molto attenti a non parlare mai male del prossimo, però bisogna anche 
guardarsi dall'estremo opposto, in cui cadono alcuni, i quali, per paura di fare 
della maldicenza, lodano e dicono bene del vizio. Se ti imbatti in un 
maldicente senza pudore, per scusarlo, non dire che è una persona libera e 
franca; di una persona apertamente vanesia, non dire che è generosa e senza 
complessi; le libertà pericolose non chiamarle semplicità e ingenuità; non 
camuffare la disobbedienza con il nome di zelo, l'arroganza con il nome di 
franchezza, la sensualità con il nome di amicizia. Cara Filotea, per fuggire 
il vizio della maldicenza, non devi favorire, accarezzare, e nutrire gli altri 
vizi; ma con semplicità e franchezza, devi dire male del male e biasimare le 
cose da biasimare; solo se agiamo in questo modo diamo gloria a Dio. Fa però attenzione ed 
attienti a quello che ora ti dirò. Si possono lodevolmente 
biasimare i vizi degli altri, anzi è necessario e richiesto, quando lo esige il 
bene di colui di cui si parla o di chi ascolta. Facciamo degli esempi: 
supponi che in presenza di ragazze vengano raccontate delle licenziosità 
commesse da Tizio e da Caia: è una cosa senz'altro pericolosa; oppure supponi 
che si parli della dissolutezza verbale di un tale o di una tale, sempre 
esemplificando; o ancora di una condotta oscena: se io non biasimo chiaramente 
quel male, o, peggio, tento di scusarlo, quelle tenere anime che ascoltano, 
avranno la scusa per lasciarsi andare a qualche cosa di simile; il loro bene 
esige che, con molta franchezza, biasimi all'istante quelle sconcezze. Potrei 
riservarmi di farlo in un altro momento soltanto se sapessi di ricavarne 
sicuramente un miglior risultato togliendo allo stesso tempo importanza ai 
colpevoli. P, necessaria anche 
un'altra cosa: per parlare del soggetto devo averne l'autorità, o perché sono 
uno di quelli più in evidenza nel gruppo; nel qual caso se non parlo, avrò 
l'aria di approvare il vizio: se invece nel gruppo non godo di molta 
considerazione, devo guardarmi bene dal fare censure. Più di tutto Poi è 
necessario che io sia ponderato ed esatto nelle parole, per non dirne una sola 
di troppo: per esempio. se devo riprendere le eccessive libertà di quel 
giovanotto e di quella ragazza, perché chiaramente esagerate e pericolose, devo 
saper conservare la misura per non gonfiare la cosa nemmeno di un soffio. Se c'è soltanto qualche 
sospetto, dirò soltanto quello; se si tratta di sola imprudenza, non dirò di 
più; se non c'è né imprudenza, né sospetto di male, ma soltanto materia perché 
qualche spirito malizioso faccia della maldicenza, non dirò niente del tutto o 
dirò soltanto quello che è, Quando parlo del prossimo, 
la mia bocca nel servirsi della lingua è da paragonarsi al chirurgo che maneggia 
il bisturi in un intervento delicato tra nervi e tendini: il colpo che vibro 
deve essere esattissimo nel non esprimere né di più né di meno della verità. Un'ultima cosa: pur 
riprendendo il vizio, devi fare attenzione a non coinvolgere la persona che lo 
porta. Ti concedo di parlare liberamente soltanto dei peccatori infami, pubblici 
e conosciuti da tutti, ma anche in questo caso lo devi fare con spirito di 
carità e di compassione, non con arroganza e presunzione; tanto meno per godere 
del male altrui. farlo per quest'ultimo motivo è prova di un cuore vile e 
spregevole. Faccio eccezione per i 
nemici dichiarati di Dio e della Chiesa; quelli vanno screditati il più 
possibile: ad esempio, le sette eretiche e scismatiche con i loro capi. E’ 
carità gridare al lupo quando si nasconde tra le pecore, non importa dove. Tutti si prendono la 
libertà di giudicate e censurare i governanti e parlar male di intere reazioni, 
lasciandosi guidare dalla simpatia: Filotea, non commettere quest'errore. Tu, 
oltre all’offesa a Dio, corri il rischio di scatenare mille rimostranze. Quando senti parlare male, 
se puoi farlo con fondatezza, metti in dubbio l'accusa; se non è possibile, 
dimostra compassione per il colpevole, cambia discorso, ricorda e richiama alla 
mente dei presenti che coloro i quali non sbagliano lo devono soltanto a Dio. 
Riporta in se stesso il maldicente con buone maniere; se sai qualche cosa di 
bene della persona attaccata, dilla. 
Capitolo XXX 
ALTRI CONSIGLI SUL PARLARE Il tuo modo di parlare sia 
pacato, schietto, sincero, senza fronzoli, semplice e veritiero. Tienti lontano 
dalla doppiezza, dall'astuzia e dalle finzioni. t vero che non tutte le verità 
devono sempre essere dette; ma per nessun motivo è lecito andare contro la 
verità. Abituati a non mentire 
coscientemente, né per scusa, né per altro, ricordandoti che Dio è il Dio della 
verità. Se hai mentito inavvertitamente e puoi rimediare spiegando e 
correggendo, fallo subito: le scuse sincere hanno più delicatezza e più forza 
convincente per scusarci di qualunque menzogna. Qualche volta è permesso, 
con prudenza e discrezione, alterare e nascondere la verità con un giro di 
parole; ma soltanto per motivi seri; quando lo richiedono, senza ombra di 
dubbio, la gloria di Dio e il suo servizio. Fuori di ciò, i giri di parole o le 
astuzie verbali sono pericolose perché, come dice la Parola di Dio, lo Spirito 
Santo non abita in un'anima falsa e doppia. Nessuna finezza è migliore 
e più desiderabile della semplicità. La prudenza mondana e le 
arti della carne sono caratteristiche dei figli di questo secolo; i figli di Dio 
invece camminano senza astuzie e hanno il cuore senza misteri. Chi cammina con 
semplicità, dice il Saggio, avanza con fiducia. La menzogna, la doppiezza, la 
simulazione sono segni di uno spirito debole e vile. S. Agostino, nel IV libro 
delle Confessioni, dice che l'anima sua e quella del suo amico formavano 
un'anima sola, e che odiava la vita dopo la morte dell'amico, perché non se la 
sentiva di vivere a metà e, nello stesso tempo, temeva di morire, perché in tal 
modo anche l'amico avrebbe cessato di vivere totalmente. In seguito queste 
parole gli parvero troppo artificiose e studiate e così, nel Libro delle 
Ritrattazioni, le sconfessa e le chiama inezie. Cara Filotea, pensa quanto 
quella bella e sant'anima fosse sensibile all'affettazione delle parole! Senza 
dubbio il parlare in modo schietto, senza fronzoli e con sincerità, è un 
prezioso ornamento della vita cristiana. "Ho detto, farò attenzione 
alle mie vie per non peccare in parole; Signore, metti le sentinelle alla mia 
bocca e una porta a chiusura delle mie labbra " cantava Davide. E’ un consiglio del grande 
Re S. Luigi: Non contraddire mai nessuno a meno che non sia peccato o dal 
consenso ne consegua un grave danno; questo ti eviterà contestazioni e litigi. 
Quando è necessario contraddire qualcuno e opporsi all'opinione di un altro, 
bisogna usare molta dolcezza e una grande abilità, senza aver l'aria di 
aggredire chicchessia; non ci si guadagna mai a prendere le cose con asprezza. 
Il parlare poco, tanto raccomandato dagli antichi saggi, non va inteso nel senso 
di dire poche parole, ma di non dirne di inutili. Nel campo delle parole non si 
guarda alla quantità, ma alla qualità. Secondo me bisogna evitare i due estremi: 
darsi troppo un contegno sostenuto e severo, rifiutandosi di partecipare alla 
conversazione familiare, il che mi sembra che denoti mancanza di fiducia e anche 
un certo disprezzo degli altri; d'altra parte il ciarlare e il cicalare senza 
soste, senza mai lasciare spazio agli altri per dire una sola parola, sarebbe 
segno di leggerezza e insulsaggine. S.Luigi trovava che non 
fosse ben fatto, quando si è in compagnia, parlare all'orecchio o fare 
conciliaboli; questo per non dare il sospetto che si stesse parlando di 
qualcuno. Diceva: Chi si trova a tavola, in buona compagnia, e ha da dire una 
cosa allegra e simpatica, la deve dire in modo che tutti la odano; se invece si 
tratta di un affare di importanza, non parli affatto. 
Capitolo XXXI 
PASSATEMPI E DIVERTIMENTI E, IN PRIMO LUOGO, 
QUELLI LECITI E LODEVOLI Ogni tanto è necessario 
rilassare lo spirito e il corpo con qualche divertimento. S.Giovanni Evangelista, 
secondo quanto riferisce Cassiano, un giorno fu sorpreso da un cacciatore mentre 
accarezzava per divertimento una pernice che gli si era posata sulla mano; il 
cacciatore gli chiese come mai lui, uomo di tanto valore, perdesse il suo tempo 
in una cosa tanto insignificante e senza frutto; S. Giovanni gli chiese di 
rimando: E tu, perché non tieni il tuo arco sempre teso? Per il timore, rispose 
il cacciatore, che, rimanendo sempre curvo, al momento opportuno non abbia più 
la forza di distendersi. E per un replicò l'apostolo, perché ti meravigli se 
lascio per un po' il rigore e la concentrazione dello spirito per distrarmi un 
po' e consacrarmi poi, con maggior vi. gore alla contemplazione? Essere tanto 
rigidi, rustici e selvatici da non voler permettere né a sé, né agli altri alcun 
genere di divertimento, senza alcun dubbio è un vizio! 
 Prendere una boccata 
d'aria, fare due passi, fermarsi in conversazioni gioviali e piacevoli, suonare 
il liuto o qualche altro strumento, fare della musica, andare a caccia, sono 
divertimenti così onesti che per usarne bene basta la prudenza comune a tutti, 
quella che assegna ad ogni cosa un posto, un luogo, un tempo e la misura. 1 giochi nei quali la 
vittoria premia e ricompensa la destrezza e l'inventiva del corpo e dello 
spirito, come il gioco della pallacorda, della palla, della pallamaglio, il 
gioco della giostra, gli scacchi e altri giochi da tavolino, di natura loro, 
sono divertimenti buoni e onesti. Bisogna guardarsi soltanto 
dagli eccessi, sia per il tempo che vi si spende, sia per il denaro che vi si 
impegna; se tu vi consacri troppo tempo, diventa un'occupazione, non più un 
divertimento: non ne traggono giovamento né lo spirito, né il corpo, anzi alla 
fine ti troverai stordito e stanco. Dopo che hai giocato 
cinque o sei ore agli scacchi, ti trovi stanco morto e vuoto nello spirito; se 
giochi a lungo a pallacorda, non ti diverti, ma ti ammazzi di fatica. Se poi la 
posta, ossia ciò che si mette in palio, è troppo alta, si altera la serenità dei 
giocatori. Inoltre, mi sembra un'ingiustizia mettere grossi premi per la 
destrezza e l'inventiva in cose di così poca importanza, anzi, direi di nessuna 
utilità, come il gioco. Ma soprattutto, Filotea, 
sta attenta a non impegnare il tuo affetto; un gioco sarà onesto fin che vuoi, 
ma metterci dentro il cuore e il proprio affetto è sempre male! Non dico che non 
si debba provar piacere mentre si gioca, non sarebbe più un divertimento, ma ti 
dico di non impegnarci il cuore per desiderarlo, perderci tempo e agitarti. 
Capitolo XXXII 
I GIOCHI PROIBITI Il gioco dei dadi, delle 
carte e simili, nei quali la vittoria dipende più dalla fortuna che altro, non 
soltanto sono divertimenti pericolosi, come il ballo ma, di natura loro, sono 
semplicemente cattivi e riprovevoli. P- per questo che sono proibiti tanto dalle 
leggi civili che da quelle ecclesiastiche. Ma dov'è tutto questo 
male? mi chiederai. In questi giochi non è la 
ragione che dà la vittoria, ma il caso, che spesso favorisce chi di per sé, 
quanto a destrezza e ingegno, non meriterebbe niente: sotto questo aspetto la 
ragione è umiliata. Tu mi dirai: Ma ci siamo messi d'accordo! Questo vale 
soltanto per dimostrare che chi vince non fa torto agli altri, ma ciò non toglie 
che il patto non sia ragionevole e il gioco nemmeno; perché la vittoria, che 
deve essere il premio della destrezza, diventa premio del caso, che non merita 
nessun premio, visto che non dipende, in alcun modo, da noi! Aggiungi che questi giochi 
hanno il nome di divertimenti e sono fatti per questo; e invece proprio non lo 
sono, ma sono soltanto occupazioni a tempo pieno. Non è forse un'occupazione 
tenere lo spirito caricato e teso da un'attenzione continua, e agitato da 
insistenti inquietudini, ansie e paure? Riesci a trovare una tensione più 
triste, più lugubre e più desolata di quella di un giocatore? Non si può 
parlare, non si può ridere, nemmeno tossire, altrimenti i giocatori si 
stizziscono. Infine nel gioco non c'è 
gioia se non vinci. E non ti sembra che sia una gioia perversa, giacché si può 
conseguire soltanto per mezzo della sconfitta e del dispiacere del 
compagno? t davvero una gioia senza onore. Sono queste le tre ragioni 
per cui questi giochi sono proibiti. Il grande Re S. Luigi, sapendo che suo 
fratello, il Conte di Angiò e il nobile Gautier de Nemours stavano giocando, 
malato com'era, si alzò e, barcollando, si recò in camera loro, prese i tavolini 
da gioco, i dadi e una parte del denaro e gettò tutto in mare dalla finestra, e
si corrucciò molto contro di loro. La santa e casta Sara, 
parlando a Dio della propria innocenza, per metterla in evidenza, dice: Tu sai, 
Signore, che non mi sono mai fermata a parlare con i giocatori. 
Capitolo XXXIII 
I BALLI E I PASSATEMPI LECITI MA PERICOLOSI Di natura loro, le danze e 
i balli sono cose indifferenti, ma il modo abituale di dar corso a questi 
passatempi, manifesta una forte inclinazione e tendenza al male. Per tale motivo 
costituiscono sempre un certo pericolo. Ci si dà alle danze di 
notte e, col favore delle tenebre e dell'oscurità, è facile farci scivolare 
qualche libertà equivoca e insinuatrice, per un soggetto che, di natura sua, 
tende fortemente al male; si veglia a lungo, il che guasta la mattinata del 
giorno seguente e quindi la possibilità di servire Dio in essa; in una parola è 
sempre follia cambiare il giorno con la notte, la luce con le tenebre, le buone 
azioni con le follie. Tutti fanno a gara 
nell'essere vanitosi al ballo e si sa che la vanità dispone fortemente agli 
affetti equivoci e agli amori riprovevoli e pericolosi; nelle danze tutto ciò 
trova un terreno ideale. Filotea, sai cosa dicono i 
medici delle zucche e dei funghi? Che non valgono niente. Ti dico la stessa cosa 
delle danze: i balli migliori non sono buoni a nulla. Se ti capita di dover 
mangiare delle zucche, fa attenzione che almeno siano preparate bene: se ti 
trovi in una situazione per cui non ti è possibile trovare plausibili 
giustificazioni per dispensarti dal ballo, cura che la danza sia 'ben preparata'. Con che cosa la devi 
condire? Modestia, dignità e retta intenzione. Riferendosi ai funghi, i 
medici dicono dì mangiarne pochi e di rado, perché, per quanto ben preparati, la 
quantità li rende velenosi. Filotea, danza poco e raramente; diversamente 
rischieresti di affezionartici. Secondo Plinio, i funghi, 
proprio perché sono spugnosi e porosi, assorbono facilmente tutto ciò che di 
infetto c'è intorno, e se si trovano vicino a un serpente ne assorbono il 
veleno. I balli, le danze e simili riunioni equivoche ordinariamente assorbono 
tutti i vizi e i peccati che dominano in un ambiente: le dispute, le invidie, le 
beffe, gli amori folli. Allo stesso modo che il ballo apre i pori del corpo di 
coloro che vi si impegnano, contemporaneamente apre anche i pori del 
cuore; per cui, se qualche serpente, approfittando dell'occasione, viene a 
sussurrare qualche parola lasciva all'orecchio, qualche corteggiamento, qualche 
moina, o addirittura qualche basilisco viene a gettare sguardi impudichi, 
occhiate d’amore, i cuori sono molto arrendevoli e si lasciano facilmente 
conquistare ed avvelenare. Questi divertimenti, 
Filotea, abitualmente sono fuori posto e risultano pericolosi: dissipano lo 
spirito di devozione, indeboliscono le forze, intiepidiscono la carità, e 
risvegliano nell'anima mille generi di affetti perversi; questa è la ragione per 
cui occorre servirsene con grande prudenza. Dopo i funghi si 
raccomanda di bere vino della migliore qualità; io ti dico che dopo le danze 
devi ricorrere a qualche santa e buona riflessione, per bloccare le impressioni 
pericolose che il piacere che hai provato potrebbe aver risvegliato nella tua 
anima. E quali? 1. Mentre tu ti davi alle 
danze, molte anime bruciavano nel fuoco dell'inferno per i peccati commessi nel 
ballo o per colpa del ballo. 2. Molti religiosi e 
persone devote, mentre tu bal1-avi, erano alla presenza di Dio, cantavano le sue 
lodi e ne contemplavano la bellezza. Hanno impiegato il loro tempo molto meglio 
di te! 3. Mentre tu danzavi, 
molte anime morivano tra grandi sofferenze; milioni di uomini e donne 
combattevano con il male nei loro letti, negli ospedali, nelle strade. Pativano 
per la gotta, i calcoli, il delirio. E non trovavano riposo! Tu non ne hai 
compassione? Non pensi che un giorno ti lamenterai come loro, mentre altri 
danzeranno come ora fai tu? 4. Nostro Signore, la 
Madonna, gli Angeli e i Santi ti hanno visto al ballo: come hai fatto loro pena! 
Hanno visto il tuo cuore affogarsi in simile follia e tutta presa da quella 
sciocchezza. 5. Mentre tu ballavi il 
tempo scorreva e ti sei avvicinata alla morte; guarda come sogghigna e ti invita 
al ballo; al suo ballo, nel quale i violini saranno i gemiti dei circostanti e 
il passo di danza sarà uno solo, quello dalla vita alla morte. Quella danza è il solo 
vero 'passatempo' dei mortali; in un momento passi dal tempo all'eternità della 
felicità o del tormento. Ho notato per tua comodità 
queste brevi riflessioni; ma Dio te ne suggerirà altre a questo fine, se tu hai 
il suo timore. 
Capitolo XXXIV 
QUANDO E’ PERMESSO GIOCARE E DANZARE 
Giocare e danzare è lecito quando si fa per divertimento e non per affetto; deve 
essere per breve tempo 
 e non fino a stancarsi o 
stordirsi, e di rado. Chi lo facesse spesso, trasformerebbe il divertimento in 
lavoro. 
Ma quando si può giocare e danzare? 
 Le occasioni per la danza 
e il gioco, di per sé moralmente indifferenti, sono abbastanza frequenti; quelle 
per i giochi proibiti sono più rare, e quanto più tali giochi sono biasimevoli e 
pericolosi tanto più rare saranno le occasioni in cui saranno permessi. In breve: gioca e danza 
alle condizioni che ti ho indicato, quando te lo consiglieranno la prudenza e la 
discrezione per accondiscendere e far piacere all'onesta compagnia nella quale 
ti troverai; la condiscendenza è figlia della carità e come tale rende buone le 
azioni indifferenti e permesse quelle pericolose. Riesce persino a togliere 
la malizia a quei giochi che sono del tutto cattivi: per cui i giochi d'azzardo, 
che di per sé sono riprovevoli, cessano di esserlo se, qualche volta, è una 
ragionevole condiscendenza che ti ci conduce. Mi ha edificato leggere 
nella vita di S. Carlo Borromeo che era arrendevole con gli Svizzeri in certi 
campi nei quali ordinariamente era molto severo, e che il Beato Ignazio di 
Loyola, invitato a giocare, accettò. Di S. Elisabetta d'Ungheria sappiamo che 
giocava e danzava quando si trovava in riunioni fatte per divertirsi; e questo 
senza pregiudizio della devozione, che era tanto radicata nella sua anima che 
aumentava in mezzo alla pompa e alle vanità cui l'esponeva la sua condizione, 
proprio come avviene per gli scogli intorno al lago di Rieti che crescono se 
battuti dalle onde; col vento i grandi fuochi divampano con maggior violenza, ma 
i piccoli si spengono del tutto se non li proteggiamo. 
Capitolo XXXV 
BISOGNA ESSERE FEDELI NELLE GRANDI E NELLE 
PICCOLE OCCASIONI Nel Cantico dei Cantici lo 
Sposo confessa che la Sposa gli ha rapito il cuore con uno sguardo e un capello. 
Tra tutte le parti del corpo umano nessuna è più nobile dell'occhio, sia per la 
sua perfezione come organo, sia per la sua attività; e niente è più trascurabile 
di un capello. Lo Sposo divino in tal modo vuole farci capire che non gli sono 
accette soltanto le opere importanti dei devoti, ma anche le minori e quelle che 
sembrano di nessun conto. Sarà contento di noi soltanto se avremo cura di 
servirlo bene nelle cose importanti e di rilievo come nelle piccole e 
insignificanti; sia con le une che con le altre, possiamo rapirgli il cuore per 
amore. Preparati dunque, Filotea, 
a soffrire un gran numero di grosse afflizioni per il Signore, fors'anche il 
martirio; deciditi a fargli dono di quanto hai di più prezioso, sempre che si 
degni di accettare: padre, madre, fratello, marito, moglie, figli, i tuoi occhi 
e la tua vita; a tutto ciò devi preparare il cuore. Quando la Divina 
Provvidenza non ti manda afflizioni acute e pesanti, insomma non ti chiede gli 
occhi, donale almeno i capelli: voglio dire, sopporta con dolcezza le piccole 
offese, gli inconvenienti insignificanti, quelle sconfitte da poco sempre 
all'ordine del giorno; per mezzo di tutte queste piccole occasioni, usate con 
amore e direzione, conquisterai totalmente il suo cuore e lo farai tuo. I piccoli gesti quotidiani 
di carità, un mal di testa, un mal di denti, un lieve malessere, una stranezza 
del marito o della moglie, un vaso rotto, un dispetto, una smorfia, la perdita 
di un guanto, di un anello, di un fazzoletto; quel piccolo sforzo per andare a 
letto presto la sera e alzarsi al mattino di buon'ora per pregare, per fare la 
comunione; quella piccola vergogna che si prova a fare in pubblico un atto di 
devozione; a farla breve, tutte le piccole contrarietà accettate e abbracciate 
con amore fanno infinitamente piacere alla Bontà divina, che, per un bicchiere 
d'acqua, ha promesso il mare della felicità completa ai fedeli; e siccome queste 
occasioni si presentano in continuazione, servirsene bene è un mezzo sicuro per 
accumulare grandi ricchezze spirituali. Quando nella vita di S. 
Caterina da Siena ho letto tanti rapimenti ed elevazioni di spirito, tante 
parole di sapienza e persino di 
predicazioni tenute da lei, ho avuto la certezza che con quell'occhio di 
contemplazione aveva rapito il cuore dello Sposo celeste; ma mi ha consolato 
nella stessa misura vederla in cucina girare umilmente lo spiedo, attizzare il 
fuoco, preparare il cibo, impastare il pane e fare tutti gli uffici più umili 
della casa, con un coraggio pieno di amore e di dilezione per il Signore. Ho 
uguale stima per la piccola e semplice meditazione che faceva consacrandosi a 
quei compiti così umili e disprezzati, come per le estasi e i rapimenti così 
frequenti in lei, e che forse le furono concessi proprio in ricompensa di 
quell'umiltà e di quell'abiezione. Ecco com'era la sua 
meditazione: mentre preparava da mangiare per suo padre, pensava di prepararlo 
per Nostro Signore, come S. Marta; per lei sua madre le ricordava la Madonna; i 
fratelli, gli Apostoli. In tal modo pensava nel suo spirito di servire tutta la 
corte celeste e si adoperava in quei piccoli lavori con molta dolcezza, perché 
sapeva che quella era la volontà di Dio. Ti ho presentato 
quest'esempio, Filotea, perché tu ti renda conto quanto sia importante 
indirizzare bene tutte le nostre azioni, per vili che siano, al servizio della 
divina Maestà. A questo scopo ti 
consiglio vivamente di imitare la donna forte tanto lodata da Salomone e che 
poneva mano alle imprese forti, alte e generose senza trascurare di filare e 
girare il fuso: Ella ha posto mano a cose grandi e la sua mano gira il fuso. 
Poni mano a cose forti, applicandoti alla meditazione e all'orazione, all'uso 
dei sacramenti, a donare amore a Dio e alle anime, -a spargere buoni pensieri 
nei cuori, a fare insomma opere grandi e importanti secondo la tua vocazione; ma 
non dimenticare il fuso e la conocchia, ossia pratica quelle piccole e umili 
virtù che crescono come fiori ai piedi della 
Croce: il servizio dei poveri, la visita ai malati, la cura della famiglia, con 
tutto quello che comporta, con una diligenza che non ti lascerà mai tempo per 
l'ozio; e in tutte queste faccende cerca di avere pensieri simili a quelli che, 
come ti ho detto, aveva S. Caterina in tali situazioni. Le grandi occasioni di 
servire Dio si presentano raramente, le piccole invece le hai sempre: ora, chi 
sarà fedele nel piccolo, dice il Salvatore, avrà un incarico grande. Fa dunque 
tutto in nome di Dio, e tutto sarà fatto bene. Sia che tu mangi, sia che tu 
beva, sia che tu dorma, sia che ti diverta, sia che tu giri lo spiedo, purché tu 
porti avanti bene le tue faccende, trarrai sempre grande profitto al cospetto di 
Dio, perché fai tutte le cose che Dio vuole che tu faccia. 
Capitolo XXXVI 
BISOGNA ESSERE GIUSTI E RAGIONEVOLI Siamo uomini soltanto 
perché siamo dotati di ragione, eppure è cosa estremamente difficile trovare un 
uomo veramente ragionevole, perché l'amor proprio abitualmente offusca la 
ragione, e insensibilmente ci conduce a mille generi di ingiustizie e 
cattiverie, piccole sì, ma pericolose, che, come le piccole volpi di cui parla 
il Cantico dei Cantici, distruggono le vigne: essendo piccole nessuno ci fa caso 
ma siccome sono numerose, producono seri danni. 'Non pensare che quello che ora 
dirò siano cattiverie e discorsi senza fondamento. Per poco accusiamo 
immediatamente il prossimo, mentre scusiamo noi stessi anche nel molto; vogliamo vendere a prezzo molto 
alto e comperare a buon mercato; vogliamo che si faccia giustizia in casa degli 
altri, per casa nostra, misericordia e comprensione; pretendiamo che si prendano 
sempre in buona parte le nostre parole, ma siamo suscettibili e permalosi a 
quelle degli altri. Pagando, vorremmo che il 
prossimo ci cedesse quello che è suo; non è più giusto che si tenga quello che è 
suo e noi il nostro denaro? Ce l'abbiamo con lui perché non vuole piegarsi a 
noi, ma non ti pare che dovrebbe essere lui ad avercela con noi perché vogliamo 
farlo piegare? Se ci piace un esercizio 
disprezziamo tutto il resto e sentenziamo su tutto quello che non è di nostro 
gusto. Se qualcuno dei nostri dipendenti ha un modo di fare sgarbato, o ci 
riesce antipatico, può fare qualunque cosa, la prenderemo sempre per traverso; 
non cessiamo di umiliarlo e siamo pronti al rimprovero; al contrario, se 
qualcuno ci va a genio, può fare quello che vuole, lo scuseremo sempre. Ci sono dei figli 
veramente buoni e bravi, ma invisi ai loro papà e alle loro mamme solo a causa 
di difetti fisici e magari poi sono preferiti quelli viziosi, perché hanno delle 
belle qualità fisiche. In ogni campo diamo la preferenza ai ricchi sui poveri, 
anche se non sono di stirpe più nobile o più virtuosi; diamo la preferenza anche 
a quelli vestiti meglio. Esigiamo con scrupolo i 
nostri diritti, ma pretendiamo che gli altri siano remissivi nel chiedere i 
loro; conserviamo il nostro posto con puntiglio, ma vogliamo che gli altri siano 
umili e condiscendenti; ci lamentiamo con facilità del prossimo, ma poi guai se 
uno si lamenta di noi! Quello che facciamo per gli altri ci sembra sempre tanto, 
ciò che gli altri fanno per noi, nulla, almeno ci sembra. Assomigliamo alle pernici 
di Pafiagonia che hanno due cuori: ne abbiamo uno dolce e cortese per noi, e uno 
duro, severo, intransigente per il prossimo. Usiamo due pesi: uno per pesare le 
nostre comodità, caricando il più possibile, l'altro per pesare quelle del 
prossimo, alleggerendo più che possiamo. La Scrittura dice che le 
labbra ingannatrici hanno parlato in un cuore e in un cuore: con ciò vuol dire 
che hanno due cuori; avere due pesi: uno forte, per riscuotere e un altro 
leggero, per pagare, è cosa abominevole davanti a Dio. Filotea, sii costante e 
giusta nelle tue azioni: mettiti sempre al posto del prossimo e metti lui al tuo 
e così giudicherai rettamente; quando compri fa la venditrice e quando vendi fa 
la compratrice e vedrai che riuscirai a vendere e comprare secondo giustizia. Si tratta di piccole 
ingiustizie, che non obbligano alla restituzione, perché ci limitiamo 
rigorosamente nei termini a nostro favore; ma non per questo è un motivo per non 
correggerci. Sono grosse mancanze contro la ragionevolezza e la carità; se si 
guarda bene sono veri imbrogli: ma che ci vuole in fin dei conti a vivere con 
generosità, nobiltà di cuore, cortesia, e con un cuore signore, costante e 
ragionevole? Ricordati di esaminare 
spesso il tuo cuore, Filotea, per vedere se verso il prossimo si comporta come 
vorresti che si comportasse lui nei tuoi confronti se tu fossi al suo posto; qui 
sta la ragionevolezza. Traiano, rimproverato dai 
suoi confidenti perché rendeva, secondo loro, la Maestà imperiale troppo 
accessibile, rispose: E sì, perché non dovrei essere per i cittadini quel tipo 
di imperatore che io vorrei incontrare se io stesso fossi semplice cittadino? 
Capitolo XXXVII 
I DESIDERI Tutti sanno che bisogna 
tenersi lontano dai desideri di cose viziose, perché il desiderio del male ci 
rende cattivi. Ti dico di più, Filotea: non desiderare le cose che sono 
pericolose per l'anima, come i balli, i giochi e i passatempi in genere; non 
desiderare le cariche e gli onori, nemmeno le visioni e le estasi, perché in 
queste cose c'è un grave pericolo di vanità e di inganno. Non desiderare le cose 
molto lontane nel tempo, ossia che per lungo tempo non potranno capitare, cosa 
che fanno molti stancando ed impoverendo inutilmente i loro cuori; per di più si 
mettono in una situazione di continua agitazione. Se un giovane desidera 
fortemente ricevere un incarico prima del tempo, a che gli serve, dico io, quel 
desiderio? Se una donna sposata desidera essere religiosa, che senso ha? Se 
desidero comprare i beni del mio vicino prima che sia disposto a vendere, non 
sto perdendo il tempo? Se quando sono malato desidero predicare e dire la santa 
Messa, visitare gli altri malati e fare tutto quello che fanno quelli che sono 
in buona salute, non sono desideri inutili? giacché in quelle occasioni non sono 
in grado di realizzarli! Questi desideri inutili occupano il posto di altri che 
dovrei avere, ossia, essere molto paziente, molto rassegnato, molto mortificato, 
molto obbediente e molto dolce nelle mie sofferenze; questo è quello che vuole 
Dio per ora! Generalmente abbiamo le 
voglie come le donne incinte, che vogliono le ciliege fresche in autunno e l'uva 
fresca in primavera! Proprio non approvo che 
una persona tenuta a qualche dovere o a qualche vocazione, si diverta a 
desiderare un altro genere di vita diverso da quello che conviene al suo stato 
attuale. Ciò distrae il cuore e lo rende fiacco per i doveri che gli sono 
propri. Se desidero la solitudine 
dei Certosini perdo il mio tempo, e questo desiderio occupa il posto di quello 
che dovrei avere di impegnarmi seriamente al mio dovere attuale. Vorrei che 
nemmeno si desiderasse di avere uno spirito migliore o un giudizio migliore, 
perché questi desideri sono frivoli ed occupano il posto del desiderio che 
ciascuno deve avere di coltivare il proprio così com'è. Non vorrei nemmeno che 
si desiderassero i mezzi che non si hanno per servire Dio. Questo per i desideri 
che distraggono il cuore; quanto invece al semplice augurio, non porta alcun 
danno; l'importante è che non sia troppo insistente. Desidera le croci solo 
nella misura in cui sarai riuscita a sopportare quelle incontrate; è una pazzia 
desiderare il martirio e non avere la forza di sopportare un'ingiuria. Il nemico 
spesso fa nascere in noi forti desideri per eroismi impossibili e che non si 
verificheranno mai, per distoglierci dalle piccole occasioni presenti, dalle 
quali per piccole che siano, potremmo trarre grande profitto. Nella nostra 
immaginazione combattiamo contro i mostri africani e poi di fatto ci lasciamo 
uccidere da serpentelli che incontriamo sulla nostra strada; questo perché siamo 
distratti. Non desiderare le 
tentazioni; sarebbe temerità: ma impegna il tuo cuore a saperle attendere con 
coraggio e a saperti difendere quando arriveranno. La varietà dei cibi, 
soprattutto poi se la quantità è grande, carica sempre lo stomaco e, se è 
debole, lo rovina. Non riempire la tua anima di troppi desideri: non di quelli 
mondani perché ti distruggerebbero totalmente, ma nemmeno di quelli spirituali, 
perché ti appesantirebbero. Quando l'anima è purificata si sente libera dai 
cattivi umori, ritrova un forte appetito dei cibi spirituali, e come 
un'affamata, desidera mille generi di esercizi di pietà, di mortificazione, di 
penitenza, di umiltà, di carità, di orazione. Avere buon appetito, Filotea, è 
buon segno, ma rifletti bene se poi sarai in grado di digerire tutto quello che 
vuoi inghiottire. Con il parere del tuo 
padre spirituale, tra tanti desideri, scegli quelli che puoi attuare e portare a 
compimento ora; e impegnati seriamente su quelli: vedrai che Dio te ne ispirerà 
degli altri; a suo tempo, porterai a compimento anche quelli. In questo modo non 
perderai il tuo tempo in desideri inutili. Fa attenzione, Filotea, 
non ti chiedo di accantonare nessun genere di desideri; ti chiedo soltanto di 
metterli in ordine. Quelli che non puoi realizzare ora, mettili da parte, in un 
angolino del tuo cuore, fino -a che non giunga il loro momento; nel frattempo 
realizza quelli che sono maturi e di stagione. Quello che dico non vale 
soltanto per i desideri spirituali, ma anche per quelli del mondo: se non 
riusciamo ad agire in questo modo saremo sempre anime inquiete e nell'affanno. 
Capítolo XXXVIII 
CONSIGLI PER GLI SPOSATI Il Matrimonio è un grande 
Sacramento, lo dico in Gesù Cristo e nella sua Chiesa; e deve essere onorato da 
tutti, in tutti e nella sua totalità, ossia in tutte le sue componenti. Da tutti, perché anche le 
nubili devono onorarlo con umiltà; in tutti, perché è ugualmente santo tra i 
poveri e tra i ricchi; nella sua totalità, perché la sua origine, il suo fine, i 
suoi vantaggi, la sua forma e la sua materia sono santi. E’ il vivaio del 
cristianesimo, che popola la terra di fedeli per completare il numero degli 
eletti in cielo; ne consegue che la difesa del bene del Matrimonio è molto 
importante per la società perché è l'origine e la sorgente di tutti i ruscelli 
che le danno vita. Piacesse a Dio che il suo 
amatissimo Figlio fosse invitato a tutte le nozze come lo fu a quelle di Cara! 
Il vino della gioia e della benedizione non mancherebbe mai; e invece ce n'è 
appena un po' per cominciare: il motivo è che è stato invitato Adone al posto di 
Nostro Signore e Venere al posto di Maria Santissima. Chi vuole avere degli 
agnelli molto belli e pezzati, come Giacobbe, deve agire come lui: offriva alla 
vista delle pecore che stavano per partorire dei bastoncini colorati in vario 
modo; similmente chi vuole che il matrimonio sia felice, durante le nozze deve 
pensare alla santità e alla dignità di questo Sacramento; se poi invece di 
pensare alla santità ci si lascia andare a mille distrazioni, a feste, a 
banchetti e a chiacchiere e tutto finisce lì, nessuna meraviglia che i risultati 
siano poi diversi da quelli attesi. Esorto soprattutto gli 
sposi all'amore reciproco che lo Spirito Santo tanto insistentemente raccomanda 
loro nella Scrittura. Sposi cari, se vi amate reciprocamente soltanto di amore 
naturale, non fate gran che: anche le coppie di tortore si amano così. Se vi 
amate di un amore umano, non aggiungete gran che: anche i pagani si amavano in 
tal modo. Ma io vi dico con il grande Apostolo: Mariti, amate le vostre mogli 
come Gesù Cristo ama la sua Chiesa; mogli, amate i vostri mariti come la Chiesa 
ama il suo Salvatore. t stato Dio a presentare 
Eva al nostro primo padre Adamo e a dargliela in moglie: amici miei, è Dio che 
con la sua mano invisibile, ha stretto il nodo del sacro vincolo del vostro 
matrimonio e vi ha consegnato uno all'altra e viceversa. Come potete allora 
amarvi di un amore che non sia santo, sacro e divino? Il primo effetto di questo 
amore è l'unione indissolubile dei vostri cuori. Se incolli tra loro due 
tavolette di abete, servendoti di una buona colla, si uniranno in modo tale che 
ti sarà più facile spaccarle altrove che nel punto nel quale le hai incollate; 
Dio unisce l'uomo e la donna con il proprio sangue; ecco perché questa unione è 
così forte che sarà più facile che l'anima si separi dal corpo che il marito 
dalla moglie. Questa unione va intesa in primo luogo riferita al cuore, 
all'affetto, all'amore e non al corpo. Il secondo effetto di 
questo amore deve essere la fedeltà inviolabile di uno per l'altra. Anticamente 
i sigilli erano incisi negli anelli che si portavano al dito, cosa che del resto 
afferma anche la Sacra Scrittura: ecco la ragione della cerimonia degli anelli, 
che si compie alle nozze. La Chiesa, tramite il sacerdote, benedice un anello e 
in primo luogo lo consegna all'uomo, per significare che in questo modo marca e 
sigilla il suo cuore con questo Sacramento, perché in esso non entri mai più il 
nome o l'amore di un'altra donna, finché vivrà colei che gli è stata data; poi 
lo sposo mette l'anello nella mano della sposa perché anche lei sappia che mai 
più in seguito il suo cuore dovrà accogliere affetto per un altro uomo diverso 
da quello che il Signore le ha dato, finché vivrà su questa terra. Il terzo frutto del 
matrimonio è la legittima generazione dei figli e la loro crescita. Voi, sposi, 
godete di un onore molto grande, giacché Dio, volendo Moltiplicare le anime che 
lo lodino e lo benedicano per l'eternità, vi ha scelto per cooperare a un così 
grande disegno, affidandovi la generazione dei corpi nei quali egli fa scendere 
come gocce celesti le anime che crea appositamente per infonderle in quei corpi. Per tutto questo, voi 
mariti dovete nutrire per le vostre mogli un amore tenero, costante e profondo: 
per questo la donna è stata tratta dalla costola più vicina al cuore del primo 
uomo: perché egli l'amasse profondamente e teneramente. Le debolezze e le 
infermità delle vostre donne, sia di corpo che di spirito, non devono provocare 
nessun genere di disprezzo, ma piuttosto una dolce e amorevole comprensione, 
perché è Dio che le ha create così; infatti per tale condizione dipendono da voi 
e a voi ne viene maggiore onore e rispetto; sono per tale motivo strettamente 
legate a voi quali compagne e voi ne siete i capi responsabili. E voi, mogli, amate con 
tenerezza e cordialità i mariti che Dio vi ha dato, ma non dimenticate di 
mettere nel vostro amore anche rispetto e cortesia; è per questo che Dio li ha 
creati più vigorosi e risoluti, e ha voluto che la donna dipendesse dall'uomo, 
ossa delle sue ossa, carne della sua carne, e fosse generata da una sua costola, 
presa sotto il suo braccio, per indicare che deve stare sotto la protezione ed 
essere guidata dal marito. In tutta la Sacra Scrittura si raccomanda 
insistentemente questa sottomissione, che poi la stessa Scrittura rende dolce, 
non solo perché vi chiede di accettarla con amore, ma perché raccomanda ai 
vostri mariti di fare la loro parte, con grande amore, tenerezza e dolcezza: 
Mariti, dice S. Pietro, abbiate un comportamento discreto con le vostre mogli, 
perché sono fragili come vasi di cristallo; e portate loro onore. Vi esorto a rendere sempre 
più forte questo amore reciproco, ma fate attenzione che non si muti in alcuna 
forma di gelosia; capita spesso che le mele più delicate e più mature abbiano il 
verme; la stessa cosa può capitare tra gli sposi: dall'amore più ardente e 
premuroso può nascere il verme della gelosia che guasta e fa marcire tutto. 
Comincia con le discussioni, poi le discordie e infine le divisioni. La gelosia 
non potrà mai entrare dove c'è un'amicizia reciproca fondata sulla virtù 
sincera; infatti la gelosia è segno di un amore sensuale e che cresce dove trova 
una virtù manchevole, incostante e diffidente. Ed è per questo che è una 
sciocca pretesa voler esaltare l'amicizia con la gelosia; la gelosia è soltanto 
segno dell'ampiezza e dello spessore dell'amicizia; ma non della sua buona 
qualità, della sua bellezza, della sua perfezione. La perfezione dell'amicizia 
esige certezza nella presenza di virtù in colui che si ama; la gelosia 
presuppone invece l'incertezza sulla presenza di tali virtù. Se voi, mariti, volete che 
le vostre donne siano fedeli, insegnatelo loro con il vostro esempio. Dice S. 
Gregorio Nazianzeno: " Con che faccia pretendete la pudicizia dalle vostre 
mogli, se poi siete voi a vivere nell'impudicizia? Come potete domandare loro 
ciò che non fate voi? ". Volete che siano caste? Comportatevi castamente con 
loro e, come dice S. Paolo: Ciascuno sappia possedere il proprio vaso in 
santità. Se al contrario, voi insegnate loro cose disoneste, non meravigliatevi 
poi se le perderete e con disonore. Voi, mogli, il cui onore è 
legato inseparabilmente alla pudicizia e all'onestà, conservate gelosamente la 
vostra gloria e non permettete che alcun genere di dissolutezza offuschi la 
bellezza del vostro buon nome. Temete ogni sorta di attacco, per piccolo che 
sia, non tollerate alcun corteggiamento nei vostri confronti. Dovete sospettare 
di chi viene a lodare la vostra bellezza e la vostra gentilezza, perché chi loda 
una merce che non può acquistare per lo più è fortemente tentato di rubarla. Se 
poi alla lode delle tue qualità aggiunge il disprezzo per tuo marito, ti offende 
gravemente perché è evidente che, non solo vuole perderti, ma ti considera già a 
metà perduta; infatti il contratto è mezzo concluso con il secondo acquirente 
quando si è stanchi del primo! Ci sono donne, sia 
dell'antichità che dei nostri tempi, che hanno l'abitudine di portare pendagli 
con un certo numero di perle alle orecchie, per il piacere di sentirle 
tintinnare, una contro l'altra, almeno così dice Plinio! Ed ora, se permetti, ti 
dico il mio parere: io so che Isacco, grande amico di Dio, mandò a Rebecca, come 
primo segno del suo amore, degli orecchini; penso che quell'ornamento mistico 
voglia significare che la prima cosa che un marito ha il diritto di aspettarsi 
dalla moglie, e che la moglie deve gelosamente conservare per lui, è l'orecchio; 
non deve lasciarvi entrare alcuna parola o altro, al di fuori del dolce 
tintinnio pieno d'amore, fatto di parole caste e pudiche, figurate nelle perle 
orientali del Vangelo: bisogna ricordarsi sempre che le anime sono avvelenate 
per le orecchie, come il corpo per la bocca. L'amore e la fedeltà unite 
insieme generano sempre libertà e confidenza; ecco perché i Santi e le Sante nel 
matrimonio hanno usato di molte reciproche carezze, carezze piene d'amore, ma 
caste; tenere, ma sincere. Isacco e Rebecca, la 
coppia più casta dell'antichità, furono visti dalla finestra mentre si 
accarezzavano in tale maniera che, benché non ci fosse nulla di disonesto, 
Abimelech concluse che non potevano essere che marito e moglie. Il grande S. 
Luigi re, rigorosissimo con se stesso, era tenerissimo con la moglie, tanto da 
meritare quasi di essere richiamato per le carezze eccessive; penso che 
piuttosto avrebbe meritato una lode per il modo con il quale sapeva dimenticare 
il suo spirito militare e coraggioso per far posto a quelle piccole attenzioni 
che hanno il pregio di conservare l'amore coniugale; infatti, benché quelle 
piccole dimostrazioni di semplice e schietta amicizia non leghino i nostri 
cuori, servono tuttavia ad avvicinarli e sono un piacevole complemento della 
reciproca conservazione. S.Monica, quand'era 
incinta del grande S. Agostino, lo consacrò con rinnovate offerte, alla 
religione cristiana e al servizio della gloria di Dio, come ci riferisce egli 
stesso confessandoci che aveva già assaporato " il sale di Dio nel seno 
di sua madre ". E’ un grande esempio per 
le donne cristiane: offrire alla maestà divina il frutto del loro seno, anche 
prima che veda la luce, perché Dio, che accetta le offerte di un cuore umile e 
pieno di buona volontà, abitualmente asseconda gli affetti delle madri in tali 
condizioni. Ne sono testimoni Samuele, 
S. Tommaso d'Aquino, S. Andrea da Fiesole e molti altri. La madre di S. Bernardo, 
degna madre di così grande figlio, prendeva in braccio i figli appena nati e li 
offriva a Gesù Cristo, e da quel momento voleva loro bene come a cosa consacrata 
a Dio e che da Lui le era stata affidata; cosa che I,- riuscì così perfettamente 
che tutti e sette divennero grandi santi. Ma una volta venuti al 
mondo, quando cominciano ad avere l'uso di ragione, i papà e le mamme devono 
avere grande cura di imprimere nel cuore dei loro figli il timore di Dio. La buona regina Bianca 
compì particolarmente bene questo dovere nei confronti del Re S. Luigi, suo 
figlio, dicendogli spesso: " Caro figlio, preferirei vederti morto sotto i miei 
occhi, che vederti commettere un sol peccato mortale "; la qual cosa rimase 
talmente impressa nel cuore di quel santo figlio, che, come raccontava egli 
stesso, non ci fu mai giorno della sua vita nel quale non se ne ricordasse, e si 
impegnasse con tutte le sue forze, a restare fedele a quella raccomandazione. Nel nostro modo di 
parlare, le stirpi e le generazioni sono chiamate 'casa'; gli Ebrei chiamano 
anche la generazione dei figli 'costruzione della casa', perché è in questo 
senso che si dice che Dio edificò delle case per mezzo delle levatrici d'Egitto. Questo per dimostrare che 
impiegare molti beni mondani non equivale a costruire una buona casa; ma 
allevare i figli nel timore di Dio e nella virtù, quello sì che è costruire una 
casa solida. In questo campo non ci si 
deve risparmiare nessun genere di fatica e di lavoro, perché i figli sono la 
corona del padre e della madre. S. Monica contrastò con 
tanto amore e costanza le cattive inclinazioni di S. Agostino, che, dopo averlo 
seguito per terra e per mare, si può dire che lo rese felicemente suo figlio con 
la conversione, più di quanto non lo fosse stato per la generazione del corpo. S. Paolo lascia alle donne 
la cura e la responsabilità della casa; molti sono di questa opinione e 
sostengono che la devozione della donna porta più frutto alla famiglia di quella 
del marito; il motivo è che i mariti conducono una vita molto più fuori dalle 
pareti domestiche, per cui non possono avere tanta influenza nell'indirizzare i 
figli alla virtù. E’ questa considerazione 
che fa dire a Salomone, nei Proverbi, che tutta la felicità di una casa 
dipende dalla cura e dall'attività di quella donna forte che egli ci descrive. Nella Genesi si dice che 
Isacco vedendo che sua moglie Rebecca era sterile, pregò il Signore per lei o, 
com'è detto nel testo ebraico, pregò il Signore di fronte a lei, perché 
pregavano uno da un lato e uno dall'altro del luogo di preghiera: e la preghiera 
del marito fatta in questo modo fu esaudita. L'unione che si realizza 
tra marito e moglie nella santa devozione è la più fruttuosa che si possa dare; 
per questo devono, a gara, incoraggiarsi reciprocamente ad acquisirla. Ci sono 
dei frutti, come la mela cotogna, che, per la loro asprezza, sono buoni soltanto 
in marmellata; altri frutti poi sono talmente teneri e delicati che non possono 
essere conservati se non canditi, come le ciliege e le albicocche. Similmente le mogli devono 
augurarsi che i loro mariti siano canditi con lo zucchero della devozione, 
perché l'uomo senza devozione è un animale spietato, aspro e rude; i mariti 
devono augurarsi che le loro donne siano devote, perché senza la devozione, la 
donna è molto fragile e predisposta a lasciare la virtù o a permettere che venga 
offuscata. S. Paolo ha detto che 
l'uomo infedele è santificato dalla donna fedele, e la donna infedele dall'uomo 
fedele, perché nella stretta alleanza del matrimonio, facilmente l'uno può 
attrarre l'altro alla virtù e viceversa. P, una vera benedizione quando l'uomo e 
la donna fedele si santificano reciprocamente in un autentico timore del 
Signore. L'aiuto reciproco deve 
essere così grande che mai avvenga che entrambi siano adirati contemporaneamente 
e improvvisamente, perché tra loro non si devono vedere dissensi e litigi. Le 
mosche da miele non possono fermarsi dove c'è eco, rimbombo o clamore di voci; 
lo stesso è dello Spirito Santo che non entra in una casa dove ci sono dispute, 
contese, urla che si accavallano e litigi. S. Gregorio Nazianzeno 
dice che già al suo tempo gli sposi festeggiavano l'anniversario del matrimonio. 
Mi piacerebbe che si introducesse questa abitudine, purché non fosse la 
copertura per divertimenti mondani e sensuali, ma che i mariti e le mogli, 
confessati e comunicati in quel giorno, raccomandassero a Dio, con un fervore 
più intenso che d'abitudine, il progresso del loro matrimonio, e rinnovassero i 
buoni propositi di santificarlo sempre più con un'amicizia e una fedeltà 
reciproca; sarebbe il modo di riprendere fiato in Nostro Signore per sopportare 
sempre meglio il peso della loro vocazione. 
Capitolo 
XXXIX 
L'ONESTA DEL LETTO MATRIMONIALE Il letto matrimoniale deve 
essere immacolato, dice l'apostolo, ossia non contaminato da impudicizie e altre 
innominabili brutture. Il matrimonio è stato 
istituito nel paradiso terrestre, dove ancora non c'era stata alcuna 
sregolatezza sensuale, né altra disonestà. C'è una certa analogia tra 
i piaceri legati al sesso e quelli legati al cibo: sia gli uni che gli altri 
riguardano la carne; l'unica differenza è che i primi, per la loro brutale 
violenza, vengono chiamati semplicemente carnali. Per cui parlerò degli uni, 
intendendo con ciò illustrare anche gli altri, soprattutto riguardo ad alcuni 
dettagli scabrosi, che non mi sembra opportuno affrontare direttamente. 1. Il mangiare ha per fine 
la conservazione della vita: ora mangiare semplicemente per nutrire e conservare 
la persona è una cosa buona, santa e comandata; la stessa cosa va detta per 
l'uso del matrimonio: ciò che esige la generazione dei figli e la 
moltiplicazione delle persone è una cosa buona e molto santa, perché ne è il 
fine principale. 2. Mangiate non per 
conservare la vita ma per il piacere di continuare ad intrattenerci con gli 
altri e scambiare con essi cortesie, è cosa molto giusta e onesta: allo stesso 
modo, la reciproca e legittima soddisfazione delle parti nel santo matrimonio, è 
chiamato da S. Paolo dovere; ma è un dovere così grande che non permette che 
nessuna delle due parti possa esimersene senza il libero e volontario consenso 
dell’altra, nemmeno per consacrarsi agli esercizi di devozione, il che mi ha 
fatto dire sull'argomento la frase che ho inserito nel capitolo sulla santa 
Comunione; quindi ancor meno ci si deve dispensare con scuse capricciose di 
pretese virtù immaginarie o peggio ancora perché si è adirati o si prova un 
sentimento di disprezzo. 3. Coloro che mangiano per 
il dovere di stare in compagnia, devono farlo disinvoltamente e non per forza; 
per di più devono anche dare l'impressione di avere appetito. Similmente il 
dovere coniugale deve essere reso sempre fedelmente, con franchezza e nella 
speranza di generare figli, anche se si dovesse realizzare qualche condizione 
che lo escluda. 4. Mangiare non per i due 
motivi suindicati, ma solo per soddisfare l'appetito, si può anche accettare, ma 
non lodare; il semplice piacere dell'appetito sensuale non può essere motivo 
sufficiente per rendere lodevole un'azione; è già molto che la renda 
accettabile. 5. Mangiare non per 
appetito, ma per ingordigia, è cosa più o meno riprovevole; dipende dalla misura 
degli eccessi. 6. L'eccesso nel mangiare 
non si valuta soltanto dalla quantità esagerata che si ingurgita, ma anche dal 
modo e dalla maniera di mangiare. Sembra strano, Filotea, eppure il miele così 
appropriato e salutare per le api, qualche volta fa loro male fino a renderle 
malate: quando in primavera ne mangiano troppo, l'eccesso dà loro la dissenteria 
che qualche volta le conduce fino alla morte; alla stessa conclusione giungono 
quando si impiastricciano di miele la testolina e le alucce. In verità, il rapporto 
matrimoniale che di natura sua è così santo, giusto e raccomandabile, tanto 
utile alla società, in certi casi può diventare pericoloso per gli interessati; 
sì, perché qualche volta rende le loro anime molto malate di peccato veniale, 
questo con i semplici eccessi; ma qualche altra volta le fa addirittura morire 
con il peccato mortale, come quando viola e perverte l'ordine naturale stabilito 
per la generazione dei figli, nel qua] caso, in proporzione alla gravità della 
violazione di quell'ordine, i peccati, sempre mortali, possono risultare più o 
meno esecrabili. Siccome la procreazione dei figli è il primo e principale fine 
del matrimonio, non ci si può mai scostare dall'ordine da esso richiesto, anche 
se per causa di qualche altra circostanza non dovesse essere conseguito: esempi, 
la sterilità o la gravidanza in corso, nei quali casi evidentemente non c'è 
procreazione; in tali circostanze il commercio corporale non cessa di essere 
giusto e santo, sempre che siano osservate le regole per la generazione, perché 
nessuna circostanza potrà mai togliere valore alla legge imposta dal fine 
principale del matrimonio. L’azione infame ed 
esecrabile commessa da Onan nel matrimonio, era detestabile agli occhi di Dio, 
come dice il testo sacro nel capitolo trentottesimo della Genesi; e benché 
qualche eretico del nostro tempo, più biasimevole dei Cinici, dei quali parla S. 
Girolamo nel commento alla lettera agli Efesini, abbia voluto sostenere che era 
l'intenzione perversa che Dio detestava, la Scrittura non lascia dubbi, e dice 
chiaramente che era la cosa in sé che davanti a Dio era detestabile e 
abominevole. 7. E’ indice sicuro di uno 
spirito di accattone, villano, abietto e senza onore pensare ai cibi e alla 
scorpacciata prima del pasto; peggio ancora quando dopo ci si sofferma sul 
piacere provato nel rimpinzarsi, parlandone e pensandoci, immergendo lo spirito 
nel ricordo della voluttà provata trangugiando vivande; proprio come fanno 
alcuni che prima del pranzo hanno il loro spirito sullo spiedo e dopo il pranzo 
nel piatto. Sono veri lavandini da cucina, sono quelli di cui parla S. Paolo 
quando dice che hanno fatto del ventre il loro dio. La gente rispettabile 
pensa alla tavola quando si siede, e dopo il pasto si lava le mani e la bocca 
per non sentire più né l'odore, né il sapore di quello che ha mangiato. 
L'elefante è un gran bestione, ma è il più degno degli animali ed ha buon senso: 
voglio raccontarvi un aspetto della sua onestà. Non cambia mai femmina e ama 
teneramente quella che ha scelto, con la quale si accoppia soltanto ogni tre 
anni e per cinque giorni; si circonda di tanto segreto che non è mai stato 
possibile sorprenderlo in quell'atto; si fa vedere apertamente il sesto giorno 
quando si reca al fiume per un bagno totale, perché non vuole rientrare nel 
branco senza essersi totalmente purificato. Sembra quasi che il 
comportamento così bello e onesto di quest'animale inviti gli sposi a non 
rimanere impantanati col cuore nelle sensualità e nei piaceri provati secondo la 
loro condizione; ma una volta passati, bisogna lavarne il cuore e gli affetti, 
purificarsi il più presto possibile, per potere in seguito, in libertà di 
spirito, affrontare le altre azioni più pulite ed elevate del proprio stato. In questo consiglio è 
racchiusa la pratica della meravigliosa dottrina che S. Paolo consegna ai 
Corinzi; dice: Il tempo è breve, coloro che hanno moglie si comportino come se 
non l'avessero. Perché, secondo S. Gregorio, avere una donna come se non si 
avesse vuol dire prendere assieme a lei i piaceri corporali in modo tale da non 
essere distolti dalle aspirazioni dello spirito. Quello che si dice del marito, 
si applica logicamente anche alla moglie. Coloro che usano del 
mondo, continua l'apostolo, siano come se non ne usassero. Tutti si servano pure 
del mondo, secondo la propria vocazione, ma senza impegnare l'affetto, in modo 
da essere sempre liberi e pronti a servire Dio senza che il mondo ci sia di 
ostacolo. Dice S. Agostino: " t il 
grande male dell'uomo pretendere di godere di quelle cose di cui deve soltanto 
servirsi, e volersi servire di quelle per le quali deve soltanto provare gioia 
". Noi dobbiamo godere delle cose spirituali e di quelle corporali soltanto 
servircene; quando noi trasformiamo in godimento l'uso delle cose corporali, 
anche la nostra anima da ragionevole diventa bruta e bestiale. Penso di aver detto tutto 
quello che volevo dire, ed essere riuscito a far capire senza dirlo quello che 
non voleva dire. 
Capitolo XL 
CONSIGLI ALLE VEDOVE S. Paolo, scrivendo a 
Timoteo, dice a tutti i vescovi: Onora le vedove che sono veramente vedove. Ora, 
per essere veramente vedove sono richieste queste tre condizioni: 1. La vedova deve essere 
non soltanto vedova di corpo, ma anche di cuore, ossia deve aver deciso, con una 
ferma risoluzione, di mantenersi nello stato di una casta vedovanza; coloro che 
sono vedove in attesa di risposarsi, sono separate dagli uomini solo quanto al 
piacere del corpo, ma sono già unite a loro con la volontà del cuore. Se la vera 
vedova, per sentirsi più stabile nello stato di vedovanza, vuole offrire in voto 
a Dio il suo corpo e la sua castità, aggiungerà un bell'ornamento alla vedovanza 
e metterà al sicuro la sua decisione. Infatti, una volta fatto il voto, vedendo 
che non è più in suo potere lasciare la castità senza lasciare il paradiso, sarà 
custode così gelosi del suo proposito, che non permetterà nemmeno a semplici 
pensieri di matrimonio, di fermarsi nel suo spirito anche per un attimo, in modo 
tale che quel voto costituirà una solida barriera tra la sua anima e ogni 
progetto che sia contrario alla decisione presa. S. Agostino consiglia con 
particolare insistenza questo voto alla vedova cristiana; e l'antico e dotto 
Origene va molto oltre, perché consiglia alle donne sposate di destinarsi e 
votarsi alla castità vedovile in caso che i mariti dovessero morire prima di 
loro; questo perché tra i piaceri sensuali che potrebbero provare nel 
matrimonio, possano avere anche i meriti di una casta vedovanza con questo voto 
anticipato. Il voto rende le opere che 
ne sono l'oggetto, più gradite a Dio, dà coraggio nell'affrontarle, e non offre 
a Dio soltanto le opere, che sono il frutto della nostra buona volontà, ma gli 
fa dono anche della volontà stessa, che è come dire l'albero che produce le 
opere buone. Con la semplice castità 
noi facciamo dono del nostro corpo a Dio, riservandoci la libertà di concedergli 
in altra occasione, anche i piaceri dei sensi: col voto di castità, invece, gli 
facciamo un dono assoluto e irrevocabile, senza riservarci la facoltà di 
cambiare; in tal modo ci rendiamo felicemente schiavi di Colui il cui servizio è 
molto meglio di tutti i regni. Approvo fino in fondo il parere di quei due 
grandi uomini, per cui mi piacerebbe che le persone che se la sentono di seguire 
i loro consigli, lo facessero con prudenza, santità e fermezza, dopo aver bene 
esaminato il loro coraggio. invocato l'ispirazione celeste e ascoltato il 
consiglio di qualche saggio e devoto direttore; in tal modo tutto sarebbe fatto 
con maggior frutto. 
 2. Inoltre, bisogna che la 
rinuncia alle seconde nozze si faccia senza secondi fini e con semplicità, per
rivolgere con maggiore purezza tutti i propri affetti a Dio, e unire il 
proprio cuore, con tutte le sue parti, a quello della divina Maestà; anche il 
desiderio di lasciare ricchezze ai figli o qualche altro progetto urnano, può 
offrire alla vedova motivo di rimanere nella vedovanza, e probabilmente ne 
riceverà anche lodi, ma non davanti a Dio, giacché davanti a Dio niente può 
ricevere lode autentica se non è fatto per Lui. 3. Oltre a ciò, la vedova, 
per essere veramente vedova, deve vivere staccata dalle gioie dei mondo e 
privarsene volontariamente. S. Paolo dice che la vedeva che vive nelle delizie è 
già morta da viva. Pretendere di essere vedova e poi compiacersi di essere 
corteggiata, coperta di gentilezze, esaltata; pretendere di essere sempre 
presente ai balli, alle danze, ai festini; profumarsi, agghindarsi, far di tutto 
per essere piacente, vuoi dire essere vedova corporalmente viva, ma morta 
nell'anima. a vuoi che abbia il fatto che l'insegna inalberata per indicare la 
casa di Adone e dell'amor profano sia composta di piume bianche che si innalzano 
a guisa di pennacchio, oppure di un velo nero, steso con sapiente maestria come 
una rete sul volto? Anzi, spesso il nero dona anche più del bianco e mette in 
maggior risalto i colori. La donna che ha già esperienza di come piacere agli 
uomini, è più abile nel lanciare inviti pericolosi al loro spirito. La vedova 
che vive compiacendosi in queste futili vanità, pur vivendo, è morta; a voler 
chiamare le cose con il loro nome, è soltanto un fantasma di vedova. Il tempo di potare è 
venuto, nella nostra terra si è udito il tubare della tortora, dice il Cantico. 
Il taglio delle cose inutili di questo mondo è richiesto a chiunque voglia 
vivere devotamente; ma è assolutamente indispensabile alla vera vedova, che, 
come una casta tortora ha da poco smesso di piangere, gemere e lamentarsi per la 
morte del marito. Quando Noemi tornò da Moab 
a Betlemme, le donne della città che l'avevano conosciuta giovane sposa, 
dicevano tra loro: Non è costei Noemi? Ma essa rispondeva: Vi prego, non 
chiamatemi Noemi, perché Noemi significa graziosa e bella, ma chiamatemi Mara 
perché il Signore ha riempito il mio cuore di amarezza: parlava così perché le 
era morto il marito. Allo Stesso modo la vedova devota non ci tiene ad essere 
chiamata bella e graziosa; si accontenta di essere ciò che Dio vuole che ella 
sia, umile e abietta ai suoi occhi. Le lampade alimentate con 
olio aromatico emanano un profumo più gradevole quando si spegne la fiamma: 
similmente le vedove che hanno avuto un amore puro nel loro matrimonio, spandono 
il profumo della virtù di castità più penetrante ancora quando si spegne la loro 
fiamma, ossia quando si è spento il marito con la morte. Amare il marito quand'è 
in vita, è cosa abituale tra le donne; ma amarlo tanto che dopo la morte non se 
ne accetti un altro, è un livello d'amore che appartiene soltanto alle vedove 
vere. Sperare in Dio, quando si ha l'appoggio del marito non è un fatto raro; ma 
sperare in Dio quando tale appoggio viene a mancare, e cosa meritevole di grande 
lode: questa è la ragione per la quale nella vedovanza si manifesta più 
facilmente la consistenza delle virtù presenti nel matrimonio. La vedova che ha figli 
ancora bisognosi di lei per la formazione e la guida, soprattutto per quello che 
riguarda l'anima e il loro avvenire, non può e non deve abbandonarli per nessuna 
ragione; l'apostolo Paolo dice chiaramente che è obbligata ad averne cura, per 
fare quello che hanno fatto con lei mamma e papà, e anche perché, se nessuno ha 
cura dei suoi, e principalmente di quelli della sua famiglia, sarebbe da 
considerare peggio di un infedele. Ma se i figli sono oramai 
autosufficienti, la vedova deve raccogliere tutti i suoi affetti e pensieri per 
impegnarli più puramente al suo avanzamento nell'amore di Dio. Se non è costretta in 
coscienza da cause di forza maggiore a immischiarsi nelle faccende materiali, 
come, per esempio, i processi, il mio consiglio è che se ne stia completamente 
fuori, e nella condotta degli affari segua il metodo più pacifico e tranquillo 
che le sarà possibile, anche se non dovesse risultare il più fruttuoso. il 
pericolo di danno A mio parere occorrerebbe che fosse realmente preoccupante per 
meritare di essere messo a confronto con il bene di una santa serenità. Lasciamo 
che i processi e simili pasticci distraggano il cuore e aprano la porta ai 
nemici della castità; perché, per far piacere a coloro che ci devono sostenere, 
si hanno spesso modi di fare poco devoti e poco graditi a Dio. L'orazione deve costituire 
un costante esercizio per la vedova; siccome ella deve ormai nutrire amore 
soltanto per Iddio, trovo naturale che le sue parole siano quasi esclusivamente 
rivolte a Dio. Il ferro in vicinanza di un diamante non viene attratto dalla 
calamita; ma se allontani il diamante, immediatamente il ferro scatta verso la 
calamita. Mi sembra che l'esempio si possa applicare alla vedova: mentre il 
marito era in vita, il suo cuore non poteva lanciarsi completamente in Dio; ma 
appena il marito è morto, ella è libera di seguire con prontezza la scia dei 
profumi celesti, dicendo, come la Sposa: Signore, ora che sono tutta mia, 
prendimi come tutta tua; trascinami con te, corriamo al profumo dei tuoi 
unguenti. L'esercizio delle virtù 
proprie della santa vedova sono il totale riserbo, la rinuncia agli onori, al 
rango, alle riunioni, ai titoli e simili vanità; il servizio dei poveri e degli 
ammalati, la consolazione degli afflitti, l'iniziazione delle ragazze alla vita 
devota, e quella di rendersi un perfetto esempio di ogni virtù per le giovani 
donne. La pulizia e la semplicità 
sono i due abbellimenti per i loro abiti; l'umiltà e la carità i due ornamenti 
per le loro azioni; l'onestà e il tratto gentile, l'ornamento della loro 
conversazione; il riserbo e la pudicizia, l'ornamento dei loro occhi; e Gesù 
Cristo Crocifisso l'unico amore del loro cuore. Per concludere, nella 
Chiesa, la vera vedova è una violetta di marzo, che spande intorno a sé un 
profumo incomparabile di devozione, e si tiene sempre nascosta sotto le larghe 
foglie della sua umiltà, e con i colori meno sgargianti che indossa, testimonia 
la mortificazione; cresce nei luoghi freschi e non coltivati, non vuol essere 
agitata dalle conversazioni della gente di mondo, per meglio proteggere la 
freschezza del cuore dal desiderio dei beni, degli onori e, perché no? dal 
calore di un’amore che potrebbe invaghirla. Sarà molto felice, dice il santo 
Apostolo, perseverando in quella via. Avrei molte altre cose da 
dire a questo proposito; ma avrò detto tutto esortando la vedova custode 
premurosa dell'onore della propria condizione, a leggere attentamente le belle 
lettere che il grande S. Girolamo scrisse a Furia e a Salvia, e a tutte quelle 
altre signore che ebbero la fortuna di essere figlie spirituali di un tale 
padre; non c'è nulla da aggiungere a quello che scrive loro; al più solo questo 
consiglio: la vera vedova non deve mai biasimare o censurare coloro che passano 
a seconde nozze e magari anche alle terze . alle quarte; in certe situazioni è 
Dio che così dispone per la propria maggior gloria. Bisogna avere sempre davanti 
agli occhi quella dottrina degli Antichi: in cielo il posto alla vedovanza e 
alla verginità è assegnato soltanto dall'umiltà che le accompagna. 
Capitolo XLI 
UNA PAROLA ALLE VERGINI Voi che siete vergini, se 
aspirate al matrimonio, conservate gelosamente il primo amore per il primo 
marito. Penso che sia un grave inganno offrire al posto di un cuore integro e 
sincero, un cuore già usato, adulterato e consumato nell'amore. Ma se la vostra felicità 
vi chiama alle caste e verginali nozze spirituali, e volete per sempre rimanere 
vergini, conservate l’amore nel modo più delicato possibile, per lo Sposo divino 
che, essendo la Purezza incarnata, nulla gradisce quanto questa virtù. A Lui 
dobbiamo tutte le primizie, ma principalmente quelle dell'amore. Le lettere di S. Girolamo 
vi offrono tutti i consigli del caso; e giacché la vostra condizione vi obbliga 
all'obbedienza, scegliete una guida, per poter più santamente, sotto la sua 
condotta, consacrare il vostro cuore e il vostro corpo alla sua divina Maestà.   
QUARTA PARTE 
Contiene i consigli opportuni contro le 
tentazioni più correnti 
Capitolo I 
NON BISOGNA LASCIARSI SCORAGGIARE DALLE 
CHIACCHIERE DELLA GENTE Appena la gente si 
accorgerà che hai deciso di seguire la vita devota, scoccherà contro di te mille 
frecciatine di compatimento e altrettanti dardi di pesante maldicenza: i più 
arrabbiati daranno al tuo cambiamento il nome di ipocrisia, di bigotteria, di 
tradimento; diranno che il mondo ti ha voltato le spalle ed allora ti sei 
consolata volgendoti a Dio; i tuoi amici poi, da parte loro, si affretteranno a 
somrnergerti di rimproveri, tanto prudenti e pieni di carità, a loro avviso. 
Sanno già che diventerai triste, perderai credito di fronte alla gente, 
sarai insopportabile, invecchierai prima del tempo, le cose di casa tua andranno 
a rotoli; ti ricorderanno che bisogna vivere nel mondo stando alle sue regole, 
che l'anima si può salvare anche senza tante storie; e simili sciocchezze. Filotea, credimi, sono 
tutte chiacchiere stupide e inutili; a quella brava gente non importa proprio 
niente né della tua salute, né dei tuoi affari. Se voi foste del mondo, 
dice il Salvatore, il mondo amerebbe ciò che è suo; ma siccome voi non siete del 
mondo, vi odia. Ho visto gentiluomini e dame passare intere notti di seguito a 
giocare agli scacchi e alle carte. Esiste forse 
un'occupazione più vuota, più triste e più massacrante di quella? Eppure 
la brava gente non mette parola: gli amici non se ne sono minimamente 
preoccupati; se invece noi facciamo un'ora di meditazione, oppure ci vedono 
alzarci al mattino un po' più presto pararci alla santa Comunione, tutti si 
precipitano dal medico per farci curare dallo stato ansioso e dall'itterizia. 
Passa trenta notti a ballare e nessuno troverà da ridire; per la sola veglia 
della notte di Natale, il giorno dopo, chi ha la tosse e chi il mal di pancia. Chi non si accorge subito 
che il mondo è un giudice ingiusto? Gentile ed accomodante con i suoi figli, ma 
duro e senza pietà per i figli di Dio. Per andare a genio al 
mondo dobbiamo andare a braccetto con lui. E poi non riesci ad accontentarlo 
nemmeno lo stesso perché è matto: t venuto Giovanni, dice il Salvatore, che non 
mangia e non beve e voi dite che ha il diavolo; è venuto il Figlio dell'uomo che 
mangia e beve e voi dite che è un samaritano. E’ proprio vero, Filotea, 
se per far piacere agli altri, ci lasciamo andare a ridere, a giocare, a ballare 
con la gente di mondo, il mondo ne sarà scandalizzato; se non lo facciamo ci 
accuserà 1 di essere ipocriti e tristi; se ci vestiamo bene, penserà che abbiamo 
un motivo nascosto; se andiamo alla buona, ci farà passare per gente senza 
educazione; la nostra allegria sarà per lui dissolutezza, la mortificazione, 
tristezza; ci guarda tanto di traverso che per quanto ci sforziamo, non gli 
andremo mai a genio. Le nostre imperfezioni le ingigantisce e le classifica 
peccati, i nostri peccati veniali li fa mortali; i nostri peccati di debolezza 
li trasforma in peccati di malizia. Dovrebbe invece sapere, come dice S. Paolo, 
la carità è benigna, il mondo, al contrario, è cattivo; dovrebbe sapere anche 
che la carità non pensa male; a contrario, i mori pensa sempre ma e, e se 
proprio non gli riesce di accusare le nostre azioni, accusa le nostre 
intenzioni. I montoni possono avere le corna o non averle, essere bianchi o 
essere neri, il lupo, appena gli riuscirà, li sbranerà. E’ un po' la stessa cosa 
per noi fare quello che vogliamo, il mondo ci farà sempre guerra; se ci fermiamo 
un po' davanti al confessore, si chiederà che cosa gli stiamo raccontando; se 
invece ci sbrighiamo, dirà che abbiamo taciuto metà! Sorveglierà tutti i nostri 
movimenti e per un piccolo scatto di collera dirà che siamo insopportabili; la 
cura dei nostri affari la chiamerà avarizia, la nostra dolcezza, stupidità; 
quanto ai figli del mondo, la loro collera è sincerità, la loro avarizia abilità 
amministrativa; le libertà che si prendono, franchezza: i ragni rovinano sempre 
l'opera delle api! Filotea, lasciamo perdere 
questo cieco: lascialo urlare finché non si stancherà, come fa il barbagianni 
per spaventare gli uccelli del giorno. Restiamo fermi nei nostri propositi, sarà 
la perseveranza a dimostrare che è sul serio e con sincerità che ci siamo votati 
a Dio e incamminati nella vita devota. Le comete e i pianeti 
hanno apparentemente la stessa luminosità; solo che le comete scompaiono in poco 
tempo, perché hanno soltanto una luminosità transitoria, mentre i pianeti godono 
di una luce continua; lo stesso si può dire dell'ipocrisia e della virtù; 
esternamente si assomigliano molto, ma volendo, si possono distinguere 
con sicurezza l'una dall'altra: l'ipocrisia non dura nel tempo e si scioglie 
come nebbia al sole, mentre la virtù autentica rimane stabile e costante. Non è un vantaggio da 
poco, per ben cominciare il cammino della devozione, ricevere calunnie e 
improperi: evitiamo, in tal modo, il pericolo della vanità e dell'orgoglio, che 
sono come le levatrici d'Egitto, cui l'infernale Faraone aveva dato l'ordine di 
uccidere i nati maschi di Israele il giorno stesso della nascita. Noi siamo crocifissi per 
il mondo e il mondo è crocifisso per noi; il mondo ci considera pazzi? e noi 
consideriamolo matto! 
Capitolo II 
E’ NECESSARIO FARSI CORAGGIO La luce, che pure è bella 
e desiderabile per i nostri occhi, li abbaglia quando sono stati per lungo tempo 
al buio; prima di familiarizzarti con gli abitanti di un paese che non 
conosciamo, per quanto siano cortesi e premurosi, ti trovi, per un po' di tempo, 
disorientata. Similmente, cara Filotea, può capitare che, a questo cambiamento 
di rotta della tua vita interiore, tu rimanga seriamente sconvolta e questo 
addio totale alle follie e alle stupidità del mondo, ti causi qualche momento di 
sofferta tristezza e di scoraggiamento. Se dovessi trovarti realmente in simile 
situazione, abbi un po' di pazienza, te ne prego: vedrai che non è nulla! Si 
tratta soltanto di un po' di disorientamento di fronte alla novità; quando 
questo momento sarà passato avrai consolazioni a non finire. Sulle prime è 
facile che ti dispiaccia essere privata della gloria di cui gli sciocchi e gli 
adulatori ti circondavano nella tua vanità; ma sul serio vorresti perdere quella 
eterna che il Signore ti darà sulla sua parola di verità? I vuoti divertimenti e i 
passatempi ai quali hai sacrificato gli anni passati ti torneranno alla mente 
per adescare il cuore e riprenderselo; ma come potresti avere il coraggio di 
rinunciare a una felicità eterna per leggerezze così 
ingannevoli? Credi a me, se sarai perseverante, non passerà molto tempo che 
sarai ricolma di dolcezze così deliziose e piacevoli, fatte di autentico miele, 
che dovrai ammettere che il mondo ha soltanto del fiele a confronto! Un solo 
giorno di devozione vale più di mille anni di vita di mondo. Ora ti accorgi che la 
montagna della perfezione cristiana è terribilmente alta: dirai, Dio mio, e come 
ci arriverò? Coraggio, Filotea, quando le larve delle api cominciano a prendere 
forma si chiamano ninfe; non sanno ancora volare sui fiori, né sui monti, né 
sulle colline, per raccogliere miele; ma piano piano, nutrendosi del miele 
preparato dalle api anziane, quelle piccole ninfe mettono le ali e si 
fortificano, e cosí in seguito potranno volare ovunque, alla ricerca del miele. E’ vero, noi siamo ancora 
piccole larve nella devozione, non riusciamo a salire secondo il nostro 
progetto, che è addirittura quello di raggiungere la vetta della perfezione 
cristiana; ma, piano piano, prendiamo forma con i nostri desideri e i nostri 
propositi, cominciamo a mettere le ali; abbiamo motivo di sperare che un giorno 
saremo api spirituali e voleremo; nel frattempo viviamo del miele degli 
insegnamenti così ricchi che i devoti prima di noi ci hanno lasciato, e 
preghiamo Iddio che ci arricchisca di penne come di colomba, per poter volare 
non soltanto nel tempo della vita presente, ma anche raggiungere il riposo 
nell'eternità della futura. 
Capitolo III LA NATURA DELLE TENTAZIONI 
E LA DIFFERENZA TRA SENTIRE LA TENTAZIONE E ACCONSENTIRE AD ESSA Immagina, Filotea, una 
giovane principessa molto amata dal suo sposo; pensa ora che qualcuno mai 
intenzionato, per trascinarla a disonorare il letto nuziale, le invii un infame 
messaggio d'amore per portare avanti con lei il suo esecrando disegno. Per prima cosa il 
messaggero propone alla principessa l'intenzione del suo padrone; in un secondo 
momento la principessa trova piacevole o ripugnante la proposta e la stessa 
ambasceria; in terzo luogo, dice di sì o dice di no. Allo stesso modo Satana, 
il mondo e la carne, vedendo un'anima sposa al Figlio di Dio, le mandano 
tentazioni e suggerimenti con i quali: l. il peccato viene proposto; 2. a quella 
proposta prova piacere o prova dispiacere; 3. infine acconsente o rifiuta. I 
gradini per scendere al male sono tre: la tentazione, la dilettazione, il 
consenso. E’ vero che questi tre 
momenti non sempre è facile distinguerli chiaramente in ogni genere di peccato, 
ma sono molto evidenti e distinti concretamente nei peccati di chiara gravità. Anche se la tentazione ad 
un peccato ci tormentasse tutta la vita, non potrebbe renderci sgraditi alla 
divina Maestà; l'essenziale è che non ci piaccia e che non acconsentiamo. Il 
motivo è che nella tentazione noi non siamo attivi, ma passivi, e siccome non 
proviamo alcun piacere, non possiamo essere colpevoli. S.Paolo sofferse 
lungamente le tentazioni della carne e non per questo dispiaceva a Dio; anzi Dio 
era glorificato nelle tentazioni; la Beata Angela da Foligno provava tentazioni 
carnali così crudeli che, solo al racconto, si prova compassione per lei. Anche 
le tentazioni patite da S. Benedetto e S. Francesco, allorché uno si gettò nella 
neve e l'altro nelle spine per mitigarle, erano terribili; ma non per questo 
persero la grazia di Dio; anzi la grazia in essi aumentò. Devi essere molto 
coraggiosa, Filotea, quando sei afflitta da tentazioni, e non sentirti mai vinta 
finché ti disgustano; tieni sempre presente la differenza che c'è tra sentire e 
acconsentire; è possibile sentirle pur continuando a provarne dispiacere, ma 
invece non è possibile acconsentire senza provare piacere in esse; il motivo è 
presto detto: il piacere è il gradino al consenso. I nostri nemici possono 
presentarci tutti gli inviti e le esche che vogliono, possono piazzarsi sulla 
soglia della porta dei nostro cuore cercando di entrare, possono farci tutte le 
promesse immaginabili; finché da parte nostra saremo decisi a rifiutare, non e 
possibile che offendiamo Dio. Ricordati l'esempio della 
principessa il principe sposo non può incolparla del messaggio che le è stato 
inviato, se ella non si è compiaciuta. Tuttavia tra l'anima e quella principessa 
c'è una differenza: la principessa, dopo aver ricevuto la proposta peccaminosa, 
se lo vuole, può cacciare il messaggero e non più ascoltarlo; mentre non è 
sempre in potere dell'anima non continuare a provare la tentazione, anche se è 
in suo potere non acconsentire: ecco perché, anche se la tentazione persiste e 
rimane a lungo, non può nuocerci finché la troviamo disgustosa. Quanto alla dilettazione 
che può seguire la tentazione, siccome abbiamo due parti nell'anima, una 
inferiore e l'altra superiore, e visto anche che l'inferiore non sempre segue la 
superiore, anzi se ne mantiene indipendente, può capitare spesso che la parte 
inferiore si compiaccia nella tentazione, senza il consenso, anzi contro il 
gradimento della parte superiore: è questa la lotta e la guerra descritta da S. 
Paolo, quando dice che la sua carne brama contro il suo spirito, che c'è 
una legge delle membra e una dello spirito, e altre cose simili. Hai mai visto, Filotea, un 
grande bracere con il fuoco coperto sotto la cenere? quando dieci-dodici ore 
dopo vieni per cercare il fuoco, ne trovi soltanto un po' nel mezzo, e si fatica 
a trovarlo; tuttavia c'era, visto che si può trovare! E con quello si possono 
riaccendere tutti gli altri carboni spenti. La stessa cosa avviene della carità, 
che è la nostra vita spirituale, soffocata da grandi e violente tentazioni: la 
tentazione provoca alla dilettazione la parte inferiore e può dare l'impressione 
di coprire tutta l'anima di cenere e ridurre l'amore di Dio allo stremo, perché 
non si trova più da nessuna parte, meno che al centro del cuore, nascosto in 
fondo allo spirito; sembra proprio che non ci sia più e si fatica a trovarlo. Eppure c'è e c'è sul 
serio, perché anche se tutto è torbido nella nostra anima e nel nostro corpo, 
noi abbiamo fatto il proposito di non acconsentire al peccato e nemmeno alla 
tentazione; la dilettazione che piace al nostro uomo esteriore, dispiace a 
quello interiore, e anche se circonda da ogni parte la nostra volontà, 
l'importante è che non sia entrata in essa: da ciò appare evidente che si tratta 
di una dilettazione involontaria, e quindi che non può essere peccato. 
Capitolo IV 
DUE BEGLI ESEMPI IN PROPOSITO Avresti senz'altro piacere 
di capire bene ciò che ti sto dicendo ed io non ho difficoltà ad allungare il 
discorso per chiarirlo ancora meglio. Il giovane di cui parla S. 
Girolamo, che, steso e legato molto morbidamente con nastri di seta su di un 
dolce letto, era provocato con ogni genere di toccamenti sensuali e seduzioni da 
parte di una donna perversa che si era coricata con lui per scuotere la sua 
resistenza, ti pare che non dovesse provare certe sensazioni? Non credi che i 
suoi sensi fossero presi dal piacere, e la sua immaginazione soffocata dalla 
presenza di tutte quelle voluttà? lo non lo metto in dubbio, eppure in mezzo a 
quella tormenta del male, sballottato da una così terribile tempesta di 
tentazioni, tra tante voluttà che lo attraggono da ogni parte, dimostra che il 
suo cuore non è ancora vinto e la sua volontà non si arrende in alcun modo; e 
poiché il suo spirito vede che tutto gli è contro, e non ha sotto la sua volontà 
più alcuna parte del corpo che la lingua, se la tronca con un morso e la sputa 
in faccia a quella donna di malaffare che, con il piacere, lo tormentava più 
crudelmente di quanto non avrebbero saputo fare i carnefici con i tormenti; il 
tiranno che aveva dubitato, 
 per piegarlo, della forza 
dei tormenti, aveva riposto la sua fiducia, per vincerlo, nella forza dei 
piaceri: ma si era sbagliato. Stupenda anche la storia 
del combattimento di S. Caterina da Siena, sempre sullo stesso tema. Eccola in 
breve. Lo spirito maligno aveva 
avuto licenza da Dio di attaccare la castità di quella santa vergine con tutta 
la rabbia che voleva, purché non la toccasse. Si mise dunque all'opera, 
insinuandole nel cuore ogni sorta di oscenità e, per creare in lei un'emozione 
ancora più forte, le si presentò con i suoi diavoli in sembianza di uomini e 
donne, che si esibivano davanti a lei, in ogni genere di oscenità e di sconcezze 
aggiungendo parole e inviti indecenti; benché tutte quelle manifestazioni 
fossero esteriori, cionondimeno per mezzo dei sensi penetravano molto 
profondamente nel cuore della giovane donna; il cuore ne era saturo. Libera da 
questa tormenta di oscenità e di piaceri carnali le rimaneva soltanto la sottile 
e pura volontà superiore. Questo durò per molto tempo; finché un giorno le 
apparve Nostro Signore. Gli chiese subito: " Dov'eri, mio dolce Signore, quando 
il mio cuore era così pieno di tenebre e di brutture? " Rispose il Signore: " 
Figlia mia, mi trovavo nel tuo cuore ". " E come, replicò lei, potevi abitare 
nel mio cuore, dove c'erano tante oscenità? Tu abiti in luoghi così malfamati? " 
Le rispose Nostro Signore: " Dimmi un po', quegli sporchi pensieri del tuo cuore 
ti davano piacere o tristezza, amarezza o diletto? " E lei: " Grande amarezza e 
tristezza". Replicò il Signore: "Chi era a mettere quella grande tristezza e 
amarezza nel tuo cuore, se non io che mi tenevo nascosto nel profondo della tua 
anima? Credimi, figlia mia, se io non fossi stato presente, quei pensieri che 
premevano intorno alla tua volontà senza poterla piegare, senza di me 
l'avrebbero vinta e vi sarebbero penetrati, e il tuo libero arbitrio li avrebbe 
accolti con piacere, e così avrebbero dato la morte alla tua anima; ma siccome 
dentro c'ero io, inculcavo disgusto e resistenza al tuo cuore, di modo che con 
tutte le forze non cedesse alla tentazione. Non potendo annientare la 
tentazione, come avrebbe voluto, provava un disgusto ancora maggiore e un odio 
profondo contro di lei e contro se stessa; e così quei tormentierano un grande 
merito ed una grande vittoria per te, una grande crescita della tua virtù e 
della tua forza ". Vedi bene, Filotea, quanto 
quel fuoco fosse nascosto sotto la cenere, e la tentazione e il diletto fossero 
penetrati nel cuore e avessero assediato la volontà, che sola, sostenuta dal suo 
Salvatore, resisteva nelle amarezze, nei tormenti; rimanendo salda nel rifiuto 
del male che le veniva proposto, rifiutando costantemente il consenso al Peccato 
che la opprimeva da ogni parte. Quale sconforto per 
un'anima che ama Dio, non sapere nemmeno se Egli è in lei o meno e se l'amore 
divino, per il quale lotta, è completamente spento in essa o no! Ma è l'apice 
della perfezione dell'amore celeste far soffrire e lottare l'amante per amore, 
senza sapere se possiede quell'amore per il quale e per mezzo del quale lotta! 
Capitolo V 
INCORAGGIAMENTO ALL'ANIMA CHE SI TROVA NELLE 
TENTAZIONI Cara Filotea, quei 
terribili attacchi e quelle tentazioni così forti, sono permesse da Dio soltanto 
contro le anime che Egli ha deciso di innalzare al suo meraviglioso e 
ineguagliabile amore; ma non per questo, superato l'ostacolo, hanno la certezza 
di giungervi; è capitato Parecchie volte che quelli che erano rimasti saldi di 
fronte a quei violenti attacchi, non abbiano poi corrisposto al favore di Dio, e 
così, in seguito, sono caduti nella trappola di tentazioni da nulla! Dico questo 
perché, se dovesse capitarti di essere tormentata da una tentazione molto forte, 
sappi che Dio vuole favorirti in modo tutto speciale e renderti più grande al 
suo cospetto; ciononostante devi rimanere umile e guardinga, - e non illuderti 
di poter vincere le piccole tentazioni solo perché hai vinto le grandi, se non 
rimani fedele alla Maestà divina. Se dunque ti capita di 
provare qualche tentazione e anche il piacere che ne consegue, mentre la volontà 
rifiuta il proprio consenso, sia alla tentazione che al piacere che 
l'accompagna, non turbarti minimamente, perché Dio non è offeso. Quando un uomo è svenuto e 
non dà più alcun segno di vita, gli si posa la mano sul cuore e, per tenue che 
sia il battito, se ne conclude che è vivo; e con l'aiuto di qualche sostanza 
medicamentosa o qualche impacco gli si fanno riprendere le forze e i sentimenti. Allo stesso modo, capita 
qualche volta che, per la violenza delle tentazioni, sembra che la nostra anima 
sia stata completamente abbandonata dalle proprie forze e, come fosse svenuta, 
sembra non dare più segni di vita spirituale e di movimento; se vogliamo 
sincerarci di come stiano esattamente le cose, mettiamole la mano sul cuore: se 
il cuore e la volontà spiritualmente pulsano ancora, ossia se sono fedeli nel 
rifiutare e consentire a seguire la tentazione e il piacere, nessun timore! 
Finché nel nostro cuore c'è il movimento del rifiuto, stiamo pur certi che la 
carità, vita delle nostre anime, vive in noi, e Gesù Cristo nostro Salvatore 
dimora nelle nostre anime anche se nascosto in un angolo. E così, con 
l'esercizio assiduo dell'orazione, dei sacramenti e della fiducia in Dio, le 
nostre forze ritorneranno e con esse la nostra vita piena e piacevole. 
Capitolo VI 
IN CHE MODO LA TENTAZIONE E LA DILETTAZIONE 
POSSONO ESSERE PECCATO La principessa, di cui 
abbiamo parlato, non può nulla contro la proposta disonesta che le viene fatta, 
giacché, come abbiamo supposto, le giunge suo malgrado. Se, al contrario, con 
qualche civetteria avesse dato motivo alla proposta, con cenni d'intesa a colui 
che la corteggia, senza dubbio sarebbe responsabile della proposta; e anche se 
ora si comportasse innocentemente, meriterebbe ugualmente biasimo e punizione. Può capitare qualche volta 
che la sola tentazione ci metta in peccato, perché ne siamo la causa. Per 
esempio, so che se gioco, mi adiro facilmente e bestemmio e che il gioco mi è di 
trampolino a quei peccati: io pecco tutte le volte che gioco e sono colpevole di 
tutte le tentazioni che mi capiteranno nel gioco. Così pure, se so che certe 
conversazioni mi portano alla tentazione e alla caduta, e io mi ci metto 
ugualmente, senza dubbio sono colpevole di tutte le tentazioni che vi 
incontrerò. Quando la dilettazione che deriva dalla tentazione può essere 
evitata, accettarla è sempre peccato nella misura che il piacere che ci si trova 
e il consenso che le si dà è più o meno pieno, persistente nel tempo o solo di 
breve durata. E’ sempre cosa biasimevole 
per la giovane principessa, di cui abbiamo parlato, se non soltanto ascolta la 
lurida e disonesta proposta che le viene avanzata, ma, dopo averle prestato 
orecchio, vi prende piacere e vi ferma sopra il proprio cuore provandone 
contento; benché ella non abbia l'intenzione di consentire all'atto materiale 
proposto, cionondimeno acconsente all'adesione spirituale del suo cuore, al 
godimento che ne ricava; è sempre disonesto aderire con il cuore o con il corpo 
a un proposito contro l'onestà; la disonestà ha la sua sede nell'adesione del 
cuore, tanto che senza di quella anche l'adesione del corpo non sarebbe peccato. 
Quando dunque sarai tentata a qualche peccato, pensa se hai dato volontariamente 
motivo a quella tentazione; in tal caso la tentazione è già peccato, per il 
pericolo nel quale ti sei gettata. Questo va detto per quando potevi facilmente 
evitare l'occasione e l'avevi prevista, o almeno avresti dovuto prevederla. Ma 
se non hai offerto alcun appiglio alla tentazione, in nessun modo ti può essere 
imputata a peccato. Quando la dilettazione che 
segue la tentazione, poteva essere evitata, e non si è fatto, in qualche modo il 
peccato è sempre presente secondo che ci si è soffermati poco o molto, e secondo 
il motivo che ha dato origine al piacere che vi abbiamo provato. Una donna che non ha dato 
occasione al corteggiamento e tuttavia prende piacere in esso, è ugualmente da 
biasimare se il piacere che prende consiste proprio nell'essere corteggiata. Per 
esempio, se il galante che vuole corteggiarla, suona divinamente il liuto e lei 
ne gode, non perché le fa la corte, ma per l'arte e la dolcezza del suo liuto, 
non c'è peccato; sarebbe però molto saggio per lei non rimanere troppo a lungo 
su quel piacere, per timore di passare dal piacere della musica a quello del 
suonatore! Così pure, se qualcuno mi 
propone qualche stratagemma pieno di inventiva e di astuzia, per vendicarmi del 
mio avversario, e io non ne godo e non consento alla vendetta proposta, ma mi 
compiaccio nell'originalità della trovata, non faccio alcun peccato, anche se è 
opportuno che non ci perda troppo tempo a trovarla una bella invenzione; potrei 
anche finire col provare un certo piacere nel pensare alla vendetta in sé. Qualche volta rimaniamo 
sorpresi da qualche sensazione piacevole che segue immediatamente la tentazione, 
prima ancora che ce ne siamo accorti; per lo più è soltanto un leggerissimo 
peccato veniale, che potrebbe anche diventare più grave se, dopo che abbiamo 
preso coscienza del pericolo, per negligenza ci fermiamo un po' a contrattare 
con il piacere, per sapere se dobbiamo accettarlo o se dobbiamo respingerlo; 
potrebbe essere anche più grave, se, dopo aver avvertito il pericolo, ci 
fermassimo su quello per vera negligenza, senza alcun proposito di liberarcene. Ma quando volontariamente 
e deliberatamente abbiamo deciso di godere di tale piacere, anche soltanto 
questo proposito, è già di per sé grave peccato, se l'oggetto del nostro piacere 
è chiaramente cattivo. E’ molto grave per una 
donna coltivare amori peccaminosi anche se ha l'intenzione di mai concedersi 
fisicamente all'amante. 
Capitolo VII 
RIMEDI PER LE TENTAZIONI GRAVI Appena avverti in te 
qualche tentazione, fa come i bambini quando scorgono il lupo o l'orso in 
campagna; si precipitano immediatamente tra le braccia del papà o della mamma e 
se non possono fare altro, strillano chiamandoli in aiuto. Similmente ricorri a 
Dio, chiedendogli la sua misericordia e il suo aiuto; è il rimedio che ci 
insegna Nostro Signore: Pregate per non entrare in tentazione. Se nonostante tutto, la 
tentazione insiste e si accresce, in ispirito corri ad abbracciare la santa 
Croce,come se tu vedessi realmente davanti a te Gesù crocifisso; protesta che 
non cederai mai alla tentazione e chiedigli aiuto contro la stessa; finché la 
tentazione rimarrà, tu insisti nel protestare che mai cederai. Mentre fai queste 
proteste e insisti nel negare il tuo consenso, non guardare in faccia la 
tentazione; guarda soltanto Nostro Signore; se tu dovessi guardare la 
tentazione, soprattutto nei momenti di maggiore intensità, il tuo coraggio 
potrebbe anche vacillare. Distrai il tuo spirito con 
qualche occupazione buona e lodevole; tali occupazioni entreranno nel tuo cuore, 
lo occuperanno e così elimineranno le perverse suggestioni del maligno. Il rimedio sicuro contro 
tutte le tentazioni, grandi e piccole, è quello di aprire il proprio cuore e di 
dire tutto quello che ci tormenta al nostro direttore spirituale: le tentazioni, 
le nostre reazioni, gli affetti. La prima condizione che il maligno impone 
all'anima che vuole sedurre, è il silenzio, esattamente come fanno quegli uomini 
che tentano di sedurre le donne e le ragazze; per prima cosa impongono loro di 
non farne parola con i papà e con i mariti: tutto diverso è il modo di agire di 
Dio; nelle sue ispirazioni ci chiede di farlo sapere subito a chi ha la nostra 
responsabilità e ai direttori spirituali. Che se poi, dopo tutto 
ciò, la tentazione si ostina a tormentarci e a perseguitarci ci resta soltanto 
di ostinarci, anche da parte nostra, ) nel protestare di non voler consentire; 
perché, come le ragazze non possono essere date a marito finché dicono di no, 
così l'anima, per quanto turbata, non sarà ferita finché dice di no! Non discutere con il 
nemico e non dargli una sola parola di risposta, tranne quella con la quale lo 
fece stare zitto Nostro Signore: Va indietro, Satana, tu adorerai il Signore tuo 
Dio e solo a Lui servirai. La donna casta non deve 
rispondere una sola parola e non deve guardare in faccia lo spasimante tanto 
volgare che ha osato farle proposte disoneste; ma lo deve piantare in asso su 
due piedi, e all'istante rivolgere il cuore al proprio sposo e rinnovare il 
giuramento di fedeltà a lui promesso, senza perdere tempo in tentennamenti; allo 
stesso modo, l'anima devota, vedendosi attaccata da qualche tentazione, non deve 
perdere tempo a discutere e a rispondere, ma volgersi a Cristo Gesù suo Sposo, 
rinnovargli la sua fedeltà e la promessa di appartenergli sempre. 
Capitolo VIII 
BISOGNA RESISTERE ALLE PICCOLE TENTAZIONI E’ fuor di dubbio che 
bisogna combattere le grandi tentazioni con un coraggio travolgente, e la 
vittoria che riporteremo ci sarà di molto aiuto; tuttavia avviene che si tragga 
un profitto ancora maggiore nel combattere le piccole; il motivo è intuibile: le 
prime sono grandi, le altre sono molte; di modo che si può dire che la vittoria 
su queste equivale alla vittoria su quelle. I lupi e gli orsi sono 
fuor di dubbio più pericolosi delle mosche, ma, quanto a farci esercitare la 
pazienza, le mosche con la loro importunità e la noia che ci arrecano, la 
vincono di molto! E’ facile non essere 
assassini, ma molto difficile evitare le piccole collere che trovano 
continuamente occasioni. t abbastanza facile per un uomo e una donna non cadere 
in adulterio, ma non altrettanto facile impedirsi le occhiate, innamorarsi o 
fare innamorare, procurare emozioni e piccoli piaceri, dire e ascoltare parole 
di civetteria. E’ raro che sia necessario 
mettere in guardia il marito o la moglie da un modo di agire spregiudicato che 
costituisca pericolo per il corpo; ma non lo è altrettanto quando si tratta di 
pericolo per il cuore. E’ abbastanza facile non profanare il letto matrimoniale, 
ma non altrettanto non compromettere l'amore matrimoniale; è facile non rubare i 
beni altrui, non altrettanto non corteggiarli e non desiderarli; è molto facile 
non portare falsa testimonianza in tribunale, non altrettanto non mentire in 
conversazione; molto facile non ubriacarsi, non altrettanto mantenersi sobri; 
molto facile non desiderare la morte altrui, non altrettanto non desiderargli 
qualche accidente; molto facile non disonorare, non altrettanto non nutrire 
sentimenti di disprezzo. Si può concludere che le 
piccole tentazioni di collera' di sospetto, di gelosia, di invidia, di 
antipatia, di stranezza, di vanità, di doppiezza, di affettazione, di astuzia, 
di pensieri indecenti, sono abituali anche per coloro che sono già più 
incamminati nella devozione e più risoluti! Ecco perché, cara Filotea, è 
necessario che ci prepariamo con grande cura e diligenza a questo combattimento; 
sii certa che tutte le vittorie che riporterai contro questi piccoli nemici, 
saranno tante pietre preziose incastonate nella corona di gloria che Dio ti 
prepara in Paradiso. Ecco perché sostengo che, 
in attesa di lottare bene e con valore, contro le grandi tentazioni, se 
verranno, nel frattempo difendiamoci bene da questi piccoli e deboli attacchi. 
Capitolo IX 
COME RIMEDIARE ALLE PICCOLE TENTAZIONI Quanto alle piccole 
tentazioni di vanità, di sospetto, di tristezza, di gelosia, di invidia, di 
passioncelle e simili trabocchetti che, come mosche e moscerini, ci volano 
davanti agli occhi e ci pungono ora sulla guancia, ora sul naso, non ci è dato 
di liberarci completamente dal loro fastidio; la migliore resistenza che si 
possa loro opporre è di non innervosirci; allo stesso modo, le piccole 
tentazioni possono darci molto fastidio, ma non possono nuocerci, purché ci sia 
sempre in noi la ferma decisione di servire Dio. Disprezza questi piccoli 
attacchi, non degnarli nemmeno di un pensiero, anzi lasciali pure ronzare 
intorno alle tue orecchie finché ne avranno voglia; che volino pure qua e là 
intorno a te, come le mosche; se poi dovessero pungerti o posarsi un attimo sul 
tuo cuore, cacciali e basta! Non metterti a combatterli <) a rispondere loro; 
compi atti contrari, quelli che vuoi, ma soprattutto di amore di Dio. Se vuoi darmi ascolto, non 
intestardirti a voler opporre alle tentazioni che provi, la virtù opposta: 
questo sarebbe accettare il confronto. Ma, dopo aver compiuto un atto della 
virtù opposta, se hai avuto tempo di inquadrare il genere della tentazione, 
tornerai semplicemente con il tuo cuore a fianco di Cristo Gesù crocifisso, e 
con un atto di amore gli bacerai i piedi. E’ il mezzo migliore per 
vincere il nemico, tanto nelle piccole tentazioni come nelle grandi: l'amore di 
Dio contiene in sé tutta la perfezione di tutte le virtù; per questo è il 
rimedio migliore contro tutti i vizi. Se in tutte le tentazioni 
prendi l'abitudine di ricorrere per principio a questo rimedio, non sarai più 
obbligata ad indagare ed esaminare di che tentazione si tratta; ma, con tutta 
semplicità, quando ti sentirai turbata, farai ricorso al rimedio sicuro che, 
oltretutto, è così temibile per il maligno, il quale quando si accorge che le 
sue tentazioni ci spingono all'amore di Dio, smette di tentarci. Ecco quello che volevo 
dirti per le piccole ma frequenti tentazioni; chi volesse perdere tempo nei 
dettagli, si annoierebbe e non ne ricaverebbe niente! 
Capitolo X 
COME FORTIFICARE IL CUORE CONTRO LE 
TENTAZIONI Ogni tanto dà uno sguardo 
alla tua anima per vedere quali sono le passioni che più vi spadroneggiano; una 
volta scoperte, imposta la tua vita in modo esattamente contrario nei pensieri, 
nelle parole, nelle azioni. Per esempio, se ti senti 
portata alla passione della vanità, pensa spesso alla miseria di questa vita 
terrena, quanto queste vanità peseranno sulla coscienza nel giorno della morte, 
quanto siano indegne di un cuore generoso. Pensa che sono soltanto giochi e 
divertimenti per bambini, e altre simili riflessioni. Parla spesso contro la 
vanità, e anche se hai l'impressione di farlo malvolentieri, non perdere 
occasione per disprezzarla, perché così, almeno per il tuo buon nome, ti 
troverai impegnata contro di essa; e a forza di parlarne male, finirai per 
odiarla, pur avendo avuto all'inizio per essa dell'affetto. Compi numerosi atti di 
abiezione e di umiltà, anche se hai l'impressione di farli controcuore; in 
questo modo ti abituerai all'umiltà e indebolirai la vanità; di modo che, quando 
giungerà la tentazione, la tua inclinazione non le sarà più di appoggio e avrai 
più forza per combatterla. Se sei portata 
all'avarizia, pensa spesso alla follia di questo peccato che ci rende schiavi di 
quello che è stato creato per il nostro servizio; pensa che al momento della 
morte dovrai lasciare tutto, e lasciare i tuoi beni a chi in breve tempo li 
dissiperà e al quale quei beni saranno causa di rovina e di dannazione, e altri 
simili pensieri. Pronunciati con forza 
contro l'avarizia, loda molto il disprezzo del mondo, fatti violenza per 
elargire spesso elemosine e carità, e lascia perdere qualche occasione per 
accumulare ricchezze. Se hai la tendenza ad 
innamorarti e a far innamorare con una certa facilità, pensa spesso quanto sia 
pericoloso questo divertimento, sia per te che per gli altri; pensa quanto sia 
cosa indegna profanare e impiegare in passatempi il più nobile sentimento della 
nostra anima; e quanto sia biasimevole come segno di una estrema leggerezza di 
spirito. Parla spesso in favore della purezza e semplicità di cuore, e compi più 
che puoi, atti coerenti, evitando le affettazioni e le smancerie. In conclusione, in tempo 
di pace, ossia quando le tentazioni del peccato cui vai soggetta non ti 
angustiano, compi molti atti della virtù opposta e, se le occasioni si 
presentano, va loro incontro; è così che renderai forte il tuo cuore contro la 
futura tentazione. 
Capitolo XI 
L'AGITAZIONE L'agitazione non è una 
semplice tentazione, ma una fonte dalla quale e a causa della quale ci vengono 
molte tentazioni: per questo te ne parlo un po'. La tristezza è la 
sofferenza di spirito che noi proviamo per il male che si trova in noi contro la 
nostra volontà, sia che si tratti di un male esteriore, come povertà, malattia, 
disprezzo, oppure anche interiore, come ignoranza, aridità, ripugnanza, 
tentazione. Quando l'anima avverte in 
sé un male, prova contrarietà: questa è la tristezza; subito desidera 
liberarsene e cerca il mezzo per disfarsene; fin qui ha ragione, perché 
ciascuno, per natura, tende al bene e fugge ciò che reputa male. Se l'anima cerca i mezzi 
per liberarsi dal suo male per amore di Dio, li cercherà con pazienza, dolcezza, 
umiltà e serenità, aspettando la propria liberazione più dalla bontà e dalla 
Provvidenza di Dio che dai propri sforzi, dalle proprie capacità e dalla propria 
diligenza. Se invece cerca la propria liberazione per amor proprio, si agiterà e 
si altererà nella ricerca dei mezzi, come se dipendesse più da lei che da Dio: 
non dico che lo pensi, ma si comporta come se lo pensasse. Se non trova subito quello 
che sta cercando, entra in uno stato di grande agitazione ed impazienza, che non 
le tolgono il male, ma anzi lo peggiorano; l'anima entra in uno stato di 
angoscia e smarrimento senza confini, con un tale cedimento del coraggio e della 
forza, che le sembra che il suo male sia senza rimedio. A questo punto la 
tristezza, che in partenza era giusta, genera l'agitazione; e l'agitazione in 
seguito aumenta la tristezza, il che è molto pericoloso. L'agitazione è uno dei 
mali peggiori che possa colpire l'anima, eccettuato il peccato. Allo stesso modo 
che le sedizioni e i turbamenti interni di uno Stato lo rovinano completamente e 
lo rendono incapace di opporre resistenza agli aggressori esterni, così il 
nostro cuore, quando è turbato e agitato dentro di sé, perde la forza di 
conservare le virtù che aveva acquistato e, nello stesso tempo, perde anche la 
capacità di resistere alle tentazioni del nemico, il quale, come dice il 
proverbio, in tal caso, si impegna a fondo per pescare in acque torbide. L'agitazione viene da un 
desiderio smodato di liberarci dal male che ci opprime o di acquistare il bene 
che speriamo; tuttavia nulla peggiora il male e allontana il bene quanto 
l'agitazione e la precipitazione. Gli uccelli rimangono presi nelle reti e nei 
lacci, soprattutto perché quando vi si impigliano, si dibattono e si agitano 
disperatamente per venirne fuori, e così si inviluppano sempre più. Quando dunque sentirai il 
desiderio di essere liberata da qualche male e di pervenire a qualche bene, 
prima di tutto mettiti calma e serena, fa calmare il tuo intelletto e la tua 
volontà, e poi, con moderazione e dolcezza, insegui pure il sogno del tuo 
desiderio, prendendo con ordine i mezzi idonei; quando dico con moderazione, non 
intendo dire con negligenza, ma senza precipitazione, senza turbamento e 
agitazione; diversamente, invece di raggiungere l'oggetto del tuo desiderio, 
rovinerai tutto e ti troverai peggio di prima. La mia anima è sempre 
nelle mie mani, Signore, e non ho dimenticato la tua legge, diceva Davide. Rifletti più di una volta 
al giorno, ma almeno sera e mattina, se è vero che hai il dominio della tua 
anima; esaminati per renderti conto se non te l'abbia sottratta qualche passione 
o l'agitazione. Mantieni il cuore ai tuoi ordini, oppure ti è sfuggito di mano 
per impegolarsi in qualche passione sregolata di amore, di odio, di invidia, di 
ingordigia, di paura, di noia, di gioia? Se per caso si fosse 
smarrito, prima di tutto, trovalo! Riportalo con garbo alla presenza di Dio, e 
sottoponi di nuovo i tuoi affetti e i tuoi desideri all'obbedienza e alla guida 
della sua divina volontà. Dobbiamo comportarci come coloro che temono di perdere 
qualche cosa che sta loro molto a cuore e la tengono molto stretta. Seguendo il 
grande Re Davide, diremo: Mio Dio, la mia anima è in pericolo, ecco perché la 
tengo sempre stretta nella mia mano; e così non ho dimenticato la tua legge. Per piccoli che siano e di 
poca importanza, non permettere ai tuoi desideri di provocare agitazione in te; 
e sai perché? ai piccoli seguiranno quelli più grandi e quelli più impegnativi e 
troveranno il tuo cuore già aperto al turbamento e al disordine. Quando ti accorgerai che 
stai per cadere nell'agitazione, raccomandati a Dio e decidi di non fare 
assolutamente nulla di quanto pretende da te il desiderio, finché l'agitazione 
non sia completamente sopita, a meno che non si tratti di cosa che non può 
essere differita; nel qual caso, con un impegno dolce e sereno, devi contenere 
la spinta del tuo desiderio, controllandolo e moderandolo nella misura del 
possibile, e realizza quello che devi realizzare non seguendo il tuo desiderio, 
ma seguendo la ragione. Se puoi manifestare la tua 
agitazione -a chi ha la guida della tua anima, o almeno a qualche amico nel 
quale hai fiducia, ma che sia devoto, fallo senza esitazione: presto ritroverai 
la calma perché la comunicazione delle sofferenze del cuore fa all'anima lo 
stesso effetto che il salasso al corpo di chi ha una febbre insistente: è il 
rimedio dei rimedi. S. Luigi di Francia diceva 
al figlio: " Se hai nel cuore un malessere, dillo subito al tuo confessore o ad 
una brava persona, e così il tuo male diverrà leggero per il conforto che ne hai 
avuto ". 
Capitolo XII 
LA TRISTEZZA Dice S. Paolo che la 
tristezza secondo Dio opera la penitenza per la salvezza; la tristezza del 
mondo, invece, opera la morte. La tristezza può essere quindi buona o cattiva: 
dipende dagli effetti che produce in noi. E’ certo che ne fa più di 
cattivi che di buoni, perché di fatto i buoni effetti sono soltanto due: la 
misericordia e la penitenza; quelli cattivi invece sono sei: l'angoscia, la 
pigrizia, lo sdegno, la gelosia, l'invidia, l'impazienza. Il che ha fatto dire 
al Saggio: La tristezza ne uccide molti e non giova a nulla; infatti contro due 
soli rigagnoli buoni che zampillano dalla sorgente della tristezza, ce ne sono 
sei di cattivi! Il nemico si serve della 
tristezza per portare le sue tentazioni contro i buoni; da un lato cerca di 
rendere allegri i peccatori nei loro peccati, e dall'altro cerca di rendere 
tristi i buoni nelle loro opere buone; e come non gli riuscirebbe di attrarre al 
male se non presentandolo in modo piacevole, così non potrebbe distogliere dal 
bene se non facendolo trovare sgradevole. Il maligno gode nella 
tristezza e nella malinconia, perché lui è, e lo sarà per l'eternità, triste e 
malinconico; per cui vorrebbe che tutti fossero così! La cattiva tristezza turba 
l'anima, la mette in agitazione, le dà paure immotivate, genera disgusto per 
l'orazione, assopisce e opprime il cervello, priva l'anima di consiglio, di 
proposito, di senno, di coraggio e fiacca le forze. In conclusione, è come un 
duro inverno che cancella tutta la bellezza della terra e manda in letargo gli 
animali; infatti la tristezza toglie ogni bellezza all'anima e la rende quasi 
paralizzata e impotente in tutte le sue facoltà. Filotea, se mai dovesse 
capitarti di essere afflitta da questa cattiva tristezza, metti in atto i 
seguenti rimedi. Dice S. Giacomo: Se qualcuno è triste, preghi: la preghiera è 
il rimedio più efficace perché innalza lo spirito a Dio, nostra unica gioia e 
consolazione; nella preghiera poi, serviti di affetti e parole interiori ed 
esteriori, che portano alla fiducia e all'amore di Dio, come: 0 Dio di 
misericordia, mio buon Signore, Salvatore mio misericordioso, Dio del mio cuore, 
mia gioia, mia speranza, mio caro Sposo, Amore dell'anima mia, e simili. Combatti con forza la 
tendenza alla tristezza; e anche se hai l'impressione che tutto quello che stai 
facendo in quel frangente rimanga distante e freddo, triste e fiacco, non 
rinunciare a farlo; il nemico che vuole per mezzo della tristezza far morire le 
nostre buone opere, vedendo che non sospendiamo di farle, e che compiute con 
sforzo valgono di più, cesserà di tormentarci. Canta dei canti 
spirituali; spesso il maligno abbandona il campo di fronte a quest'arma. Un 
esempio ci viene dallo spirito maligno che assediava e possedeva Saul, la cui 
violenza era dominata soltanto dalla salmodia. E’ cosa buona occuparsi in 
atti esteriori e variarli più che possiamo, per distrarre l'anima dall'oggetto 
della tristezza, purificare e riscaldare gli spiriti; questo perché la tristezza 
è una passione fredda e arida. Compi atti esteriori di 
fervore, anche se non ci trovi alcuna attrattiva: abbraccia il Crocifisso 
stringendolo al cuore, baciagli i piedi e le mani, alza gli occhi e le mani al 
cielo, indirizza la tua Voce a Dio con parole di amore e di fiducia simili a 
queste: Il mio Amore è mio e io sono sua. Il mio Amore è come un mazzetto di 
mirra che riposa sul mio seno. I miei occhi si posano su di te, o mio Dio, e 
dicono: Quando mi consolerai? 0 Gesù, sii Gesù per me; Viva Gesù, e anche la mia 
anima vivrà. Chi mi separerà dall'amore del mio Dio? E simili. La disciplina moderata è 
buona contro la tristezza, perché questa mortificazione esteriore volontaria, 
chiama la consolazione interiore e l'anima, provando dolori dal di fuori, si 
distrae da quelli che l'affliggono di dentro. La frequenza alla Santa Comunione 
è ottimo rimedio; perché questo pane celeste dà forza al cuore e gioia allo 
spirito. Manifesta tutti i tuoi 
sentimenti, gli affetti, i pensieri alla tua guida e confessore, con umiltà e 
sincerità; cerca la conversazione di persone spirituali e frequentale più che 
puoi in tali circostanze. In conclusione, rimettiti 
tra le mani di Dio, e preparati a sopportare con pazienza questa fastidiosa 
tristezza, come giusta punizione per le tue stupide gioie; e sii certa che Dio, 
dopo averti messa alla prova, ti libererà da questo male. 
Capitolo XIII 
LE CONSOLAZIONI SPIRITUALI E SENSIBILI E COME 
BISOGNA COMPORTARSI CON ESSE Dio porta avanti la vita 
di questo meraviglioso mondo in un continuo avvicendamento: al giorno segue la 
notte, all'autunno, l'inverno, all'inverno la primavera; un giorno non è mai la 
monotona ripetizione di un altro; ce ne sono di nuvolosi, di piovosi, di secchi, 
di agitati dal vento; tutta questa varietà conferisce all'universo una grande 
bellezza. La stessa cosa avviene per 
l'uomo, che, secondo gli antichi, è un piccolo mondo; perché non si trova mai 
nella stessa condizione, e la sua vita scorre su questa terra come le acque che 
scrosciano e ondeggiano in un continuo turbinio di movimenti; e ora lo alzano 
verso la speranza, ora lo prostrano nella paura, ora lo spingono verso la destra 
della consolazione, ora verso la sinistra dell'afflizione, e non si dà mai un 
giorno solo, anzi nemmeno un'ora sola, che sia identica all'altra. Voglio darti un consiglio 
fondamentale: dobbiamo sforzarci di conservare una continua ed inattaccabile 
uguaglianza di cuore in una simile varietà di situazioni; e benché intorno a noi 
tutto muti in continuazione, dobbiamo rimanere saldamente fermi per guardare, 
tendere e protendere sempre al nostro Dio. Qualunque rotta prenda la 
nave, sia che faccia vela verso ponente o verso levante, verso mezzogiorno o 
verso settentrione, qualunque sia il vento che la spinge, l'ago della bussola 
sarà sempre rivolto alla bella stella e al polo. Anche se tutto dovesse 
capovolgersi, non soltanto intorno a noi, ma anche dentro di noi, nonostante 
tutto, per sempre e costantemente, la punta del nostro cuore, il nostro spirito, 
la nostra volontà superiore, che è la nostra bussola, deve guardare senza sosta 
e tendere stabilmente verso l'amore di Dio suo Creatore, suo Salvatore, suo 
unico e supremo bene. E questo indipendentemente dal fatto che la nostra anima 
sia nella tristezza o nella gioia, nella dolcezza o nell'amarezza, in pace o nel 
turbamento, nella luce o nelle tenebre, nella tentazione o nella serenità, nel 
piacere o nel disgusto, nella aridità o nella tenerezza, sia infine che il sole 
la bruci o che la rugiada la rinfreschi! Sia che tu viva o tu 
muoia, dice l'apostolo, sei in Dio. Chi ci separerà dalla carità e dall'amore di 
Dio? Niente mai potrà separarci da quest'amore: né la tribolazione, né 
l'angoscia, né la morte, né la vita, né il dolore presente, né il timore degli 
eventi futuri, né le arti dello spirito maligno, né la grandezza delle 
consolazioni, né la tenerezza, né l'aridità: nulla dovrà mai separarci da questa 
santa carità fondata su Gesù Cristo. Questo proposito così 
saldo di non abbandonare Dio e il suo tenero amore, è il contrappeso necessario 
perché le nostre anime si conservino nella santa uguaglianza in mezzo 
all'intreccio delle varie spinte che la natura di questa vita porta con sé. Allo stesso modo che le 
api sorprese dal vento in aperta campagna, afferrano dei sassetti per potersi 
bilanciare nel volo e non essere facilmente travolte dalla tempesta, la nostra 
anima, che ha con forza e decisione abbracciato il prezioso amore di Dio, rimane 
salda in mezzo alla varietà e alternarsi di consolazioni e afflizioni, tanto 
spirituali che temporali, esteriori e interiori. Ma oltre a questi 
insegnamenti di carattere generale, abbiamo bisogno di qualche indicazione 
specifica. 1. Ripeto che la devozione 
non consiste nella dolcezza, soavità, consolazione e tenerezza sensibile del 
cuore, che ci porta alle lacrime e ai sospiri e ci dà una certa gradevole e 
sensibile emozione in qualche esercizio di pietà. No, cara Filotea, queste 
emozioni e la devozione non sono nemmeno parenti! Ci sono molte anime che 
godono di queste tenerezze e consolazioni e che, non per questo, cessano di 
essere viziose, e di conseguenza non hanno un vero amore di Dio e, ancor 
meno, una vera devozione. Saul, mentre perseguitava a morte il povero Davide, 
fuggiasco davanti a lui nel deserto di Engaddi, un giorno penetrò tutto solo in 
una caverna in cui era nascosto Davide con i suoi; Davide in quell'occasione 
avrebbe potuto ucciderlo molto facilmente, ma gli risparmiò la vita; non solo, 
ma non volle nemmeno spaventarlo. Lo lasciò uscire e poi lo chiamò per 
dimostrargli in tal modo la propria innocenza e fargli sapere che lo aveva avuto 
alla sua mercè. E cosa non fece mai allora Saul per dimostrare che il suo cuore 
era commosso di fronte a Davide? Lo chiamò figlio mio, si mise a piangere ad 
alta voce, a lodarlo, ad esaltarne la bontà, a pregare Dio per lui, a predirne 
la futura grandezza, a raccomandargli i posteri. Come avrebbe potuto manifestare 
una maggiore dolcezza e tenerezza di cuore? Ciononostante nulla era cambiato 
nella sua anima, e continuò la persecuzione contro Davide, inesorabile come 
prima. Ci sono persone che 
assomigliano a Saul, che riflettendo sulla bontà di Dio e sulla Passione del 
Salvatore, provano momenti di forte commozione e sospirano, versano lacrime, 
pregano e rendono grazie con modi molto sensibili. Si direbbe che sono presi da 
una fortissima devozione. Ma quando si giunge alla prova, ci si accorge che 
assomigliano ai temporali passeggeri di una estate molto calda, allorché cadono 
sulla terra grossi goccioloni senza penetrare in profondità e sono utili 
soltanto a far crescere funghi; infatti tutte quelle lacrime e tutte quelle 
tenerezze cadono su un cuore vizioso e non lo penetrano, per cui non gli sono di 
alcun giovamento. Nonostante tutte le apparenze, quella brava gente non si 
priverà di una sola lira di quanto possiede dopo averlo accumulato poco 
onestamente; non rinuncerà a uno solo degli affetti perversi, a un briciolo dei 
propri agi per il servizio del Salvatore sul quale ha pianto. I buoni movimenti 
che ha provato, sono soltanto funghi spirituali che, non solo non sono vera 
devozione, ma spesso sono soltanto astuzie del maligno, il quale distrae le 
anime con queste piccole consolazioni; e così le rende contente e soddisfatte di 
modo che non cercano la vera e solida devozione, che consiste in una volontà 
costante, decisa, pronta e operante di attuare ciò che sappiamo essere gradito a 
Dio. Un bambino piangerà 
teneramente se vede assestare un colpo di bisturi alla mamma per un salasso; ma, 
se nello stesso tempo, sua madre, per la quale sta piangendo, gli dovesse 
chiedere la mela o il cartoccio di confetti che ha in mano, vedresti che non 
vuole cederle nulla. Molte delle nostre devozioni sono simili: quando pensiamo 
al colpo di lancia che trafisse il cuore di Gesù Cristo Crocifisso, piangiamo 
teneramente. Filotea, è cosa ben fatta piangere sulla morte e sulla passione 
dolorosa del nostro Padre e Redentore; ma perché non vogliano dargli il nostro 
cuore, la mela che @abbiamo in mano e che egli ci chiede con tanta insistenza, 
l'unico frutto d'amore che il Salvatore ci chiede? Perché non vogliamo 
lasciargli i nostri piccoli affetti, i nostri piccoli piaceri e le 
soddisfazioni? Egli vuole strapparcele dalle mani e non ci riesce, perché sono i 
nostri confetti e noi ne siamo molto più golosi che della sua grazia celeste. Questi sono sentimenti da 
bambini, teneri ma deboli, fantasiosi, ma senza seguito. La devozione non consiste 
in queste tenerezze e in questi affetti sensibili, che a volte provengono dalla 
natura talmente debole e impressionabile da assorbire tutte le impressioni che 
le si vogliono dare. Altre volte vengono dal maligno che per impacciarci nel 
cammino provoca la nostra immaginazione alla tensione che ci porta a quei 
risultati inutili. 2. Queste emozioni e 
dolcezze affettuose, qualche volta possono anche risultare utili perché 
provocano nell'anima il desiderio della devozione, danno conforto allo spirito, 
aggiungono alla presenza della devozione una santa gioia e una serena allegria 
che rende le nostre azioni spigliate e piacevoli anche esteriormente. Questo gusto per le cose 
divine faceva esclamare a Davide: 0 Signore, quanto dolci sono le tue parole al 
mio palato, sono più dolci del miele alla mia bocca. La più piccola consolazione 
che ci viene dalla devozione, in ogni modo, vale più di tutte le gioie del 
mondo. Il seno e il latte, ossia 
i favori dello sposo divino, per l'anima, sono migliori del vino più pregiato, 
ossia dei piaceri della terra: chi li ha assaporati considera tutte le altre 
consolazioni fiele e assenzio. Chi mastica erba scitica 
(=monocotiledone) ne riceve una tale dolcezza che non prova più né fame né sete; 
allo stesso modo coloro ai quali Dio ha concesso la manna celeste delle soavità 
e delle consolazioni interiori, non possono più desiderare né ricevere le 
consolazioni del mondo; o almeno non possono trovarvi piacere o impegnarvi i 
loro affetti. Sono piccoli assaggi delle 
dolcezze immortali che Dio concede alle anime che lo cercano; sono zuccherini 
che egli porge ai suoi figli più piccoli per invogliarli; sono bevande toniche 
che offre loro per sostenerli, e qualche volta sono anticipi delle eterne 
ricompense. Si dice che Alessandro 
Magno, veleggiando in alto mare, scoprì per la prima volta l'Arabia felice 
guidato dai profumi che il vento gli aveva portato; questo diede coraggio sia a 
lui che ai suoi compagni. Allo stesso modo anche noi, nel mare di questa vita 
terrena, riceviamo dolcezze e soavità che ci fanno pregustare le delizie di 
quella Patria celeste alla quale tendiamo ed aspiriamo. ed aspiriamo. 3. Ma, mi dirai, dato che 
ci sono consolazioni sensibili buone che vengono da Dio, e ce ne sono 
anche di inutili, pericolose e persino dannose, che provengono dalla natura o 
anche dal nemico, come potrò distinguere le une dalle altre e riconoscere le 
cattive e le inutili in mezzo alle buone? E’ dottrina comune, cara Filotea, 
circa gli affetti e le passioni della nostra anima, che le possiamo riconoscere 
dai loro frutti. 1 nostri cuori sono alberi, gli affetti e le passioni i rami, 
le opere e le azioni i frutti. E’ buono il cuore che ha buoni affetti e sono 
buoni gli affetti e le passioni che producono in noi buoni frutti e sante 
azioni. Se le dolcezze, le 
tenerezze e le consolazioni ci rendono più umili, pazienti, trattabili, 
caritatevoli e comprensivi nei confronti del prossimo, più pronti a mortificare 
le nostre concupiscenza e le cattive inclinazioni, più costanti nei nostri 
esercizi, più docili e disponibili nei confronti di coloro ai quali dobbiamo 
obbedire, più semplici nella nostra vita, in tal caso possiamo essere certi, 
Filotea, che vengono da Dio; ma se le dolcezze sono tali solo per noi, ci 
rendono strani, aspri, puntigliosi, impazienti, cocciuti, orgogliosi, 
presuntuosi, duri nei confronti del prossimo e, già pensando di essere 
dei santarelli, rifiutiamo di sottometterci alla direzione e alla correzione, si 
tratta, fuor di dubbio, di consolazioni false e dannose: un buon albero produce 
esclusivamente buoni frutti. 4. Allorché riceviamo 
dolcezze e consolazioni, a) dobbiamo umiliarci 
profondamente davanti a Dio; stiamo bene attenti a non dire, provando quelle 
dolcezze: come sono santa! Filotea, quelli sono doni che non ci rendono 
migliori, perché, come ho già detto, la devozione non consiste in questo. 
Diciamo invece: Com'è buono il Signore con quelli che sperano in lui, con 
l'anima che lo cerca! Chi ha dello zucchero in bocca non può dire che sia la sua 
bocca ad essere dolce, ma deve dire che è lo zucchero che è dolce; la dolcezza 
spirituale che ci viene data è senz'altro ottima e ottimo anche Dio che ce la 
dà, ma non se ne conclude che sia buono anche chi la riceve! b) Riconosciamo di essere 
ancora bambini bisognosi di latte e che, se ci vengono date queste zollette di 
zucchero, è perché abbiamo ancora lo spirito tenero e delicato, che ha bisogno 
di allettamenti e di lusinghe per essere attirato all'amore di Dio. c) Tenendo presente tutto 
ciò, in linea di massima, prendiamo l'abitudine di ricevere con umiltà quelle 
grazie e quei favori, stimandoli molto grandi, non tanto perché lo sono in se 
stessi, ma ancor più perché vengono dalla mano di Dio, che li pone nel nostro 
cuore. Proprio come una madre che, per dimostrare affetto al figlio, gli mette 
in bocca con la propria mano, una dopo l'altra, le zollette di zucchero e le 
caramelle; se il bambino è sensibile apprezza molto di più la dolcezza, la 
grazia e la carezza della mamma, che lo zucchero delle caramelle. Vedi, Filotea, 
possedere delle dolcezze è molto, ma la dolcezza più grande è sapere che è Dio 
con la sua mano amorevole e materna a depositarcele in bocca, nel cuore, 
nell'anima, nello spirito. d) Dopo averle 
ricevute con molta umiltà, serviamocene attentamente secondo l'intenzione di 
Colui che ce le ha date. Perché Dio ci ha dato queste dolcezze? Per renderci 
amabili con tutti e pieni di amore verso di Lui. La mamma dà una caramella al 
bambino per averne un bacio! E allora baciamo questo Salvatore che ci fa dono di 
tante dolcezze. Baciare il Salvatore, lo sai bene, vuol dire obbedirgli, 
osservare i suoi comandamenti, fare la sua volontà, seguire i suoi desideri; in 
breve: abbracciamolo teneramente con obbedienza e fedeltà. Quando riceviamo 
consolazioni spirituali, dobbiamo essere ancora più attenti ad agire bene e ad 
umiliarci. e) Ogni tanto, poi, bisogna saper rinunciare a queste 
dolcezze, tenerezze e consolazioni; bisogna staccarne il cuore e protestare che, 
pur accettandole con umiltà ed amandole, perché è Dio che ce ne fa dono per 
attirarci al suo amore, tuttavia non sono quelle che noi cerchiamo, ma soltanto 
Dio e il suo santo amore. Non cerchiamo le consolazioni, ma il Consolatore; non 
le dolcezze, ma il nostro dolce Salvatore; non le che è la Soavità del cielo e 
della sentimento dobbiamo Prepararci a santo amore di Dio, anche se in non 
dovessimo mai incontrare alcuna consolazione. Noi vogliamo dire sul Calvario 
quello che diciamo sul Tabor: Signore, è bello stare qui con te, sia che io ti 
veda sulla Croce, come nella tua Gloria. f) Infine, se ti dovesse 
capitare di trovarti in molte consolazioni, tenerezze, lacrime e dolcezze, o 
qualche altro favore divino da esse dipendente, ti consiglio di riferirne 
fedelmente alla tua guida spirituale, per sapere come devi comportarti e 
regolarti, perché sta scritto: Hai trovato il miele? Mangiane soltanto per star 
bene! 
Capitolo XIV 
LE ARIDITA E LE STERILITA’ DELLO SPIRITO Quando ti troverai nelle 
consolazioni, cara Filotea, farai dunque come ti ho detto; ma il bel tempo, così 
gradevole, non durerà in eterno; anzi qualche volta ti capiterà di sentirti così 
vuota e lontana dal sentimento della devozione, che avrai la sensazione che la 
tua anima sia una terra deserta, senza frutti, arida, senza sentieri e senza 
piste per camminare verso Dio; senza nemmeno un filo d'acqua della sua grazia 
per irrigarla. L'aridità è tale che tutto fa temere che l'anima sarà presto 
ridotta simile a un terreno totalmente incolto e abbandonato. L'anima che si 
trova in questo stato, sinceramente merita compassione, soprattutto quando la 
sensazione di aridità è molto profonda; in tal caso l'anima si ciba giorno e 
notte di lacrime, proprio come Davide, mentre il nemico, per farla disperare, la 
deride con mille angustie e le chiede: Poveretta! e dov'è il tuo Dio? In quale 
via lo troverai? Chi potrà darti la gioia della sua santa grazia? Che farai in simili 
occasioni, Filotea? Guarda da dove viene il male: spesso siamo noi stessi causa 
delle nostre aridità e sterilità. l. Come la madre rifiuta 
lo zucchero al figlio soggetto ai vermi, così Dio ci priva delle consolazioni 
quando noi ne ricaviamo vuote emozioni e andiamo soggetti ai vermi della 
presunzione. Dio mio, hai fatto bene ad umiliarmi! Sì, perché prima che tu mi 
umiliassi io ti avevo offeso. 2. Quando trascuriamo di 
raccogliere le dolcezze e le delizie dell'amore di Dio nel tempo opportuno, il 
Signore le allontana da noi per punire la nostra pigrizia. L'israelita che non 
raccoglieva la manna di buon mattino, una volta sorto il sole, non gli era più 
possibile, perché si scioglieva. 3. A volte ci adagiamo in 
un letto di soddisfazioni sensuali e di consolazioni caduche, come la Sposa del 
Cantico dei Cantici. Lo Sposo delle nostre anime bussa alla porta del nostro 
cuore, ci invita a ricominciare di nuovo i nostri esercizi spirituali, ma noi 
vogliamo mercanteggiare, perché ci dispiace lasciare quelle gioie, e separarci 
dalle false soddisfazioni; allora egli passa oltre e ci lascia nella nostra 
pigrizia. In seguito poi, quando lo cercheremo, faticheremo molto a trovarlo. Ce 
lo meritiamo, perché siamo stati sleali e infedeli al suo amore e abbiamo 
rifiutato di viverne l'esperienza per seguire l'amore delle cose del mondo. Se hai la farina d'Egitto, 
non puoi avere la manna del cielo! Le api odiano tutti i profumi artificiali; le 
soavità dello Spirito Santo non possono convivere con le delizie artificiali del 
mondo. 4. La doppiezza e la 
finzione nella confessione e nei colloqui spirituali con la propria guida, 
provoca l'aridità e la sterilità: dopo che hai mentito allo Spirito Santo, 
perché ti meravigli se ti priva della sua consolazione? Tu non vuoi essere 
semplice e spontanea come un bambino, e allora non avrai le caramelle destinate 
al bambino! 5. Ti sei ben ubriacata 
delle gioie mondane, perché ti meravigli allora se le delizie spirituali ti 
vengono a nausea? Dice un antico proverbio che le colombe ubriache trovano amare 
le ciliege. Ha colmato di beni gli affamati, dice la Madonna, e i ricchi li ha 
lasciati a mani vuote. i ricchi di piaceri mondani non possono ricevere quelli 
spirituali. 6. Hai conservato bene i 
frutti delle consolazioni ricevute. In tal caso ne riceverai delle altre, perché 
a colui che ha sarà dato ancora di più ma a quello che ha perso tutto per 
propria colpa sarà 'tolto anche quello che non ha; ossia sarà privato anche 
delle grazie che gli erano destinate. Osserva come la pioggia dia vita alle 
piante che hanno ancora del verde; ma a quelle che non ne hanno Più, toglie 
anche la vita che non hanno, perché le fa marcire del tutto. Per molte di queste cause 
noi perdiamo le consolazioni devote e cadiamo nell'aridità e sterilità di 
spirito; esaminiamo la nostra coscienza per vedere se vi scopriamo manchevolezza 
in questo campo. Nota però, Filotea, che non devi fare questo esame con 
agitazione e troppo puntiglio; ma dopo aver obiettivamente preso in esame le 
eventuali colpe a questo proposito, se scopri che la causa dei male è dentro di 
te, ringrazia Dio, perché il male quando se ne scopre la causa, per metà è già 
guarito. Se, al contrario, non trovi nulla che, secondo te, possa essere la 
causa di questa aridità, non impegnarti in un esame più accurato, ma, con tutta 
semplicità, senza scendere a dettagli, fa quello che ora ti dirò: 1. Umiliati profondamente 
davanti a Dio, riconoscendo il tuo nulla e la tua miseria: Che cosa ne è di me 
quando sono affidata a me stessa? Signore, sono soltanto terra arida, con enormi 
crepe da tutte le parti, con una grande sete di pioggia dal cielo, che il vento 
dissipa e riduce in polvere. 2. Invoca Dio e domandagli 
la sua gioia: Rendimi, Signore, la gioia della tua salvezza. Padre mio, se è 
possibile, allontana da me questo calice. Partiti da qui, vento secco, che 
inaridisci la mia anima; e tu, brezza gentile di consolazione, vieni e soffia 
nel mio giardino; i tuoi buoni affetti spanderanno soavi profumi. 3. Va dal tuo confessore, 
aprigli bene il cuore, svelagli tutti i nascondigli della tua anima, accetta i 
consigli che ti darà, con grande semplicità e umiltà. Dio ama infinitamente 
l'obbedienza, per cui aggiunge spesso efficacia ai consigli che si ricevono da 
altri, soprattutto quando si tratta delle guide delle anime, anche se non c'è 
nessuna esteriorità apparente; pensa a Naaman: il Signore rese per lui 
prodigiose le acque del Giordano, nelle quali Eliseo, senza alcuna ragione 
apparente, gli aveva ordinato di bagnarsi. 4. Ma, dopo tutto, niente 
è così utile e così fruttuoso, in tali aridità e sterilità, come il non 
affezionarsi e attaccarsi al desiderio di essere liberati. Non dico che non 
bisogna, con molta semplicità, aspirare alla liberazione; ma dico che non ci si 
deve affezionare, anzi bisogna rimettersi con semplicità nelle mani della 
Provvidenza di Dio, affinché si serva di noi tra le spine e nel deserto, fin che 
gli piacerà. Diciamo a Dio in tale frangente: Padre, se è possibile, allontana 
da me questo calice; ma aggiungiamo con grande coraggio: tuttavia sia fatta la 
tua volontà e non la mia, e fermiamoci lì, con tutta la calma possibile. Dio 
vedendoci in quella santa indifferenza ci consolerà con molte grazie e favori, 
come quando vide Abramo deciso a privarsi del suo figlio Isacco. Gli bastò 
vederlo indifferente nell'accettare, e lo consolò con una visione molto gradita 
e con dolcissime benedizioni. In ogni genere di afflizioni, sia corporali che 
spirituali, e nella diminuzione, o addirittura sparizione della devozione 
sensibile, che ci può capitare, dobbiamo dire con tutto il cuore e con profonda 
sottomissione: Il Signore mi ha dato delle consolazioni, il Signore me le ha 
tolte; sia benedetto il suo santo Nome! Se perseveriamo 
nell'umiltà, ci colmerà dei suoi deliziosi favori, come fece con Giobbe, che, in 
tutte le tribolazioni si espresse con queste parole. 5. Infine, Filotea, tra 
tutte le nostre aridità e sterilità, non perdiamo il coraggio, ma aspettiamo con 
pazienza, il ritorno delle consolazioni. Continuiamo il nostro abituale modo di 
vivere; non tralasciamo per questo motivo nessun esercizio di devozione, anzi, 
se ci è possibile, moltiplichiamo le buone azioni; e se non possiamo presentare 
allo sposo la marmellata, gli daremo la frutta secca; per lui fa lo stesso, a 
condizione che il cuore che gliela offre, sia decisamente risoluto ad amarlo. Quando la primavera è 
bella, le api fanno più miele e si occupano meno delle ninfe, perché con il bel 
tempo si divertono molto a fare la raccolta sui fiori, tanto che dimenticano di 
occuparsi delle ninfe; ma quando la primavera è fredda e nuvolosa, si occupano 
di più delle ninfe e fanno meno miele, perché non potendo uscire per fare la 
raccolta del polline, occupano il tempo ad accrescere e moltiplicare la loro 
stirpe. Capita spesso, Filotea, 
che l'anima, trovandosi in una bella primavera di consolazioni spirituali, si 
distragga talmente nel desiderio di accumularle e assaporarle, che, per 
l'abbondanza delle piacevoli delizie, si occupa molto meno delle opere buone. Al 
contrario quando si trova nell'asprezza e nell'aridità spirituale, a misura che 
si vede privata dei sentimenti piacevoli della devozione, moltiplica le opere 
concrete e interiormente genera più copiose le vere virtù, quali la pazienza, 
l'umiltà, l'abiezione di sé, la rassegnazione, l'abnegazione dell'amor proprio. Molti, specialmente le 
donne, cadono nel grave errore di credere che il servizio che noi rendiamo a Dio senza piacere, senza 
tenerezza di cuore e senza sentimento, sia meno gradito alla Maestà divina; al 
contrario, le nostre azioni sono come le rose che, quando sono fresche, sono più 
belle, quando invece sono secche emanano un profumo più acuto: lo stesso avviene 
per le nostre opere; quelle fatte con tenerezza di cuore piacciono più a noi, 
dico a noi, perché noi guardiamo soltanto il nostro piacere; quelle invece 
compiute con aridità e sterilità, sono più profumate e hanno più valore davanti 
a Dio. Sì, cara Filotea, in tempo di aridità, la volontà ci trascina al servizio 
di Dio quasi per forza, e per conseguenza, deve essere più vigorosa e costante 
che in tempo di tenerezze. Non vale gran che servire 
un principe in tempo di pace, negli agi della corte; ma servirlo nella durezza 
della guerra, in mezzo ai torbidi e alle persecuzioni, è un vero segno di 
costanza e di fedeltà. La Beata Angela da Foligno 
dice che "l'orazione più gradita a Dio è quella che si fa per forza e 
costrizione", ossia quella che facciamo, non per il piacere che vi troviamo, o 
perché vi siamo portati, ma soltanto per piacere a Dio; ed è la nostra volontà 
che ci trascina quasi a forza, facendo violenza alle aridità e alle ripugnanze 
che vi si oppongono, Dico la stessa cosa per 
ogni sorta di buone opere, perché più noi proviamo contrarietà a compierle, sia 
quelle interiori che quelle esteriori, più godono del favore e della stima di 
Dio. Nelle virtù, minore è l'interesse da parte nostra e più vi splende in tutta 
la sua purezza l'amore di Dio. Facilmente il bambino bacia la mamma che gli 
regala lo zuccherino, ma se la bacia dopo che gli ha dato assenzio o fiele, 
allora sì che è segno che le vuole veramente molto bene! 
Capitolo XV 
UN ESEMPIO NOTEVOLE, A CONFERMA E CHIARIMENTO 
DI QUANTO E’ STATO DETTO Per dare maggior credito a 
quanto ho detto, voglio presentarti un brano molto eloquente della storia di S. 
Bernardo; te lo trascrivo prendendolo da un dotto e giudizioso scrittore. Ecco 
cosa dice: è cosa ordinaria per quasi 
tutti quelli che si pongono al servizio di Dio e non sono ancora esperti 
nell'affrontare le privazioni della grazia e le alternanze della vita 
spirituale, quando viene loro a mancare il gusto della devozione sensibile, e 
quella gradita luce che invita a sollecitare il cammino verso Dio, perdere d'un 
colpo il respiro, e cadere nella paura e nella tristezza del cuore. La gente saggia dà questa 
spiegazione: la natura ragionevole non può rimanere a lungo affamata e senza 
qualche soddisfazione, sia essa celeste o terrestre. Le anime innalzate al di 
sopra di se stesse in virtù di piaceri superiori, dimenticano facilmente tutte 
le cose sensibili; la s ' tessa cosa avviene quando per disposizione divina 
viene loro tolta la gioia spirituale: trovandosi senza consolazioni sensibili, e 
non essendo ancora abituate a saper attendere con pazienza il ritorno del vero 
sole, provano l'impressione di non essere più in cielo né sulla terra ma sepolte 
in una notte senza fine: di modo che, come lattanti che vengono svezzati, 
piagnucolano e si lamentano perché non hanno più le mammelle da succhiare e 
diventano noiosi e insopportabili, soprattutto a se stessi. Ecco cosa capitò, lungo il 
cammino di cui stiamo parlando, a uno dei monaci di nome Goffredo di Peronne, da 
poco entrato al servizio di Dio. Trovandosi improvvisamente arido, privo di 
consolazioni e preso dalle tenebre interiori, gli ritornarono alla mente gli 
amici del mondo, i parenti, le ricchezze lasciate da poco, e fu assalito da una 
forte tentazione che non riuscì a nascondere; uno di quelli, con cui era 
maggiormente in confidenza, se ne accorse e, avendolo avvicinato con molta 
discrezione e parole gentili, gli chiese a tu per tu: " Che cosa ti succede, 
Goffredo? Come mai, contrariamente al tuo solito, sei così pensoso e afflitto? " 
Rispose Goffredo accompagnando le parole con un profondo sospiro: " Fratello 
caro, nella mia vita non sarò mai felice". L'altro, mosso a pietà da tali 
parole, spinto da zelo fraterno, corse subito a raccontare tutto al padre comune 
S. Bernardo, che, sentendo il pericolo, entrò in chiesa e pregò Dio per lui. Nel 
frattempo Goffredo, oppresso da tristezza, poggiata la testa su una pietra, si 
addormentò. Dopo un po' entrambi si 
alzarono: l'uno dall'orazione con la grazia impettata, l'altro dal sonno, così 
contento e sereno, che l'amico si meravigliò molto di un cambiamento così 
radicale e improvviso, e non poté trattenersi dal muovergli amichevolmente un 
rimprovero per quello che gli aveva risposto prima. Goffredo allora disse: " Se 
prima ti ho detto che mai sarei stato felice, ora ti garantisco che non sarò mai 
triste! " Questa è stata la conclusione della tentazione di quel devoto monaco, 
Filotea; ma voglio farti notare alcune cose in questo racconto: l. Ordinariamente a chi 
entra al suo servizio, Dio dà un saggio delle gioie celesti, per far uscire dai 
piaceri terreni e incoraggiare a cercare l'amore divino, come una mamma che per 
invogliare e attirare il bambino a succhiare la mammella ci mette sopra un po' 
di miele. 2. E’ sempre lo stesso 
buon Dio che qualche volta, secondo i suoi saggi disegni, ci toglie il latte e 
il miele delle consolazioni, per farci divezzare, e insegnarci a mangiare il 
pane secco e più solido di una devozione forte, esercitata alle prove del 
disgusto e delle tentazioni. 3. Qualche volta, mentre 
siamo afflitti da aridità e sterilità, scoppiano terribili burrasche; in tal 
caso dobbiamo combattere con costanza le tentazioni, perché quelle non vengono 
da Dio, ma dobbiamo sopportare pazientemente le aridità, perché quelle Dio le ha 
permesse per esercitarci. 4. Non dobbiamo mai 
perderci di coraggio quando siamo afflitti da guai interiori, e non dire come il 
buon Goffredo: Non sarò mai felice, perché nella notte dobbiamo aspettare la 
luce; viceversa anche nel mezzo del più bel tempo spirituale che possa 
capitarci, non bisogna dire: Io non avrò più guai! Dice infatti il Saggio che 
nei giorni felici bisogna ricordarsi della sventura. Bisogna sperare nelle 
difficoltà e temere nella prosperità, e sia nell'un caso che nell'altro, 
umiliarsi. 5. Confidare il proprio 
male a qualche amico spirituale che possa aiutarci è un ottimo rimedio. Infine, a conclusione di 
questa raccomandazione così necessaria, ti faccio notare che, in questo come del 
resto in tutte le cose, il buon Dio e il maligno vogliono esattamente l'opposto: 
Dio vuole condurci con le aridità a una grande purezza di cuore, alla totale 
rinuncia al nostro interesse personale in tutto ciò che riguarda il suo 
servizio, a una perfetta spogliazione di noi stessi; il maligno cerca di 
servirsi delle stesse difficoltà per scoraggiarci, farci ritornare ai piaceri 
sensuali, e infine renderci tediosi a noi stessi e agli altri, per denigrare e 
screditare la santa devozione. Ma se rifletti agli 
insegnamenti che ti ho dato, aumenterai di molto la tua perfezione continuando 
l'esercizio della devozione anche in mezzo alle afflizioni interiori, sulle 
quali non voglio chiudere il discorso senza dire ancora una parola. Qualche volta, la nausea, 
la sterilità e l'aridità provengono da indisposizioni fisiche; il che può 
capitare per le veglie eccessive, per le fatiche e i digiuni; che ci ammazzano 
di stanchezza, ci intontiscono, ci fiaccano e ci gravano anche di altre 
infermità. t vero che dipendono dal corpo, ma coinvolgono anche lo spirito, per 
lo stretto legame che li unisce. In tali circostanze, bisogna ricordarsi di fare 
sempre molti atti di virtù con la punta dello spirito e la volontà superiore; 
anche se tutta la nostra anima sembra dormire ed essere presa dal sopore e dalla 
stanchezza, non è per questo che gli atti del nostro spirito saranno meno 
graditi a Dio; in quei momenti possiamo dire come la Sposa: Dormo, ma il mio 
cuore veglia; e, come ho già detto, se è indubitabile che in tali circostanze 
c'è meno soddisfazione, è sicuro però che c'è più merito e virtù. In tali situazioni il 
rimedio è di rinvigorire il corpo con qualche opportuno trattamento e qualche 
distrazione; è per questo che Francesco comandava ai suoi frati di essere 
moderati nel lavoro, in modo da non fiaccare il fervore dello spirito. E a proposito di questo 
glorioso Padre, una volta fu preso e agitato da una malinconia di spirito così 
profonda tanto che non poteva impedirsi di tradirlo nel comportamento. Non 
riusciva più a conversare con i suoi religiosi e, se se ne allontanava, era 
peggio. L'astinenza e la macerazione della carne lo opprimevano, l'orazione non 
gli dava più alcun sollievo. Rimase in quello stato due 
anni, tanto che sembrava che Dio lo avesse completamente abbandonato. Alla fine, 
dopo aver umilmente sopportato quella rude tempesta, il Salvatore gli ridiede in 
un attimo tutta la sua beata serenità. Questo per dirti che i più 
grandi servi di Dio sono soggetti a queste burrasche; e noi piccoli tra tutti, 
non dobbiamo meravigliarci se qualche cosetta capita anche a noi. 
QUINTA PARTE
 Contiene esercizi e 
consigli per rinnovare l'anima e confermarla nella devozione 
Capitolo I
 
OGNI ANNO BISOGNA RINNOVARE I BUONI PROPOSITI 
PER MEZZO DEI SEGUENTI ESERCIZI Il primo punto di questi 
esercizi è riconoscere l'importanza dei buoni propositi. La nostra natura umana 
facilmente si allontana dai buoni sentimenti per la fragilità e le cattive 
inclinazioni della carne, che appesantiscono l'anima e la trascinano 
continuamente in basso, se essa non reagisce proiettandosi di frequente in alto 
per mezzo di buoni propositi. Proprio come gli uccelli che cadrebbero presto in 
terra se non moltiplicassero gli slanci e i colpi d'ala per tenersi in volo. Perciò, cara Filotea, hai 
bisogno di rinnovare e ripetere molto spesso i buoni propositi già formulati di 
servire Dio; se non farai così correrai il pericolo di ricadere nel tuo primo 
stato, o piuttosto diciamo, in uno stato ancora peggiore. Le cadute spirituali 
ci precipitano sempre più in basso di quanto non fossimo prima di iniziare il 
cammino della devozione. Un orologio, per buono che 
sia, bisogna caricarlo e dargli la corda almeno due volte al giorno, al mattino 
e alla sera, e inoltre, almeno una volta all'anno, bisogna smontarlo 
completamente, per togliere la ruggine accumulata, raddrizzare i pezzi storti e 
sostituire quelli troppo consunti. La stessa cosa deve fare 
chi ha seriamente cura del proprio cuore; lo deve ricaricare in Dio, sera e 
mattina, per mezzo degli esercizi indicati sopra; deve inoltre ripetutamente 
riflettere sul proprio stato, raddrizzarlo e ripararlo; e, infine, deve 
smontarlo almeno una volta all'anno, e controllare accuratamente tutti i pezzi, 
ossia tutti i suoi sentimenti e le sue passioni, per riparare tutti i difetti 
che vi scopre. E, allo stesso modo che 
l'orologiaio unge con olio speciale gli ingranaggi, le molle e tutte le parti 
meccaniche dell'orologio, affinché tutti i movimenti siano più dolci, e la 
ruggine abbia meno presa, così la persona devota, dopo aver smontato il proprio 
cuore per rinnovarlo, deve ungerlo con i Sacramenti della Confessione e dell'Eucarestia. 
Questo esercizio ti farà recuperare le forze indebolite dal tempo, ti riscalderà 
il cuore, farà riprendere vigore ai tuoi buoni propositi e rifiorire le virtù 
del tuo spirito. Gli antichi cristiani lo 
praticavano accuratamente nell'anniversario del Battesimo di Nostro Signore, nel 
quale, come dice S. Gregorio vescovo di Nazianzo, rinnovavano la professione e 
le promesse proprie di quel sacramento: facciamo così anche noi, cara Filotea, 
preparandoci molto volentieri e impegnandoci con molta serietà. Quando hai scelto il tempo 
adatto, secondo il parere del tuo padre spirituale, dopo esserti ritirata in 
solitudine spirituale e reale, un po' più del solito, farai una, o due, o tre 
meditazioni sui punti seguenti, attenendoti al metodo che ti ho indicato nella 
seconda parte. 
Capitolo II
 
CONSIDERAZIONI SUL BENEFICIO CHE DIO CI HA 
FATTO CHIAMANDOCI AL SUO SERVIZIO, SEGUENDO LA PROMESSA INDICATA NELLA PARTE 
PRIMA AL CAPITOLO VENTI 
 Primo: hai lasciato, 
respinto, detestato, messo da parte per sempre il peccato mortale; Secondo: hai dedicato e 
consacrato la tua anima, il tuo cuore, il tuo corpo, con tutto ciò che ad essi è 
collegato, al servizio di Dio; Terzo: se dovesse 
capitarti di cadere in qualche cattiva azione, ti rialzeresti immediatamente con 
la grazia di Dio. Non ti sembra che questa 
sia una promessa bella, giudiziosa, degna e generosa? Pensa bene, nel tuo 
intimo, quanto questa promessa sia santa, ragionevole e desiderabile. 2. Considera a chi hai 
promesso: hai promesso a Dio. Se la parola d'onore data agli uomini in cosa 
ragionevole ci obbliga strettamente, quanto più quella data a Dio! Signore, 
diceva Davide, è a te che il mio cuore ha promesso; il mio cuore ti ha lanciato 
questa buona parola; io non la dimenticherò mai. 3. Considera davanti a chi 
hai promesso: c'era tutta la corte celeste, la Santa Vergine, San Giuseppe, il 
tuo buon Angelo, S. Luigi e tutti ti guardavano e facevano cenni di gioia e di 
approvazione alle tue parole e guardavano con occhi pieni di amore il tuo cuore 
prostrato ai piedi del Salvatore al cui servizio si stava consacrando. Ci fu 
gioia speciale, per quel motivo, nella Gerusalemme celeste, e ora sarà ricordato 
quel momento se di cuore rinnoverai la tua promessa. 4. Considera con quali 
mezzi hai fatto quella promessa. Quanto fu buono e cortese Dio con te in quella 
circostanza! Non fosti invitata con dolci insistenza dello Spirito Santo? Le 
corde con le quali Dio tirò la tua barchetta a quel porto di salvezza, furono 
soltanto di amore e di carità, ricordi? Ti invogliava con il suo zucchero 
divino, con i sacramenti, la lettura, l'orazione. Cara Filotea, tu dormivi e Dio 
vegliava su di te e faceva su di te pensieri di pace e meditava per te 
meditazioni di amore. 5. Considera in quale 
epoca Dio ti ha portato a quella grande promessa; è stato nel fiore degli anni. 
Che felicità imparare presto ciò che riusciamo a sapere sempre troppo tardi! S. 
Agostino, attirato al servizio di Dio all'età di trent'anni, esclamava: 0 Eterna 
Bontà, come ho potuto conoscerti così tardi? Ti vedevo, ma non ci facevo caso! Anche tu potrai dire: 0 
eterna Dolcezza, perché non ti ho conosciuto prima? Riconosci però, che nemmeno 
ora tu lo meriteresti. Consapevole della grazia che Dio ti fa chiamandoti nella 
giovinezza, digli con Davide: Mio Dio, tu mi hai toccato e illuminato fin dalla 
mia giovinezza, e per sempre annuncerò la tua misericordia. Se è avvenuto nella 
vecchiaia, Filotea, è una grande grazia che, dopo aver abusato della sua grazia 
negli anni precedenti, Dio abbia voluto chiamarti prima della morte e abbia 
fermato la tua corsa alla rovina, nel tempo in cui, se non fosse intervenuto, ti 
saresti resa eternamente infelice. 6. Considera gli effetti 
di questa chiamata: penso che troverai in te dei cambiamenti in meglio, se 
confronti quello che sei con quello che eri. Non ti sembra una cosa buona saper 
parlare con Dio nell'orazione, trovare felicità nella volontà di amarlo, aver 
calmato e pacificato molte passioni che ti tormentavano, aver evitato molti 
peccati che opprimevano la tua coscienza e, infine, aver fatto la Comunione 
tanto più spesso, unendoti così a quella perenne sorgente di grazia? Grandi sono 
quelle grazie! Devi pesarle sulla bilancia del cammino verso Dio. 
 E’ la mano destra di Dio 
che ha operato tutto ciò. La mano buona di Dio, dice Davide, ha fatto prodigi, 
la destra mi ha sollevato. Non morirò, ma vivrò e racconterò con il cuore, con 
la bocca e con le opere le meraviglie della tua bontà, Dopo tutte queste 
considerazioni, che, come vedi, ti arricchiscono di santi affetti, devi 
concludere semplicemente con un ringraziamento e una preghiera affettuosa per 
ricavarne frutto, ritirandoti con umiltà e grande confidenza in Dio, 
riservandoti di compiere 10 sforzo di formulare i propositi dopo il secondo 
punto di questo esercizio. 
Capitolo III
 
ESAME SUL PROGRESSO FATTO DALLA NOSTRA ANIMA 
NELLA VITA DEVOTA Questo secondo punto 
dell'esercizio è un po' lungo; non è necessario che tu lo metta in pratica tutto 
in una volta, ma piano piano, gradatamente, cominciando, come primo momento, da 
ciò che riguarda il tuo comportamento verso Dio; poi, per il secondo, ciò che 
riguarda te stessa; il terzo, ciò che riguarda il prossimo e il quarto riservalo 
ad una riflessione sulle passioni. Non si richiede, e non è 
nemmeno opportuno, che tu li faccia in ginocchio, tranne l'inizio e la fine, che 
comprende gli affetti. Gli altri punti dell'esame 
li puoi fare utilmente passeggiando, meglio ancora stando a letto, se ti capita 
di rimanerci per un po', non mezzo addormentata, ma ben sveglia! Per poter fare 
bene l'esercizio devi prima aver letto i punti con attenzione. Tieni presente che tutto 
il secondo punto richiede, in linea di massima, tre giorni e due notti, 
consacrandovi, beninteso, qualche ora sia del giorno che della notte; perché se 
tu dovessi compiere questo esercizio in tempi molto distanti tra loro, 
perderebbe in forza e lascerebbe tracce troppo deboli. Dopo ogni punto 
dell'esame, terrai nota di ciò in cui hai scoperto di aver mancato o di essere 
carente; quali sono i principali squilibri di cui hai sofferto; questo per 
risolverti a prendere consiglio, a deciderti e dare coraggio al tuo spirito. Anche se nei giorni in cui 
farai questo esercizio e negli altri, non è richiesto che ti isoli completamente 
dalle compagnie, tuttavia devi isolarti almeno in parte, soprattutto verso sera, 
per poterti coricare prima e prendere il riposo del corpo e dello spirito, 
indispensabile per riflettere. Durante il giorno devi 
elevare frequenti aspirazioni a Dio, alla Madonna, agli Angeli e a tutta la 
Gerusalemme celeste; tutto deve essere fatto con cuore pieno di amore di Dio e 
della perfezione della propria anima. 
 
Per cominciare bene questo esame devi dunque: 
 1. Metterti alla presenza 
di Dio. 2. Invocare lo Spirito 
Santo: domandagli luce e chiarezza per poterti ben conoscere, come faceva S. 
Agostino, che, in ispirito di umiltà, esclamava davanti a Dio: Chi sei tu e chi 
sono io? Protesta che non vuoi 
prendere nota del tuo progresso per gioire in te stessa, ma per rallegrarti in 
Dio; tanto meno per averne gloria, ma per dare gloria a Dio e 
ringraziarlo. 3. Se, com'è probabile, 
scoprirai di aver fatto progressi insignificanti o addirittura di avere fatto 
dei regressi, prometterai che, nonostante tutto, non ti abbatterai e non ti 
lascerai intiepidire dallo scoraggiamento e dalla stanchezza di cuore, ma al 
contrario, con l'aiuto della grazia di Dio, vuoi prendere più coraggio e più 
animo, vuoi umiliarti e porre rimedio ai difetti. Ciò fatto, rifletti con 
calma e serenità come ti sei comportata finora con Dio, con il prossimo e con te 
stessa. 
Capitolo IV
 
ESAME DELLO STATO DELLA NOSTRA ANIMA NEI 
CONFRONTI DI DIO 1. Qual è l'atteggiamento 
del tuo cuore di fronte al peccato mortale? Sei decisamente risoluta a non 
commetterlo mai, qualunque cosa ti capiti? E questo proposito, lo hai mantenuto 
dal momento che l'hai fatto? il fondamento della vita 
spirituale consiste proprio in questo fermo proposito. 2. Qual è l'atteggiamento 
del tuo cuore di fronte ai Comandamenti di Dio? Li trovi giusti, dolci, di tuo 
gradimento? Figlia mia, a chi ha il gusto sano e lo stomaco in ordine, piacciono 
i cibi buoni e ripugnano i guasti. 3. Qual è l'atteggiamento 
del tuo cuore di fronte al peccato veniale? ]@ quasi impossibile non commetterne 
qualcuno qua e là; ma ce n'è qualcuno al quale ti senti più particolarmente 
portata? Peggio ancora, ce n'è forse qualcuno cui sei affezionato? 4. Qual è l'atteggiamento 
del tuo cuore di fronte alle pratiche di pietà? Ti piacciono? Le stimi? Non ti 
indispettiscono? Non ne sei stanca? Verso quali ti senti attratta e verso quali 
no? Ascoltare la Parola di Dio, leggerla, parlarne, meditare, innalzarti a Dio, 
confessarti, ricevere consigli spirituali, regolare gli affetti. Quale di queste 
azioni ripugna al tuo cuore? Se trovi qualche cosa a cui il tuo cuore si piega 
con maggiore difficoltà, ricerca da dove viene questo disgusto, quale ne sia la 
causa. 5. Qual è l'atteggiamento 
del tuo cuore di fronte a Dio? Piace al tuo cuore ricordarsi di Dio? Ne prova 
una gradevole dolcezza? Dice Davide: Mi sono ricordato di Dio e ne ho provato 
diletto. Provi nel tuo cuore una certa facilità ad amarlo e una particolare 
soddisfazione nell'assaporare questo amore? Non senti rinascerti il cuore nel 
pensare all'immensità di Dio, alla sua bontà, alla sua dolcezza? Se ti viene il 
pensiero di Dio in mezzo alle occupazioni del mondo e alle vanità, si fa spazio 
in te, conquista il tuo cuore? Non hai l'impressione che il tuo cuore si volga 
dalla parte di Dio e in un certo modo gli vada incontro? Senza dubbio ci sono 
delle anime di questo tipo! Se il marito di una donna 
torna da lontano, appena questa donna si accorge del suo ritorno e sente la sua 
voce, anche se presa da molte faccende e trattenuta da un affare che non ammette 
rinvii, pur nell'assillo delle occupazioni, senza dubbio il suo cuore non sarà 
trattenuto e lascerà tutti gli altri pensieri per rivolgersi soltanto al marito. 
La stessa cosa avviene per le anime seriamente innamorate di Dio: anche se sono 
occupatissime, quando si avvicina loro il pensiero di Dio, dimenticano tutto il 
resto, per la gioia che provano al ritorno di questo caro pensiero. Questo è un 
ottimo segno. 6. Qual è l'atteggiamento 
del tuo cuore di fronte a Gesù Cristo Dio e Uomo? Ti piace vivere vicino a Lui? 
Le api sono contente quando possono stare intorno al miele, come le vespe 
intorno al putridume! Allo stesso modo le anime buone provano la loro gioia 
intorno a Gesù Cristo e provano una profonda dolcezza d'amore nei suoi 
confronti; i cattivi invece sono contenti solo nelle vanità. 7. Qual è il comportamento 
del tuo cuore nei confronti della Madonna, dei Santi, del tuo buon Angelo? Li 
ami fortemente? Hai una speciale fiducia nella loro benevolenza? Ti piacciono le 
loro immagini, le loro vite, le loro lodi? 8. Per quello che riguarda 
la tua lingua, come parli di Dio? Ti. piace parlarne bene secondo la tua 
condizione e le tue capacità? Ti piace cantare cantici spirituali? 9. Quanto alle opere, 
rifletti se ti sta a cuore la gloria esteriore di Dio e se ti piace fare qualche 
cosa in suo onore; coloro che amano Dio, infatti, amano anche il decoro della 
sua casa. 10. Riesci a scoprire in 
te di avere lasciato qualche affetto e rinunciato a qualche cosa per Dio? E’ un segno sicuro d'amore 
privarsi di qualche cosa in favore di chi amiamo. Finora che cosa hai lasciato 
per amore di Dio? 
Capitolo V
 
ESAME DEL NOSTRO STATO NEI CONFRONTI DI NOI 
STESSI 1. In che modo vuoi bene a 
te stesso? Non ti ami un po' troppo come abitante di questo mondo? Se è così, 
avrai il desiderio di rimanere sempre qui, e avrai molta cura di mettere radici 
su questa terra; ma se ti vuoi bene per il Cielo, avrai il desiderio di lasciare 
questo basso mondo quando piacerà a Dio, o almeno lo accetterai! 2. Conservi un buon ordine 
nell'amore per te stesso? Quello che ci rovina è essenzialmente l'amore 
disordinato per noi stessi. L'amore ordinato esige che vogliamo più bene 
all'anima che al corpo; che, più di ogni altra cosa, abbiamo il desiderio di 
acquistare la virtù, che teniamo più in considerazione l'onore di Dio che quello 
terreno che passa. Il cuore ordinato dice spesso in se stesso: Cosa diranno gli 
Angeli se penso la tal cosa? Non si chiederà: Cosa diranno gli uomini? 3. Che genere di amore hai 
per il tuo cuore? Non ti inquieti di doverlo servire nei suoi malanni? Tu lo 
devi aiutare e farlo aiutare quando lo tormentano le sue passioni, e lasciare 
tutto per quello. 4. Che cosa pensi di 
essere davanti a Dio? Niente senza dubbio! Per una mosca sentirsi nulla di 
fronte a una montagna non è grande umiltà; lo stesso si dica per una favilla o 
una scintilla di fronte al sole; l'umiltà consiste nel non sentirsi superiori 
agli altri e nel non pretendere di essere stimati dagli altri. A che punto sei a 
questo proposito? 5. Quanto alla lingua, non 
ti capita di vantarti o per un verso o per l'altro? Non ti elogi un po' quando 
parli di te? 6. Quanto alle azioni, non 
prendi dei piaceri contrari alla tua salute? Voglio dire: piaceri sciocchi e 
inutili, troppe veglie senza scopo e simili. 
Capitolo VI
 
ESAME DELLO STATO DELLA NOSTRA ANIMA NEI 
CONFRONTI DEL PROSSIMO Bisogna amare il marito o 
la moglie con un arinore dolce e sereno, fermo e costante; per prima cosa deve 
essere così perché è Dio che lo vuole e lo comanda. Lo stesso vale per i 
genitori e i figli, per gli amici, ciascuno al suo posto. In generale, qual è il tuo 
comportamento nei confronti del prossimo? Lo ami cordialmente per amore di Dio? 
Per saperlo con certezza, devi richiamare alla tua mente certa gente noiosa e 
sempre col broncio; è proprio in quel caso che sei chiamata a dar prova del tuo 
amore di Dio verso il prossimo. Ancor più, poi, nei confronti di chi ti fa del 
male, o con fatti o con parole. Esamina bene il tuo cuore 
per vedere se è sincero nei loro confronti e se sei molto contrariata nel 
doverli amare. Sei pronta a parlar male 
del prossimo, soprattutto di quelli con i quali c'è antipatia? Fai del male al 
prossimo, sia direttamente che indirettamente? Per poco che tu ci rifletta con 
serenità, te ne accorgerai facilmente. 
Capitolo VII
 
ESAME SUGLI AFFETTI DELLA NOSTRA ANIMA Mi sono dilungato su 
questi punti, il cui esame ci dà modo di conoscere il progresso spirituale 
compiuto; l'esame dei peccati lasciamolo alle confessioni di coloro che non si 
danno alcun pensiero di progredire. Tuttavia bisogna lavorare 
su ciascuno di questi punti con calma, riflettendo sulle situazioni nelle quali 
si è trovato il nostro cuore a partire dal momento della nostra decisione. 
Pensiamo anche agli errori commessi di un certo peso. Ma, per abbreviare il 
tutto, dobbiamo restringere l'esame alla ricerca delle nostre passioni; e se ci 
angustia prendere in considerazione così accuratamente i dettagli come ho detto, 
possiamo procedere anche in un altro modo e chiederci chi siamo stati noi e in 
che modo ci siamo comportati: - nel nostro amore verso 
Dio, verso il prossimo, verso noi stessi; - nell'odio verso il 
peccato che alberga in noi, verso il peccato che si trova negli altri. Dobbiamo 
operare per sterminarli entrambi; - nei nostri desideri 
circa i beni terreni, i piaceri e gli onori; - nel timore dei pericoli 
di peccare e dei rovesci di fortuna: si temono troppo questi e poco quelli; - nella speranza molto 
facilmente riposta nel mondo e nelle creature, e troppo poco in Dio e nelle cose 
eterne; - nella tristezza, se essa 
è eccessiva per cose vane; - nella gioia, se è eccessiva per cose che non la 
meritano. Quali sono infine gli 
affetti che tengono legato il nostro cuore? Quali passioni lo occupano? In che 
cosa particolarmente si è rovinato? Attraverso le passioni dell’anima, 
saggiandole una dopo l'altra, si può riconoscere il suo stato: proprio come un 
suonatore di violino che pizzica tutte le corde, e accorda quelle che trova 
stonate o tendendole o allentandole; allo stesso modo, dopo aver saggiato 
l'amore, l'odio, il desiderio, il timore, la speranza, la tristezza e la gioia 
della nostra anima, se non le troviamo accordate con l'aria che vogliamo 
suonare, che è la gloria di Dio, potremo accordarle con la grazia di Dio e il 
consiglio del nostro padre spirituale. 
Capitolo VIII
 
AFFETTI DA COMPIERE DOPO L'ESAME Dopo aver serenamente 
preso in considerazione ogni punto dell'esame, e preso coscienza del tuo stato, 
passerai agli affetti in questo modo. Ringrazia Dio per il 
piccolo miglioramento che hai trovato in te dal momento della promessa iniziale, 
e riconosci che è stata soltanto la sua misericordia che l'ha operato in te e 
per te. Umiliati fortemente 
davanti a Dio, riconosci che se il progresso è stato limitato, è solo per colpa 
tua: sei tu che non hai corrisposto con fedeltà, coraggio e costanza alle 
ispirazioni, illuminazioni e movimenti che ti ha dato nell'orazione e in altri 
momenti. Promettigli di lodarlo per 
sempre per le grazie che ti ha concesso, per farti uscire dal dominio delle tue 
inclinazioni e compiere questo piccolo passo avanti. Domandagli perdono delle 
infedeltà e delle slealtà con le quali hai corrisposto. 
 
Offrigli il tuo cuore perché ne prenda possesso in modo totale. 
 
Supplicalo che ti dia la forza di una fedeltà assoluta. Invoca i Santi: la Santa 
Vergine, il tuo Angelo, il tuo Patrono, S. Giuseppe e altri cui sei devota. 
Capitolo IX
 
CONSIDERAZIONI ADATTE A RINNOVARE 1 BUONI 
PROPOSITI Dopo aver portato a 
termine l'esame, e aver parlato con qualche degna guida spirituale dei difetti e 
dei relativi rimedi, prenderai le considerazioni seguenti, facendone una al 
giorno in forma di meditazione. Vi consacrerai il tempo abituale dell'orazione e 
quanto alla preparazione e agli affetti, userai lo stesso metodo che hai 
impiegato nelle meditazioni della prima Parte. Quindi, prima di ogni altra cosa, 
ti metterai alla presenza di Dio, chiederai la sua grazia per collocarti 
stabilmente nel suo santo amore e nel suo servizio. 
Capitolo X
 
PRIMA CONSIDERAZIONE: IL VALORE DELLE NOSTRE 
ANIME Considera la nobiltà e il 
valore della tua anima, che ha un intelletto che può conoscere tutto il mondo 
visibile, non solo, ma anche l'esistenza degli angeli e del paradiso; conosce 
l'esistenza di un Dio supremo, buono e ineffabile; conosce che c'è un'eternità e 
conosce anche quello che serve per vivere con dignità in questo mondo, per 
unirsi poi agli angeli in paradiso e per godere di Dio per l'eternità. La tua anima in più è 
dotata di una volontà nobilissima che è in grado di amare Dio e non può odiarlo 
in se stesso. Osserva com'è generoso il 
tuo cuore. Niente di corrotto riesce ad attirare e a far posare le api, che si 
posano soltanto sui fiori; allo stesso modo il tuo cuore può trovare il suo 
riposo solo in Dio. Nessuna creatura può appagarlo. Pensa pure ai divertimenti 
preferiti e più forti che in altri tempi hanno occupato il tuo cuore, e dovrai 
sinceramente ammettere che erano carichi di ansia molesta, di pensieri pungenti, 
di preoccupazioni inopportune, in mezzo a cui il tuo povero cuore era veramente 
smarrito. Quando il nostro cuore 
corre verso le creature, lo fa con precipitazione, pensando di poter appagare i 
propri desideri; ma appena le ha incontrate, si accorge di dover ricominciare 
perché niente lo accontenta; Dio non permette che il nostro cuore trovi un luogo 
dove riposare, come la colomba uscita dall'arca di Noè; in tal modo sarà 
costretto a tornare a Dio da cui era partito. Il nostro cuore, di natura sua, è 
meraviglioso! Perché allora, contro la sua volontà, vogliamo costringerlo a 
servire le creature? Devi dire: Anima mia, tu 
che sei in grado di capire e di volere Dio, perché ti vuoi perdere in cose 
minori? Puoi tendere all'eternità, perché allora vuoi contentarti degli attimi? 
Era un motivo di rimpianto del figliuol prodigo: avrebbe potuto vivere da 
signore alla mensa di suo padre, e non aveva da mangiare a quella delle bestie! Anima mia, tu sei 
fatta per Iddio, sarai infelice se ti accontenti di meno! Innalza fortemente la tua 
anima con queste considerazioni, ricordale che è eterna e fatta per l'eternità; 
dalle coraggio a questo proposito. 
Capitolo XI
 
SECONDA CONSIDERAZIONE: IL PREGIO DELLE 
VIRTU’ Pensa che soltanto la 
devozione e le virtù sono in grado di dare la felicità alla tua anima su questa 
terra; guarda come sono belle! Metti a confronto le virtù e i vizi per 
convincertene: pensa, per esempio, alla soavità della Pazienza a confronto con 
la vendetta; la dolcezza, a confronto con l'ira e l'amarezza; l'umiltà a 
confronto con l'arroganza e l'ambizione; la generosità contro l'avarizia, la 
bontà contro l'invidia, la morigeratezza contro gli eccessi! Le virtù esercitate hanno 
un pregio unico: rallegrano l'anima con una dolcezza e una soavità che non ha 
l'uguale; i vizi, invece, la lasciano stanca e disorientata. E allora perché non 
vogliamo metterci all'opera per raggiungere queste dolcezze? Prendiamo i vizi: se uno 
ne ha pochi, non è felice; se ne ha molti, è infelice del tutto; per le virtù, 
invece, chi ne ha poche, è già in parte felice e questa felicità aumenta con le 
virtù. La vita devota è bella, 
dolce, gradevole e soave: addolcisce le tribolazioni e rende soavi le 
consolazioni. Senza di lei il bene è male, i piaceri sono carichi di agitazione, 
di confusione, di cedimenti. Chi conosce la devozione 
può dire a buon diritto con la Samaritana: Signore, dammi di quell'acqua! Questa 
invocazione torna spesso in Santa Teresa e in S. Caterina da Genova, anche se in 
circostanze diverse. 
Capitolo XII
 
TERZA CONSIDERAZIONE: L'ESEMPIO DEI SANTI Considera l'esempio dei 
Santi di ogni genere: hanno fatto di tutto per amare Dio ed essere suoi devoti. 
Guarda i Martiri così decisi nei loro propositi; pensa a quali tormenti hanno 
sofferto per rimanere fedeli! ma soprattutto quelle incantevoli e meravigliose 
donne, più splendide dei gigli per candore, più rosse delle rose per amore, le 
une a dodici, le altre a tredici, quindici, venti, venticinque anni, e che hanno 
sofferto innumerevoli torture, piuttosto che venir meno alla loro promessa, non 
solo quanto alla professione di fede, ma anche per affermare la devozione: le 
une hanno preferito la morte alla perdita della verginità, le altre l'hanno 
preferita piuttosto che lasciare il servizio dei sofferenti, o di consolare i 
dubbiosi, seppellire i morti. Veramente in tali circostanze, il sesso debole ci 
ha dato una lezione di forza e di costanza. Pensa a tanti santi 
Confessori: con quanta forza hanno disprezzato il mondo, come sono stati 
irremovibili nei loro propositi: niente li ha distolti. Li avevano abbracciati 
senza riserva e li hanno mantenuti senza eccezioni! Ricordi cosa dice S. 
Agostino di sua madre S. Monica? Con quanta fermezza aveva portato avanti il 
disegno di servire Dio nel matrimonio e nella vedovanza! E ricordi cosa dice S. 
Girolamo della sua cara figlia Paola? E sempre in mezzo a difficoltà senza 
numero. ad ostacoli sempre nuovi! Che cosa non riusciremo a 
fare sorretti da simili Patroni? Erano come siamo noi, lo facevano per lo stesso 
Dio, per mezzo delle stesse virtù: e perché non potremo fare anche noi la stessa 
cosa, secondo la nostra condizione e la nostra vocazione, per tener fede ai 
nostri propositi e alla nostra promessa? 
Capitolo XIII
 
QUARTA CONSIDERAZIONE: L'AMORE DI GESFJ 
CRISTO PER NOI Pensa all'amore con il 
quale Gesù Cristo Nostro Signore ha tanto sofferto in questo mondo e 
particolarmente nell'orto degli Olivi e sul monte Calvario: quell'amore 
riguardava te! Per mezzo di tutte quelle fatiche e quelle sofferenze Egli 
otteneva da Dio Padre buoni propositi e promesse per il tuo cuore, e con lo 
stesso mezzo otteneva anche ciò che ti è necessario per mantenere, nutrire, 
rinforzare e portare a compimento quei propositi. E tu, proposito, come sei 
prezioso, poiché sei figlio di una madre così importante come la Passione del 
Salvatore! Quanto deve volerti bene la mia anima, poiché sei stato così caro al 
cuore del mio Gesù! Salvatore dell'anima mia, sei morto per acquistarmi i miei 
propositi, fammi la grazia di morire piuttosto che lasciarli perdere! Vedi, mia 
cara Filotea, è certo che il cuore del nostro caro Gesù vedeva il tuo 
dall'altare della Croce e l'amava; in forza di quell'amore otteneva per lui 
tutti i beni che avrà per sempre, tra i quali i propositi. Sì, cara Filotea, noi 
tutti possiamo dire come Geremia: Signore, prima che esistessi mi hai guardato e 
chiamato per nome; in quanto la sua divina Bontà ha preparato nel suo amore e 
nella sua misericordia tutti i mezzi generali e specifici della nostra salvezza, 
e quindi anche i nostri buoni propositi. Questo è certo: come una 
donna incinta prepara la culla, la biancheria, le fasce e prevede anche una 
balia per il figlio che spera avere, benché ancora non sia venuto al mondo, così 
Nostro Signore, che porta in seno te e vuole generarti alla salvezza e farti sua 
figlia, sull'albero della croce prepara quanto ti è necessario: la tua culla 
spirituale, la tua biancheria e le fasce, la tua nutrice e quanto ti è 
necessario alla felicità. E sono tutti i mezzi, le inclinazioni, le grazie con 
cui vuole attirare la tua anima alla perfezione. Dio mio, come dovremmo 
imprimere profondamente in noi tutto questo! E’ mai possibile che io 
sia stata amata con tanta dolcezza dal Salvatore, tanto che ha pensato a me 
personalmente anche in tutte le piccole circostanze attraverso le quali mi ha 
attirato a sé? Quanto dobbiamo dunque amare, avere caro e impiegare bene tutto 
questo per il nostro bene! t veramente meraviglioso: il cuore pieno d'amore del 
mio Dio pensava a Filotea, l’amava e le procurava mille mezzi di salvezza, come 
se non avesse avuto alcun'altra anima al mondo cui pensare; proprio come il sole 
che mentre illumina un angolo della terra, lo inonda di luce come se non 
rischiarasse nient'altro, ma solo quell'angolo. Nostro Signore, infatti, pensava 
e si prendeva cura di tutti i suoi figli e pensava a ciascuno di noi come se non 
avesse dovuto pensare a nessun altro. S. Paolo dice: Mi ha amato 
e si è donato a me; è come se dicesse: per me soltanto, come se non avesse fatto 
nulla per tutto il resto. Questo, Filotea, deve 
essere impresso nella tua anima, per avere caro e nutrire il tuo buon proposito 
che è costato così caro al cuore del Salvatore! 
Capitolo XIV
 
QUINTA CONSIDERAZIONE: L'AMORE DI DIO PER NOI Considera l'amore eterno 
che Dio ti ha portato, perché già prima che Nostro Signore Gesù Cristo, in 
quanto uomo soffrisse in Croce per te, la sua divina Maestà, nel suo immenso 
amore, ti inseriva nei suoi disegni e ti amava 
immensamente. Ma quando ha cominciato ad 
amarti? Da quando ha cominciato ad essere Dio. E quando ha cominciato ad essere 
Dio? Mai, perché lo è sempre stato, senza inizio e senza fine, e così ti ha 
sempre amato dall'eternità; ti stava preparando le grazie e i favori che poi ti 
ha donato. Lo fa dire al Profeta: Ti ho amato (parla anche a te), con una carità 
senza fine; ti ho attirato a me perché avevo compassione di te. Ha pensato anche a 
spingerti a fare il buon proposito di servirlo. Quali meravigliosi propositi 
sono questi se Dio stesso li ha pensati, meditati, progettati dall’eternità! 
Quanto devono essere cari e preziosi. Quanto dovremmo essere disposti a soffrire 
piuttosto che perderne un briciolo soltanto! Nemmeno se tutto il mondo dovesse 
perire, perché il mondo intero vale meno di un'anima e un'anima non vale nulla 
senza i suoi buoni propositi! Capitolo XV
 AFFETTI GENERALI SULLE 
PRECEDENTI CONSIDERAZIONI E CONCLUSIONE DELL'ESERCIZIO 0 cari e buoni propositi, 
voi siete il bell'albero della vita che Dio ha piantato di sua mano al centro 
del mio cuore e il Salvatore vuole irrigare con il suo sangue per farlo 
fruttificare; preferisco morire mille volte che permettere che un ventaccio 
qualunque ti sradichi. No, né la vanità, né le 
delizie, né le ricchezze e nemmeno le tribolazioni mi strapperanno dal mio 
proposito. Sei tu Signore, che l'hai 
piantato dopo aver conservato dall'eternità questo bell'albero per il mio 
giardino: quante anime non sono state favorite in questo modo! E come potrò io mai 
umiliarmi abbastanza vinto dalla tua misericordia? 0 belli e santi propositi, se 
io vi conservo, voi conserverete me; se vivete nella mia anima, la mia anima 
vivrà in voi. Vivete dunque, per sempre, o propositi, siete eterni nella 
misericordia del mio Dio; rimanete e vivete eternamente in me; che io non vi 
abbandoni mai! Dopo questi affetti devi 
precisare i mezzi idonei a mantenere questi buoni propositi e devi promettere di 
volertene servire fedelmente; l'orazione frequente, i sacramenti ' le buone 
opere, l'emendamento dalle colpe scoperte nel secondo punto, l'eliminazione 
delle cattive occasioni, l'osservanza dei consigli che ti verranno dati in 
proposito. Fatto ciò, come per 
riprendere fiato e forze, prometti mille volte che sarai perseverante nei tuoi 
propositi e, come se tu avessi il cuore, l'anima e la volontà in mano, dedica, 
consacra, sacrifica, immola quest'ultima a Dio, promettendo di non volerla più 
riprendere, ma di abbandonarla nelle mani della sua divina Maestà per seguire in 
tutto e ovunque i suoi Comandamenti. Prega Dio che ti rinnovi 
completamente, che benedica la tua rinnovata promessa e la fortifichi; invoca la 
Vergine, il tuo Angelo, S. Luigi e altri Santi. In questo clima di 
commozione del cuore va ai piedi del tuo padre spirituale, accusati delle 
principali colpe che avrai scoperto di aver commesso dopo la confessione 
generale' e ricevi l’assoluzione come avevi fatto la prima volta, pronuncia 
davanti a lui la promessa e firmala e infine unisci il tuo cuore rinnovato al 
suo Principe e Salvatore, nel Santissimo Sacramento dell'Eucaristia. 
Capitolo XVI
 
I RICORDI DA CONSERVARE DOPO QUESTO ESERCIZIO Il giorno in cui avrai 
fatto questo rinnovamento e in quelli che seguiranno, dovrai ripetere spesso con 
il cuore e con la bocca quelle ardenti parole di S. Paolo, di S. Agostino, di S 
. Caterina da Genova e altri: No, non mi appartengo più; sia che viva, sia che 
muoia, appartengo al mio Salvatore; non sono più io e non ho più niente di mio: 
il mio io è Gesù, il mio possesso è essere sua; o mondo, tu sei sempre lo 
stesso; anch'io sono sempre stata la stessa; ma d'ora in poi non sarò più me 
stessa. No, non saremo più noi stessi. perché il nostro cuore sarà cambiato e il 
mondo che ci ha ingannato tante volte, rimarrà ingannato in noi questa volta, 
perché, accorgendosi solo poco a poco del mutamento avvenuto in noi, penserà che 
noi siamo sempre degli Esaù, mentre siamo dei Giacobbe. Bisogna che questi 
esercizi penetrino il cuore, e quando lasciamo la riflessione e la meditazione, 
dobbiamo tornare ai nostri affari e alle conversazioni con moderazione, per non 
versare subito il liquore dei nostri buoni propositi; quel liquore deve permeare 
e penetrare bene tutte le parti dell'anima, ma il tutto sempre senza sforzo né 
dello spirito, né del corpo. 
Capitolo XVII
 
RISPOSTA A DUE OBIEZIONI CHE POSSONO ESSERE 
MOSSE A QUESTA INTRODUZIONE Cara Filotea, il mondo ti 
dirà che questi esercizi e questi consigli sono così numerosi che chi volesse 
osservarli dovrebbe tralasciare qualunque altra occupazione. Cara Filotea, se 
facessimo qualche altra cosa, faremmo sempre abbastanza, perché faremmo ciò che 
dovremmo fare in questo mondo! Non vedi dov'è l'inganno? 
Se si dovessero fare questi esercizi tutti i santi giorni, a dir il vero ci 
occuperebbero completamente, ma si richiede di metterli in pratica in tempi e in 
luoghi opportuni, secondo le circostanze. Pensa quante Leggi ci sono nei Digesti 
e nel Codice e che devono essere osservate; ma va da sé che ciascuna va 
osservata secondo le circostanze e non che si debbano osservare tutte insieme e 
tutti i giorni. Del resto Davide, carico 
di affari molto importanti, praticava esercizi di pietà in numero molto maggiore 
di quanti non te ne abbia indicato io. S. Luigi Re, ammirevole sia in pace che 
in guerra, e che amministrava la giustizia e trattava gli affari con molta 
oculatezza, ascoltava due Messe tutti i giorni, diceva Vespri e Compieta con il 
Cappellano, faceva la meditazione, visitava gli ospedali, tutti i venerdì si 
confessava e si dava la disciplina, ascoltava spesso la predicazione, teneva di 
frequente conferenze spirituali; con tutto ciò non perdeva una sola occasione 
per operare il bene pubblico e vi si impegnava con solerzia e la sua corte era 
magnifica e splendida come non era mai stata con i suoi predecessori. Fa dunque con coraggio 
questi esercizi come te li ho indicati, e Dio ti darà tempo ed energia per 
compiere tutti i doveri del tuo stato; ti assicuro che lo farà anche se dovesse 
fermare il sole come fece per Giosuè. Facciamo sempre abbastanza quando Dio 
lavora con noi. Si dirà che io do per 
scontato quasi ovunque che la mia Filotea abbia il dono dell'orazione mentale; è 
chiaro invece che non tutti l'hanno, per cui questa Introduzione non potrebbe 
servire a tutti. E’ vero, l'ho dato per scontato, e so anche che non tutti hanno 
il dono dell'orazione mentale; ma è altrettanto vero che tutti possono averlo, 
magari appena abbozzato: è sufficiente che abbiano delle buone guide e che 
abbiano voglia di impegnarsi per acquistarlo visto che la cosa merita. 
 Se si dovesse trovare 
qualcuno totalmente sprovvisto di questo dono a tutti i livelli, ciò che penso 
possa capitare soltanto molto di rado, il saggio padre spirituale indicherà 
all'interessato il modo di rimediare alla lacuna applicando maggiore attenzione 
nella lettura e nell'ascolto delle riflessioni che ho suggerito nelle 
meditazioni.         
Capitolo XVIII
 
TRE ULTIMI E IMPORTANTI CONSIGLI PER QUESTA 
INTRODUZIONE Il primo giorno di ogni 
mese rinnova la promessa che si trova nella prima parte, dopo la meditazione, e 
ad ogni momento prometti di volerla mantenere, e dì con Davide: Mai, per tutta 
l'eternità, dimenticherò le tue giustificazioni, mio Dio, perché in quelle mi 
hai dato la vita. E quando avvertirai qualche cedimento nella tua anima, prendi 
in mano la tua promessa, prostrati con grande spirito di umiltà e 
pronunciala con tutto il cuore e proverai un grande sollievo. Fa aperta professione di 
voler essere devota; non ti dico di essere devota, ma di volerlo essere, e non 
vergognarti degli atti comuni che si richiedono per condurci all'amore di Dio. 
Ammetti con franchezza che ti sforzi di meditare, che preferiresti morire che 
peccare di nuovo gravemente, che vuoi frequentare i sacramenti e seguire i 
consigli del tuo direttore, anche se non e sempre necessario farne il nome, e 
questo per molte ragioni. Questa franchezza nel 
confessare che vogliamo servire Dio e che ci siamo consacrati al suo amore con 
speciale affetto è molto gradita alla divina Maestà la quale non vuole che 
abbiamo vergogna di Lui e della Croce; e poi respingi le molte carezze che il 
mondo vorrebbe farti per tirarti dalla parte opposta; il nostro buon nome ci 
obbliga a continuare. I filosofi si proclamavano 
filosofi per poter essere lasciati vivere da filosofi, noi ci dobbiamo 
presentare come persone desiderose della devozione perché la gente ci lasci 
vivere devotamente. Se qualcuno ti dice che si 
può vivere devotamente senza praticare questi consigli e questi esercizi, non 
dire che non è vero, ma rispondi amabilmente che la tua infermità è tale che 
richiede aiuti maggiori e sostegni che agli altri non sono necessari. Infine, carissima Filotea, 
ti scongiuro per tutto ciò che c'è di più sacro in Cielo e sulla terra, per il 
battesimo che hai ricevuto, per il seno che ha allattato Gesù Cristo, per il 
cuore caritatevole con il quale ti ha amato, per le viscere della misericordia 
nella quale speri, continua a perseverare in questo felice cammino della vita 
devota. I nostri giorni scorrono, 
la morte è alle porte. " La tromba, dice S. Gregorio di Nazianzo, suona la 
ritirata; ciascuno si prepari perché il giudizio è vicino ". La madre di 
S. Sinforiano al figlio che veniva condotto al martirio, gridava: " Figlio, 
figlio mio, ricordati della vita eterna; guarda il Cielo e pensa a Colui che vi 
regna; ben presto avrà fine la breve corsa di questa vita ". Filotea, tu dirai la 
stessa cosa: guarda il Cielo e non lasciarlo per la tetra; guarda l'inferno e 
non gettarti in esso per gli attimi che fuggono; guarda Gesù Cristo, non 
rinnegarlo per alcuna cosa al mondo; quando la fatica della vita devota ti 
sembrerà dura, canta con S. Francesco: 
Tutta la pena mi è diletto Viva Gesù, al quale, con 
il Padre e lo Spirito Santo sia onore e gloria, ora e sempre, nei secoli dei 
secoli. 
Amen! 
 BIOGRAFIA
 François nacque nel 
castello di Thorens, in Savoia (Francia), da una famiglia di antica nobiltà, e 
morì a Lione il 28 dicembre 1622. Primogenito di Francesco signore di Boisy e di 
Francesca di Sionnaz, ricevette un'accurata educazione, coronata dagli studi 
universitari di giurisprudenza a Parigi e a Padova. Ma proprio nel corso della 
sua frequentazione accademica divennero preminenti i suoi interessi teologici, 
fino alla scelta della vocazione sacerdotale. Si offerse subito al 
vescovo di Ginevra per una missione difficile e delicata, nella città eletta da 
Calvino a modello esemplare del suo esperimento di Riforma. Francesco si fece 
semplice con i semplici, pronto a discutere di teologia con i protestanti, 
desideroso di introdurre alla "vita devota" le anime disposte a donarsi 
totalmente a Cristo, preoccupandosi di rendere la vita spirituale alla portata 
dei laici. Divenne a sua volta 
vescovo di Ginevra, ma fu costretto a risiedere nella sua Annecy, 
nell'impossibilità di raggiungere la sua sede episcopale monopolizzata dai 
riformati. Nel corso della sua missione di predicatore, conobbe a Digione 
Giovanna Francesca Frèmiot de Chantal, e dalla devota corrispondenza con la 
nobil donna doveva scaturire la fondazione dell'Ordine della Visitazione. Francesco, apprezzato 
direttore di spirito, aveva elaborato una sua via per attrarre le anime  a Dio, 
mediante una benignità e una dolcezza, che giungeva anche all'ascetismo, fidando 
nelle forze della volontà umana sorretta dalla grazia divina. Dichiarato santo nel 
1665, fu proclamato dottore della Chiesa nel 1877 e patrono dei giornalisti 
cattolici nel 1923. 
 
 Da: http://members.xoom.virgilio.it:80/ikthys/Libri_elettr/Filotea.htm 
 
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