in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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L’articolo che segue è tratto dal testo “Gurdjieff – le sue tecniche e la conoscenza di sé” di L. Maggi.

 

Si rimandano i lettori all’opera completa, pubblicata in copia anastatica da Casa Editrice non riportata sul testo citato.

 

***

 

 

I PRINCIPI DELL’AUTOCONOSCENZA

 

Col titolo «In search of the Miracoulous Fragments of an Unknown Teaching» uscì postumo nel ‘50 il libro di Ouspensky sull’insegnamento impartito da Gurdjieff dal ‘15 aI ‘18 in Russia, un anno dopo la morte di costui. È da considerarsi il libro base per iniziare uno studio mentale dei principi dell’autoconoscenza.

Questo libro è indispensabile per cominciare il lavoro su di sé partendo dalla conoscenza mentale, e in base ad esso vorremmo tracciare in questo capitolo una sintesi della parte più teorica dell’insegnamento, come Gurdjieff la porgeva prima di fondare in Francia nel ‘22 l’«Istituto per lo sviluppo armonico dell’uomo». Diamo quindi un rapido schizzo di quello che fu erroneamente ritenuto un insieme sistematico pur nella sua frammentarietà. Meglio sarebbe invece considerare i punti che seguiranno quali ipotesi filosofiche sull’uomo e la natura e l’universo, da verificare nell’esperienza, allo scopo di trasformare l’uomo stesso e la natura, poiché lo scopo dell’autoconoscenza è proprio quello di «essere», cioè «essere differenti».

E cominciamo con l’affermare che tutto è energia, la materia è energia, l’uomo è energia. Quest’ultimo è parte della natura e l’universo è un organismo vivente dinamico e non statico, la cui creazione è continua, così come la sua crescita e la sua trasformazione. Nella costituzione dell’uomo e della natura vige il principio che il tutto è uno e che l’uno è il tutto. E anche il primo dei tre punti della Teosofia: la Vita è Una. Vi è unità tra tutto ciò che esiste e l’universo è stato creato secondo leggi che sono le stesse tanto per l’uomo che per la natura.

La sostanza è vivente, tutto è vibrazione e radiazione, però esse non procedono in maniera continua e lineare, non si sviluppano in maniera uniforme. Una vibrazione è una nota musicate che percorre una sua ottava, ma negli intervalli in cui manca il semitono, tra il mi e il fa e tra il si e il do, la sua forza viene deviata invece che procedere diritta. È la legge del Sette che assieme alla legge del Tre costituisce la legge fondamentale della creazione.

Esiste una grande ottava cosmica, il Raggio di Creazione, che va dal polo dell’Assoluto fino al polo opposto della Luna, attraverso tutti i mondi, tutti i Soli, il Sole del nostro sistema planetario, i pianeti, e tra questi la Terra.

L’uomo, che è parte del corpo organico della Terra, è una macchina biologica che riceve, trasforma e trasmette energia. Il processo però avviene in maniera puramente meccanica e automatica. L’uomo in quanto macchina è prigioniero della Terra e della vita organica, non può nella sua meccanicità accendersi da solo e mettersi in moto da solo.

Come la natura, egli non conosce una evoluzione cosciente ma solo uno sviluppo meccanico; nasce, si nutre e muore, la sua vita dipende da influenze esterne che costituiscono la legge generale del caso e dell’accidente, il suo stato è quello del condizionamento esteriore, egli è una sorta di burattino i cui fili sono tirati da forze per lui cieche.

L’uomo però ha la possibilità di cessare di essere una macchina, si tratta solo di una possibilità, sta a lui renderla attuale. L’unica evoluzione possibile è quella cosciente, ma l’uomo non sa cosa sia la coscienza, poiché in genere non la possiede, e tuttavia crede di possederla. La coscienza, poiché non l’abbiamo, non può essere definita. Però ne abbiamo la possibilità. La coscienza ha quattro stadi di sviluppo ma l’uomo ordinario ne conosce solo due, il sonno e la veglia. Ma se di notte l’uomo nel suo letto sa di dormire e di non avere una coscienza, di giorno crede di essere sveglio e cosciente, e invece s’inganna, poiché è sotto l’influsso di un sonno ipnotico che lui scambia per coscienza lucida.

L’uomo ha però la possibilità di svegliarsi anche di giorno e di vedere la meccanicità del proprio vivere e di accedere così, constatando che dorme e che non è cosciente, al terzo stadio, quello della coscienza di sé. L’ostacolo principale è quello di pensare di essere già coscienti, scambiando per coscienza certe conoscenze mentali, apprese tramite il condizionamento esterno, con le quali ci si identifica.

L’uomo si inganna continuamente, scambia l’illusione per realtà e questa per illusione. Quando si dice per esempio «egli ha preso coscienza del suo ruolo di sfruttato» oppure «egli ha preso coscienza di avere un complesso edipico» di solito si vuole affermare un ampliamento della coscienza di sé e invece non si fa altro che ridurre la coscienza di sé alla coscienza di veglia, cioè agli inganni della mente.

Che dire allora del quarto stadio, la coscienza oggettiva? Solo questa ci fa vedere la realtà così come è. L’uomo può destarsi, sì, ma deve lavorare su di sé, deve conoscere se stesso, così come è, è pura apparenza.

I due pilastri del lavoro su di sé per diventare autocoscienti sono lo sforzo cosciente e la sofferenza intenzionale. L’uomo s’illude già di "essere" e invece esiste soltanto e in una forma fenomenica. S’illude attorno a tre punti fondamentali:

1) Quello di essere uno. Invece quando dice «Io» s’inganna, perché vi sono semmai centinaia di io. L’uomo non è uno, ma molti, è una contraddizione di io. Vi sono perlomeno tre io nell’uomo, l’io che pensa, l’io che sente emozionalmente, l’io che sente istintivamente e che agisce fisicamente. L’uomo è un essere tricervicale. Come un tutto energetico è dotato di sette menti, ma solo tre funzionano nell’uomo ordinario, e perdippiù male.

2) L’uomo crede di avere una volontà, ma in lui non c’è niente di stabile, unitario, permanente.

3) L’uomo crede di potere fare e invece tutto accade. La legge dell’ottava impedisce all’uomo di «fare», perché negli intervalli le forze vengono deviate e così egli rimane senza più potere.

Se l’uomo fosse in grado di percepire le energie dei centri superiori il livello della sua coscienza si alzerebbe, ma questo è pressoché reso impossibile dal disordine e dalla disarmonia dei tre centri inferiori, come si vedrà più avanti, l’uomo può svegliarsi ma deve sottoporsi a sforzi costanti della coscienza. Lo shock come si è visto a proposito del Raggio di Creazione è una necessità inerente al funzionamento stesso dell’universo (l’uomo è un universo in miniatura) e dipende dalle leggi del Tre e del Sette. Se l’Assoluto stesso compie sforzi coscienti e impartisce shocks, anche l’uomo, che è un Dio in potenza, lo può fare. L’uomo è mortale, però ha la possibilità di diventare immortale pagando con i propri sforzi e con la sofferenza intenzionale.

L’uomo è parte della Terra ma il suo posto e la sua funzione nell’universo non si riducono a questo pianeta. Nel cosmo tutto è materia, posta per così dire in scala, dall’Assoluto alla Luna: vi è il minerale, il vegetale, l’animale, l’umano, il divino.

Ogni materia è un Idrogeno. Vi è interdipendenza tra i singoli gradini della scala degli Idrogeni, uno serve all’altro, uno mangia l’altro, poiché tutto è cibo. L’universo per vivere deve mangiare.

L’organismo umano riceve tre tipi di nutrimento:

1) Cibo fisico

2) L’aria che respira

3) Le impressioni, cioè pensieri, sensazioni, emozioni, le funzioni dei tre centri.

Vi è nell’uomo come nella natura un continuo processo di trasformazione dalle sostanze più grezze a quelle più fini, voluto dalla legge dell’ottava, che fa sì che l’uomo possa essere considerato come un laboratorio alchemico a tre livelli, fisico, emozionale, mentale. Tutto si trasforma. Per quanto riguarda il cibo fisico e l’aria gli shocks che colmano gli intervalli dell’ottava sono meccanici, ma per le impressioni al momento della loro ricezione occorre uno shock artificiale che consiste in un certo tipo di sforzo cosciente, definito «ricordarsi di sé».

Giunti a questo punto occorre un secondo tipo di sforzo cosciente. Il lavoro dell’autoconoscenza, che conduce alla costruzione dell’anima una e immortale consiste, come la Grande Opera degli alchimisti, in questi due sforzi coscienti. Anche il secondo tipo di sforzo è necessario, altrimenti la produzione delle sostanze fini e la trasformazione dei metalli vili in oro si arresta. Per proseguire occorre imparare a non manifestare le emozioni negative, ma questa idea potrà, essere svolta solo più avanti, quando parleremo dei centri e della personalità.

Però fin da adesso possiamo accennare al fatto che l’uomo non è libero, perché vive sempre in uno stato di identificazione.

Il lavoro su di sé per diventare autocoscienti serve comunque come preparazione al secondo tipo di sforzo, col quale il laboratorio umano produrrà una tale quantità di sostanze fini che col tempo il carattere del laboratorio stesso verrà cambiato e l’uomo potrà fare la pietra filosofale con cui trasformare il metallo vile in oro.

Per finire il quadro teorico dell’insegnamento bisogna accennare ad altre due idee fondamentali. La prima riguarda la distinzione tra personalità ed essenza. L’uomo è costituito da due parti, l’essenza e la personalità. L’essenza è ciò che é innato in lui, ciò che è incondizionato, ciò che è suo. La personalità è ciò che invece non è suo, perché gli deriva attraverso l’educazione e l’apprendimento dall’esterno, dalla società.

Vedremo in seguito come si forma la personalità e come questa sia l’ostacolo principale al risveglio dell’essenza. Lo sviluppo dell’essenza è invece il frutto del lavoro su di sé. La personalità è la menzogna nell’uomo, l’essenza la verità. Ma l’una va a spese dell’altra; di modo che normalmente, giunto all’età adulta l’uomo ha un’essenza completamente addormentata ed egli è divenuto estraneo a se stesso.

Egli è costituito solo di cose che ha appreso, è tutto sapere, ma il suo essere, dov’è il suo essere? All’essere si è sostituito l’avere. Ma questo è solo illusione. Lo sviluppo dell’uomo si effettua su due linee parallele, l’essere e il sapere, invece l’uomo moderno in modo speciale procede unilateralmente sulla via del sapere. Di conseguenza conosce molte cose ma non ne comprende nessuna. Questa è la seconda idea fondamentale, la distinzione tra comprendere e sapere.

In Occidente la boria del dotto è un fenomeno ben noto a tutti tranne che al dotto, il quale non si rende conto (ma non solo lui) che il conoscere e il comprendere sono due cose completamente diverse. La comprensione richiede infatti il lavoro simultaneo dei tre centri, mentre il conoscere è l’attività tipica del solo centro mentale.

 

 

LAVORARE PER IL NUOVO PIANO Dl COSCIENZA

 

È dunque dalla cosmologia che si deduce l’esigenza per l’uomo di conoscere se stesso. Certo molti interrogativi rimangono lì a tormentarci: perché fu creato l’uomo? perché la terra è diversa dagli altri pianeti? perché la sofferenza? Ma prima di vedere cosa ha scritto Gurdjieff in proposito, cerchiamo di chiarire il perché la conoscenza di sé come possibilità è così spesso negata oppure intrapresa in maniera illusoria. La risposta è abbastanza semplice, l’uomo presume già di conoscere se stesso e non si rende conto che la conoscenza di sé è istantanea, è una specie di auto-rivelazione al di là dello spazio e del tempo. E poi chi dovrebbe conoscere se stesso? non è questa una tautologia? Eppure l’uomo ordinario pensa in termini tautologici. Io sono io. La realtà è invece che l’Io è moltitudine, caos, pluralità.

L’umanità come specie non fu creata per conoscere se stessa. L’umanità come gli animali ha un’anima di gruppo. L’umanità è la parte evolutiva della vita organica, ma la specie non si evolve, solo l’individuo lo può.

Esiste un contrasto tra la natura e la coscienza. L’uomo ordinario nell’economia dell’universo è solo nutrimento per la Luna. L’evoluzione non è necessaria alla vita organica. La natura e l’uomo esistono solo per le necessità e per gli scopi della Terra.

Gurdjieff diceva: «Se tutti gli uomini divenissero troppo intelligenti non vorrebbero più essere mangiati dalla Luna». Solo la lotta e lo sforzo cosciente permettono a pochi di scivolare come piccoli pesciolini dalle maglia della rete tesa dalla natura con il suo sviluppo meccanico.

Ma qual è l’origine della natura e della vita stessa? Nella risposta troveremmo forse la chiave per capire l’esistenza dell’uomo sulla Terra con tutte le sue stranezze e incongruità.

Intanto gli antichi ci dicono che conoscere se stessi significa conoscere e diventare il dio che abita dentro di noi. Forse è per questo che non è opera da tutti e in ogni caso dovremmo prima fare bene i conti, perché altrimenti dopo potremmo scoprire di dovere pagare troppo per la nostra esistenza.

Oggi la necessità di conoscere se stessi è riconosciuta solo per qualcuno, per i cosiddetti malati di mente. Significa andare dallo psicanalista a farsi spiegare i propri sogni o trarre interpretazioni dai libri di psicologia, oppure darsi all’introspezione sulle pagine di un diario amico. Ma per la gente sana la possibilità di conoscersi è esclusa. Gurdjieff chiamava «lavoro» l’attività di colui che si sforza coscientemente per risvegliarsi e per sviluppare il proprio essere.

Per alcuni, e sono pochi, questo lavoro diventa lo scopo di tutta una vita, il grande viaggio verso la profondità del proprio essere, l’avventura che dà senso alla propria esistenza. La direzione è controcorrente.

Abbiamo visto che l’uomo è un laboratorio a tre piani, e che è dotato di tre centri. L’ordine di lavoro rispetto ai

centri è quello che va dal mentale all’emozionale all’istintivo motorio. All’inizio l’uomo deve studiare se stesso senza pretendere di cambiare. Deve osservarsi. Ma è difficile capire cosa s’intende per autosservazione, poiché normalmente la si confonde con l’introspezione o l’autoanalisi. L’osservazione all’inizio crea una divisione per poi permettere una sintesi e una armonizzazione.

Quando ci si osserva ci si deve, dividere in tre: pensieri, sentimenti, sensazioni-movimenti. L’osservazione deve isolare le tre funzioni, che di solito sono confuse e indistinte. È la struttura della macchina che l’uomo deve studiare, cioè le funzioni e le leggi del suo organismo. Ci si potrà accorgere allora che la macchina non funziona, che i centri non vanno ciascuno con il loro combustibile.

I tre centri sono sempre in conflitto e per quanto ognuno debba lavorare in maniera differente, il mentale con energia più densa, più lenta e più pesante e gli altri due con energia sempre più veloce e leggera, ognuno cerca di usurpare le funzioni dell’altro.

Chiediamoci quindi: la macchina dà o sottrae energia? Se fossimo in grado di rispondere potremmo porre le basi di una specie di morale oggettiva, che ci darebbe il quadro esatto della negatività e della positività delle energie, del bene e del male. Provate a entrare nella sala d’attesa di un guaritore dove l’atmosfera è calda e caricante e poi in quella di un medico qualunque dove prevale la sfiducia e dove tutti si guardano storto. Potrebbe essere la prova per capire l’oggettività delle vibrazioni in termini di bilancio di energie.

Per studiare se stessi occorre osservare le divisioni delle funzioni facendo delle constatazioni istantanee, poi bisogna registrarle e solo in seguito si avrà modo di analizzarne le associazioni e di spiegarne i perché e i come. Chiediamoci quindi, ad esempio, a quale centro appartiene il fenomeno del parlare, o del mangiare e così via.

Ogni funzione ha un suo carattere, il pensiero giudica e compara, il sentimento non ragiona ma definisce le impressioni in base al loro carattere piacevole o spiacevole, le sensazioni sono invece indifferenti. La difficoltà di distinguere le funzioni è dovuta al fatto che in ogni uomo di solito ne prevale una a seconda del tipo e della polarità, e così l’uomo n. 1, il fisico, è passivo a tutto sensazione, oppure attivo perché prevale l’aspetto motorio, il n. 2 è emotivo e passivo, il n. 3 è mentale e attivo.

Accanto al lavoro corretto dei centri scopriamo così il loro lavoro scorretto, che conduce alla malattia fisica e mentale e alla morte. Se riusciamo a tappare i buchi che portano alle perdite di energia potremo col tempo prima conservarla e poi trasformarla in qualcosa di sempre più fine.

Le cause del cattivo funzionamento dei centri sono: per il corpo le tensioni inutili che si creano continuamente; per il centro emozionale la tendenza a ripetere le esperienze piacevoli del passato e a evitare quelle spiacevoli, l’immaginazione negativa e la pratica di manifestare le emozioni negative; per il centro intellettuale i pensieri e le parole inutili e la mancanza di attenzione, nonché i pensieri automatici, i sogni a occhi aperti e il fantasticare, che sono sempre i tratti dell’immaginazione negativa.

Quando il centro mentale usurpa l’energia del centro emozionale si mette a fare scelte, a giudicare e a ponderare quando invece occorrono decisioni rapide e percezione delle sfumature e dei particolari. Quando il centro emozionale lavora per il centro intellettuale vi è nervosismo, fretta, entusiasmo eccessivo, quando occorrerebbero calma e ponderatezza. Quando il centro intellettuale lavora poi al posto del motorio ingarbuglia tutto (basti pensare a uno che guida l’automobile pensando tutte le volte che deve cambiare in pieno traffico) e quando il motorio fa il lavoro del mentale dà come risultato lettura e ascolto meccanici.

Che dire poi delle abitudini? Ogni centro ne ha parecchie, basti pensare al fumare prima di addormentarsi o dopo cena, al bere il caffè al mattino, al fare conversazione e così via. Se prendiamo un foglio di carta quadrettata e in alto scriviamo i numeri dall’1 al 10 corrispondenti a un criterio di valutazione che è insufficiente dal 5 allo zero e sufficiente dal 6 al 10, possiamo costruire e valutare il grafico delle funzioni, osservandone la curva e l’andamento per un ciclo determinato, dieci giorni, una settimana, un mese. Si dovrebbero vedere bene espresse le disfunzioni e le disarmonie tra i rispettivi centri.

 

 

I CENTRI

 

Ciascun centro è diviso in due parti, una positiva e una negativa. Nel centro istintivo-motorio l’istintivo per esempio è la parte positiva che accumula le energie, il motorio è la parte negativa che le disperde. Nel centro emozionale la divisione in positivo e negativo permette di distinguere il piacevole dallo spiacevole. Nel centro mentale permette di stabilire dei paragoni. di vedere le due facce dei problemi nell’analisi critica. Spesso vi è un cattivo uso della parte negativa, che nel centro mentale nutre la gelosia, la diffidenza, l’ipocrisia, il tradimento e nel centro emozionale serve quale veicolo per le emozioni negative.

Ciascun centro poi è contenuto negli altri, di modo che il centro intellettuale inferiore oltre ad avere le due parti positiva e negativa ha anche una parte intellettuale pura, una emozionale e una meccanica. E così via per gli altri centri. Nella maggior parte degli uomini il centro mentale lavora solo nella sua parte meccanica, il che significa che l’uomo non sa pensare, è pensato, deve ancora imparare a usare la mente, non sa porre attenzione. Il lavoro del mentale è quello di registrare su un nastro magnetico (la mente-discoteca) il materiale delle impressioni, ricordi, associazioni. Se si pensa e si parla meccanicamente è solo per frasi fatte, slogan, stereotipi, ogni cosa è divisa in due: o è bianco o è nero. La parte emozionale del centro mentale è invece quella che fa prendere piacere al lavoro mentale e allo studio, dà la passione intellettuale oppure l’erotismo e vari tipi di immaginazioni inutili, ma anche il desiderio di conoscere e la soddisfazione di sapere. Quando lavora lo fa senza sforzo. La parte intellettuale pura ci dà il pensiero vero e proprio che conduce alle scoperte e alle invenzioni con imparzialità, attenzione e sforzo. Fin qui il centro intellettuale che nel suo insieme registra, pensa, calcola, combina, ricerca. Il processo dell’educazione non fa altro che promuovere lo sviluppo unilaterale della parte meccanica di questo centro con ripercussioni negative quindi sulla salute fisica e affettiva.

Il centro emozionale funziona in base al principio della ricerca del piacere e nella sua parte meccanica comprende il sentimentalismo, l’attrazione per le emozioni collettive più basse, l’ipersensibilità morbosa ma anche l’umorismo. La parte pura è la sede dell’immaginazione creativa e può condurre al risveglio della coscienza, ma se funzione in stato di identificazione conduce solo all’amore di sé come fonte di emozioni negative e alla menzogna. La parte intellettuale del centro emozionale è quella più importante di tutte, e quando è combinata con la parte intellettiva del motorio dà la creazione artistica. È la sede del centro magnetico, e il centro delle intuizioni, dà il modo di pensare nuovo secondo una logica dialettica che sa vedere la sintesi degli opposti, è la via verso i centri superiori quando la personalità è armonizzata.

Il centro istintivo-motorio dirige i cinque sensi, accumula l’energia nell’organismo attraverso le sue funzioni istintive e presiede attraverso le sue funzioni motrici a consumare questa energia. Costruisce la vita organica, gli organi e le cellule, secondo modelli inconsci di pensiero, è la vita vegetativa inconscia. Nella parte intellettiva l’istinto programma i processi di crisi e di trasformazione dell’organismo, le sensazioni organiche di piacere e di dolore e comprende movimenti istintivi quali la circolazione del sangue, la digestione, i riflessi.

Il centro motorio definisce il tipo d’uomo pratico che agisce senza pensare. Vi appartengono i movimenti automatici e una funzione importantissima: l’imitazione. La parte emozionale del motorio è quella che fa prendere piacere ai movimenti e che dà la tenerezza passionale, in caso di creazione artistica dà l’armonia nei movimenti, ad esempio nella danza. La parte intellettuale del motorio, come s’è detto, è molto importante perché dà l’imitazione della natura. In stato di identificazione il centro motorio non funziona affatto e la sua energia viene assorbita dalle parti meccaniche del centro intellettuale ed emozionale.

Vi è una storia Sufi, che s’intitola "I tre dervisci", che è particolarmente adatta per sviluppare la comprensione. Essa si riferisce ai tre centri e alla quarta via come sintesi della via del monaco, dello yogi e del fakiro.

"C’erano una volta tre dervisci, che si chiamavano Yak, Do e Se, e venivano rispettivamente dal Nord, dall’Ovest e dal Sud. Essi avevano una cosa in comune, che cercavano tutti e tre una Via che li conducesse alla Verità Profonda. Il primo, Yak-Baba, si sedeva e contemplava finché la testa gli faceva male, il secondo, Do-Agha, stava ritto con la testa per terra e i piedi in alto finchè questi gli doloravano, il terzo, Se-Kalandar, leggeva libri fino a farsi sanguinare il naso.

Alla fine essi decisero di compiere uno sforzo comune, si chiusero in ritiro e si misero a fare all’unisono i loro esercizi, sperando in questa maniera di raccogliere un’energia che fosse sufficiente per produrre l’apparire della Verità, che essi chiamavano Verità Profonda.

Per quaranta giorni e quaranta notti perseverarono in questo stato e alla fine apparve di fronte a loro, in una nuvola di fumo bianco sorto da terra, il volto venerabile di un vecchio.

– Siete voi il misterioso Khidr, la guida per gli uomini? – chiese il primo.

– No, egli è Qutub, il pilastro dell’Universo – disse il secondo.

– Penso invece che costui non sia nient’altro che uno degli Abdals, i Trasformati – disse il terzo.

– Io non sono nessuno di costoro – tuonò l’apparizione – sono invece colui che voi pensiate che sia. Ordunque desiderate voi tutti la stessa cosa che chiamate la Verità Profonda?

– Sì, o maestro – fecero in coro.

– Avete mai sentito dire che vi sono tante vie quanti sono i cuori degli uomini? In ogni caso ecco qui le vostre vie – disse il vecchio.

– Il primo derviscio viaggerà attraverso il Paese dei Pazzi; il secondo derviscio troverà lo Specchio Magico; il terzo derviscio dovrà chiedere l’aiuto del genio del Vento. – Così dicendo egli disparve.

Ci fu tra di loro un po’ di discussione, non solo perché avrebbero desiderato ricevere più informazioni, ma anche perché, sebbene avessero tutti praticato diverse vie, pure ognuno credeva che ci fosse solo una via, la propria, naturalmente. Nessuno però era sicuro che la sua propria via fosse sufficientemente utile, sebbene essa fosse stata in parte responsabile di quella apparizione rimasta purtroppo a loro sconosciuta.

Yak-Baba fu il primo a lasciare la sua cella e invece di chiedere a tutti quelli che incontrava, com’era sua abitudine, dove si potesse trovare nelle vicinanze qualche sapiente, egli chiedeva dove si trovasse il Paese dei Pazzi. Alla fine dopo molti mesi qualcuno seppe indicarglielo ed egli vi si stabilì. Non appena entrò nel Paese dei Pazzi egli vide una donna che trasportava sulla schiena una porta.

– Donna – egli chiese – perché stai facendo questo?

– Perché questa mattina mio marito prima di uscire per il suo lavoro mi ha detto: "Moglie, ci sono dei valori in questa casa, non lasciare che alcuno passi questa porta". Così quando sono uscita ho preso con me la porta, di modo che nessuno potesse oltrepassarla.

– Volete che vi dica qualcosa che vi risparmi di portare questa porta con voi? – chiese il derviscio Yak-Baba.

– No di certo, l’unica cosa che potrebbe aiutarmi sarebbe quella di dirmi come alleggerire il peso di questa porta – disse la donna.

– Non saprei che cosa dire, fece il derviscio, e così ciascuno se ne andò per la sua strada.

Più avanti egli incontrò un gruppo di persone che se ne stavano terrorizzati di fronte a un’enorme anguria che era cresciuta in un campo.

– Noi non abbiamo mai visto prima d’ora un mostro simile – gli dissero – e certamente diventerà ancora più grande e ci ucciderà tutti e noi abbiamo paura di toccarlo.

Volete che io vi dica cosa dovete fare? – egli chiese loro.

– Non siate pazzo, uccidetelo e ne sarete ricompensato, noi non ne vogliamo sapere niente.

Così il derviscio tirò fuori un coltello, avanzò fino all’anguria e ne tagliò una fetta che cominciò a mangiare.

In mezzo a terribili grida di spavento la gente gli consegnò allora una manciata di monete e vedendolo partire dissero: – Non tornate più indietro, Onorabile Uccisore di Mostri, non vogliamo anche noi finire uccisi così.

Egli allora capì che nel Paese dei Pazzi, allo scopo di sopravvivere uno deve essere in grado di pensare e di parlare come un pazzo. Dopo alcuni anni egli si diede da fare per convertire alcuni pazzi alla ragione e come ricompensa un giorno ottenne la Conoscenza Profonda che cercava. Ma sebbene egli fosse divenuto un santo nel Paese dei Pazzi, lo si ricordava soltanto come l’Uomo che Squarciò il Ventre al Mostro Verde e Bevve il suo Sangue. Essi cercarono di fare la stessa cosa, cioè di raggiungere la Conoscenza Profonda, ma non vi riuscirono. Nel frattempo Do-Agha, il secondo derviscio, partì alla ricerca della Conoscenza Profonda. Invece di chiedere in giro egli si recò direttamente dai sapienti del luogo e a tutti chiedeva se avessero mai sentito parlare dello Specchio Magico. Alla fine lo trovò. Si trovava in un pozzo sospeso a una cordicella sottile quanto un capello e in se stesso era solo un frammento poiché era fatto di tutti i pensieri degli uomini e non vi erano pensiero sufficienti per formare un intero specchio.

Dopo che ebbe ingannato il demone che lo custodiva, Do-Agha guardò nello specchio e chiese per sé la Conoscenza Profonda. In un istante essa fu sua. Egli allora si stabilì in quella zona e insegnò felicemente per molti anni. Ma poiché i suoi discepoli non riuscivano a mantenere il grado di concentrazione occorrente per rinnovare con regolarità lo specchio, questo svanì.

Per quanto riguarda il terzo derviscio, Se-Kalandar, egli cercò dappertutto il genio del Vento. Alla fine giunse in un villaggio e chiese: – Gente avete mai sentito parlare del genio del vento?

E qualcuno disse: – Non ho mai sentito di questo genio, però questo villaggio è chiamato Vento.

Allora Kalandar si buttò per terra gridando: – Non lascerò questo luogo fino a che il genio deI vento non mi apparirà!

Il genio allora che stava sogghignando lì vicino si alzò turbinando sopra la sua lesta e disse: – Non ci piacciono gli stranieri vicino al nostro villaggio, derviscio. Per questo, come vedi, sono io che vengo da te. Che cosa cerchi?

– Cerco la Conoscenza Profonda e mi è stato detto che tu puoi insegnarmi a trovarla.

Certo che lo posso – disse il genio – l’hai cercata per tanto tempo che ora quel che ti rimane da fare è pronunciare questa e quest’altra frase, cantare questa e quest’altra canzone, fare questa e quest’altra azione ed evitare questa e quest’altra azione. Così ti guadagnerai la Conoscenza Profonda.

Il derviscio ringraziò il genio e cominciò a svolgere il suo programma. Passarono mesi e anni, egli eseguiva sempre le sue devozioni e i suoi esercizi correttamente. La gente veniva a guardarlo e cominciava a imitarlo, poiché era considerato un uomo zelante, devoto e degno di stima. Alla fine il derviscio raggiunse la Conoscenza Profonda e lasciò dietro di sé una folla di devoti che proseguiva per la sua via.

Naturalmente nessuno arrivò alla Conoscenza Profonda poiché essi cominciavano là dove il derviscio aveva finito.

In seguito quando i discepoli di ciascun derviscio s’incontravano si dicevano: – Ho qui il mio specchio, guardalo a lungo e alla fine otterrai la Conoscenza.

Un altro replicava: – Sacrifica un melone, ti aiuterà come ha aiutato Yak-Baba.

E un terzo interrompeva: – Stupidaggini, l’unica maniera è il perseverare nello studio e nell’organizzazione di certe posizioni, della preghiera e delle buone azioni.

Quando ebbero raggiunto la Conoscenza i tre dervisci scoprirono che non avevano nessun potere di aiutare coloro che avevano lasciato indietro e che perciò non potevano trasmetterla ad alcuno. Questo racconto, tolto da "Tales of the Dervishes" di ldries Shah, ci insegna che è inutile sviluppare unilateralmente un centro come si fa nella Prima Via del fakiro (il secondo derviscio), nella Seconda Via del monaco (il primo derviscio) e nella Terza Via dello Yogi (il terzo derviscio), che rappresentano rispettivamente il centro istintivo-motorio, il centro emozionale e il centro intellettuale. Alla fine la Verità non potrà essere trasmessa, perché per insegnare occorre possedere non solo il Sapere ma anche l’Essere e la loro risultante che è la Comprensione. La Quarta Via mira allo sviluppo della comprensione attraverso l’armonizzazione e l’impiego simultaneo dei tre centri. Il sufismo Sarmoung, con cui Gurdjieff era in contatto, parte dallo stadio in cui la personalità è già armonizzata e percepisce gli impulsi dell’essenza. Nell’ultimo capitolo degli "Incontri con uomini straordinari" Gurdjieff esemplifica nella figura di Padre Giovanni questa idea fondamentale della Comprensione, che è il risultato dello sforzo cosciente. La distinzione tra conoscere e comprendere è raffigurata invece in fratello Seze e in fratello Akel, le parole dei quali hanno effetti opposti su chi ascolta (cfr. pag. 311 dell’edizione italiana).

 

 

I RACCONTI Dl BELZEBÙ AL NIPOTE

 

Gurdjieff si era proposto di scrivere dieci serie di libri. Ne scrisse invece tre, di cui solo due destinate alla pubblicazione. Era sua disposizione precisa che si leggessero nell’ordine indicato, prima i "Racconti di Belzebù al nipote", che porta come sottotitolo "Una critica imparziale e obiettiva della vita dell’uomo", e poi "Incontri con uomini straordinari". La trasgressione a questo ordine è destinata a falsare lo scopo stesso della lettura, che è l’apprendimento della comprensione. Sono questi dei libri scritti in uno stato di coscienza oggettiva e quindi incomprensibili, il primo anche solo mentalmente, a una persona che vive in uno stato di coscienza ordinaria. Sono libri scritti per il cuore, non per la mente. La loro lettura di per sé produce gli effetti voluti, in primo luogo umorismo e calma, e da sola basta a creare quello sforzo cosciente che ha come risultato la comprensione. Lo sforzo meccanico invece come frutto dà solo l’apprendimento mnemonico automatico. Si consiglia tuttavia di leggere il "Belzebù" dopo i "Frammenti", così il lettore potrà accorgersi della differenza che c’è tra il conoscere e il comprendere.

Prima del capitolo iniziale il "Belzebù" porta delle avvertenze, nelle quali si dice che i libri "sono stati scritti secondo principi completamente nuovi di logica e di ragionamento e strettamente diretti verso la soluzione dei seguenti tre punti cardinali. Prima serie: distruggere senza pietà e senza compromessi nel modo di pensare e di sentire del lettore le credenze e le opinioni radicate da secoli in lui attorno a tutto ciò che esiste nel mondo. Seconda serie: far conoscere al lettore il materiale che occorre per una nuova creazione e provarne la sanità e la buona qualità. Terza serie: assistere al sorgere nel modo di pensare e di sentire del lettore di una rappresentazione veritiera e non fantastica non di quel mondo illusorio che egli ora percepisce, ma di quel mondo che è reale".

Il "Belzebù" inoltre va letto tre volte, come tre volte va pronunciata una preghiera per essere esaudita: "la prima per il benessere e la pace delle anime dei propri parenti, la seconda per il benessere dei propri vicini e solo la terza per se stessi". La prima lettura va fatto "almeno nella maniera in cui si è abituati a leggere meccanicamente tutti i libri contemporanei e i giornali. La seconda come se si stesse leggendo ad alta voce di fronte a un’altra persona. E la terza soltanto cercando di approfondire l’essenza dei miei scritti".

Prima di passare al contenuto del libro ricordiamo che ogni parola ha almeno tre significati e sette aspetti, come ogni parabola e ogni racconto mitico, e che quindi non vi è ragione di escludere proprio il significato letterale. Il libro è una specie di lunghissima favola in cui si racconta come nell’anno 1921 d.C., secondo il modo soggettivo di calcolare il tempo sulla Terra, precisa il narratore (cioè Belzebù), viaggiava nel cosmo su una nave spaziale Belzebù stesso diretto dal suo pianeta Karatas verso il sistema solare Pandetznokh per recarsi a una speciale conferenza sul pianeta Revozvrad in cui si dovevano discutere eventi concernenti questo Sole. L’inizio del capitolo II che s’intitola "Perché Belzebù si trovò nel nostro sistema solare".

Ma chi è Belzebù? Non certo un terrestre (ha la coda e le corna), bensì addirittura uno che da giovane fu servitore del ‘Sole Assoluto’, SUA INFINITÀ SIGNORE SOVRANO, dal quale era stato assunto grazie alla straordinaria intelligenza piena di risorse. Ma in seguito venne esiliato nel nostro sistema solare Ors sul pianeta Marte per avere commesso degli errori. Poiché non era ancora divenuto definitivamente responsabile e la sua comprensione era limitata: aveva visto nel governo del Mondo qualcosa che a lui sembrava ‘illogico’ e così, interferendo in quelli che non erano affari suoi, aveva portato il regno centrale del Megalocosmo quasi sull’orlo di una rivoluzione. Ma ora era vecchio e cresciuto, e ormai perdonato per intercessione del Messaggero Celeste Ashiata Shiemash, ritornava a casa assieme al vecchio servitore Ahoon e al giovane nipote Hassein, dopo lunghi anni di espiazione e di purificazione, durante i quali aveva avuto modo, tra l’altro, di operare sei discese sul pianeta Terra. La storia occulta dell’uomo sulla terra è dunque l’argomento centrale del libro, a cui Belzebù arriva spinto dalle richieste insistenti del nipote, che voleva sapere prima di tutto se anche sul pianeta Terra abitavano esseri tricervicali e se i loro corpi potevano rivestirsi, come quelli di tutti i normali abitanti dei pianeti, di corpi superiori. Belzebù, dopo aver descritto con il suo solito impareggiabile umorismo gli abitanti di Marte, accenna a quelli di alcuni pianeti vicini, e a questo punto l’attenzione di Hassein è catturata e qui comincia il lungo racconto di Belzebù attorno alle sue discese sulla Terra. Come si vedrà alla fine lo scopo di questa sua narrazione è quello di istruire il nipote sul significato stesso della Vita e di fargli apprendere la compassione per quei poveri esseri che chiamano se stessi uomini ma che non lo sono.

Nel cap. IX intitolato "La causa dell’origine della Luna" si narra infatti l’origine dell’uomo e della vita sulla Terra e si spiega perché questo pianeta è così diverso dagli altri nello stesso sistema solare. Per un errore di calcolo di certi Sacri Individui a proposito dei problemi della creazione e del mantenimento dell’Universo la cometa Kondoor venne a cadere proprio sulla Terra e come conseguenza di questa violenta collisione la Terra, che allora era ancora agli inizi della sua formazione, si spaccò in due frammenti con conseguenze disastrose per tutto il nostro sistema solare, specie per Marte. Questi due frammenti formeranno in seguito la Luna e Anulios, ora divenuti pianeti indipendenti. Allora il Santissimo Sole Assoluto inviò una Altissima Commissione nel nostro sistema solare che rassicurò tutti dopo accurate indagini, dicendo che il pericolo di una catastrofe su scala cosmica era passato. Tuttavia rimaneva l’eventualità che i frammenti della Terra in futuro potessero abbandonare la loro posizione e causare irreparabili disastri. Perciò essi risolvettero che la misura migliore da prendere sarebbe stata quella di inviare da parte del pianeta Terra, che era il pezzo fondamentale, costantemente ai frammenti staccati, per il loro mantenimento, le sacre vibrazioni "Askokin".

E così sulla Terra venne attuato il prcoesso Ilnosoparno in base al quale sulla sua superficie cominciarono a svilupparsi i Microcosmi e i Tetartocosmi cioè gli animali, i vegetali e gli uomini. All’inizio questi ultimi erano dotati, in quanto esseri naturali, di istinti che gradualmente li avrebbero spiritualizzati fino a portarli al perfezionamento della Ragione Oggettiva. Ma in seguito, dopo un anno calcolato oggettivamente, essi andarono incontro a una disgrazia imprevista dall’Alto. Nel cap. X intitolato "Perché gli uomini non sono uomini" si racconta come l’Altissima Commissione presieduta dall’Arcangelo Sakkaki dovette scendere una seconda volta sulla Terra. Si temeva che gli uomini, una volta avendo compreso prematuramente la causa della loro origine sulla terra, che cioè con la loro esistenza avrebbero dovuto mantenere i frammenti staccati dal loro pianeta, non avrebbero più voluto continuare a vivere e si sarebbero distrutti a vicenda. Allora la Commissione decise di introdurre in essi, esattamente alla base della spina dorsale, lì dove una volta anch’essi avevano la coda, un organo speciale, le cui proprietà avrebbero fatto percepire la realtà in maniera capovolta, e in base al quale ogni impressione ripetuta dall’esterno avrebbe generato fattori per evocare in loro sensazioni di ‘piacere’ e di ‘godimento’. E questo ‘qualcosa’ fu chiamato ‘organo Kundabuffer’.

Riassicurata così l’armonia universale, grazie a questa invenzione dell’Arcangelo Looisos, tutto ritornò alla normalità e Belzebù poté continuare su Marte a fare le sue osservazioni planetarie, il tempo passava, la Terra cresceva con i suoi esseri tricervicali e una terza discesa dell’Altissima Commissione ebbe lo scopo di eliminare quell’organo Kundabuffer, in base al quale però, come Belzebù aveva notato, due cose strane, mai riscontrate nella vita degli esseri tricervicali, si erano verificate sulla Terra. La prima era la loro straordinaria fecondità, la seconda il processo di reciproca distruzione delle loro esistenze che faceva sì che si alternassero sulla terra periodi di sovrabbondanza e di scarsità di popolazione.

Una volta tolto l’organo Kundabuffer, le sue proprietà si trasmisero ereditariamente, ingenerando quei tratti tipici di quella strana e anormale psiche dei terrestri che si chiamano ‘egoismo’, ‘amor proprio, ‘vanità’, ‘orgoglio’, ‘opinione di sè’, ‘credulità’, ‘suggestionabilità’, e così via, tutte caratteristiche sconosciute agli esseri tricervicali dell’universo. Ne risulta capovolto il ‘senso istintivo della realtà’ e quindi reso impossibile in loro il processo di autoperfezionamento fino alla coscienza oggettiva, e tutto per una disgrazia causata da un errore non imputabile all’uomo stesso.

Come fare quindi per porre rimedio e per recuperare una possibilità di salvezza? Sulla Terra vengono inviati periodicamente dei Messaggeri Celesti che hanno la missione di aiutare l’uomo a eliminare le conseguenze dell’organo Kundabuffer, che lo fanno ritenere un essere separato dagli altri viventi e da ciò che esiste nell’universo, per il fatto che nella sua mente si è insinuata questa immagine di sé che si tende a divinizzare.

Il loro insegnamento è quello dello sforzo cosciente e della sofferenza intenzionale, soffrire e lottare per mettere ordine nei centri inferiori, armonizzarli, metterli in sintonia con la Vita Organica, nutrire la Luna appunto, producendo Askokin, cioè comprensione.

La Luna, nostra creazione bastarda, ci ipnotizza per divorarci, circolo vizioso di vampirismo in cui il padre genera il figlio per unirsi con lui in un connubio di dissoluzione. Occorre accettare il fatto di essere parto della natura, recuperare la salute degli istinti che sono stati corrotti, imparare ad accettare il ritmo del tempo della Terra, che è il suo respiro, identificarsi col film delle immagini che vagano sulla superficie della Terra e non con quelle proiettate dall’Organo Kundabuffer, accettare la contraddizione e la lotta tra la necessità della meccanicità e la possibilità della coscienza, tra la necessità di nutrire la Luna e la possibilità di liberarsi della Luna.

L’organo Kundabuffer fu tolto perché lo spargimento di sangue dovuto al processo di reciproca distruzione riassicurava nutrimento alla Terra ed equilibrio per i corpi planetari dei vari sistemi solari, di tutta la Terra che soffre, è Dio stesso che soffre nel desiderio di diventare ciò che si dovrebbe essere. La sofferenza è dovuta all’esistenza deI crudele Heropass, il nemico di Dio. Ma difficile è per l’uomo riuscire a distinguere tra la sofferenza inutile e la sofferenza utile, eppure non è possibile evolversi se non si adempie al dovere Partkdolg.

La nostra esistenza risulta divisa in due periodi ben distinti, da una parte l’età preparatoria della giovinezza, dall’altra l’età adulta, nella quale se ci siamo ben preparati, possiamo essere in grado di pagare per la nostra esistenza e di assumere responsabilità e decisioni coscienti. lì lavoro su di sé è il dovere Partkdolg, lo scopo della nostra vita. Alla fine del cap. VII intitolato "Divenendo consapevoli del vero e proprio dovere", Belzebù dà questo consiglio al nipote per la sua età preparatoria: "Nel frattempo esisti come esisti. Solo non dimenticare una cosa, alla tua età è assolutamente necessario che ogni giorno al tramonto mentre osservi i riflessi dello splendore del sole tu possa allacciare un contatto tra la tua coscienza e le varie parti inconsce della tua generale presenza. Cerca di far durare questo stato e di convincere le parti inconsce che se esse impediscono il tuo funzionamento generale nel periodo dell’età responsabile non solo non potranno adempiere il bene per cui sono adatte, ma neanche potrà la tua generale presenza, di cui esse sono parti, essere in grado di divenire un buon servitore del nostro Comune Infinito Creatore e per quel periodo nemmeno saranno considerate degne di pagare per la tua crescita e la tua esistenza".

 

 

 

Da: http://www.societa-ermetica.it/testi/gurdjieff_txt.htm

 

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