in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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La banalità come crimine perfetto (Jean Baudrillard)


 

Tutta la nostra realtà è diventata sperimentale. In assenza di un destino, l'uomo moderno è votato alla sperimentazione illimitata di se stesso. Due illustrazioni recenti: "Loft Story" (il "Grande Fratello" francese), l'illusione mediatica della realtà in diretta, e Catherine Millet l'illusione fantasmatica del sesso in diretta. Il Loft è ormai un concetto universale, un condensato di parco d'attrazioni umano, ghetto, clausura e Angelo Sterminatore. La reclusione volontaria come laboratorio di una convivialità di sintesi, di una socialità telegeneticamente modificata.

A questo punto, quando tutto è esposto alla vista (come nel Grande Fratello) ci si accorge che non c'è più niente da vedere. E' lo specchio dell'appiattimento, del grado zero, dove - contrariamente a tutti gli obiettivi dichiarati - si dimostra la scomparsa dell'Altro, e fors'anche il fatto che fondamentalmente l'essere umano non è un essere sociale. Banalità di sintesi, fabbricata in circuito chiuso e sotto uno schermo di controllo.

In questo senso, il microcosmo artificiale del Loft assomiglia a Disneyland, che dà l'illusione di un mondo reale, di un mondo esterno, mentre entrambi sono esattamente l'uno a immagine dell'altro. Tutti gli Stati Uniti sono Disneyland, e tutti noi siamo nel Loft. Non c'è bisogno di entrare nel doppio virtuale della realtà, ci stiamo già - l'universo televisivo non è altro che un dettaglio olografico della realtà globale. Fin nella nostra esistenza più quotidiana, siamo già in situazione di realtà sperimentale. Ed è a questo punto che si rimane affascinati, per immersione e per interattività spontanea. Si tratta di voyeurismo porno? No.

Di sesso, ce n'è dovunque altrove; ma non è questo che vuole la gente. Ciò che profondamente vuole è lo spettacolo della banalità. E' questa oggi la vera pornografia, la vera oscenità - quella della nullità, dell'insignificanza, dell'appiattimento. L'opposto estremo del Teatro della Crudeltà. Ma può darsi che qui ci sia una forma di crudeltà, quanto meno virtuale. La Tv e i media, sempre più incapaci di rendere conto degli avvenimenti (insopportabili) del mondo, ora scoprono la vita quotidiana, la banalità esistenziale come il più distruttivo degli eventi, come l'attualità più violenta, come il luogo stesso del crimine perfetto. E difatti lo è. E la gente è affascinata, affascinata e terrificata dall'indifferenza del Niente-da-dire, Niente-da-fare, dall'indifferenza della sua stessa esistenza.

La contemplazione del Crimine Perfetto, della banalità come nuovo volto della fatalità, è divenuta una vera e propria disciplina olimpica, o l'ultima trovata in fatto di sport estremi. A rafforzare tutto questo, il pubblico stesso è mobilitato a fare da giudice, a trasformarsi in Grande Fratello. Siamo al di là del panottico, della visibilità come fonte di potere e di controllo. Non si tratta più di rendere le cose visibili a un occhio esterno, bensì di renderle trasparenti a se stesse attraverso la perfusione del controllo nelle masse, cancellando all'atto stesso le tracce dell'operazione. Così i telespettatori sono coinvolti in un gigantesco controtransfert negativo su se stessi; e proprio da qui deriva, ancora una volta, l'attrazione vertiginosa di questo tipo di spettacolo. In fondo, tutto questo corrisponde al diritto e al desiderio imprevedibile dell'essere imprescrittibile. Di non essere Niente, e di essere guardato come tale. Si può scomparire in due modi: o si esige di non essere visti (è l'attuale problematica del diritto all'immagine) oppure si finisce nell'esibizionismo delirante della propria nullità. Farsi nullità per essere visti e guardati come nullità - ultima protezione contro la necessità di esistere e l'obbligo di essere se stessi. Da qui l'esigenza contraddittoria e simultanea di non essere visti e di essere perpetuamente visibili. Tutti giocano contemporaneamente su due tavoli, e nessuna etica o legislazione può venire a capo del dilemma tra il diritto incondizionato di vedere e quello, altrettanto incondizionato, di non essere visti. Il diritto al massimo dell'informazione fa parte dei diritti umani, e quindi ne fa parte anche la visibilità forzata, la sovraesposizione alle luci dell'informazione, L'espressione di sé come forma ultima della confessione, di cui parlava Foucault. Non tenere più nulla per sé. Parlare, parlare, comunicare instancabilmente: questa la violenza perpetrata contro l'essere singolare e il suo segreto. E al tempo stesso, è una violenza contro il linguaggio, che pure, a questo punto, perde la sua originalità, è ridotto a essere solo tramite, operatore di visibilità, privato delle sue dimensioni ironiche o simboliche in cui il linguaggio stesso conta più della cosa di cui si parla.

In quest'oscenità, in quest'impudicizia, il peggio è la condivisione forzata, quella complicità automatica dello spettatore che risulta da un vero e proprio ricatto. Questo l'obiettivo più chiaro dell'operazione: l'asservimento delle vittime - ma un asservimento volontario, di chi gode del male subito, della vergogna che gli viene imposta. E il colmo è che tutta una società condivide il suo meccanismo fondamentale: l'esclusione interattiva! Decisa in comune, consumata con entusiasmo. Se tutto finisce nella visibilità, la quale - come il calore nella teoria nell'energia - è la forma più degradata dell'esistenza, il punto cruciale è riuscire a fare di questa perdita di ogni spazio simbolico, di questa forma estrema di disincanto della vita, un oggetto di contemplazione, di raccapriccio e di desiderio perverso.

"L'umanità che ai tempi di Omero era oggetto di contemplazione per gli dei dell'Olimpo, ora lo è per se stessa. La sua alienazione da sé ha raggiunto un grado tale da farle vivere la sua propria distruzione come una sensazione estetica di prim'ordine" (Walter Benjamin). Così la sperimentazione prende dappertutto il posto del reale e dell'immaginario. Dovunque ci vengono inoculati i protocolli della scienza e della verifica; e noi ci dedichiamo a vivisezionare, sotto il bisturi della telecamera, la dimensione relazionale e sociale, fuori da ogni linguaggio e contesto simbolico. E' sperimentale anche Catherine Millet, in un altro genere di "vivisezione", dalla quale è bandito tutto l'immaginario della sessualità; resta soltanto un protocollo, sotto forma di verifica illimitata del funzionamento sessuale, di un meccanismo che in fondo di sessuale non ha più nulla.

Un duplice controsenso: fare della sessualità in sé il riferimento ultimo. Rimossa o manifestata, nel migliore dei casi la sessualità non è che un'ipotesi; e in quanto ipotesi non può essere trattata come una verità o come un riferimento. La stessa ipotesi sessuale potrebbe non essere che un fantasma. E in ogni modo, è la rimozione della sessualità a conferirle autorità, a circondarla di un'aura di strana attrazione; divenuta palese, perde anche questa sua qualità potenziale. Da qui il controsenso e l'assurdità di passare all'atto, in nome di una "liberazione" sistematica del sesso: non si "libera" un'ipotesi. Quanto poi alla dimostrazione del sesso mediante il sesso, che tristezza!

Come se non fosse tutta una questione di traslati, di deviazioni, di transfert, di metafore. Tutto è nel filtro della seduzione, nel dirottamento, non nel sesso e nel desiderio, ma nel gioco con il sesso e il desiderio. Perciò l'operazione del sesso "in diretta" è comunque impossibile, come la morte in diretta, o l'evento in diretta nell'informazione. Tutto questo è incredibilmente naturalistico: la pretesa di far derivare tutto dal mondo reale, di precipitare tutto in una realtà integrale. E' qui che in qualche modo sta l'essenza stessa del potere. "La corruzione del potere è immettere nel reale tutto ciò che era nell'ordine del sogno ..." La chiave ci viene data da Jacques Henric, nella sua concezione dell'immagine e della fotografia: è inutile cercare di nasconderci il fatto che la nostra curiosità per le immagini è sempre di ordine sessuale. Tutto ciò che cerchiamo in esse in definitiva è il sesso, e in particolare il sesso femminile. Il quale non solo è l'Origine del mondo (Courbet) ma è l'origine di tutte le immagini. E allora sotto, buttiamoci a fotografare, senza giri viziosi, quest'unica cosa, obbedendo senza più ostacoli alla pulsione voyeuristica! Questo il principio di una "realerotik", di cui l'equivalente per il corpo è il perpetuo acting out copulatorio di Catherine Millet: se ciò che in definitiva tutti sognano è l'uso sessuale illimitato del corpo, tanto vale procedere senza deviazioni all'esecuzione del programma. Fine della seduzione, fine del desiderio e persino del godimento; è tutto qui, nelle innumerevoli ripetizioni, in un accumulo ove la quantità diffida sopra ogni altra cosa della qualità. "Pensare a come una donna si toglie il vestito", dice Bataille. Sì, ma l'ingenuità delle varie Catherine Millet è pensare che ci si tolga il vestito per spogliarsi, per mettersi a nudo, e accedere così alla verità nuda, del sesso o del mondo. Controsenso totale di questa visione moderna e disincantata, in cui il corpo è unicamente un oggetto in attesa di essere spogliato, e il sesso un desiderio che aspetta solo di procedere all'atto e di godere. Peraltro, questa stessa impudicizia, questa oscenità radicale (come quella di Loft Story) è a sua volta un velo, l'ultimo dei veli - stavolta però insopprimibile. Il velo che si interpone quando si crede di averli stappati tutti.

Si vorrebbe toccare il peggio, il parossismo dell'esibizione, la nudità totale, la realtà assoluta, diretta, lo scorticato vivo - e non ci si arriva mai. Perché allora non fare un'ipotesi opposta a quella del voyeurismo e ella stupidità collettiva: se la gente, se tutti noi andiamo a sbattere contro il muro dell'osceno, non potrebbe essere proprio per il presentimento che per l'appunto, non c'è niente da vedere, che non si saprà mai qual è il nocciolo della questione, verificando così a contrario la potenza ultima della seduzione? Verifica disperata - ma la sperimentazione è sempre disperata. Ciò che Loft Story pretende di verificare è la natura sociale dell'essere umano - la quale non è poi tanto certa. Mentre Catherine Millet pretende di verificare il suo essere sessuata - e anche questo non è affatto certo.

Ciò che si verifica, in queste sperimentazioni, sono le condizioni stesse della sperimentazione, semplicemente portate al loro limite. Il sistema si decodifica al meglio nelle sue stravaganze, ma è lo stesso dovunque. La crudeltà è dappertutto la stessa. Tutto questo in definitiva, per riprendere l'espressione di Duchamp, si riduce ad "allevare la polvere".

 

Da: http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010601a.htm

 

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