in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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"Teosofia" di Rudolf Steiner
(prefazione, introduzione e primo capitolo)


Traduzione a cura di Fabio Alessandri
http://fucinadelleidee.splinder.com/
 

 

PREFAZIONE ALLA TERZA EDIZIONE

 

   Quello che è stato detto in occasione della pubblicazione della seconda edizione di questo libro può venire ripetuto anche per questa terza edizione. Anche questa volta sono stati inseriti in singoli passi «ampliamenti e integrazioni» che mi sem-bravano importanti per una più precisa formulazione di ciò che è esposto; in nes-sun punto mi è parso esserci la necessità di modifiche essenziali a ciò che era già contenuto nella prima e nella seconda edizione. – E anche quello che è stato detto sui compiti dello scritto già nella sua prima edizione, e quanto è stato aggiunto nella prefazione alla seconda edizione non necessitano attualmente di modifiche. Perciò viene qui riportata la prefazione alla prima edizione e poi anche ciò che è stato aggiunto nella prefazione alla seconda edizione.

   In questo libro deve essere data una descrizione di alcune parti del mondo soprasensibile. Chi vuole far valere soltanto quello sensibile, considererà tale descrizione un’irreale creazione della fantasia. Ma chi vuole cercare le vie che conducono fuori dal mondo dei sensi arriverà subito a comprendere che la vita umana acquista valore e significato solo se si penetra con lo sguardo in un altro mondo. L’uomo, grazie a questa penetrazione, non si estranea – come molti temono – dalla vita «reale». Infatti solo per mezzo di essa egli impara a stare sicuro e saldo in questa vita. Impara a riconoscere le cause della vita mentre se le ignora muove a tastoni come un cieco attraverso gli effetti. Solo grazie alla conoscenza del soprasensibile la «realtà» sensibile acquista significato. Perciò grazie a questa conoscenza si diventa più capaci nella vita, non meno capaci. Può diventare un uomo veramente «pratico» solo chi capisce la vita.

   L’autore di questo libro non descrive nulla di cui non possa dare testimonianza per esperienza, per quella specie di esperienza che può essere fatta in questo campo. Perciò deve venire esposto solo quello che è stato sperimentato in questo senso.

   Questo libro non può essere letto nel modo in cui si usano leggere i libri nella nostra epoca. Sotto un certo aspetto ogni pagina, addirittura singole frasi, dovran-no essere elaborate. Si è teso a ciò coscientemente. Infatti solo così il libro può diventare per il lettore quello che deve diventare per lui. Chi lo scorre semplice-mente non l’avrà per nulla letto. Le sue verità devono venire sperimentate. La scienza dello spirito ha valore solo in questo senso.

   Secondo il modo di vedere della scienza comune il libro non può essere giudica-to, se il punto di vista per un tale giudizio non viene ricavato dal libro stesso. Quando il critico adotterà questo punto di vista, vedrà certamente che con questa esposizione non deve venire contraddetta in nulla la vera scientificità. L’autore sa che non ha voluto con la benché minima parola entrare in conflitto con la sua coscienziosità scientifica.

   Chi vuole cercare le verità qui esposte per un altro cammino ancora, ne troverà uno simile nella mia Filosofia della libertà. Questi due libri tendono allo stesso fine in modo diverso. Per la comprensione dell’uno l’altro non è assolutamente neces-sario, benché per alcuni sia di certo utile.

   Chi in questo libro cerca le verità «ultime» forse lo metterà da parte insoddi-sfatto. Del complessivo dominio della scienza della spirito dovevano venire date anzitutto le verità fondamentali.

   È certo insito nella natura dell’uomo chiedere subito del principio e della fine del mondo, dello scopo dell’esistenza e dell’entità di Dio. Chi però non ha in mente parole e concetti per l’intelletto, ma vere conoscenze per la vita, sa che in uno scritto che tratti dei primi elementi della conoscenza dello spirito non gli è lecito dire cose che appartengono ai gradini superiori della saggezza. Solo grazie alla comprensione di questi primi elementi diventa chiaro come debbano essere poste le domande di ordine superiore. In un altro scritto che si riallaccia a questo, cioè in La scienza occulta dello stesso autore, si trovano ulteriori comunicazioni relative al campo qui trattato.

   Nella prefazione alla seconda edizione era stato aggiunto a complemento: chi oggi dà una descrizione di fatti soprasensibili dovrebbe avere chiare due cose. La prima è che il nostro tempo ha bisogno di coltivare conoscenze soprasen-sibili; l’altra è che oggi nella vita spirituale c’è abbondanza di rappresentazioni e di sentimenti, che fanno apparire a molti una simile descrizione addirittura come confusa fantasticheria e sogno. Il tempo presente ha bisogno di conoscenze so-prasensibili, poiché tutto quanto l’uomo apprende nel modo usuale sul mondo e sulla vita suscita in lui un’infinità di domande a cui possono dare risposta solo le verità soprasensibili. Infatti a questo proposito non ci si dovrebbe ingannare: quel-lo che nell’ambito delle attuali correnti intellettuali può essere appreso sui fonda-menti dell’esistenza, per l’anima che senta profondamente non sono risposte, ma domande relative ai grandi enigmi del mondo e della vita. Per un certo tem-po qualcuno può abbandonarsi all’opinione che nei «risultati di fatti rigorosamente scientifici» e nelle deduzioni di qualcuno dei pensatori contemporanei egli abbia una soluzione agli enigmi dell’esistenza. Se però l’anima discende fino alle profon-dità a cui deve arrivare se comprende davvero se stessa, quello che da principio le è apparso come una soluzione le sembrerà solo uno stimolo alla vera domanda. E una risposta a questa domanda non deve semplicemente venire incontro ad una curiosità umana, ma da essa dipende la calma interiore e la compiutezza della vita dell’anima. La conquista di una tale risposta non soddisfa semplicemente la sete di sapere, ma rende l’uomo atto al lavoro e all’altezza dei compiti della vita, mentre la mancanza di una soluzione alle domande corrispondenti lo paralizza animicamente e in ultimo anche fisicamente. La conoscenza del soprasensibile non è semplicemente qualcosa per i nostri bisogni teorici, ma piuttosto per una vera prassi di vita. Proprio a causa della natura della vita spirituale del presente, la co-noscenza dello spirito per il nostro tempo è un ambito conoscitivo indispensabile.

   D’altra parte è un fatto che oggi molti respingano con la massima energia ciò di cui hanno più bisogno. Il potere coercitivo di molte opinioni che ci si è costruiti sulla base di «sicure esperienze scientifiche» è per alcuni così grande che essi non possono fare altro che considerare il contenuto di un libro come questo come insensatezza priva di fondamento. Chi presenta conoscenze soprasensibili può confrontarsi con simili cose del tutto privo di illusioni. – Si sarà tuttavia facilmente tentati di esigere da un simile interprete che debba dare prove «incontestabili» di ciò che egli presenta. Ma non si riflette che con ciò ci si abbandona ad un’illusione. Infatti – certo senza che si sia coscienti di ciò – si pretendono non le dimostrazioni insite nella cosa, ma quelle che si vogliono riconoscere o che si è in condizione di riconoscere. L’autore di questo scritto sa che in esso non c’è nulla che non possa riconoscere chi sta sul terreno della conoscenza della natura del nostro tempo. Sa che si può rendere giustizia a tutte le esigenze della scienza naturale e che appun-to perciò si può trovare fondato in sé il tipo di presentazione dato qui del mondo soprasensibile. Anzi, proprio un modo di pensare genuinamente scientifico dovrebbe sentirsi a suo agio in questa presentazione. E chi pensa così si sentirà toccato da certe discussioni in un modo che è caratterizzato da queste parole profondamente vere di Goethe: «Una dottrina falsa non si lascia confutare, perché poggia appunto sulla convinzione che il falso sia vero». Le discussioni sono inutili di fronte a chi voglia fare valere solo quelle prove che sono conformi al suo modo di pensare. Chi conosca l’essenza del «dimostrare» si rende chiaramente conto che l’anima umana trova ciò che è vero per vie diverse da quelle della discussione. – A partire da un simile modo di pensare viene presentata al pubblico anche la seconda edizione di questo libro.

 

Introduzione

 

   Quando Johann Gottlieb Fichte nell’autunno del 1813 espose la sua «Dottrina» quale frutto maturo di una vita tutta dedita al servizio della verità, disse subito in principio quanto segue: «Questa dottrina presuppone un senso interiore del tutto nuovo, mediante il quale viene dato un nuovo mondo che per l’uomo ordinario non esiste per nulla». E poi mostrò con una similitudine come questa sua dottrina dovesse essere incomprensibile per chi volesse giudicarla con le rappresentazioni dei sensi ordinari: «Ci s’immagini un mondo di ciechi nati, per i quali perciò siano note solo le cose e i loro nessi che esistono grazie al senso del tatto. Mescolatevi ad essi e parlate loro dei colori e delle altre condizioni che esi-stono solo grazie alla luce e per la vista. Parlerete loro del nulla, e sarà una fortu-na se ve lo dicono, perché in questo modo riconoscerete presto il vostro errore e, nel caso che non siate capaci di aprire loro gli occhi, smetterete l’inutile discorso». – Ora, chi parla agli uomini delle cose alle quali Fichte allude in questo caso si trova certo troppo spesso in una condizione simile a quella di chi vede in mezzo a ciechi nati. Ma queste cose sono proprio quelle che si riferiscono alla vera entità e allo scopo più alto dell’uomo. E chi volesse credere che sia necessario «smettere l’inutile discorso» dovrebbe con ciò perdere la speranza nell’umanità. Nemmeno un istante invece è lecito perdere la speranza che in relazione a queste cose sia possibile «aprire gli occhi» a chi porti con sé la buona volontà per arrivarci. – Fondandosi su questa premessa perciò parlarono e scrissero tutti coloro che sentirono in sé di avere sviluppato «l’organo di percezione interiore» grazie al quale essi potevano riconoscere la vera entità dell’uomo, nascosta ai sensi este-riori. Fin dai tempi più antichi perciò si è sempre di nuovo parlato di una simile «saggezza occulta». – Chi ne abbia afferrato qualcosa sente tale possesso altret-tanto sicuro quanto chi è dotato di vista sana sente il possesso delle rappresen-tazioni dei colori. Per lui perciò questa «saggezza occulta» non ha bisogno di alcuna «prova». E sa anche che essa non può avere bisogno di prove per coloro a cui come a lui si è aperto il «senso superiore». Ad un simile uomo egli può parlare così come un viaggiatore può parlare dell’America a quelli che, pur non avendo visto essi stessi l’America, possono però farsene una rappresentazione, perché vedrebbero tutto quello che egli ha visto, se se ne offrisse loro l’occasione.

   Ma chi osserva il soprasensibile non deve parlare solo ai ricercatori del mondo spirituale. Egli deve rivolgere le sue parole a tutti gli uomini, poiché deve riferire cose che riguardano tutti gli uomini; anzi egli sa che nessuno può essere «uomo» nel vero senso della parola senza una conoscenza di queste cose. E parla a tutti gli uomini perché sa che ci sono diversi gradi di comprensione per quanto egli ha da dire. Egli sa che anche quelli che sono ancora molto lontani dal momento in cui si renderà loro accessibile un’indagine spirituale propria possono portargli incontro comprensione. Il sentimento e la comprensione della verità in-fatti sono in ogni uomo. E a questa comprensione che può accendersi in ogni anima sana egli anzitutto si rivolge. Egli sa pure che in questa comprensione c’è una forza che deve condurre a poco a poco ai gradini superiori della conoscenza. Questo sentimento, che forse all’inizio non vede proprio nulla di ciò di cui gli si parla, è esso stesso il mago che apre «l’occhio dello spirito». Questo sentimento si risveglia nell’oscurità. L’anima non vede; ma attraverso questo sentimento viene afferrata dalla potenza della verità;e allora la verità a poco a poco s’avvicina all’anima e le apre il «senso superiore». Per qual-cuno ci vorrà meno tempo, per qualcun altro di più; chi ha pazienza e costanza raggiunge questa meta. – Infatti se anche non ogni cieco nato può essere ope-rato, ogni occhio spirituale può essere aperto; e quando esso venga aperto, è solo una questione di tempo.

   Erudizione e cultura scientifica non sono presupposti per l’aprirsi di questo «sen-so superiore». Esso si può aprire tanto all’uomo semplice quanto a chi ha una preparazione scientifica superiore. Ciò che ai nostri tempi viene chiamata spesso la «sola» scienza può essere spesso addirittura d’intralcio anziché di aiuto. Per que-sta scienza infatti è naturale far valere come «reale» solo quello che è accessibile ai sensi ordinari, e per quanto grandi siano i suoi meriti riguardo alla conoscenza di questa realtà, essa, quando dichiara determinante per ogni sapere umano quello che è necessario e salutare per la sua scienza, crea allo stesso tempo una quantità di preconcetti che precludono l’accesso alle verità superiori.

   Contro ciò che è detto qui viene spesso obiettato che alla conoscenza dell’uomo sono posti «limiti insormontabili». Questi limiti non si possono oltrepassare; perciò si devono respingere tutte le conoscenze che non tengano conto di tali «limiti». E si considera anzi proprio immodesto chi voglia fare affermazioni su cose riguardo alle quali per molti è certo che si trovano al di là dei limiti della facoltà conoscitiva umana. Con una simile obiezione si trascura totalmente il fatto che alla conoscen-za superiore deve precedere appunto uno sviluppo delle forze conoscitive umane. Quello che si trova al di là dei limiti del conoscere prima di un tale sviluppo, dopo il risveglio di facoltà sopite in ogni uomo si trova assolutamen-te all’interno del campo conoscitivo. – Una cosa tuttavia non deve essere trascurata. Si potrebbe dire: a cosa serve parlare a uomini di cose per le quali le loro forze conoscitive non sono deste, dunque sono loro precluse? Ma così la cosa è giudicata in modo sbagliato. Per scoprire le cose di cui si tratta qui occorrono certe facoltà: ma se, dopo che sono state scoperte, esse vengono comunicate, allora può capirle ogni uomo che voglia fare uso di una logica imparziale e di un sano senso della verità. In questo libro non vengono comunicate altre cose se non quelle che, a chiunque lasci agire in sé il pensare non unilaterale, non offuscato da alcun pregiudizio e il libero senso della verità privo di riserve, possono fare l’impressione che grazie ad esse ci si possa avvici-nare in un modo soddisfacente agli enigmi della vita umana e dei fenomeni del mondo. Ci si ponga solo per una volta dal punto di vista della domanda: se le cose che vengono qui affermate sono vere, si dà una spiegazione soddisfacente della vita? E si troverà che la vita di ogni singolo uomo dà la conferma.

   Per essere «maestro» in questi campi superiori dell’esistenza non basta però che in un uomo si sia semplicemente aperto il senso per essi. Per questo ci vuole «scienza», come ci vuole scienza per la professione di maestro nel campo della realtà comune. La «vista superiore» rende «sapienti» in materia spirituale tanto poco, quanto sensi sani rendono «dotti» nella realtà sensibile. E poiché in verità tutta la realtà, quella inferiore e quella spirituale superiore, sono solo due fac-ce della stessa e unica essenza fondamentale, così chi è ignorante nelle conoscen-ze inferiori rimarrà per lo più tale anche nelle cose superiori. Questo fatto genera in chi – per vocazione spirituale – si sente spinto a pronunciarsi sui domini spiri-tuali dell’esistenza il sentimento di una responsabilità che sconfina nell’incommen-surabile. Essa gli impone modestia e riservatezza; ciò però non dovrebbe tratte-nere nessuno dall’occuparsi delle verità superiori, nemmeno colui al quale per il resto della sua vita non è data alcuna occasione di dedicarsi alle scienze ordinarie. Si può infatti assolvere il proprio compito di uomo senza capire niente di botanica, di zoologia, di matematica e delle altre scienze; ma non si può essere «uomo» nel pieno senso della parola senza essersi in qualche modo avvicinati all’essenza e al destino dell’uomo, che si svelano grazie alla conoscenza soprasensibile.

   L’uomo indica come «elemento divino» la cosa più alta a cui può rivolgere lo sguardo. Ed egli deve pensare il suo destino più alto collegato in qualche modo con quest’elemento divino. Perciò anche la saggezza che va al di là dell’elemento sensibile, che gli manifesta il suo essere e con ciò il suo destino, può a ragione venire chiamata «saggezza divina» o teosofia. All’osservazione dei processi spirituali nella vita dell’uomo e nell’universo si può dare il nome di scienza dello spirito. Se di essa, come avviene in questo libro, si sottolineano in particolare quei risultati che si riferiscono all’essenziale nocciolo spirituale dell’uo-mo, allora per questo ambito può venire usata l’espressione «teosofia», perché essa attraverso i secoli è stata usata in un tale senso.

   A partire dall’intendimento così indicato viene delineato in questo scritto un abbozzo di una concezione teosofica del mondo. Chi l’ ha scritto non vuole esporre nulla che non sia per lui un fatto in un senso analogo a quello in cui un’espe-rienza del mondo esteriore è un fatto per gli occhi, le orecchie e l’intelletto ordina-rio. – Si ha dunque a che fare con esperienze che diventano accessibili a chiunque sia deciso a seguire il «sentiero della conoscenza» descritto in uno speciale capitolo di questo libro. Ci si pone nel modo giusto di fronte alle cose del mondo soprasensibile se si premette che un sano pensare e sentire sono in grado di comprendere tutto quello che di vere conoscenze può fluire dai mondi superiori e che, se si parte da questa comprensione e si pone con ciò il saldo fondamento, si è anche fatto un passo importante verso la visione propria, anche se per ottenere quest’ultima deve aggiungersi dell’altro. Ci si sbarrano invece le porte della vera conoscenza superiore, se si disdegna questa via e si vuole pene-trare nei mondi superiori solo in altro modo. La massima di ammettere i mondi superiori solo dopo averli visti è un ostacolo per questa stessa visione. La volontà di comprendere prima attraverso il sano pensare quello che più tardi potrà essere visto promuove questa visione. Ciò risveglia forze importanti dell’anima, le quali appunto conducono a questa «visione del veggente».

 

Primo capitolo

L’ENTITÀ DELL’UOMO

 

   Le seguenti parole di Goethe indicano in bella maniera il punto di partenza di una delle vie sulle quali può venire conosciuta l’entità dell’uomo: «Appena l’uo-mo si accorge degli oggetti intorno a lui, li considera in relazione a se stesso; e con ragione, poiché tutto il suo destino dipende dal fatto che essi gli piacciano o no, lo attirino o lo respingano, gli servano o lo danneggino. Questo modo del tutto naturale di guardare le cose e di giudicarle sembra essere tanto facile quanto è necessario, eppure espone l’uomo a mille errori che spesso lo confondono e gli amareggiano la vita. – Un lavoro quotidiano ben più difficile si assumono quelli il cui vivace impulso di conoscenza tende ad osservare gli oggetti della natura in sé e nei loro reciproci rapporti; essi infatti sentono ben presto la mancanza della norma che viene loro in aiuto quando, come uomini, considerano le cose in rela-zione a se stessi. Manca loro la norma del piacere e del dispiacere, dell’attrazione e della repulsione, del vantaggio e del danno. A questo devono rinunciare del tutto; devono, quali esseri indifferenti e per così dire divini, cercare ed esaminare quello che è, e non quello che piace. Così, né la bellezza né l’utilità delle piante devono toccare il vero botanico; egli ha da esaminare la loro forma-zione, il loro rapporto col restante regno vegetale; e come esse vengono attratte e illuminate dal sole, così egli deve guardarle e abbracciarle tutte con uno sguardo imparziale e tranquillo e ricavare la norma di questa conoscenza, i dati del giudizio non da se stesso, ma dalla cerchia delle cose che egli osserva».

   Questo pensiero espresso da Goethe richiama l’attenzione dell’uomo su tre cose. La prima sono gli oggetti, dei quali gli giunge continuamente notizia attraverso la porta dei suoi sensi, che egli tocca, annusa, gusta, ascolta e vede. La seconda so-no le impressioni che essi fanno su di lui e che vengono indicate come suo piacere e dispiacere, suo desiderio o avversione, per il fatto che egli trovi l’uno simpatico e l’altro antipatico, l’uno utile e l’altro dannoso. La terza cosa sono le conoscenze che egli, come «essere per così dire divino», si conquista riguardo agli oggetti; sono i misteri dell’azione e dell’esistenza di questi oggetti che gli si rivelano.

   Nella vita umana questi tre campi si distinguono chiaramente. E da ciò l’uomo si accorge di essere congiunto al mondo in triplice modo. – Il primo modo è qual-cosa che egli si trova di fronte, che accetta come un dato di fatto. Grazie al secon-do modo egli fa del mondo una questione che lo riguarda, qualcosa che ha signifi-cato per lui. Il terzo modo egli lo considera come uno scopo verso cui deve tende-re incessantemente.

   Perché all’uomo il mondo appare in questo triplice modo? Una semplice conside-razione può mostrarlo: cammino sopra un prato coperto di fiori. I fiori mi rivelano i loro colori attraverso i miei occhi. Questo è il fatto che accetto come dato. – Io mi rallegro per lo splendore dei colori. Per mezzo di ciò trasformo il fatto in vicenda mia propria. Per mezzo dei miei sentimenti congiungo i fiori con la mia propria esistenza. Un anno dopo cammino di nuovo sullo stesso prato. Ci sono altri fiori. Da essi nasce per me una nuova gioia. La mia gioia dell’anno precedente sorgerà come ricordo. Essa è in me; l’oggetto che l’ ha suscitata è scomparso. Ma i fiori che vedo adesso sono della stessa specie di quelli dell’anno precedente; sono cresciuti come quelli, secondo le stesse leggi. Se mi sono chiarito quella specie, quelle leggi, le ritrovo nei fiori di quest’anno così come le ho riconosciute in quelli dell’anno prima. E forse allora rifletterò: i fiori dell’anno scorso sono scomparsi; la gioia che mi hanno dato è rimasta solo nel mio ricordo. È congiunta solo con la mia esistenza. Ma ciò che l’anno scorso ho riconosciuto in rapporto ai fiori e che torno a riconoscere quest’anno durerà finché crescono fiori simili. Questo è qual-cosa che mi si è rivelato, ma che non dipende dalla mia esistenza nello stesso modo della mia gioia. I miei sentimenti di gioia restano in me; le leggi, l’essenza dei fiori rimangono fuori di me nel mondo.

   Così l’uomo si congiunge continuamente in questo triplice modo con le cose del mondo. Non si introduca inizialmente nulla in questo fatto, ma lo si accolga come si presenta. Da esso risulta che l’uomo ha tre aspetti nella sua entità. Questo e niente altro deve per ora essere indicato qui con le tre parole corpo, anima e spirito. Chi unisca a queste tre parole una qualsia-si idea preconcetta o magari qualche ipotesi, dovrà necessariamente fraintendere le esposizioni che seguono. Con corpo s’intende qui ciò grazie a cui si manife-stano all’uomo le cose del mondo che lo circonda, come i fiori del prato nell’esem-pio precedente. Con la parola anima deve essere indicato ciò grazie a cui egli congiunge le cose con la sua propria esistenza, grazie a cui in relazione ad esse sente piacere e dispiacere, desiderio e avversione, gioia e dolore. Per spirito s’intende ciò che si manifesta in lui quando, secondo l’espressione di Goethe, egli guarda le cose quale «essere per così dire divino». – In questo senso l’uomo con-siste di corpo, anima e spirito.

   Grazie al suo corpo l’uomo può mettersi in relazione momentanea con le cose. Grazie alla sua anima conserva in sé le impressioni che esse fanno su di lui; e grazie al suo spirito gli si manifesta ciò che le cose custodiscono in se stesse. Solo se si considera l’uomo secondo questi tre aspetti si può sperare di ottenere una spiegazione riguardo alla sua entità. Questi tre aspetti infatti lo mostrano impa-rentato in tre modi diversi col restante mondo.

   Grazie al suo corpo egli è imparentato con le cose che si offrono ai suoi sensi da fuori. Le sostanze del mondo esterno compongono questo suo corpo; le forze del mondo esterno agiscono anche in esso. E come egli osserva le cose del mondo esterno con i suoi sensi, così può anche osservare la sua propria esistenza corpo-rea. Ma è impossibile osservare allo stesso modo l’esistenza animica. Tutto quello che  in me sono processi corporei può anche essere percepito con i sensi corporei. Il mio piacere e dispiacere, la mia gioia e il mio dolore non possono essere perce-piti con sensi corporei né da me né da un altro. L’anima è un ambito inaccessibile all’esperienza corporea. L’esistenza corporea dell’uomo è manifesta agli occhi di tutti; quella animica egli la porta in sé come suo mondo. Grazie allo spirito il mondo esterno gli si manifesta però in un modo superiore. I segreti del mondo esterno si svelano sì nella sua interiorità; ma nello spirito egli esce fuori da se stesso e lascia che le cose parlino di sé, di quello che ha significato non per lui ma per esse. L’uomo alza lo sguardo al cielo stellato: l’incanto che prova la sua anima gli appartiene; le eterni leggi delle stelle che egli afferra nel pensiero, nello spirito, non appartengono a lui, ma alle stelle stesse.

   Così l’uomo è cittadino di tre mondi. Grazie al suo corpo appartiene al mondo che può percepire col corpo stesso; grazie alla sua anima egli si costruisce il suo proprio mondo; grazie al suo spirito gli si rivela un mondo che si eleva al di sopra degli altri due.

   Appare evidente che a causa della differenza essenziale tra questi tre mondi si potrà similmente conquistarsi chiarezza su di essi e sulla partecipazione che ad essi ha l’uomo solo attraverso tre diversi modi di osservazione.

 

I. L’entità corporea dell’uomo

 

   Il corpo dell’uomo si conosce per mezzo dei sensi corporei. Nel fare ciò il modo d’osservazione non può essere diverso da quello per mezzo del quale si conoscono altri oggetti percepibili ai sensi. Come si osservano i minerali, le piante, gli animali, così si può anche osservare l’uomo. Egli è imparentato con queste tre forme d’esi-stenza. Come i minerali costruisce il suo corpo a partire dalle sostanze della na-tura; come le piante cresce e si riproduce; come gli animali percepisce gli oggetti intorno a sé e forma esperienze interiori sulla base delle sue impressioni. Si può quindi attribuire all’uomo un’esistenza minerale, una vegetale e una animale.

   La differenza nella struttura di minerali, piante e animali corrisponde alle tre for-me della loro esistenza. E questa struttura – la forma – è ciò che si percepisce coi sensi e che solo può venire chiamato corpo. Ora però il corpo umano è diverso da quello animale. Ognuno deve riconoscere questa differenza, indipendentemente da come possa poi pensare circa la parentela dell’uomo con gli animali. Anche il materialista più radicale che neghi ogni elemento animico non potrà fare a meno di sottoscrivere la seguente frase che il Carus esprime nel suo Organon della co-noscenza della natura e dello spirito: «La struttura più sottile e intima del sistema nervoso e in particolare del cervello resta pur sempre un problema insoluto per il fisiologo e per l’anatomista; ma che la concentrazione delle forme [Gebilde] vada sempre più aumentando nella serie animale e raggiunga nell’uomo un grado che non si trova proprio in nessun altro essere, è un fatto completamente assodato: per lo sviluppo spirituale dell’uomo è del più alto significato, anzi possiamo addirittura dire che in verità è già la spiegazione sufficiente. Perciò dove la struttu-ra del cervello non si è sviluppata adeguatamente, dove si tradiscono limitatezza e insufficienza dello stesso, come nel caso del microcefalo e dell’idiota, si capisce da sé che si può parlare del sorgere di idee originali e di un conoscere tanto poco, quanto si può parlare di riproduzione della specie per un uomo con organi genitali del tutto deformi. Al contrario una struttura vigorosa e ben sviluppata di tutto l’uomo e in particolare del cervello non sostituirà certo da sola il genio, ma offrirà in ogni caso la condizione prima e indispensabile per la conoscenza superiore. »

   Come si riconoscono al corpo umano le tre forme di esistenza, quella minerale, quella vegetale e quella animale, gliene si deve riconoscere anche una quarta, quella specificamente umana. Grazie alla sua forma di esistenza minerale l’uomo è imparentato con tutto ciò che è visibile; grazie a quella vegetale con tutti gli esseri che crescono e si riproducono; grazie a quella animale con tutti quelli che percepiscono il loro ambiente e sulla base di impressioni esteriori hanno esperienze interiori; grazie a quella umana costituisce già dal punto di vista corporeo un regno a sé.

 

II. L’entità animica dell’uomo

 

   In quanto mondo interiore particolare l’entità animica dell’uomo è di-stinta dalla sua corporeità. La particolarità viene incontro immediatamente se si ri-volge l’attenzione alla più semplice sensazione. Nessuno può in un primo mo-mento sapere se un altro sperimenta una tale semplice sensazione in modo esat-tamente identico al suo. È noto che ci sono persone che sono daltoniche. Queste vedono le cose solo in sfumature diverse di grigio. Altre sono daltoniche in parte. Esse perciò non possono percepire certe gradazioni di colore. L’immagine del mondo che l’occhio dà loro è diversa da quella delle persone cosiddette normali. E lo stesso vale più o meno per gli altri sensi. Da ciò deriva senz’altro che già la semplice sensazione appartiene al mondo interiore. Coi miei sensi corporei posso percepire la tavola rossa che anche un altro percepisce; ma io non posso percepi-re la sensazione del rosso dell’altro. – Si deve dunque indicare la sensazione come elemento animico. Se solo ci si chiarisce bene questo fatto, allora si smetterà presto di considerare le esperienze interiori come semplici proces-si cerebrali o simili. – Alla sensazione si connette anzitutto il sentimento. Una sensazione produce piacere nell’uomo, un’altra dispiacere. Questi sono moti della sua vita interiore, animica. Nei suoi sentimenti l’uomo si crea un altro mondo in aggiunta a quello che agisce su di lui dall’esterno. E un terzo elemento intervi-ene: la volontà. Grazie ad essa l’uomo torna ad agire di nuovo sul mondo esterno. E in tal modo egli imprime nel mondo esterno il suo essere interiore. L’anima del-l’uomo fluisce per così dire all’esterno negli atti della sua volontà. Le azioni del-l’uomo si distinguono dagli eventi della natura esteriore per il fatto che le prime portano l’impronta della sua vita interiore. Così l’anima si contrappone al mondo esterno come elemento proprio dell’uomo. Egli riceve gli stimoli dal mondo esterno; ma forma un mondo proprio in conformità a quegli stimoli. La corporeità diventa la base dell’elemento animico.

 

III. L’entità spirituale dell’uomo

 

   L’elemento animico dell’uomo non viene determinato solo per mezzo del corpo. L’uomo non vaga senza direzione né scopo da un’impressione sensoria all’altra; non agisce neanche sotto l’impressione di qualsiasi stimolo che venga esercitato su di lui dall’esterno o per mezzo dei processi del suo corpo. Egli riflette sulle sue percezioni e sulle sue azioni. Per mezzo della riflessione sulle percezioni si conquista conoscenza riguardo alle cose; per mezzo della riflessione sulle sue azioni porta nella sua vita un nesso conforme a ragione. E sa di assolvere degna-mente il proprio compito di uomo solo se si lascia guidare tanto nel conoscere quanto nell’agire da pensieri giusti. L’elemento animico si trova così di fronte ad una duplice necessità. Dalle leggi del corpo esso è determinato per mez-zo di necessità naturale; dalle leggi che lo guidano al giusto pensare esso si lascia determinare, perché riconosce liberamente la loro necessità. Alle leggi del ricam-bio l’uomo è sottomesso per natura; alle leggi del pensiero si sottomette da sé. – In tal modo l’uomo si rende partecipe di un ordine superiore a quello a cui appar-tiene per via del suo corpo. E quest’ordine è quello spirituale. Come l’ele-mento corporeo è differente da quello animico, così quest’ultimo a sua volta è dif-ferente da quello spirituale. Finché si parla solamente delle molecole di carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno che si muovono nel corpo, non si considera l’anima. La vita animica comincia solo là dove, nell’ambito di quel movimento, sorge la sensa-zione «sento un sapore dolce», oppure «provo piacere». Altrettanto poco si consi-dera lo spirito finché si osservano solo le espe-rienze animiche che attraver-sano l’uomo quando egli si abbandona interamente al mondo esterno e alla vita del suo corpo. Questo elemento animico è solo la base per quello spirituale, come quello corporeo è la base per l’elemento animico. – Lo scienziato della natura ha a che fare con il corpo, lo scienziato dell’anima con l’anima e lo scienziato dello spirito con lo spirito. Da chi voglia spiegarsi pensando l’essere dell’uomo si deve esigere che, attraverso la riflessione sul suo proprio sé, si chiarisca la diffe-renza tra corpo, anima e spirito.

 

IV. Corpo, anima e spirito

 

   L’uomo può comprendere se stesso in modo giusto solo se si chiarisce il signifi-cato che il pensare ha nella sua entità. Il cervello è lo strumento corporeo del pensare. Come l’uomo può vedere i colori solo con un occhio configurato bene, così il cervello adeguatamente conformato gli serve per pensare. L’intero corpo dell’uomo è configurato così da trovare nell’organo dello spirito, nel cervello, il proprio coronamento. Si può capire la struttura del cervello umano solo se lo si considera in relazione al suo compito. Quest’ultimo consiste nell’essere la base corporea dello spirito pensante. Uno sguardo comparativo al mondo animale lo mostra. Negli anfibi il cervello è ancora piccolo in confronto al midollo spinale; nei mammiferi è relativamente più grande. Nell’uomo raggiunge la massima gran-dezza rispetto a tutto il resto del corpo.

   Contro osservazioni intorno al pensare simili a quelle qui esposte domina-no vari pregiudizi. Alcuni uomini tendono a sottovalutare il pensare e a porre più in alto «l’intima vita del sentimento», la «sensazione». Si dice: alle conoscenze superiori ci si eleva non per mezzo del «freddo pensiero», ma per mezzo del calo-re del sentimento, per mezzo della forza immediata delle sensazioni. Uomini che parlano così temono per mezzo di un pensiero chiaro di smorzare i sentimenti. Nel pensare quotidiano che si riferisce solo alle cose utilitaristiche è di sicuro così. Ma nel caso dei pensieri che guidano in regioni superiori dell’esistenza si verifica l’op-posto. Non esiste sentimento o entusiasmo che si lasci paragonare per calore, bel-lezza ed elevatezza alle sensazioni che vengono suscitate per mezzo dei pensieri puri, cristallini, che si riferiscono a mondi superiori. I sentimenti più alti appunto non sono quelli che si presentano «da sé», ma quelli che vengono conquistati con un energico lavoro di pensiero.

   Il corpo umano ha una struttura corrispondente al pensare. Le stesse sostanze e forze che sono presenti anche nel regno minerale, nel corpo umano si trovano combinate in modo che grazie a questa combinazione possa manifestarsi il pensare. Questa struttura minerale configurata in conformità al suo compito verrà chiamata nelle considerazioni seguenti il corpo fisico dell’uomo.

   La struttura minerale, costituita in modo da avere come suo punto centrale il cervello, nasce per mezzo di riproduzione e consegue la sua figura compiuta per mezzo di crescita. L’uomo ha riproduzione e crescita in comu-ne con le piante e con gli animali. Per mezzo di riproduzione e crescita il vivente si distingue dal minerale privo di vita. Il vivente nasce dal vivente per mezzo del germe. Il discendente si riallaccia all’antenato nella serie del vivente. Le forze per mezzo delle quali si forma un minerale sono legate alle sostanze stesse che lo compongono. Un cristallo di rocca si forma per mezzo delle forze insite nel silicio e nell’ossigeno che in lui si congiungono. Le forze che configurano un albero di quercia dobbiamo cercarle per via indiretta attraverso il germe nella pianta mate-rna e paterna. E la forma della quercia si conserva nella riproduzione dagli antena-ti ai discendenti. Ci sono condizioni interiori che sono innate nel vi-vente. – Era una concezione della natura grossolana quella che credeva che gli animali inferiori, persino i pesci potessero formarsi dal fango. La forma del vivente si riproduce per mezzo di ereditarietà. Il modo in cui un essere vivente si sviluppa dipende dall’essere paterno o materno da cui è nato oppure, con altre parole, dalla specie a cui appartiene. Le sostanze di cui si compone mutano incessantemente; la specie permane durante la vita e si trasmette ai discen-denti. La specie dunque è ciò che determina la combinazione delle sostanze. Questa forza che configura la specie verrà chiamata forza vitale[1]. Come le forze minerali si esprimono nei cristalli, così la forza vitale formatrice si esprime nelle specie o forme della vita vegetale e animale.

   L’uomo percepisce le forze minerali attraverso i sensi corporei. E può percepire solo ciò per cui ha tali sensi. Senza l’occhio non c’è alcuna percezione della luce, senza l’orecchio non c’è alcuna percezione del suono. Di tutti i sensi presenti nel-l’uomo, gli organismi inferiori hanno solo una specie di senso del tatto[2]. Per essi esistono al modo della percezione umana solo quelle forze minerali che si fanno riconoscere dal senso del tatto. Nella misura in cui negli animali superiori sono sviluppati gli altri sensi, il mondo circostante, che anche l’uomo percepisce, è per essi più ricco, più vario. Dipende dunque dagli organi di un essere se quanto esi-ste nel mondo esterno esiste anche per l’essere stesso come percezione, come sensazione. Quello che nell’aria esiste come un determinato movimento diventa nell’uomo sensazione di suono. – L’uomo non percepisce le manifestazioni della forza vitale per mezzo dei sensi ordinari. Egli vede i colori della pianta, an-nusa il suo profumo; la forza vitale rimane nascosta a questo modo di osservazione. Ma come il cieco nato non ha ragione di negare i colori, così non è lecito ai sensi ordinari negare la forza vitale. I colori esistono per il cieco nato non appena egli sia stato operato; allo stesso modo esistono per l’uomo anche come percezione le multiformi specie di piante e di animali create dalla forza vitale, e non solamente gli individui, se gli si apre l’organo corrispondente. – Grazie all’aprirsi di questo organo sorge per l’uomo un mondo del tutto nuovo. Ora egli non percepisce più solamente i colori, gli odori e le altre manifestazioni degli esseri viventi, ma percepisce la vita di questi stessi esseri vi-venti. In ogni pianta, in ogni animale egli sente oltre alla figura fisica anche la figura spirituale piena di vita. Per avere un’espressione che indichi ciò, chiameremo questa figura spirituale corpo eterico o corpo vitale[3]. – Per il ricercatore della vita spirituale questa cosa si presenta nel modo seguente. Per lui il corpo eterico non è semplicemente un risultato delle sostanze e delle forze del corpo fisico, ma al contrario è un’entità reale autonoma, che risveglia alla vita tali sostanze e forze fisiche. Si parla nel senso della scienza dello spirito se si dice: un corpo solamente fisico, ad esempio un cristallo, ha la sua figura grazie alle forze formatrici fisiche che si trovano in ciò che è privo di vita; un corpo vivente ha la sua forma non grazie a queste forze, poiché nell’istante in cui la vita si è ritirata da esso ed è abbandonato solo alle forze fisiche, si decompone. Il corpo vitale è un’entità grazie alla quale in ogni istante della vita il corpo fisico viene preservato dalla decomposizione. – Per vedere questo corpo vitale, per percepirlo in un altro essere è necessario appunto l’occhio spirituale risvegliato. Senza questo si può ammet-terne l’esistenza per ragioni logiche; ma lo si può vedere con l’occhio spiri-tuale, come con l’occhio fisico si vede il colore. – Non ci si dovrebbe scandalizzare per l’espressione «corpo eterico». «Etere» indica qui qualcosa di diverso dall’ipo-tetico etere della fisica. Si prenda la cosa semplicemente come denominazione per ciò che qui viene descritto. E come il corpo fisico umano nella sua struttura è un immagine del suo compito, così lo è anche il corpo eterico dell’uomo. Esso viene anche compreso solo se lo si considera in relazione allo spirito pensante. Il corpo eterico dell’uomo si distingue da quello delle piante e degli animali per il fatto di essere subordinato allo spirito pensante. – Come grazie al suo corpo fisico l’uomo appartiene al mondo minerale, così grazie al suo corpo eterico appartiene al mon-do della vita. Dopo la morte il corpo fisico si dissolve nel mondo minerale, il corpo eterico nel mondo vitale. Con «corpo» deve venir indicato quello che dà «forma», «figura» ad un essere di una qualsiasi specie. Non si dovrebbe confondere l’e-spressione «corpo» con forma corporea sensibile. Nel senso inteso in questo libro il termine «corpo» può essere usato anche per quanto si configura come animico e spirituale.

   Il corpo vitale è ancora qualcosa di esterno all’uomo. Col primo moto della sen-sazione l’interiorità stessa risponde agli stimoli del mondo esterno. Per quanto lon-tano si possa seguire quello che si ha diritto di chiamare mondo esterno, non si potrà trovare la sensazione. – I raggi luminosi penetrano nell’occhio; si propagano all’interno di esso fino alla retina. Là (nella cosiddetta porpora retinica) provocano processi chimici; l’effetto di questi stimoli si propaga attraverso il nervo ottico fino al cervello, qui sorgono ulteriori processi fisici. Se si potessero osservare, si vedrei-bero esattamente processi fisici come in altre parti del mondo esterno. Se sono in grado di osservare il corpo vitale, percepirò come il processo cerebrale fisico sia allo stesso tempo un processo vitale. Ma lungo questa via non posso trovare in al-cun luogo la sensazione del colore blu che ha l’uomo che accoglie in sé i raggi lu-minosi. Essa sorge solo entro l’anima di quell’uomo. Se dunque l’essere di quel-l’uomo fosse esaurito con la corporeità fisica e col corpo eterico, allora la sensa-zione non potrebbe esistere. L’attività per mezzo della quale la sensazione diventa dato di fatto si distingue essenzialmente dall’azione della forza formativa vitale. Per mezzo di quell’attività viene suscitata da quest’azione un’esperienza interiore. Senza quest’attività si avrebbe un semplice processo vitale, quale si osserva anche nella pianta. Ci si rappresenti l’uomo, come egli riceva impressioni da ogni parte. Lo si deve pensare come fonte dell’attività indicata allo stesso tempo in tutte le di-rezioni da cui riceve queste impressioni. Da ogni parte le sensazioni rispondono al-le impressioni. Vogliamo chiamare questa fonte di attività anima sen-ziente. L’anima senziente è reale quanto il corpo fisico. Quando un uomo mi sta di fronte e io prescindo dalla sua anima senziente rappresentandolo solo come corpo fisico, è proprio come se di un quadro io mi rappresentassi solo la tela.

   Anche riguardo alla percezione dell’anima senziente va detto qualcosa di simile a quello che è stato detto rispetto al corpo eterico. Gli organi corporei sono «ciechi» per essa. E lo è anche l’organo dal quale la vita può essere percepita come vita. Ma come grazie a questo organo viene visto il corpo eterico, così grazie ad un or-gano ancora superiore il mondo interiore delle sensazioni può diventare una spe-cie particolare di percezioni soprasensibili. L’uomo allora non sente solo le impres-sioni del mondo fisico e di quello vitale, ma vede le sensazioni. A un uomo do-tato di questo organo il mondo delle sensazioni di un altro essere sta di fronte come una realtà esteriore. Si deve distinguere tra lo sperimentare il proprio mon-do di sensazioni e il contemplare il mondo delle sensazioni di un altro essere. Nel proprio mondo di sensazioni può naturalmente guardare ogni uomo; vedere il mondo delle sensazioni di un altro essere può farlo solo il veggente con l’«occhio spirituale» aperto. Senza essere veggente l’uomo conosce il mondo delle sensazioni solo come mondo «interiore», solo come proprie esperienze nascoste della sua anima; con l’«occhio spirituale» aperto s’illumina di fronte allo sguardo spirituale esteriore quello che altrimenti vive solo «nell’interiorità» del-l’altro essere.

 

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   Per evitare malintesi sia detto qui esplicitamente che il veggente non sperimenta in sé ciò che l’altro essere ha in sé come suo contenuto del mondo della sensa-zione. Quest’ultimo sperimenta le sensazioni dal punto di vista della sua interiorità; il veggente percepisce una rivelazione, una manifestazione del mondo della sensazione.

   L’anima senziente dipende per quanto riguarda la sua attività dal corpo eterico. Da esso infatti attinge ciò che deve fare risplendere come sensazione. E poiché il corpo eterico è la vita entro il corpo fisico, l’anima senziente dipende indiretta-mente anche da questo. Solo con un occhio sano e ben formato sono possibili adeguate sensazioni di colore. Grazie a ciò la corporeità agisce sull’anima senzien-te. Questa è dunque determinata e limitata nella sua azione per mezzo del corpo. Essa vive entro i confini che le sono tracciati dalla corporeità. – Il corpo viene dunque formato a partire dalle sostanze minerali, vivificato per mezzo del corpo eterico, e a sua volta limita l’anima senziente. Chi dunque ha l’organo sopra citato capace di «vedere» l’anima senziente, la riconosce limitata dal corpo. – Ma il limite dell’anima senziente non coincide con quello del corpo fisico. Quest’anima sporge oltre il corpo fisico. Da ciò si vede che essa si mostra più potente di quello. Ma la forza per mezzo della quale le è posto il limite proviene dal corpo fisico. In tal modo tra il corpo fisico e l’eterico da un lato e l’anima senziente dall’altro s’inse-risce un altro particolare elemento dell’entità umana. È il corpo animico o corpo senziente. Si può anche dire: una parte del corpo eterico è più fine dell’altra e questa parte più fine del corpo eterico forma un’unità con l’anima senziente, mentre la parte più grossolana forma una specie di unità col corpo fisico. In ogni caso, com’è stato detto, l’anima senziente sporge oltre il corpo animico.

   Ciò che qui è stato chiamato sensazione è solo una parte dell’entità animica. (L’espressione «anima senziente» viene scelta per ragioni di semplicità[4]). Alle sensazioni si collegano i sentimenti di piacere e dispiacere, gli impulsi, gli istinti, le passioni. Tutto ciò porta lo stesso carattere di vita personale delle sensazioni e dipende, come quelle, dalla corporeità.

 

 

 

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   Come col corpo, l’anima senziente entra in reciprocità d’azione col pensare, con lo spirito. Anzitutto il pensare è al suo servizio. L’uomo si forma pensieri riguardo alle sue sensazioni. In tal modo egli si spiega il mondo esteriore. Il bambino che si è scottato riflette e arriva al pensiero: «Il fuoco brucia». L’uomo non segue alla cieca nemmeno i propri impulsi, gli istinti e le passioni; il suo riflettere crea la con-dizione grazie alla quale egli può soddisfarli. Ciò che si chiama civiltà materiale va assolutamente in questa direzione. Essa consiste nei servizi che il pensare rende all’anima senziente. Incommensurabili quantità di forze di pensiero vengono im-piegate a questo scopo. È forza di pensiero quella che ha costruito navi, ferrovie, telegrafi, telefoni; e tutto ciò serve in massima parte al soddisfacimento dei biso-gni delle anime senzienti. In modo simile a come la forza formativa vitale compe-netra il corpo fisico, la forza di pensiero compenetra l’anima senziente. La forza formativa vitale congiunge il corpo fisico ad antenati e discendenti e lo pone in questo modo in un ordine di leggi che non riguarda per nulla l’elemento puramen-te minerale. Allo stesso modo la forza di pensiero pone l’anima in un ordine di leggi al quale essa come semplice anima senziente non appartiene. – Per mezzo dell’anima senziente l’uomo è imparentato all’animale. Anche nell’animale osser-viamo l’esistenza di sensazioni, istinti e passioni. Ma l’animale li segue immediata-mente. In lui essi non vengono intessuti con pensieri autonomi, che tra-scendono l’esperienza immediata[5]. Lo stesso accade fino ad un certo punto anche in uomini non evoluti. La semplice anima senziente è diversa dall’evoluto elemento animico superiore che pone il pensiero al proprio servizio. Quest’anima servita dal pensiero la indichiamo come anima razionale.

   L’anima razionale compenetra l’anima senziente. Chi ha l’organo capace di «ve-dere» l’anima considera perciò l’anima razionale come un’entità particolare rispetto alla semplice anima senziente.

 

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   Mediante il pensare l’uomo viene condotto oltre la sua vita propria. Egli si con-quista qualcosa che va al di là della sua anima. È per lui una convinzione ovvia che le leggi del pensiero concordino con l’ordine dell’universo. Egli si considera co-me appartenente al mondo perché esiste tale concordanza. Questa concordanza è uno dei fatti importanti grazie ai quali l’uomo impara a conoscere la propria entità. Nella sua anima l’uomo cerca la verità; e attraverso questa verità si esprime non solo l’anima, ma si esprimono anche le cose del mondo. Quello che grazie al pensare viene riconosciuto come verità ha un significato autonomo che si riferisce alle cose del mondo, non solo alla propria anima. Con il mio entusiasmo per il cielo stellato io vivo in me; i pensieri che mi formo sulle orbite dei corpi celesti hanno per il pensare di chiunque altro lo stesso significato che hanno per il mio. Sarebbe privo di senso parlare del mio entusiasmo se io stes-so non esistessi; ma non è allo stesso modo privo di senso parlare dei miei pensieri, anche senza riferimento a me. Infatti la verità che io penso oggi era vera anche ieri e sarà vera domani, anche se io me ne occupo solo oggi. Se una conoscenza mi dà gioia, questa gioia ha significato finché vive in me; la verità della conoscenza ha il suo significato indipendentemente da tale gioia. Nell’afferrare la verità l’anima si congiunge con qualcosa che porta in sé il suo valore. E questo valore non scompare con la sensazione dell’anima, così come non è sorto con essa. Quello che è davvero verità non sorge e non passa: ha un significato che non può essere annientato. – A ciò non contraddice il fatto che singole «verità» umane abbiano solo un valore transitorio, poiché dopo qualche tempo vengono riconosciute come errori parziali o totali. L’uomo deve dirsi infatti che la verità esiste in se stessa e che i suoi pensieri sono solo aspetti transitori delle verità eterne. Anche chi, come Lessing, dice di accontentarsi dell’eterno anelito verso la verità, poiché la verità pura e intera potrebbe esistere solo per un Dio, non nega il valore di eternità della verità, ma lo conferma proprio grazie ad una tale asserzione. Infatti solo ciò che ha in se stesso significato eterno può risvegliare nei suoi propri confronti un’eterna aspirazione. Se la verità non sussi-stesse in sé, se derivasse il suo valore e il suo significato per mezzo della sensi-bilità [Empfindung] dell’anima umana, allora non potrebbe costituire un’unica meta per tutti gli uomini. In quanto si vuole tendere ad essa le si riconosce la sua entità autonoma.

   E quello che vale per il vero, vale anche per ciò che è veramente buono. Il bene morale è indipendente da inclinazioni e passioni, in quanto non si lascia comandare da esse, ma comanda loro. Piacere e dispiacere, desiderio e repulsione appartengono all’anima propria dell’uomo; il dovere sta al di sopra di piacere e dispiacere. Il dovere può stare così in alto per l’uomo che egli sacrifichi per esso la vita. E l’uomo sta tanto più in alto quanto più ha nobilitato le sue inclinazioni, il suo piacere e dispiacere al punto che essi, senza costrizione, senza assoggettamento, seguano per se stessi il dovere riconosciuto. Il bene morale, come la verità, ha il proprio valore eterno in sé e non l’ottiene grazie all’anima senziente.

   In quanto l’uomo fa rivivere nella propria interiorità quello che è vero e buono in sé, si innalza al di sopra della semplice anima senziente. Lo spirito eterno risplen-de in questa. Sorge in essa una luce che è imperitura. Fintanto che l’anima vive in questa luce è partecipe di un elemento eterno. Essa collega a questo la sua propria esistenza. – Ciò che l’anima porta in sé di vero e di buono è immor-tale in lei. Ciò che risplende nell’anima come elemento eterno vogliamo qui chiamarlo anima cosciente. – Si può parlare di coscienza anche in relazione ai moti inferiori dell’anima. La sensazione più ordinaria è oggetto della coscienza. Da questo punto di vista anche l’animale possiede una coscienza. Con anima cosciente è inteso qui il nocciolo della coscienza umana, cioè l’anima nell’anima. L’anima cosciente viene qui ulteriormente distinta dall’anima razionale come una componente particolare dell’anima. L’anima razionale è ancora impigliata nelle sensazioni, negli istinti, nelle emozioni e così via. Ogni uomo sa come in un primo tempo gli sembri vero ciò che nelle sue sensazioni e così via egli preferisce. Ma è duratura solo quella verità che si è liberata da ogni traccia di simili simpatie o antipatie delle sensazioni e così via. La verità è vera anche quando tutti i sentimenti personali le si sollevano contro. Quella parte dell’anima in cui vive questa verità può essere chiamata anima cosciente.

   Così anche nell’anima come nel corpo si dovrebbero distinguere tre parti: l’anima senziente, l’anima razionale e l’anima cosciente. E come dal basso la corporeità agisce sull’anima limi-tando, così dall’alto verso il basso la spiritualità agisce su di essa ampliando. Infatti quanto più l’anima si riempie di ciò che è vero e buono, tanto più l’eterno in lei cresce e la compenetra. – Per chi sia in grado di «vedere» l’anima, lo splendore che emana dall’uomo per l’accrescersi dell’eterno in lui è altrettanto reale quanto per l’occhio sensibile è reale la luce irradiata da una fiamma. Per il «veggente» l’uomo corporeo costituisce solo una parte dell’uomo intero. Il corpo sta come formazione più grossolana in mezzo ad altre che lo compenetrano e si com-penetrano reciprocamente. Come una forma di vita il corpo eterico riempie il corpo fisico; sporgente in ogni direzione al di là di questa si riconosce il corpo animico (figura astrale). E di nuovo sporgente su quest’ultimo l’anima senziente, poi l’ani-ma razionale che diventa tanto più grande quanto più accoglie in sé di verità e di bene. Questa verità e questo bene infatti determinano l’ampliamento dell’anima razionale. Un uomo che vivesse solo le proprie inclinazioni, il proprio piacere e dispiacere avrebbe un’anima razionale i cui limiti coinciderebbero con quelli della sua anima senziente. Queste formazioni, nel cui centro il corpo fisico appare come in una nube, si posso chiamare l’aura umana. Essa è ciò di cui l’«entità dell’uomo» si arricchisce quando viene guardata nel modo in cui tenta di descri-verla questo libro.

 

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   Nel corso dell’evoluzione infantile si presenta nella vita dell’uomo il momento in cui per la prima volta egli si sente come un essere indipendente di fronte a tutto il resto del mondo. Per uomini di fine sensibilità questa è un’esperienza significativa. Il poeta Jean Paul racconta nella sua biografia: «Non dimenticherò mai quello che accadde in me, e di cui non feci mai parola a nessuno, quando assi-stetti alla nascita della mia autocoscienza, momento di cui so indicare tempo e luogo. Una mattina, ancora bimbo, mi trovavo sotto il portone della casa e guardavo a sinistra verso la legnaia, allorché ad un tratto la visione interiore «Io sono un io» mi colpì come una folgore del cielo e da allora continuò a risplendere in me. In quell’attimo il mio io aveva visto se stesso per la prima volta e per sempre. È difficile pensare qui ad un inganno della memoria, poiché nessun racconto estraneo poteva mescolarsi con aggiunte in un avvenimento svoltosi nel più recondito santuario dell’uomo, la cui novità soltanto poteva dare carattere di permanenza a circostanze secondarie così comuni». – È noto che bambini piccoli parlando di sé dicono: «Carlo è bravo», «Maria vuole questa cosa» [6]. Si trova adeguato che essi parlino di se stessi come di altri, poiché non sono ancora diventati coscienti della propria entità autonoma, poiché in essi non è ancora nata la coscienza del sé. Per mezzo dell’autocoscienza l’uomo indica se stesso quale essere autonomo, separato da ogni altro, quale «io». Nell’«io» l’uomo riassume tutto quanto sperimenta come entità corporea e animica. Corpo ed anima sono i portatori dell’«io»; quest’ultimo agisce in essi. Come il corpo fisico ha il suo punto centrale nel cervello, così l’anima ce l’ha nell’«io». L’uomo viene sollecitato dal-l’esterno ad avere sensazioni; i sentimenti si manifestano come effetti del mondo esterno; la volontà si riferisce al mondo esterno, poiché si realizza in azioni este-riori. L’«io», quale entità propria dell’uomo, rimane del tutto invisibile. A ragione dunque Jean Paul chiama la percezione dell’«io» un «avvenimento svoltosi nel più recondito santuario dell’uomo». Infatti col suo «io» l’uomo è del tutto solo. – E questo «io» è l’uomo stesso. Ciò lo autorizza a considerare questo «io» come la sua vera entità. Perciò egli può indicare il proprio corpo e la propria anima come gli «involucri» entro i quali vive e li può indicare come le condizioni corpo-ree mediante le quali agisce. Nel corso della sua evoluzione egli impara a adope-rare questi strumenti sempre più come servitori del suo «io». La breve parola «io», così come viene ad esempio usata nella lingua tedesca, è un nome che si distingue da tutti gli altri nomi. A chi rifletta in modo adeguato sulla natura di questo nome, si apre allo stesso tempo l’accesso alla conoscenza dell’entità umana nel senso più profondo. Tutti gli uomini possono utilizzare qualsiasi altro nome nello stesso modo in relazione all’oggetto ad esso corrispondente. Ognuno può chiamare «tavola» la tavola, «sedia» la sedia. Non è così per il nome «io». Nessuno può valersene per indicare un altro; ognuno può chiamare «io» solo se stesso. Il nome «io» non può mai giungere al mio orecchio dall’esterno, se esso indica me; solo dall’interiorità, solo grazie a se stessa l’anima può indicarsi come «io». In quanto dunque l’uomo dice «io» a se stesso, in lui comincia a parlare qualcosa che non ha a che fare con alcuno dei mondi da quali sono tolti gli «involucri» fin qui nominati. L’«io» diventa sempre più padrone del corpo e del-l’anima. – Anche questo viene ad espressione nell’aura. Quanto più l’«io» è pa-drone del corpo e dell’anima, tanto più differenziata, varia e ricca di colori è l’aura. Il veggente può osservare l’effetto dell’«io» sull’aura. L’«io» stesso è invisibile anche per lui; esso risiede realmente nel «recondito santuario dell’uomo». – Ma l’io accoglie in sé i raggi della luce che, quale luce eterna, risplende nell’uomo. Come questi riassume nell’«io» le esperienze del corpo e dell’anima, così lascia fluire nell’«io» anche i pensieri della verità e del bene. I fenomeni sensibili si rive-lano all’«io» da una parte, lo spirito gli si rivela dall’altra. Corpo e anima si offrono all’«io» per servirlo; l’«io» però si offre allo spirito perché questo lo riem-pia. L’«io» vive nel corpo e nell’anima; lo spirito però vive nell’«io». E ciò che dello spirito è nell’io è eterno. L’io infatti riceve essere e significato da ciò a cui è colle-gato. In quanto vive nel corpo fisico è soggetto alle leggi minerali, per mezzo del corpo eterico è soggetto alle leggi della riproduzione e della crescita, in virtù del-l’anima senziente e dell’anima razionale è soggetto alle leggi del mondo animico; in quanto accoglie in sé l’elemento spirituale è soggetto alle leggi dello spirito. Ciò che leggi minerali e le leggi vitali formano nasce e muore; lo spirito però non ha nulla a che fare col nascere e morire.

 

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   L’io vive nell’anima. Sebbene la più alta manifestazione dell’«io» appartenga al-l’anima cosciente, si deve tuttavia dire che questo «io», irradiando da essa, per-vade tutta l’anima e attraverso l’anima manifesta il proprio effetto sul corpo. E nel-l’io è vivo lo spirito. Lo spirito irradia nell’io e vive in esso come nel suo «invo-lucro», nello stesso modo in cui l’«io» vive nel corpo e nell’anima come nei suoi «involucri». Lo spirito forma l’io dall’interno verso l’esterno, il mondo minerale lo forma dall’esterno verso l’interno. Chiamiamo lo spirito che forma un «io» e che vive come «io» «sé spirituale», poiché esso appare come «io» o «sé» dell’uomo. Ci si può chiarire la differenza tra il «sé spirituale» e l’«anima cosciente» nel modo seguente. L’anima cosciente entra in contatto con la verità che è indi-pendente da qualsiasi simpatia e antipatia ed esiste di per sé; il sé spirituale porta in sé quella stessa verità, ma accolta e abbracciata per mezzo dell’«io», individualizzata per mezzo di quest’ultimo e assunta nell’entità autonoma del-l’uomo. Per il fatto che la verità eterna viene in tal modo resa autonoma e viene legata con l’«io» in un’entità, l’«io» stesso consegue l’eternità.

   Il sé spirituale è una manifestazione del mondo spirituale entro l’io, come dal-l’altro lato la sensazione è una manifestazione del mondo fisico entro l’io. In ciò che è rosso, verde, chiaro, scuro, duro, molle, caldo, freddo si riconoscono le ma-nifestazioni del mondo corporeo; in ciò che è vero e buono le manifestazioni del mondo spirituale. Nello stesso senso in cui la manifestazione dell’elemento cor-poreo è chiamata sensazione, la manifestazione dell’elemento spirituale può essere chiamata intuizione[7]. Il pensiero più semplice contiene già in-tuizione, perché non lo si può toccare con le mani né vedere con gli occhi: si deve accogliere la sua manifestazione dallo spirito attraverso l’io. – Se un uomo non evoluto e uno più evoluto guardano una pianta, nell’io del primo vive qualcosa del tutto diverso da ciò che vive nell’io del secondo. Eppure le sensazioni di entrambi sono suscitate dallo stesso oggetto. La differenza sta nel fatto che uno può formarsi riguardo all’oggetto pensieri molto più perfetti dell’altro. Se gli oggetti si manifestassero solo per mezzo della sensazione, allora non potrebbe esserci alcun progresso nell’evoluzione spirituale. La natura è sentita anche dal selvaggio; le leggi di natura si manifestano solo ai pensieri fecondati dall’intuizione dell’uomo maggiormente evoluto. Anche il bambino sente gli stimoli del mondo esteriore come sollecitazione della volontà; ma le leggi di ciò che è moralmente buono gli si schiudono solo nel corso dello sviluppo, nella misura in cui egli impara a vivere nello spirito e a comprenderne la manifestazione.

   Come senza l’occhio non ci sarebbero manifestazioni di colore, così senza il pensare superiore del sé spirituale non ci sarebbero intuizioni. E come la sensa-zione non crea la pianta su cui appare il colore, così l’intuizione non crea l’elemen-to spirituale, di cui invece dà solo notizia.

   Per mezzo delle intuizioni l’io dell’uomo che vive nell’anima si procura le comuni-cazioni dall’alto, dal mondo dello spirito, così come per mezzo delle sensazioni si procura le comunicazioni dal mondo fisico. Per mezzo di ciò esso fa diventare vita propria della sua anima il mondo spirituale, allo stesso modo in cui attraverso i sensi fa diventare vita propria della sua anima il mondo fisico. L’anima, o l’«io» che risplende in essa, apre le sue porte da due lati: dal lato dell’elemento corporeo e da quello dello spirituale.

   Ora come il mondo fisico può dare notizia di sé all’io solo in quanto a partire dalle sue materie e dalle sue forze edifica un corpo nel quale l’anima consapevole può vivere e all’interno del quale possiede gli organi per percepire l’elemento corporeo fuori di sé, così anche il mondo spirituale, con le sue materie e le sue forze spirituali, edifica un corpo spirituale nel quale l’io può vivere e percepire per mezzo di intuizioni lo spirituale. (È evidente che le espressioni «materia spirituale» e «corpo spirituale» prese alla lettera racchiudono una contraddizione. Esse devono essere utilizzate solo per indirizzare il pensiero a ciò che nello spirituale corrisponde al corpo fisico dell’uomo).

   E come il singolo corpo umano viene edificato nel mondo fisico quale entità distinta, così viene edificato il corpo spirituale nel mondo spirituale. Nel mondo spirituale esiste per l’uomo un dentro e un fuori come nel mondo fisico. Come l’uomo trae dall’ambiente fisico le sostanze e le elabora nel suo corpo fisico, così trae dall’ambiente spirituale l’elemento spirituale e lo fa diventare cosa propria. L’elemento spirituale è l’eterno nutrimento dell’uomo. E come l’uomo è nato dal mondo fisico, così nasce dallo spirito per mezzo delle eterne leggi del vero e del bene. Egli è separato dal mondo spirituale esistente fuori di lui allo stesso modo in cui è separato dal generale mondo fisico come un essere autonomo. Chiameremo questa entità spirituale autonoma «uomo spirito».

   Se esaminiamo il corpo fisico umano, troviamo in esso le stesse sostanze e forze che sono presenti al di fuori di esso nel restante mondo fisico. Lo stesso accade anche per l’uomo spirito. In esso pulsano gli elementi del mondo spirituale este-riore, in esso sono attive le forze del restante mondo spirituale. Come nella pelle fisica un essere dotato di vita e sensazione viene confinato in sé, così avviene anche nel mondo spirituale. La pelle spirituale che separa l’uomo spirito dal mondo spirituale unitario, che all’interno di esso ne fa un essere spirituale autonomo che vive in sé e percepisce intuitivamente il contenuto spirituale del mondo – questa «pelle spirituale» la chiameremo involucro spirituale (involucro au-rico). Solo che si deve tenere presente che questa «pelle spirituale» si dilata continuamente col progresso dell’evoluzione umana, in modo che l’individualità spirituale dell’uomo (il suo involucro aurico) è capace di un’espansione illimitata.

   Entro questo involucro spirituale vive l’uomo spirito. Esso viene edificato per mezzo della forza vitale spirituale nello stesso senso in cui il corpo fisico viene edificato per mezzo della forza vitale fisica. In modo simile, come si parla di un corpo eterico, si deve perciò parlare di uno spirito eterico in relazione all’uomo spirito. Chiameremo questo spirito eterico spirito vitale. – L’entità spirituale dell’uomo si suddivide dunque in tre parti: in uomo spiritua-le, spirito vitale e sé spirituale.

   Per colui che «vede» le realtà spirituali quest’entità spirituale dell’uomo, quale parte superiore – propriamente spirituale – dell’aura, è una realtà percepibile. Egli «vede» nell’involucro spirituale l’uomo spirito quale spirito vitale; ed egli «vede» come questo «spirito vitale» per mezzo dell’assunzione di alimento spiri-tuale dal mondo spirituale esteriore si accresca sempre più. Ed egli vede inoltre come, per mezzo di questa assunzione, l’involucro spirituale si dilati continua-mente e l’uomo spirito diventi sempre più grande. Questo «diventare grande», «visto» come spaziale, è ovviamente solo un’immagine della realtà. Ciono-nostante nella rappresentazione di questa immagine l’anima umana è indirizzata alla realtà spirituale corrispondente. La differenza tra l’entità spirituale dell’uomo e quella fisica è che quest’ultima ha una grandezza limitata, mentre la prima può crescere illimitatamente. Quanto viene assunto come alimento spirituale ha un va-lore eterno. L’aura umana perciò è costituita da due parti che s’interpenetrano. Ad una dà colorito e forma l’esistenza fisica dell’uomo, all’altra la sua esistenza spirituale.

   L’io segna la separazione fra le due, in modo che l’elemento fisico si offra nella sua peculiarità ed edifichi un corpo che faccia vivere in sé un’anima; e l’io si offre a sua volta e fa vivere in sé lo spirito, il quale, dal canto suo, compenetra l’anima e le assegna la meta nel mondo dello spirito. Per mezzo del corpo l’anima è rinchiusa nell’elemento fisico, per mezzo dell’uomo spirito le crescono le ali per muoversi nel mondo spirituale.

 

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   Se si vuole comprendere l’uomo intero lo si deve pensare composto dal-l’insieme delle parti costitutive nominate. Il corpo si forma dal mondo della sostan-za fisica, così che questa forma è subordinata all’io pensante. Esso è compenetra-to da forza vitale e diventa per mezzo di ciò corpo eterico o corpo vitale. Come tale si apre verso l’esterno negli organi di senso e diventa corpo animico. L’anima senziente lo compenetra e forma con esso un’unità. L’anima senziente non riceve solo le impressioni del mondo esterno come sensazioni; essa ha la sua vita pro-pria, che si feconda da un lato per mezzo del pensare, come dall’altro per mezzo delle sensazioni. Così essa diventa anima razionale. Ciò le è possibile perché si apre verso l’alto alle intuizioni, come verso il basso alle sensazioni. Grazie a ciò es-sa è anima cosciente. Questo le è possibile perché il mondo spirituale forma in es-sa l’organo intuitivo, come il corpo fisico le forma gli organi dei sensi. Come i sensi attraverso il corpo animico le trasmettono le sensazioni, così lo spirito, attraverso l’organo intuitivo, le trasmette le intuizioni. L’uomo spirito grazie a ciò è congiunto in un’unità con l’anima cosciente, come il corpo fisico è unito all’anima senziente nel corpo animico. Anima cosciente e sé spirituale formano un’unità. In questa unità vive l’uomo spirito come spirito vitale, allo stesso modo in cui il corpo eterico costituisce il fondamento vivente corporeo per il corpo animico. E come il corpo fisico è racchiuso nella pelle fisica, così l’uomo spirito è racchiuso dall’invo-lucro spirituale. Ne deriva la suddivisione dell’uomo intero nel modo seguen-te:

 

A.      corpo fisico

B.       corpo eterico o corpo vitale

C.       corpo animico

D.      anima senziente

E.       anima razionale

F.       anima cosciente

G.      sé spirituale

H.      spirito vitale

I.        uomo spirito

 

 

   Nell’uomo terrestre corpo animico (C) e anima senziente (D) sono un’unità; così anche anima cosciente (F) e sé spirituale (G). – Risultano cosi sette parti dell’uomo terrestre:  

 

1.       il corpo fisico

2.       il corpo eterico o vitale

3.       il corpo animico senziente

4.       l’anima razionale

5.       l’anima cosciente riempita di spirito

6.       lo spirito vitale

7.       l’uomo spirito

 

   Nell’anima balena l’«io», riceve l’impulso dallo spirito e diventa così portatore dell’uomo spirito. grazie a ciò l’uomo partecipa ai «tre mondi» (a quello fisico, all’animico e allo spirituale). Grazie al corpo fisico, al corpo eterico e al corpo animico ha radice nel mondo fisico e grazie al sé spirituale, allo spirito vitale e all’uomo spirito fiorisce nel mondo spirituale. Il tronco però, che da un lato mette radici e dall’altro fiorisce, è l’anima stessa.

   Del tutto in armonia con questa suddivisione dell’uomo, se ne può dare una forma semplificata. Nonostante l’«io» umano risplenda nell’anima cosciente, esso tuttavia attraversa l’intera entità animica. Le parti di questa entità animica non sono affatto così nettamente separate come le parti del corpo; esse si compene-trano in un senso superiore. Se si considerano l’anima razionale e l’anima coscien-te come i due involucri dell’io fra loro congiunti e questo come il loro nucleo, allora si può suddividere l’uomo in corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e io. Con l’espressione corpo astrale si indica qui allo stesso tempo ciò che è costituito dall’insieme di corpo animico e anima senziente. L’espressione si trova nella lette-ratura antica e può essere qui usata liberamente per indicare ciò che nell’entità umana va al di là dell’elemento percepibile ai sensi. Nonostante sotto un certo aspetto l’anima senziente venga potenziata anche dall’io, è così strettamente unita col corpo animico che per entrambi, pensati assieme, è giustificata un’unica espressione. Quando dunque l’io si compenetra con il sé spirituale, questo sé spiri-tuale si presenta così che il corpo astrale viene elaborato a partire dall’elemento animico. Nel corpo astrale agiscono anzitutto gli impulsi, le brame e le passioni dell’uomo, in quanto essi vengono sentiti; e agiscono in lui le percezioni sensibili. Le percezioni sensibili sorgono per mezzo del corpo animico come una compo-nente nell’uomo, che gli viene dal mondo esterno. Gli impulsi, le brame, le pas-sioni e così via sorgono nell’anima senziente in quanto questa viene riempita di forza dall’interiorità, prima che questa interiorità si sia aperta al sé spirituale. Se l’«io» si compenetra col sé spirituale, allora l’anima a sua volta riempie di forza il corpo astrale con questo sé spirituale. Ciò si esprime nel fatto che gli impulsi, le brame e le passioni vengono allora illuminati da ciò che l’io ha ricevuto dallo spiri-to. L’«io» allora, per la sua partecipazione al mondo spirituale, è diventato signore nel mondo degli impulsi, delle brame e così via. Nella misura in cui questo si veri-fica, il sé spirituale si manifesta nel corpo astrale. E grazie a ciò quest’ultimo si tra-sforma. Il corpo astrale stesso appare allora come un’entità duplice, in parte immutata, in parte trasformata. Si può perciò indicare il sé spirituale nella sua manifestazione nell’uomo come corpo astrale trasformato. Qualcosa di simile si verifica nell’uomo quando accoglie nel suo io lo spirito vitale. Allora il corpo eterico si trasforma. Esso viene compenetrato dallo spirito vitale. Questo si manifesta in modo che il corpo eterico si trasforma. Quindi si può anche dire che lo spirito vitale è il corpo vitale trasformato. E se l’io accoglie in sé l’uomo spirito, allora consegue grazie a ciò la possente forza di compenetrare di esso il corpo fisico. È naturale che quanto del corpo fisico è così trasformato non possa venir percepito coi sensi fisici. Del corpo fisico è diventato uomo spirito appunto quel tanto che è stato spiritualizzato. Ciò è presente allora per la percezione sensibile come ele-mento sensibile, e in quanto questo elemento sensibile è spiritualizzato deve essere percepito dalla facoltà conoscitiva spirituale. Ai sensi esteriori anche il fisico compenetrato di spiritualità appare soltanto in forma sensibile. – Sulla base di tutto ciò si può anche dare la seguente suddivisione dell’uomo:

 

1.       corpo fisico

2.       corpo eterico

3.       corpo astrale

4.       io quale nucleo dell’anima

5.       sé spirituale quale corpo astrale trasformato

6.       spirito vitale quale corpo vitale trasformato

7.       uomo spirito quale corpo fisico trasformato[8].

 

 

 


 


[1] Vedi il capitolo «Singole annotazioni e integrazioni».

[2] Ibid.

[3] L’autore di questo libro, molto tempo dopo la sua redazione, ha dato a quello che viene chiamato qui corpo eterico o corpo vitale anche il nome di «corpo delle forze formatrici» (cfr. la rivista Das Reich, fascicolo IV della prima annata, gennaio 1917). Egli si è sentito indotto ad attribuire un tale nome perché crede che non si possa fare abbastanza per prevenire l’incomprensione che deriva dal confondere ciò che s’intende qui con corpo eterico con la «forza vitale» dell’antica scienza naturale. La dove si tratti di respingere quella antica rappresentazione di una forza vitale nel senso della moderna scienza naturale, l’autore è in certo senso dello stesso punto di vista degli avversari di una tale forza. Con essa infatti si voleva spiegare il particolare modo di attività delle forze inorganiche nell’organismo. Ma quello che nell’organismo agisce in modo inorganico agisce qui non diversamente da come fa nel campo del mondo inorganico. Le leggi della natura inorganica nell’organismo non sono diverse da quello che sono nel cristallo e così via. Ma nell’organismo c’è appunto qualcosa che non è inorganico: la vita formatrice. A base di essa sta il corpo eterico o corpo delle forze formatrici. Il fatto di ammettere ciò non pregiudica il giustificato compito dell’indagine naturale, di seguire anche nel mondo degli organismi quanto osserva riguardo ad azioni di forze nella natura inorganica. E rifiutarsi di pensare che nell’organismo quella azione venga modificata per mezzo di una particolare forza vitale, viene considerato giustificato anche da una vera scienza dello spirito. Il ricercatore dello spirito parla di corpo eterico nella misura in cui nell’organismo si manifesta qualcosa di diverso da ciò che si manifesta nell’e-lemento inanimato. – Ciò nonostante l’autore di questo libro non si sente indotto a sostituire qui il nome «corpo eterico» con l’altro «corpo delle forze formatrici», poiché all’interno della connessione del tutto qui esposta ogni possibilità di malinteso è esclusa per chi vuole vedere [come stanno le cose]. Un tale malinteso può sorgere solo se quel nome viene usato in un’esposizione che non possa mostrare una tale connessione. (Si confronti quanto detto anche con ciò che viene detto alla fine di questo libro come «Singole annotazioni e integrazioni».)

[4] [«Anima senziente» è la traduzione invalsa del termine Empfindungsseele, composto da Empfindung (sensazione) e Seele (anima). Qui però, per rendere la relazione con la frase precedente, in cui si parla di sensazione, sarebbe opportuno tradurre con «anima di sen-sazione». N.d.T.]

[5] Vedi il capitolo «Singole annotazioni e integrazioni»

[6] Ibid.

[7] Ibid.

[8] Ibid.

 

 

Da: http://www.mediasuk.org/sabrina/fucinadelleidee/7.doc
http://www.mediasuk.org/sabrina/fucinadelleidee/8.doc
http://www.mediasuk.org/sabrina/fucinadelleidee/9.doc


 

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