L'orrore della situazione (G.I. Gurdjieff)

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L'orrore della situazione (G.I. Gurdjieff)


 

3ème Millénaire n. 65 – Traduzione della Dr.ssa Luciana Scalabrini

Cosa c’è di più spaventoso della morte? Cosa succederebbe, se s’immaginasse realmente l’orrore della propria morte? Potete immaginare il vostro spavento? E’ impossibile, lo ripeto, immaginare la propria morte, anche se lo si vuole, ma è possibile immaginare quella degli altri.

Oltre a quella paura della morte, c’è un gran numero di paure di realtà di cui la gente non prende coscienza e che non può vedere. Se le persone ne prendessero coscienza, se le vedessero, tutti sarebbero pieni d’orrore. Ma nessuno lo vede.

Perché?

Forse la nostra volontà ci difende dal vedere degli orrori? Ma allora, perché non ci difende dalle nostre piccole paure?

Immaginate di rientrare a casa; vi svestite, vi coricate nel letto. Qualcosa esce da sotto il cuscino e va a nascondersi tra le coperte. Alzate le coperte alzando le ginocchia e vedete che si tratta di un topo. Immaginando questa scena rabbrividite. Ma è solo un piccolo topo domestico! Uno degli animali più inoffensivi!

Non sentite la paura per la vostra morte inevitabile e temete il topo, temete le mille piccole cose che possono capitarvi.

Quelle paure per le quali non ci si ammazza, la natura le ammette come cose inoffensive per la vostra vita, poiché sono necessarie alla produzione delle emozioni, delle gioie e dei dolori, che formano la vostra vita.

Da lì viene un gran numero di guai, di amarezze, di sforzi, una quantità d’amor proprio e di vanità, che obbligano un essere umano ad agire, ad andare fino in fondo; il disincantamento e l’incantamento. E’ questo che tesse la vita. La stessa cosa produce il sogno, l’illusione, il fenomeno immaginario e la stessa cosa risveglia i diversi desideri nell’uomo.

L’uomo è continuamente riempito da queste cose. Esse gli danno delle pulsioni e riempiono la sua vita in modo che non abbia il tempo di vivere la realtà.

Molto spesso i suoi scopi sono impossibili, inaccessibili, ma l’essere umano non lo vede e fa continuamente degli sforzi. Quando un gruppo di problemi è passato, ne subentra un altro. La macchina umana deve funzionare senza fermarsi.

Ma se si sente che tra un mese si morirà, e ci si pensa! Proprio tra un mese! Cosa resterà allora di ciò che costituisce la nostra giornata? Tutto ciò che si possiede perde il suo senso e tutto ciò che si fa non serve a niente. E il giornale col caffè al mattino, e i saluti gentili del vicino sulla scala, e il lavoro, e gli oggetti, e il teatro alla sera, e il riposo e il sonno, per cosa tutto questo?

E anche se la morte non deve arrivare che tra un anno o due? In ogni caso, queste cose non avranno più il senso che si è sempre dato loro.

Allora nasce una domanda: se è così, perché vivere?

E’ lì la risposta: non perché la tua vita ti appartiene, ma perché qualcuno ha bisogno della tua vita: chi la ama teneramente, chi se ne preoccupa perché sia almeno sopportabile.

Noi curiamo la vita dei nostri montoni e dei nostri maiali. Facendo così agiamo per il loro interesse? No, offriamo loro una vita felice e confortevole perché, una volta abbattuti, ci diano della buona carne bella grassa. Nello stesso modo probabilmente, qualcuno ha bisogno che si viva, che non si vedano cose orribili e che non ci si impicchi, ma anzi che si viva a lungo perché chi ha bisogno di noi ci sgozzi molto dolcemente.

Non vedere, non sentire la realtà così com’è, questa è la forma principale della nostra schiavitù.

Subiamo molti tipi di schiavitù, ma questo è il primo e il più importante.

E’ la legge della natura. Sono i grandi che hanno bisogno dell’esistenza dell’umanità e di tutto ciò che è vivente. Esiste nella vita uno scopo importante che giustifica la sua ragione d’essere. Noi dobbiamo servire come schiavi, è il nostro destino.

Ma nello stesso tempo la natura ha permesso, ha previsto una possibilità per noi, ma non  per tutti, di abolire questa schiavitù. Questa abolizione è la prima liberazione.

Nella vita ci sono due direzioni; la vita è simile a due fiumi. Tutti quelli che vivono sulla terra seguono due correnti. Gli uni seguono un corso, gli altri un altro. Gli uni si sottomettono a certe leggi, mentre gli altri si sottomettono ad altre. Attraverso quelle leggi, gli uni e gli altri avanzano insieme, a volte scontrandosi, a volte incrociandosi senza mai mescolarsi, ma intrattenendosi, necessari gli uni agli altri. E’ stato e sarà sempre così. Se si considera la vita delle masse, tutte le loro vite riunite sono simili a uno di quei due fiumi, dove la vita di ogni persona, come quella di ogni essere vivente, è rappresentata da una goccia di quel corso d’acqua. Sono quelle gocce riunite che formano quel fiume generale, che a sua volta rappresenta un anello della catena cosmica.

E il fiume generale è ugualmente utile, serve a uno scopo preciso.

La corrente del fiume scorre secondo le leggi cosmiche generali, in una determinata direzione. Tutti i suoi meandri, tutti i suoi cambiamenti hanno un senso. Con quello scopo, ogni goccia gioca il suo ruolo poiché fa parte di un gran fiume generale.

E ogni goccia crea qualche cosa, solo che il suo lavoro è spesso meccanico. Qui la legge della trinità agisce come dappertutto altrove, ma lei è al di fuori di quella goccia. Una sola goccia non può creare niente. Tutte quelle manifestazioni non sono per lei.

La legge generale non vale per una  goccia isolata. Lo spostamento delle gocce, la loro direzione e il loro movimento hanno un carattere totalmente aleatorio.

Ora la goccia è qui, fra un minuto sarà là, a volte in basso, a volte in alto. Ecco che sale, per caso ne urta un’altra e scende; si muove ora lentamente, ora in fretta. Si comporta bene o male? Dipende dall’ambiente in cui si trova. Non ci sono leggi speciali per il suo destino personale. Non c’è che il destino del fiume comune a tutte le gocce.

Il dolore personale e la gioia, la felicità e la sofferenza, tutto in quella corrente è fortuito.

Ma ogni goccia possiede una possibilità di principio di sfuggire dalla corrente generale e di saltare nel fiume vicino. Anche questa è una legge di natura. Ma per questo essa deve utilizzare l’inerzia di tutto il fiume, certe scosse aleatorie, per trovarsi in superficie e più vicino alla riva, dove è più facile saltare. Bisogna scegliere il tempo e il luogo, bisogna servirsi del vento, delle correnti e della tempesta se c’è. Allora ha delle possibilità d’essere sollevato e di saltare nel fiume vicino.

A partire dal momento dove si trova, è in un’altra vita e, di conseguenza ubbidisce ad altre leggi. In questo fiume ci sono leggi per le gocce isolate, è la legge del giro di ruolo. La goccia si trova in superficie, da dove si tuffa nel fondo, però non viene dal caso, ma appartiene a una legge determinata. Questa legge è meccanica come quella del primo fiume: trovandosi in superficie, la goccia diventa pesante e scende. Sul fondo perde peso e risale. Per lei seguire la corrente è un bene, essere sul fondo è male.

Questo dipende molto dal saper fare e dagli sforzi. In questo fiume, ci sono correnti differenti; bisogna trovarsi nella corrente principale, seguirla in superficie il più a lungo possibile per prepararsi e avere la possibilità di trovarsi in un altro corso, ecc.

Eccoci nel primo fiume. Finchè siamo passivi nella sua corrente, ci porta non importa dove. Finchè restiamo passivi, siamo sballottati e sottomessi ad ogni sorta di caso. Ma al tempo stesso, la natura ha accordato il permesso di uscire da questa schiavitù. E quando si parla di liberazione, si tratta precisamente di saltare nell’altro fiume. Naturalmente non è così semplice: aver desiderio e poi saltare. E’ indispensabile prepararsi per tempo, bisogna desiderarlo intensamente. Perciò bisogna rinunciare a tutti i beni del primo fiume. Di questa morte si parla in tutte le religioni.

“Se non si muore, non si risuscita”. Non si dice della morte corporea, da quella morte non c’è bisogno di resuscitare. Se l’anima esiste e se è immortale, allora può accadere che resusciti da questo corpo, la cui perdita si chiama morte. La resurrezione è indispensabile, ma non perché ci dobbiamo presentare a Dio per il Giudizio Universale, come ci insegnano i moderni Padri della Chiesa. Perfino Gesù Cristo e tutti gli altri parlano della morte che può avvenire durante la vita. Si tratta della morte del tiranno che ci ha portato alla schiavitù, della morte da cui dipende la prima e principale liberazione dell’uomo.

Ciò che sto per dire può sembrare, a prima vista, il delirio di un pazzo; e  può rimanerlo per alcuni. Ma lo dirò. E  tuttavia, secondo le mie convinzioni, considero un grande peccato parlarne. Se avessi commesso peccati, allora il mio maggior peccato sarebbe quello che ora sto per dire.

Tutte le guerre, tutte le discordie, tutti i malintesi, le disgrazie e i tormenti che sembrano orribili, una volta passati, si rivelano, come possiamo vedere, non valere un soldo bucato. Nel senso che, a partire da una mosca se ne è fatto un elefante e che poi da un elefante si è rifatta una mosca.

Il motivo di tutto questo è sempre la capacità umana di riflettere la realtà al contrario. Durante questo genere d’avvenimenti, tutti sono schiavi, tutti si trovano in un’ipnosi generale. Dov’è la dignità che si attribuisce all’uomo? Dov’è l’uomo col suo libero arbitrio? E’ stato così in tutti i tempi e sarà sempre così per le masse, perché se non ci fossero schiavi, non ci sarebbero Signori e non ci sarebbe vita.  E nello stesso tempo per le persone isolate, la possibilità di sbarazzarsi di quell’ipnosi di massa esiste.

Le persone sono incoscienti di quell’ipnosi di massa a tal punto chi  se ne è più o meno liberato è un essere inferiore.

Così, ciò che è considerato coraggio in guerra, in realtà non è che l’espressione di quell’ipnosi. Nazioni intere considerano altre nazioni  vili; è così che i russi considerano gli ebrei. Ma il tamburo giudaico che, secondo l’immaginazione dei russi, si nasconde nel fossato durante la battaglia, è in realtà un uomo più normale e più libero di loro. Lui ha qualcosa di personale, mentre gli altri non hanno niente di proprio; non gli resta che l’ipnosi di massa. Lui è schiavo delle proprie particolarità, mentre loro sono doppiamente schiavi.

Se si sottraessero all’uomo tutte le illusioni, cioè tutto ciò che gli impedisce di vedere la realtà com’è, tutti gli interessi, le emozioni, le attese e le speranze, scomparirebbero tutte le sue aspirazioni e tutto diventerebbe deserto;  gli impulsi psichici si fermerebbero e non resterebbe che un essere vuoto, un corpo vuoto, che vive come una unità fisiologica.

Quella è la morte del me e di tutto quello che ne faceva parte, l’annientamento di tutto ciò che è falso, ammassato per ignoranza e inesperienza. Tutto questo resterebbe in lui come materiale, ma non come lui stesso.

Allora è possibile, se restano ancora delle  forze, cominciare a radunare nuovi materiali, ma questa volta secondo una scelta. In questo caso, l’essere umano prende lui stesso delle cose, non più come prima, quando si depositava in lui ciò che si voleva.

E’ difficile. Del resto, questa parola non è appropriata. E nemmeno la parola impossibile perché, come principio, è possibile. Ma è mille volte più difficile che diventare miliardario partendo dal niente e con il proprio lavoro.

 

 

Da: http://www.revue3emillenaire.com/it/?p=415

 

 

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