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Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

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Conclusioni di Mircea Eliade al Trattato di storia delle religioni


 

Se è vero, come affermavamo all'inizio del nostro lavoro (§ 1), che il modo più semplice di definire il sacro è ancora quello di contrapporlo al profano, i capitoli successivi hanno costantemente evidenziato la tendenza della dialettica ierofanica a ridurre progressivamente le aree profane e, in definitiva, ad abolirle. Certe esperienze religiose superiori identificano il sacro con l'intero Universo. Per molti mistici, il Cosmo, nella sua integrità, forma una ierofania. «L'Universo intero, da Brahmā sino al filo d'erba, è le forme di Lui» esclama il Mahānirvāna Tantra (II, 46), riprendendo una formula indiana antichissima e alquanto diffusa. Questo «Lui»[78], ātman-Brahman, si manifesta in ogni dove: « Hāmsa » ha sede nel puro (Cielo); (dio) splendente ha sede nell'etere; officiante, la sua sede è l'altare; ospite, siede nella dimora. Sua sede è l'uomo, sua sede è il voto, la Legge, il firmamento[79]. Che questo sia cosa diversa da una semplice concezione definita, a torto o a ragione, «panteistica», ce lo dimostra il passo ove Léon Bloy parla del «...mistero della Vita, che è Gesù: Ego sum Vita. Che la vita sia negli uomini, negli animali o nelle piante, è sempre la Vita; e quando viene il momento, il punto inafferrabile che chiamiamo morte, è sempre Gesù che si ritira, sia da un albero come da un essere umano ».[80]

È evidente che qui abbiamo di fronte non il «panteismo» nel senso corrente della parola, ma quel che si potrebbe chiamare un «panontismo». Il Gesù di Léon Bloy, come l'ātman-Brakman della tradizione indiana, si trova in tutto quel che è, cioè in tutto quanto esiste in modo assoluto. Ε come abbiamo potuto tante volte constatare, per l'ontologia arcaica il reale si identifica anzitutto con una «forza», una «Vita», una fecondità, un'opulenza, ma si identifica anche con quel che è strano, singolare ecc.; in altri termini, con tutto quanto esiste con pienezza o manifesta un modo di esistenza eccezionale. La sacralità è anzitutto reale. Più l'uomo è religioso, più è reale, più si sottrae all'irrealtà di un divenire senza significato. Onde la tendenza dell'uomo a «consacrare» la vita intera. Le ierofanie sacralizzano il Cosmo; i riti sacralizzano la Vita. Questa sacralizzazione si può parimenti ottenere in modo indiretto, trasformando cioè la vita in rituale. «La fame, la sete, la continenza sono nell'uomo (quel che è) la consacrazione (nel sacrificio), dīkşā. Ι cibi, le bevande, il piacere corrispondono per lui alle (cerimonie dette) upasada; le risa, la buona tavola, l'amore corrispondono ai cantici e alle recitazioni (stuta-śāstra). La mortificazione (tapas), l'elemosina, l'onestà, il rispetto della vita (ahimsā) e della verità sono per lui donazioni (ai sacerdoti officianti)».[81] Quando tratteremo, nel volume complementare, le articolazioni e la funzione dei riti, esporremo mediante quale meccanismo le attività fisiologiche e psicologiche possano trasformarsi in atti rituali. L'ideale dell'uomo religioso, evidentemente, è di compiere ogni sua azione in maniera rituale, di farne, in altri termini, un sacrificio. In ogni società arcaica o tradizionale, esercitare la propria vocazione significa, per ciascun uomo, compiere un sacrificio di questo genere. Da questo punto di vista, ogni atto si presta a diventare un atto religioso, come ogni oggetto cosmico si presta a diventare ierofania. Come a dire che qualsiasi istante può inserirsi nel Grande Tempo e proiettare l'uomo in piena eternità. L'esistenza umana si realizza dunque simultaneamente su due piani paralleli: quello temporale, del divenire, dell'illusione, e quello dell'eternità, della sostanza, della realtà.

Emerge, d'altra parte, una tendenza contraria: la resistenza al sacro, che avviene al centro stesso dell'esperienza religiosa. L'atteggiamento ambivalente dell'uomo di fronte a un sacro che è insieme attraente e repellente, benefico e pericoloso, si spiega non soltanto con la struttura ambivalente del sacro in se stesso, ma anche con le reazioni naturali manifestate dall'uomo di fronte a questa realtà trascendente che lo attrae e lo spaventa con pari violenza. La resistenza si afferma più recisamente quando l'uomo si trova di fronte a una sollecitazione totale del sacro, quando è chiamato a prendere la decisione suprema: abbracciare completamente e irrevocabilmente i valori sacri, oppure mantenere rispetto a essi un atteggiamento equivoco.

Questa resistenza al sacro ha come riflesso, nella prospettiva della metafisica esistenziale, la fuga dall'autenticità. Al profano, all'illusione, all'insignificante, corrisponde - sempre nella stessa prospettiva - il piano del «generale». Il simbolo del «cammino verso il centro » si tradurrebbe, nel vocabolario della metafisica di oggi, in un cammino verso il centro della propria essenza e nell'uscita dall'inautenticità. Questa resistenza a un accaparramento radicale di tutta la vita da parte del sacro può manifestarsi perfino entro le Chiese: non è raro che esse debbano difendere l'uomo contro gli eccessi delle esperienze religiose, specialmente di quelle mistiche, e contro il rischio che la vita laica venga abolita. Questi casi di resistenza, che analizzeremo nel volume complementare, tradiscono in certa misura l'attrazione esercitata dalla «storia», l'importanza crescente che tendono ad acquistare, specialmente nelle religioni «evolute», i valori della vita umana e, in primissimo luogo, l'attitudine della vita umana a essere nella storia e a fare la storia. Abbiamo osservato l'importanza che assumono i valori vitali fin nelle fasi più antiche della religione; ricordiamo il passaggio in primo piano delle divinità dinamiche, organizzatrici e fecondatrici ecc. (§§ 26 sgg.). Col passare del tempo, l'attrazione esercitata dai valori vitali cresce ininterrottamente, specie sotto forma di un interessamento sempre più vivo per i valori umani come tali, e, in ultima analisi, per la storia. L'esistenza dell'uomo, in quanto esistenza storica, assume un valore - se non immediatamente religioso - almeno «transumano». Esamineremo nel volume complementare fino a che punto la «storia» è suscettibile di venir sacralizzata, e in che misura i valori religiosi sono stati storicizzati. Ma possiamo rilevare fin d'ora che la «nostalgia del Paradiso» e i «doppioni facili» delle esperienze e dei simboli religiosi principali già ci annunciano in quale direzione si potrebbe trovare la soluzione del problema. Perché «nostalgia» e «doppioni facili» dimostrano sia la fondamentale ripugnanza dell'uomo storico ad abbandonarsi totalmente all'esperienza sacra, sia la sua impotenza a rinunciarvi definitivamente.

In questo volume abbiamo evitato di studiare i fenomeni religiosi nella loro prospettiva storica, e ci siamo limitati a trattarli in sé, cioè in quanto ierofanie. Così, per illuminare la struttura delle ierofanie acquatiche, ci siamo permessi di presentare, l'uno accanto all'altro, da una parte il battesimo cristiano e dall'altra i miti e i riti dell'Oceania, dell'America e dell'antichità greco-orientale, facendo astrazione da tutto quel che li separa, cioè, in una parola, dalla storia. L'ignoranza della prospettiva storica si giustificava da sé, nella misura in cui la nostra attenzione era rivolta direttamente al problema religioso. Indubbiamente, e l'abbiamo riconosciuto fin dalle prime pagine di questo libro (§ 1), non esiste una ierofania che non sia «storica», dal momento in cui si manifesta come ierofania. Per il semplice fatto che l'uomo prende conoscenza di una rivelazione del sacro, questa rivelazione diventa storica, quale che sia il piano sul quale si compie. La storia interviene non appena l'uomo fa l'esperienza del sacro, seguendo l'ispirazione dei propri bisogni. La manipolazione e la trasmissione delle ierofanie ne accentuano ancor più la «storicizzazione». Tuttavia, la loro struttura permane identica, ed è appunto tale permanenza che ci permette di conoscerle. Gli dèi del cielo possono aver subito innumerevoli trasformazioni: la loro struttura celeste rimane nondimeno il loro elemento permanente, la costante della loro personalità. Le fusioni e le interpolazioni sopravvenute in una figura divina della fecondità sono forse innumerevoli: non intaccano però affatto la sua struttura tellurica e vegetale. Non basta osservare che non esiste forma religiosa che non tenti di avvicinarsi il più possibile al proprio archetipo, cioè a purificarsi dai suoi rivolgimenti e sedimenti « storici ». Ogni dea tende a diventare una Grande Dea, incorporando tutti gli attributi e le funzioni che comporta l'archetipo della Grande Dea. Cosicché possiamo già registrare, nella storia dei fatti religiosi, un doppio processo: da una parte, apparizione continua e folgorante di ierofanie, e di conseguenza un'eccessiva frammentazione della manifestazione del sacro nel Cosmo; dall'altra, unificazione delle ierofanie in seguito all'innata loro tendenza a incarnare gli archetipi quanto più perfettamente è possibile, realizzando così pienamente la loro propria struttura.

Sarebbe errato considerare il sincretismo come semplice fenomeno religioso tardivo, che può risultare soltanto dal contatto fra varie religioni evolute. Il cosiddetto sincretismo si osserva ininterrottamente nell'intero corso della vita religiosa. Non esiste demone agrario rurale o dio tribale che non sia il risultato di un lungo processo di assimilazione e di identificazione con le forme divine circostanti. Occorre insistervi fin da ora: tali assimilazioni e fusioni non sono da attribuire esclusivamente alle circostanze storiche (interpenetrazione di due tribù vicine, conquista di un territorio ecc.); il processo dipende dalla dialettica stessa delle ierofanie: che prenda o non prenda contatto con una forma religiosa analoga o diversa, la ierofania tende, nella coscienza religiosa di coloro cui si rivela, a manifestarsi il più pienamente e totalmente possibile. Si spiega così un fenomeno presente in tutta la storia delle religioni: la possibilità, propria di ogni forma religiosa, di accrescersi, purificarsi e nobilitarsi; possibilità per un dio tribale, ad esempio, di trasformarsi, mediante nuova epifania, nel dio di un monoteismo, o per l'umile dea rurale di trasformarsi in Madre dell'Universo.

Tutti questi movimenti, contraddittori in apparenza, di unificazione e frammentazione, identificazione e separazione, di attrazione e di resistenza o di repulsione ecc., potranno essere compresi più chiaramente quando, esaminate le diverse tecniche di contatto col sacro e la sua manipolazione (preghiere, offerte, riti ecc.), potremo affrontare il problema della storia dei fenomeni religiosi. Abbiamo riservato tale studio al volume complementare. Per ora, giunti al termine di questo, ci limitiamo ad affermare che quasi tutte le posizioni religiose dell'uomo gli furono date sin dai tempi primitivi. Da un certo punto di vista, non v'è soluzione di continuità fra i «primitivi» e il cristianesimo. Eppure la dialettica della ierofania si rivela identica, nel caso di un churinga australiano come in quello dell'incarnazione del Logos. In ambedue siamo di fronte a una manifestazione del sacro in un frammento del Cosmo, e in ambedue vi troviamo implicitamente posto il problema della «personalità» e dell'«impersonalità» della epifania. Abbiamo visto (§ 8) che nel caso di ierofanie elementari (mana ecc.) non sempre era possibile precisare se la rivelazione del sacro avesse una struttura personale o impersonale: le due strutture quasi sempre coesistono, perché il «primitivo» si preoccupa non tanto dell'opposizione «personale-impersonale» quanto dell'opposizione «reale (potente ecc.) - irreale». Ritroveremo questa medesima polarità, sotto innumerevoli formule, nelle religioni e nelle mistiche più «evolute».

Se le principali posizioni religiose furono date una volta per sempre, fin dal momento in cui l'uomo prese conoscenza della propria condizione esistenziale entro l'Universo, ciò non significa che la «storia» non abbia conseguenze per l'esperienza religiosa in sé. Tutt'altro; tutto quel che avviene nella vita dell'uomo, anche nella sua vita materiale, trova un'eco nella sua esperienza religiosa. La scoperta delle tecniche della caccia, dell'agricoltura, del metallo ecc. non ha modificato soltanto la vita materiale dell'uomo, ha anche fecondato - forse in misura ancor maggiore - la spiritualità umana. Così l'agricoltura ha permesso tutta una serie di rivelazioni che non potevano prodursi nelle società preagricole. È inteso che le modificazioni economiche e sociali e, in ultima analisi, gli avvenimenti storici non sono capaci di spiegare da soli i fenomeni religiosi in quanto tali; ma le trasformazioni sopravvenute nel mondo materiale (agricoltura, metallurgia ecc.) hanno offerto allo spirito nuovi modi di abbracciare la realtà. Ε si può dire che se la storia ha influito sull'esperienza religiosa, ciò è avvenuto nel senso che gli avvenimenti hanno offerto all'uomo modi inediti e diversi di essere, di scoprire se stesso e di dare un valore magico-religioso all'Universo. Citeremo un esempio solo: uno degli elementi fondamentali della rivoluzione religiosa compiuta da Zarathustra fu la sua opposizione ai sacrifici cruenti di animali.[82] È evidente che da questo atteggiamento traspare, fra l'altro, l'interesse economico di una società che si evolve dalla vita pastorale verso l'agricoltura. Ma l'avvenimento storico fu valorizzato da Zarathustra in senso religioso: l'abolizione dei sacrifici cruenti divenne, grazie a lui, strumento di disciplina e di elevazione spirituale; la rinuncia a quel tipo di riti aprì alla contemplazione nuove prospettive; in breve, l'evento storico permise un'esperienza religiosa inedita e la scoperta di nuovi valori spirituali. Inutile dire che l'evoluzione può anche seguire un percorso inverso: molte nobili esperienze religiose delle società primitive sono diventate di sempre più difficile riproduzione a seguito dei cambiamenti portati dalla «storia» nelle società. In certi casi si può parlare addirittura di vere catastrofi spirituali (si veda, ad esempio, l'integrazione delle società arcaiche nel circuito economico di società colonialiste, semi-industriali ecc.).

Ma se la storia è in grado di promuovere o di paralizzare nuove esperienze religiose, non riesce mai ad abolire definitivamente la necessità di un'esperienza religiosa. La dialettica delle ierofanie permette di riscoprire spontaneamente e integralmente tutti i valori religiosi, senza distinzione, quale che sia il livello storico in cui si trova la società o l'individuo che compie la scoperta. La storia delle religioni viene così ricondotta, in ultima analisi, al dramma che sorge dalla perdita e dalla riscoperta di quei valori, perdita e riscoperta che non sono mai, e anzi mai potrebbero essere, definitive.

 

[78] In francese «lui», che significa anche «sé». Si giustifica in questo modo l'identificazione, oltre che con il Brahman, con l'ātman, che indica appunto il Sé più profondo [NdR].

[79] Κātha-Upanisad, V, 2.

[80] Βloγ, Le Mendiant ingrat, II, p. 196.

[81] Chāndogya-Up., ΙΙΙ, 17, 1-4.

[82] Cfr. l'elogio del Bove primordiale, Yasna, 29; il rispetto dei bovini, Yasna, 12, I ecc.

 

Da: http://gianobifronte.it/2_ARGOMENTI/2o_religioni/2o7_e_dintorni/a1_06_
trattato_di%20_storia_delle_religioni.htm

 

 

 

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