STUDIA PATRISTICA XVIII, 3, 
	Papers of the l983 Oxford Patristics Conference. 
	The Second Century, Tertullian to Nicaea in the West, Clement and Origen, 
	Cappadocian
	Fathers. Edited by ELIZABETH A. LIVINGSTONE.
	
	 
	
	Il presente studio considera uno dei 
	fondamentali concetti della teologia trinitaria: l'essenza e le energie. 
	Questa distinzione in Dio viene spesso attribuita a San Gregorio Palamas 
	(XIV sec.) dal momento che il santo afferma vigorosamente la partecipazione 
	delle energie divine nel cosmo e nell'uomo. Precedentemente a Palamas, la 
	teologia occidentale, che rifiuta tale distinzione, non rinviene autori 
	significativi che affermino la distinzione stessa. Al più qualche studioso 
	parla unicamente di "timidi avvii" verso le posizioni palamite. Moutsoulas 
	mostra come la distinzione essenza-energie fosse già chiara a San Gregorio 
	di Nissa, molti secoli prima del Palamas.
	
	Il 
	soggetto annunciato è uno tra i più fondamentali nella teologia e 
	contemporaneamente nella spiritualità di Gregorio di Nissa. Per quanto ne 
	sappiamo, nonostante molti studi abbiano affrontato questo soggetto, nessuno 
	ne ha parlato esaustivamente. Evidentemente ciò è impossibile in una 
	relazione di quindici minuti. Qui cercheremo solamente di presentare 
	l’argomento nei suoi punti fondamentali. Se abbiamo deciso di parlarne è per 
	respingere alcune opinioni che crediamo erronee e per donargli il posto che 
	gli conviene nella teologia di Gregorio.
	La distinzione tra l’"essenza" divina, che è incomprensibile e le energie 
	alle quali l’uomo può partecipare, è stata già evidenziata prima di Gregorio 
	di Nissa. Clemente d’Alessandria sottolinea che la parola umana è incapace 
	d’esprimere l’essenza divina. Solamente la forza e le opere di Dio possono 
	essere conosciute.<1> Le parole ‘forza’ ed ‘energia’ sono sovente impiegate 
	da Clemente senza alcuna distinzione. <2> Un po’ prima di lui, Ireneo 
	rifiutava la pretesa degli Gnostici di voler conoscere l’essenza divina.<3> 
	Sorvoliamo sull’utilizzo di tali termini da parte degli autori ecclesiastici 
	antecedenti a Gregorio menzionando, tuttavia, Filone. Il suo Dio, il Dio 
	dell'Antico Testamento non ha nome ed è incomprensibile.
	Studiando le sue energie siamo condotti alla sua esistenza (ti esti)<4> 
	ma non a ciò che Egli è (oti esti). è molto probabile che quando 
	Clemente parla dell’essenza e delle energie di Dio, abbia sotto gli occhi 
	gli scritti di Filone. Non diciamo nulla su Gregorio di Nissa poiché 
	l’influenza esercitata su di lui da quest’autore è ben nota.
	Giungiamo ora a Gregorio di Nissa. La dottrina che riguarda l’essenza e le 
	energie di Dio si riscontra molto sovente nelle sue opere poiché, come 
	abbiamo indicato, questa dottrina si trova al centro della sua teologia e 
	della sua spiritualità. Egli parla più dettagliatamente attorno a questa 
	distinzione nelle sue opere Contro Eunomio e in tre suoi piccoli 
	trattati dogmatici: Ad Eustathium de Sancta Trinitate,<5> Ad 
	Graecos (ex communibus notionibus),<6> e Ad Ablabium quod non sint 
	tres dei.<7>
	La dottrina fondamentale di Eunomio, che lo distingueva non solo dagli 
	ortodossi ma pure dagli Ariani prima di lui, consisteva nell’affermare che 
	l’essenza di Dio può essere conosciuta dall’uomo. Egli precisava pure [la 
	natura] di quest’essenza identificandola con l’ingenerazione (agennesia). 
	In tal maniera concludeva che solamente l’ingenerato è veramente Dio e che 
	l’essenza del Figlio è diversa da quella del Padre. Egli evitava pure di 
	utilizzare i termini Padre e Figlio preferendo quelli di ‘ingenerato’ (agennestos) 
	e ‘generato’ (gennema), che sottolineavano la differenza in 
	questione.
	Conosciamo che a questa dottrina, ch’egli aveva presentata nella sua 
	Apologia,<8> aveva già risposto Basilio di Cesarea.<9> Gregorio risponde 
	alla sua Apologia dell’Apologia visto che, nel frattempo, Basilio era morto.
	Eunomio parla d’una energia intermediaria tra l’"ingenerato" e il 
	"generato", che è la prima oysia e il gennema (il Figlio). Un’altra energia 
	si pone tra il gennema, la seconda oysia, e lo Spirito Santo, che è un’oysia 
	speciale (la terza), il primo gennema del Figlio, che possiede la potenza 
	della santificazione. Ma la distinzione più radicale, secondo Eunomio, si 
	trova tra la prima oysia e la seconda, cioè tra l’agennetos e il gennetos, 
	l'uno e il molteplice, il semplice e il composto. Come sottolinea Th. Dams 
	nel suo studio su La controverse Eunoméenne, studio non pubblicato il 
	cui errore capitale è, per noi, l’opinione secondo la quale Gregorio 
	considererebbe le energie di Dio create, "l'energia in Eunomio serve meno 
	nel fornire la soluzione alla natura dell’agennetos che ad essere un anello 
	di congiunzione tra Dio e il mondo. Quest’energia è il principio formale del 
	divenire, del cambiamento, della molteplicità, del pathos. Come tale essa si 
	oppone radicalmente all’agennetos."<10>
	La distinzione tra essenza ed energie in Dio è importante se vogliamo 
	conservare la fondamentale distinzione tra creato ed increato. Questa 
	distinzione è più radicale di quella che esiste tra il mondo spirituale e il 
	mondo materiale.<11>
	L’essenza (oysia) è quanto è inavvicinabile all’uomo, essere 
	finito. Nel caso opposto non sussisterebbe alcuna distinzione tra creatura e 
	Creatore. Pure le energie di Dio sono increate ma l’uomo vi può partecipare 
	per grazia. Il termine energia viene impiegato da Gregorio nel genere 
	singolare e plurale senza che vi sia una differenza di senso, nonostante 
	l’opinione contraria del padre J.-Ph. Houdre<12> rinvenibile in un articolo 
	sul quale torneremo. Qui dobbiamo solo sottolineare che quando il termine 
	viene impiegato al singolare, si riferisce più specialmente alle tre persone 
	della Trinità e designa il loro comune operare.
	Gregorio condanna con tutta la sua forza la dottrina di Eunomio secondo la 
	quale tra l’essenza di Dio e le creature si trovano delle energie create. 
	"La ragione della causa (o tes aitias logos) ci fa solo pensare il 
	Padre prima del Figlio, la cui vita è inseparabile da quella paterna, 
	affinché nessuna nozione di distanza (diastema) possa interporsi 
	tra loro”.<13>
	Nel suo secondo libro contro Eunomio <14> Gregorio attacca più 
	dettagliatamente l’identificazione dell’essenza di Dio con l’agennesia, che 
	conduce alla negazione della divinità del Figlio. Gregorio dichiara che la 
	base della fede cristiana è la divinità del Figlio, quale verità, luce, 
	forza, via e, soprattutto, quale Dio. In seguito aggiunge: "Ciò che Dio è 
	nella sua essenza, sfugge ad ogni tentativo dell’intelletto e ad ogni 
	sforzo. Tuttavia noi abbiamo la conoscenza della sua esistenza attraverso la 
	grandezza e la bellezza delle creature, secondo una certa analogia delle 
	cose conosciute. Attraverso le energie Egli ci dona solo la fede, non la 
	conoscenza di ciò che è.<15> Gli eunomiani invece di affermare che l’essenza 
	del Padre è ingenerata, pretendono che l’ingenerato costituisca l’essenza 
	affinché, nella contraddizione con il genneton, possano provare la 
	differenza di natura tra il Padre e il Figlio".<16>
	Al posto della conoscenza Gregorio pone la fede. Pone l’esempio di Abramo 
	che, come segno fermo e chiaro della comprensione di Dio, ha eloquentemente 
	testimoniato ch’Egli è al di sopra di ogni possibilità di comprensione.<17>
	L’uomo non può dunque conoscere il ti e l’opos ma 
	solamente l’oti cioè l’esistenza di Dio.<18> Ugualmente, per quanto 
	riguarda le realtà umane, non ne conosciamo l’essenza. <19> "Noi ignoriamo 
	noi stessi – afferma Gregorio – e tutto il resto… Chi può conoscere la sua 
	anima? Se essa è materiale o immateriale?" <20> "Ciò che conosciamo 
	attraverso i sensi è quant’è utile alla nostra vita" <21>. "Noi dunque 
	ignoriamo il ti, l’opos, l'othen e il poson 
	essendo che tutto è stato creato dalla saggezza divina che non ha 
	limiti".<22>
	La pretesa di Eunomio d’identificare l’essenza di Dio con l’agennesia dà a 
	Gregorio l’occasione di sviluppare la sua teoria sull’origine dei nomi. In 
	questo egli resta nella linea dottrinale basiliana.<23> I nomi sono di 
	provenienza umana <24> e non si possono identificare con le cose. “L’einai 
	e il leghesthai non sono lo stesso. Dio è colui che è, ma non si 
	definisce in maniera tale che il nostro povero intelletto possa esprimerlo". 
	<25 L’agennesia non è, dunque, che uno dei nomi di Dio e tale nome 
	esprime pure ciò che Dio non è. Gregorio lo indica come l’incorruttibilità (aftharsia), 
	cioè l'assenza in Dio di ciò che non può essere e non di ciò che Egli è.<26> 
	Dio è pure immutabile (atreptos analloiotos), immortale (athanatos), 
	eterno (ateleytetos), onnipotente (patokrator).<27> Tutti 
	questi attributi hanno la stessa dimensione (omotimos echei).<28> 
	Hanno lo stesso valore (isostasia)<29> e non esplicitano la natura 
	divina che resta sempre incomprensibile.<30> Tutti questi nomi o dicono ciò 
	che Dio non è, o indicano le energie di Dio.<31> "Non comprendiamo se non 
	dopo che le energie di Dio ce l’insegnano".<32> Gregorio sottolinea il 
	rispetto con il quale dobbiamo utilizzare i verbi e le parole (remata 
	kai onomata) i quali non ci fanno conoscere che qualcosa “attorno” (perì) 
	a Dio.
	Citiamo un testo della sesta omelia sulle Beatitudini, nella traduzione di 
	J. Daniélou, dove viene espressa la stessa affermazione: "Così guardando 
	l’ordine della creazione, non ci formiamo un’idea dell’essenza, ma della 
	saggezza di Colui che ha fatto tutto sapientemente. Ugualmente se noi 
	riflettiamo sulla causa della nostra vita e se consideriamo che l’uomo non è 
	apparso per una necessità, ma per una buona volontà, noi diciamo che in 
	questa maniera vediamo Dio, avendo nello spirito la sua Bontà, [anche se] 
	non la sua essenza. E come ogni altra cosa che eleva il pensiero verso 
	quanto è meglio e più elevato, noi definiamo ciò conoscenza di Dio. In 
	effetti, la potenza (dynamis), la purezza (katharotes), 
	l’immutabilità (osaytos echein) e tutte queste cose formano nel 
	nostro spirito l’immagine (fantasian) d’una nozione alta e divina. 
	Così, a sua volta, è vero che il cuore puro vede Dio e che 
	contemporaneamente nessuno Lo ha mai visto. In effetti, ciò che è invisibile 
	per natura diviene visibile per i suoi atti (energiai)<33> 
	apparendo, per certi versi, appartenente alla sua natura (tisi peri 
	aiton)”.<34>
	Non siamo d’accordo con J.-Ph. Houdret che rifiuta l’identità tra le energie 
	e gli attributi in Gregorio che J. Daniélou ha sottolineato molto bene.<35> 
	Ma non è l’unico errore rinvenibile nel suo articolo. Ci ritorneremo. 
	Rimanendo al termine affermato nella citazione di Gregorio (perì ayton), 
	sottolineiamo la distinzione tra l’essenza di Dio e quanto è "attorno" ad 
	essa. E’ per questo che non possiamo seguire J. Daniélou quando in un altro 
	passaggio di Gregorio traduce: "Quanto agli altri nomi il cui significato è 
	positivo (endeiktiké theseos), essi non designano la natura divina 
	per se stessa, ma quanto si può religiosamente meditare su di essa".<36> 
	Nonostante che la traduzione non sia completamente inesatta, al posto di 
	tradurre "su di essa" noi traduciamo "attorno ad essa". La distinzione tra 
	essenza ed energie di Dio è ben sottolineata nello studio compiuto 
	dall’arcivescovo Basile Krivocheine intitolato La semplicità della natura 
	divina e le distinzioni in Dio secondo san Gregorio di Nissa.<37> 
	Permettetemi di citare un passaggio di questo studio che trovo molto 
	importante, come lo stesso autore dice.
	"è molto importante notare qui, ammettendo completamente un atto 
	intellettuale da parte nostra quando affermiamo delle definizioni su Dio 
	secondo le energie, l’insistenza di Gregorio che tali nomi non sono un puro 
	prodotto del nostro intelletto, ma corrispondono in modo proprio a una 
	realtà su Dio. In ogni caso ciascun nome designa qualcosa di particolare in 
	Dio poiché se nessuno di tali nomi non è compreso con un senso particolare 
	ma tutti vengono mischiati tra loro nella confusione di ciò che significano, 
	sarebbe inutile impiegare molte definizioni riguardanti la stessa cosa, 
	quando non esiste alcuna differenza in base alla quale un nome non si 
	distingui dagli altri". <38>
	Tutto ciò che è "attorno" alla natura di Dio e che Gregorio definisce anche
	epitheoroymena<39> non è un’invenzione dell’uomo su Dio. Questo è 
	ben evidenziato anche da J. Daniélou.<40> Tali parole, dice Gregorio, sono 
	impiegate kat'epinoian che B. Krivocheine traduce “per un atto 
	intellettuale”. <41> Come Gregorio sottolinea “l’intellezione (epinoia) 
	è un assalto (ephodos) ricercatore di realtà ignorate che, partendo 
	da realtà prossime…, scopre a seguito della iniziale comprensione 
	dell’oggetto ricercato quanto segue".<42> Il divino assume diversi nomi con 
	significati diversi secondo la varietà delle energie.<43> Malgrado ciò "i 
	nomi non hanno una loro propria sostanza, non sono che dei segni".<44> 
	Un’altra cosa è la nozione di ingenerato e un’altra ancora l’identificazione 
	di un concetto con l’essenza divina. Eunomio identifica l’essenza, 
	l’incorruttibilità e l’ingenerato.<45> Secondo Gregorio "l’essenza ci indica 
	l’esistenza (il ti), la corruttibilità o l'incorruttibilità la 
	qualità (il podapon), e l’ingenerato o l’ingenerato il come (il 
	pos). Ma la parola sull’essere, sul come e sulla qualità è 
	differente".<46> Tutte queste indicazioni sono necessarie solo a noi. "La 
	natura divina è libera dalla materia e non ha bisogno di termini e di verbi 
	per esprimersi" . <47> Le parole non toccano la natura delle cose, sono 
	semplicemente un’invenzione dell’intendimento umano nel suo sforzo per 
	interpretarle. <48> La natura divina assomiglia al sole dal quale riceviamo 
	i raggi e il calore ma filtrati attraverso l’aria. Esso, secondo la sua 
	natura, è inaccessibile alla nostra debolezza.<49>
	Eunomio accusa Gregorio di negare l’incorruttibilità divina; ma quest’ultimo 
	si difende: "Separiamo dalla natura tutto ciò che è aggiunto su di essa ma 
	ciò senza il quale il soggetto non può essere compreso, come può essere 
	separato dalla sua natura?" <50> L'incorruttibilità, dunque, secondo 
	Gregorio, appartiene a Dio e non è che un’energia creata, non 
	identificandosi con l’essenza divina inaccessibile alla comprensione umana. 
	Come l’ateleiteton, il senza fine, è aftharton, 
	incorruttibile, così ciò che non ha inizio è ingenerato (agenneton).<51> 
	Osserviamo il parallelismo dei termini. Tutti hanno lo stesso valore. 
	Nessuno può esprimere Dio, poiché essi esprimono unicamente lo sforzo 
	dell’uomo che vive nello spazio e nel tempo, quand’egli si avvicina alla 
	divinità che supera ogni limite. "I nostri giudizi su Dio sono degli abusi" 
	(ek katachreseos legomen),<52> dice Gregorio. Nonostante che la 
	natura divina sia una, l’uomo non può che esprimerla in diverse maniere. 
	"Noi non dividiamo il soggetto con queste nozioni", afferma.<53> I nomi non 
	si combattono l’un l’altro secondo la natura dei contrari. è Eunomio che 
	innesta sull’essenza di Dio ciascuno dei nomi che sono "attorno" al 
	divino.<54> Incontriamo ancora una volta l’espressione perì to theion. 
	Per Eunomio la distinzione gregoriana tra le parole ateleyteton e
	anarchon con le quali Dio è rispettivamente afthartos e
	agennetos condurrebbe a una mescolanza dei contrari. Tuttavia tale 
	pretesa è insostenibile. Gregorio pone in parallelo i termini aftharton 
	e ateleyteton in tal maniera che non è possibile accettare 
	l’opinione secondo la quale l’infinità divina si sostituirebbe 
	all’ingenerato di Eunomio. San Gregorio avrebbe vivamente reagito contro 
	tale accusa. Per lui, l’ingenerato esprime il fatto che la vita divina non 
	ha causa (to me ex aitias aiten einai), e l'incorruttibilità che la 
	vita divina è illimitata ed infinita.<55> Il soggetto rimane uno e identico, 
	al di sopra d’ogni nome. Non possiamo dunque essere d’accordo con i 
	risultati del prof. E. Muhlenberg nel suo libro Die Unendlichkeit Gottes 
	bei Gregor von Nyssa.<56> L’autore stesso, qualche volta, lascia 
	intravvedere il carattere ipotetico delle sue opinioni. Il termine 
	apeiron ha un senso negativo, identifica colui che non ha fine. Ma, 
	pure se potremo dargli come E. Muhlenberg vuole un senso molto ampio che 
	possa unificare tutti gli attributi di Dio, <57> non sarebbe capace 
	d’esprimere ciò che Dio è. Gregorio lo dice chiaramente: "Il solo nome che è 
	naturale e che conviene a Dio è d’essere al di sopra d’ogni nome". <58> E 
	d’altronde, "Un solo nome è significativo della natura divina: lo stupore 
	che sorge indicibilmente nel nostro animo davanti ad essa".<59> 
	Conseguentemente l’errore d’Eunomio non consiste nell’aver fatto una falsa 
	scelta.
	Per il nostro argomento è molto importante la undicesima omelia di Gregorio 
	nel Commento sul Cantico. Parlando dello Sposo e della sua mano, Gregorio 
	mette nettamente in rilievo la distinzione tra la natura divina e le sue 
	energie. Egli spiega che la mano simboleggia l’energia di Dio <60> che 
	scende fino a noi. <61> Parla pure della forza della sua energia (energetiké 
	dynamis).<62> Solamente i passaggi citati in quest’omelia sarebbero 
	sufficienti a provare che non si tratta d’un’energia creata. Pure molti 
	altri passi, soprattutto nei suoi piccoli trattati dogmatici, sottolineano 
	l’operato comune delle tre persone della Trinità.
	Per una migliore comprensione sull’argomento vogliamo finalmente indicare 
	l’articolo del padre Georges Habra The Sources of the Doctrine of Gregory 
	of Palamas on the Divines Energies.<63> Questo articolo è apparso nel 
	1957-1958, sedici anni prima dell’articolo Palamas et les Cappadociens 
	di J.-Ph. Houdret, che non lo menziona. L’opinione di J.-Ph. Houdret, "non 
	ci pare dunque possibile parlare d’un avvio della distinzione palamita nei 
	Padri (Cappadoci) del IV secolo"<64> è, crediamo, arbitraria. J.-Ph. Houdret 
	aveva sotto gli occhi la frase di J. Daniélou, quand’egli parla di tali 
	avvii,<65> ma non lo menziona. Un attento confronto delle opere di Gregorio 
	Palamas con quelle dei padri Cappadoci prova che non si trattava solamente 
	di semplici avvii ma di stretti rapporti.
	Dopo aver rapidamente esposto questa breve relazione, crediamo che la 
	dottrina di Gregorio di Nissa sull’essenza e l’energia di Dio, dottrina 
	comune agli altri due cappadoci ma che, a causa dell’eresia di Eunomio, 
	Gregorio ha maggiormente sviluppato, è stata la base a partire dalla quale 
	tale concetto si è ulteriormente ampliato nella teologia romano-bizantina.
 
	
	NOTE
	1. Strom. 6.l8; Biblioteca dei Padri Greci [=BPG], 
	Edizione dell'Apostoliki Diakonia della Chiesa di Grecia (Atene) 8:242: "...oudé 
	ten oysian (adynaton) allà ten dynamin kai ta erga toy Theoy. Comp. 
	Strom. 2.2; BPG 7:309: “pooro men kat'oysian... eggytato de dynamei”.
	2.  N. Pournaras, La connaissance de Dieu en rapport avec le salut selon 
	Clément d'Alexandrie, Diss. Athènes 1981 (Gr.) p. 20, n. 13.
	3. Contre les Hérésies, livre UI.24.2; Ed. A. Rousseau-L. Doutreleau, 
	Sources Chrétiennes, 211: p. 477.
	4.  De posteritate Caini 168. Quod deus sit immutabilis 62.
	5.  Ed. F. Mueller, Opera dogmatica minora; W. Jaeger, ?ol. UI, 
	1:3-16; PG 32: 683-696.
	6.  Pp. 19-33; PG 45:176-185.
	7.  Pp. 37-57; PG 45: 116-136.
	8.  BPG 52: 143-156.
	9.  157-227.
	10. Th. Dams, La controverse Eunomeenne, Diss (dact.), Paris, 1951, 
	124-125.
	11. Contro Eunomio I.361.UI tome VI:66. Jaeger I: 133-134, U: 19-21. Vedi 
	D. Balas, Metoysia Theou. Man's participation in God's perfections according 
	to Saint Gregory of Nyssa (Romae, l966) e soprattutto il paragrafo 
	intitolato "The Theme of the Division of Beings in the Works of Gregory" 
	(pp. 34-49) dove l'autore fornisce parecchie citazioni sulla divisioni degli 
	esseri.
	12.  J. Ph. Houdret, "Palamas et les Cappadociens", Istina 19 (1974) p. 263, 
	n. 8.
	13. Contro Eunomio I.356; Jaeger I:132, 16-21. Comp. I.378; p. 138, 
	12-15.
	14.  Jaeger, 1:226-409.
	15. 12-13 et 582, pp. 230/24-30, 396/10-13.
	16. 21, p. 232/26-233/1.
	17. 92, p. 253/28-254/3.
	18. 98, p. 255/9-l4.
	19. 117, p. 260/ 12-13.
	20. 106, p. 257/28-258/3.
	21. 117, p. 260/ 10-12.
	22. 121-122, p. 261/20-24.
	23. Contro Eunomio I, §7f, U. §4f; BPG 52:167f, 189f
	24. Contro Eunomio U.148-149; Jaeger, I:268/ l8-269/2.
	25. 161, p. 272/1-3.
	26. 192, p. 280/ 27-29.
	27. 147, p. 268/9-12.
	28. l37, p. 265/20.
	29. p. 265/ 19.
	30. 138, p. 165/23-266/3.
	31. 149, p. 268/ 25-29.
	32. 150, p. 269/7-8.
	33. J. Daniélou traduce "activités".
	34. PG 44: 1268D-1269A. J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique, 
	(Paris,2 1953) p. 138.
	35. J: Ph. Houdret, p. 266f.
	36. P. 135.
	37. Messager de l'Exarchat du Patriarchat Russe en Europe Occidentale N° 
	91-92 (Paris, 1975) 139-158.
	38. P. 141.
	39. Contro Eunomio U.513; Jaeger, 1:376/10.
	40. P. 135.
	41. P. 142.
	42. Contro Eunomio U, 182; Jaeger, 1:277/20-23.
	43. 304 et 353, pp. 315/23-25, 329/10-12.
	44. 589, p. 398/ 16-18.
	45. 382, p. 337/ 26-29.
	46. 386, p. 339/3-7.
	47. 393, p. 341/ 9-l2.
	48. 395, p. 34l/29-342/3.
	49. 419, p. 348/ 17-21.
	50. 448, p. 357/ l7-20.
	5l.  454, p. 359/ 10-11.
	52. 459, p. 360/24.
	53. 477, p. 365/ 19-20.
	54. 606, p. 403/ 15-16.
	55. 513, p. 376/ 12-16.
	56. (Göttingen, l966) S. 196-205.
	57. P. l98.
	58. Contro Eunomio U.587; Jaeger, 1:397/27-29.
	59. Contro Eunomio UI, tome VI.4; Jaeger, U:l87/9-11.
	60. Ed. N. Langerbeck, (Jaeger, vol. VI:336/11-12).
	61. P.334/8.
	62. P. 336/ 18-19.
	63. Eastern Churches Quarterly 12 (1957-1958) 244-252, 294-303.
	64. P. 270.
	65. P. 139.
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