| Venturini: Mi chiamo Riccardo Venturini, 
    insegno Psicofisiologia Clinica all'Università di Roma, La 
    Sapienza, e da vari anni mi occupo di stati di coscienza, soprattutto 
    delle tecniche trasformative della coscienza, della mente, sia attraverso 
    tecniche della psicologia occidentale che delle psicologie tradizionali 
    orientali. Adesso, per introdurre il tema della discussione, vediamo il 
    filmato che è stato preparato con la regia.    -Si visiona la scheda: COMMENTATORE: Mondo di visioni non vedute e di silenzi 
    uditi, di ricordi impalpabili, di fantasticherie che nessuno può mostrare, 
    teatro segreto fatto di monologhi senza parole, dimora invisibile di tutti 
    gli umori, meditazioni e misteri, luogo di delusioni e di scoperte infinite. 
    Questa coscienza che è il nostro essere più segreto che cos'è? E da dove 
    venne? E perché? Conosci te stesso era scritto nel Tempio di Apollo a 
    Delfi. La storia di questi tentativi di conoscenza è una storia millenaria, 
    che ha percorso due grandi strade, quella dell'esterno e quella 
    dell'interno. Oggi possiamo vedere quanti successi sono stati conseguiti 
    dalle scienze naturali e dalla psicologia obiettiva nello studio del 
    rapporto tra mente e cervello. Ma paradossalmente l'ampliarsi della sfera 
    delle conoscenze naturali aumenta il mistero del non conosciuto e 
    l'esplosione della conoscenza comporta anche una esclusione di 
    interrogativi. Le vie sapienziali invitano a percorrere una strada inversa, 
    una strada centripeta, anziché centrifuga. Questo diverso percorso può farci 
    capire perché esso abbia potuto, pur dal lontano passato, offrire certezze 
    che sentiamo valide ancor oggi, certezze dovute ad intus legere, ad 
    una implosione del conoscere verso il punto senza estensione della nostra 
    interiorità. Non è sorprendente che nel periodo del VI-V secolo a.C., 
    Socrate in Grecia, Buddha in India, Confucio in Cina, potessero, 
    indipendentemente l'uno dall'altro, raggiungere conoscenze e fornire 
    strumenti di comprensione della realtà, che hanno consentito all'umanità un 
    autosvelamento, che ha mutato la storia in modo definitivo? -Fine della scheda, inizia la discussione. Venturini: Ecco, come abbiamo sentito dal filmato, la 
    domanda sulla coscienza è una domanda centrale della cultura. E oggi la 
    psicologia ha riportato al centro della sua indagine questo tema della 
    coscienza, che, nei decenni passati, era stato in qualche modo, rimosso, 
    occultato da psicologie, che volevano essere soltanto psicologie obiettive.   STUDENTESSA: Buongiorno, professore. Qual'è la 
    differenza fra la concezione orientale e occidentale di mente e di 
    coscienza? Non è una domanda semplice questa, ma possiamo dire, 
    cercare di dire qualche cosa. Intanto ci sono molti Orienti e molti 
    Occidenti. La stessa concezione dell'Oriente, a volte, si dice, è una figura 
    dell'immaginazione occidentale. Andando ad Oriente, andando ancora ad 
    Oriente, si arriva dall'Estremo Oriente in California. Ecco, quindi vedete 
    quanto è relativo. E poi la nostra cultura è una cultura indo-europea e 
    quindi sono anche molto più vicine, di quanto non pensiamo, certe 
    concezioni, certe filosofie, che consideriamo appunto orientali. Se 
    possiamo, per ipersemplificare, dire quale è il tono della visione del mondo 
    quindi anche della mente, della coscienza dell'Oriente è quello della 
    interrelazione, della vacuità, che non significa il nulla, ma significa 
    vedere il mondo dei fenomeni come strettamente interconnessi, quindi una 
    vacuità nel senso di essere privi di una esistenza propria, di una esistenza 
    inerente. Se riflettiamo, vediamo che il nostro corpo, il linguaggio che 
    adoperiamo, la nostra cultura, da dove viene? Ci viene dai rapporti, 
    dall'esterno. Ecco, quindi questo direi che è un po' quello che contrassegna 
    in maniera più generale la visione del mondo orientale. Su questo possiamo 
    vedere anche, se volete, un altro breve filmato, che appunto riguarda 
    proprio questa concezione del "sé" secondo la visione orientale. -Si visiona un'altra scheda: BAMBINA: Perché mai abbiamo tutti lasciato il mondo? UOMO: Perché nel mondo non c'è la pace, la libertà del cuore.  BAMBINA: Perché? UOMO: Perché la gente non ha abbastanza cuore, non 
    abbastanza da contenere tutte le cose del mondo. Invero sarebbe sufficiente, 
    ma è riempito solo dall'idea di sé. -Fine della scheda, riprende la discussione. Venturini: Ecco, come avete sentito, c'è 
    questa idea di sé che sembra centrale nella visione dell'Occidente, l'idea 
    di anima, di qualche cosa che è un nucleo duro, un nucleo che non si risolve 
    nella molteplicità delle relazioni e dei fenomeni. La visione orientale è 
    più fluida, ecco: la coscienza come un flusso. Lì vedete c'è una clessidra, 
    ci fa vedere questa impermanenza dei fenomeni, la coscienza come un fluire. 
    Anche in Occidente William James aveva sottolineato appunto questo stream 
    of consciousness, la coscienza come un flusso. In questo flusso 
    noi, per studiare, per osservare, siamo costretti a bloccare, come se fosse 
    un fotogramma di una pellicola, qualche stato di coscienza per poterlo 
    meglio studiare. STUDENTESSA: Che rapporto c'è tra Socrate, Buddha 
    e Confucio, come abbiamo visto anche nella scheda? Il rapporto è quello di essere intanto contemporanei. E 
    questo ci fa fare delle riflessioni, come se ci fosse stato un momento 
    particolare dell'evoluzione culturale dell'umanità, in cui si scopre il 
    significato dell'interiorità. Ecco allora possiamo vedere i vari modi in cui 
    ciascuno di questi grandi pensatori, maestri, ha sottolineato questo aspetto 
    dell'interiorità. Il "conosci te stesso" della Grecia, la 
    consapevolezza buddhista, questa ricerca dell'armonia nel confucianesimo, 
    ecco, questo è un po' il rapporto, questa scoperta di una dimensione di 
    interiorità che da lì in poi il mondo non abbandonerà più. E quindi, alla 
    conoscenza del mondo esterno, si accompagna questo intus legere, 
    questa intelligenza della mente, del cuore, della consapevolezza. STUDENTE: Professore, Lei ha detto che 
    praticamente ci sono due direzioni della conoscenza o della coscienza umana. 
    Una che va verso l'esterno, verso l'infinitamente grande, verso quindi 
    questo infinito universo del conoscibile, e un'altra che va invece verso 
    l'interno, ossia verso il punto senza dimensioni del proprio io, della 
    propria coscienza individuale insomma. Ma più o meno questi due cammini non 
    potrebbero definirsi come due facce della stessa medaglia? Perché, in 
    definitiva, raggiungere un conoscenza infinitamente grande, più o meno è la 
    stessa cosa, vista in modo opposto, che raggiungere una conoscenza 
    dell'infinitamente piccolo. Sono entrambe le cose non proporzionabili alla 
    nostra capacità di conoscere il finito. Certamente, una visione più orientale, non dualistica, 
    tenderebbe proprio a unificare questi due approcci. Ma non è tanto la 
    differenza tra il piccolo e il grande, perché la scienza anzi oggi va verso 
    la conoscenza dell'infinitamente piccolo, ecco, e la differenza fondamentale 
    è tra l'esterno e l'interno, tra quello che conosciamo dall'esterno e quello 
    che conosciamo dentro di noi. Se prendiamo una curva, se la guardiamo da una 
    parte è concava, dall'altra parte è convessa. Ecco, sono due punti di vista 
    diversi. Non è tanto il fatto di essere grandi o piccoli, è il punto di 
    vista differente. STUDENTESSA: Professore, in che modo buddhismo e 
    confucianesimo hanno contribuito alla rivelazione della conoscenza? Il buddhismo ha dato un grandissimo contributo alla 
    conoscenza della mente. E' sorprendente che ci sia stata nella scuola 
    filosofica religiosa del buddhismo una attenzione alla mente in secoli in 
    cui in Occidente la psicologia non esisteva. E, quindi, quello che il 
    buddhismo vuole sottolineare nello studio della mente, nello studio della 
    realtà in genere sono questi caratteri fondamentali della impermanenza - e 
    cioè che tutto si svolge attraverso un flusso, e la mancanza di quella 
    dimensione di sé, nel senso di un nucleo stabile, non relativo ai rapporti 
    con gli altri fenomeni - e il fatto che la realtà dei fenomeni è sempre in 
    qualche modo imperfetta, è sempre in qualche modo insoddisfacente. E questo 
    porta anche a molte conseguenze sul piano della pratica, della vita. Non è 
    soltanto una visione del mondo, che ci lascia poi indifferenti. Nella 
    filosofia occidentale quasi sempre manca un'indicazione sul come vivere le 
    verità che sono state trovate, che sono state individuate. Nelle filosofie 
    orientali ci sono sempre delle indicazioni operative. E Confucio, in 
    particolare, sviluppa un'etica dell'armonia dell'uomo con la natura, con la 
    società, eccetera. E quindi, ecco, questi sono dei contributi di cui oggi 
    l'Occidente anche comincia a fare tesoro. STUDENTE: Professore, scusi, se la coscienza 
    individuale - ritorno un attimo al discorso -, se la coscienza individuale 
    deriva dalla, diciamo, conoscenza anche dell'esterno, dal rapporto 
    interpersonale con l'esterno, e questo viene anche ribadito dallo stesso 
    buddhismo, che diciamo tenta di sciogliere l'individualità dell'io, come si 
    può allora dividere una conoscenza interiore da una conoscenza esteriore? 
    Ossia, conoscendo l'esterno, si conosce poi, alla fin fine, anche se stessi, 
    in un certo qual modo. Ripeto che da un certo punto di vista queste conoscenze 
    non dovrebbero essere viste in maniera dualistica e contrapposta, perché 
    proprio anzi uno dei cardini del pensiero orientale è proprio questo di 
    arrivare a una visione non dualistica della realtà. Però quello a cui mi 
    riferivo era che oggi noi vediamo un grande sviluppo dello studio delle 
    strutture neurologiche, che supportano la nostra mente, la nostra coscienza. 
    Questo studio che procede, procede però sempre in termini di una psicologia, 
    di una conoscenza obiettiva, dei meccanismi. Noi però abbiamo anche un altro 
    modo di conoscere noi stessi, non che lo studio delle strutture non sia 
    utile, ma noi abbiamo anche un'altra modalità di conoscere dall'interno la 
    nostra vita mentale. E questo ha portato alla divisione, spesso anche al 
    conflitto tra le scienze della natura e le scienze dello spirito. Ecco, 
    allora, il problema è come noi possiamo utilizzare questi aspetti? Se 
    studiamo i correlati della coscienza, i correlati biologici, però dobbiamo 
    sapere che cos'è questa coscienza, se no, che correlati sono? Correlati a 
    che cosa? Allora ecco questa integrazione sembra necessaria per il progresso 
    dell'una e dell'altra modalità di conoscere. STUDENTE: Quindi, in pratica, alla fin fine, 
    questo nuovo tipo di approccio, questo diverso tipo di approccio alla 
    psicologia è soltanto un abbandonare una visione troppo meccanicistica della 
    coscienza e ... Troppo riduzionistica, cioè di ricondurre la nostra vita 
    mentale soltanto a quello che possiamo leggere nelle strutture nervose. Ma 
    voi avete i computer. Anche lì si distingue tra l'hardware e il software. 
    Non possiamo studiare soltanto l'hardware. Abbiamo necessità di studiare 
    anche come questa coscienza si sviluppa, come vogliamo nutrire la nostra 
    mente. La coscienza non è qualche cosa che sta lì, appunto, come un nucleo a 
    sé stante. E' fatta di relazioni, è fatta di stimoli. Ecco, lì vediamo un 
    campanello. Pensate questo stimolo che attira la nostra attenzione. 
    Neurologicamente si parla del riflesso di orientamento. Se c'è uno stimolo, 
    noi ci orientiamo verso questa probabile sorgente. Ecco, allora questa 
    coscienza, vuole illuminare la realtà, vuole conoscere il mondo. Questo, 
    questo è il grado zero, diciamo, della coscienza. Mi accorgo che qualche 
    cosa sta accadendo o, se volete, sento qualcosa di piacevole o di 
    spiacevole. Ecco, questo è l'inizio, diciamo, della coscienza che si 
    rapporta di fronte alla realtà esterna. Allora il punto è di come vedere 
    questi due punti di vista, dell'esterno e dell'interno. Ecco, questo è un 
    problema aperto, sul quale avrete modo voi stessi di cimentarvi nei vostri 
    studi futuri. STUDENTESSA: Professore, Lei ha dichiarato di 
    occuparsi di trasformazione della coscienza. Ma questa trasformazione può 
    essere intesa come uno sviluppo della stessa o come una sua evoluzione? O se 
    è così riguarda ambiti puramente spirituali o astratti? No, a parte che lo spirituale non direi che è astratto. 
    E' ugualmente concreto, il mondo spirituale, il mondo dei valori, il mondo 
    della bellezza, il mondo dell'etica, il mondo della verità eccetera. Ma 
    quando dico l'aspetto trasformativo, ecco, mi rifaccio a questo concetto 
    della coscienza come un processo, un processo che funziona con i meccanismi 
    di feedback nella realtà dell'organismo e anche della vita 
    tecnologica. Abbiamo una quantità di meccanismi di feedback, cioè di
    retroazione. La coscienza è un processo autoriflessivo, si 
    autoconosce - abbiamo l'autocoscienza - e anche autotrasformativo. Per 
    quello dicevo: come noi alimentiamo la nostra coscienza, la vita mentale? 
    Queste trasformazioni possono essere trasformazioni a livelli dei 
    cambiamenti, a livelli più elementari o a livelli complessi o molto 
    complessi. Anche quando abbiamo bisogno di mangiare una fetta di pane, 
    facciamo dei cambiamenti, delle trasformazioni. Ma questo dipende dalla 
    natura dei nostri bisogni. Accanto a questi bisogni più elementari, abbiamo 
    dei bisogni che sono i bisogni di dare un senso alla nostra vita, alla 
    sofferenza, alla morte. E quindi ecco che ci sono quei bisogni 
    specificamente umani, che chiedono delle grosse trasformazioni. Queste sono 
    state chiamate in vari modi. Nel Cristianesimo si parla di conversione, di 
    vita, nel buddhismo di illuminazione, il marxismo ha parlato di rivoluzione, 
    ecco, cioè cambiamenti forti, che possano consentire questa trasformazione 
    della nostra mente. STUDENTESSA: Volevo sapere, quanta importanza ha, 
    in questo contesto, lo studio dell'inconscio, sempre che ne abbia, insomma. Certamente, questo apre un'altra grossa tematica. La 
    coscienza così come noi la possiamo studiare secondo le nostre ineliminabili 
    categorie dicotomiche o positive - noi conosciamo tutta la realtà attraverso 
    queste dicotomie -, allora coscienza viene anche opposta ad inconscio. Una 
    delle scoperte fondamentali della psicologia moderna è stata proprio questa 
    di includere nella mente, cioè in quello che è psichico, non soltanto quello 
    che è immediatamente e attualmente cosciente, ma anche realtà che possono 
    diventare coscienti, ma non sono nella luce della coscienza, della mente. 
    Quindi l'inconscio è portatore di una serie di punizioni - se pensiamo, 
    ecco, alla interpretazione psicoanalitica, per esempio, di pulsioni, cioè di 
    rappresentazioni psichiche dei nostri bisogni, che non sono necessariamente 
    coscienti, consapevoli. E allora proprio questo è lo sforzo di riuscire a 
    cogliere anche questi contenuti psichici inconsci, che possono essere 
    presenti e si palesano in vari modi, fisiologici e patologici, nel nostro 
    comportamento, nella nostra condotta. Jung parlerà anche di inconscio 
    collettivo, cioè quella sorta di deposito di certe strutture fondamentali, 
    appunto archetipe, che sono proprie della specie umana. Ecco allora, un 
    inconscio ancora più profondo e inesplorabile quasi. C'è un fondo che non 
    emerge mai alla coscienza. STUDENTESSA: Professore volevo domandarLe com'è 
    possibile, in che modo si incontra lo studio della coscienza, lo studio 
    sulla coscienza con la religione e la filosofia? Ecco, questa domanda presuppone che ci siano delle 
    differenze disciplinari molto ben nette. Chi si occupa della coscienza? Si 
    occupa la filosofia, la religione, la scienza, eccetera? Io non credo che ci 
    siano dei confini così netti tra le varie discipline. Quando era più in voga 
    l'operazionismo, si diceva: "Come si definisce la psicologia?". La 
    psicologia o la filosofia è quello che sta scritto nei libri di psicologia. 
    Cioè, se domandiamo forse a un bibliotecario: "Questo libro che cos'è, di 
    psicologia?", lui, quasi sempre, dà un risposta giusta: se è un libro di 
    filosofia, di psicologia, eccetera. Quindi, premesso questo, la psicologia e 
    la filosofia possono essere distinte, però nei loro metodi come si occupano 
    di queste cose, di questi oggetti? La filosofia fa riferimento al 
    linguaggio, alla storia, eccetera. La psicologia è un disciplina più 
    osservativa o sperimentale, o clinica, eccetera. Allora questo ha portato 
    spesso a delle divisioni. Oggi ci sono delle correnti della psicologia, come 
    la psicologia transpersonale, che fa riferimento a un allargamento 
    dell'esperienza dell'uomo, anche al di là della nostra individualità 
    biografica, semplicemente biografica, individuale, personale, andando 
    appunto a cogliere dimensioni dell'esperienza che sono importanti per la 
    vita, la natura, la società, il cosmo, ecco, e quindi un allargamento. Anche 
    nel '68, c'era la parola d'ordine: "Allargate l'area della coscienza", che 
    poi era, in fondo, anche già nella Bibbia, quando Isaia dice: "Allarga lo 
    spazio della tua tenda". Ecco, cioè, questo, questo invito ad andare oltre. 
    La psicologia transpersonale ha raccolto molte di queste, molto della 
    tradizione filosofica occidentale e orientale. Quindi questo concilia la 
    possibilità di utilizzare apporti diversi, che vengano appunto dalle scienze 
    psicologiche, dalla filosofia, anche dalle tradizioni sapienziali. Cerchiamo 
    cioè di avere una visione meno dualistica, meno esclusivistica della realtà 
    e della mente. STUDENTESSA: Professore, mi scusi, il conosci 
    te stesso sul Tempio di Apollo a Delfi, che potremmo tradurre come 
    "conoscere i propri limiti", non è quasi un modo per creare una barriera 
    quindi tra mondo occidentale e mondo orientale? Cioè il mondo occidentale ha 
    quasi precluso la ricerca nell'esterno, nell'interno, per raccogliere 
    completamente il mondo, perché è partito dal presupposto che l'uomo ha dei 
    limiti, mentre l'Oriente ha continuato in questa ricerca per raccogliere il 
    mondo, per capire il mondo nell'esterno e nell'interno. Ma io credo che possiamo leggere diversamente questo 
    invito al conosci te stesso. Nella cultura greca conosci te stesso 
    era inserito in un programma più ampio di cura di sé, come dice 
    Platone, "Avere cura di sé". Che cosa voleva dire "cura di sé"? Non cura del 
    corpo, delle cose, delle proprietà, di quello che è estrinseco, ma avere 
    cura dell'anima. Allora la conoscenza di sé, la conoscenza dei limiti, non 
    essere tracotanti - era l'altra formula scritta nel tempio di Apollo - ecco, 
    aveva questo significato di autoconoscenza, e quindi anche di un 
    autosviluppo. La ricerca del ben-essere. La ricerca quindi di un modo di 
    vita più ampio, di un modo di vita migliore. Questa stessa esigenza è 
    presente nell'Oriente. Possono essere diverse le modalità, ma l'insegnamento 
    del buddhismo, ad esempio, è proprio un continua attenzione potata a se 
    stessi, è un'attenzione che vuole commisurare ogni azione, ogni pensiero, 
    ogni parola, proprio a una certa pratica, che, in fondo, ha la stessa 
    finalità, quella di raggiungere una armonia, un ben-essere. Quando vedevate 
    prima quel filmato, che cosa diceva? Ecco, c'è una tentazione di fuggire dal 
    mondo, perché il mondo in qualche modo é cattivo, è disarmonico, è troppo 
    centrato, troppo egoico. Ecco, allora, il conoscere se stessi, conoscere la 
    nostra natura relazionale porta poi a un diverso modo di vivere. Quindi mi 
    sembra che questa formula dell'autoconoscenza è talmente radicale che può 
    essere considerata un po' un universale transculturale. STUDENTE: Professore, a partire da quando si può 
    cominciare a parlare di coscienza, ossia da che livello di complessità 
    mentale si può individuare un'autocoscienza, una coscienza anche del mondo 
    che circonda? Come dicevo prima, c'è un grado zero che possiamo 
    considerare della coscienza: è quando comincia questo avvertire che qualche 
    cosa sta accadendo. La nostra mente, se vogliamo semplificare, è un 
    dispositivo che elabora informazioni. Questa consapevolezza che qualche cosa 
    sta accadendo, se la tua domanda si riferisce alla scala evolutiva, cioè è 
    una domanda naturalistica, diciamo, che ha un fondo naturalistico, ecco, 
    vediamo che, nella scala zoologica, già molto in basso c'è questa 
    possibilità per gli animali di reagire a degli stimoli, di organizzare in 
    qualche modo l'esperienza, quando comincia la libertà, in qualche modo, 
    nelle risposte. Ci sono comportamenti animali, che sono rigidamente 
    determinati. Sono quelli che chiamiamo gli istinti. Con il progresso 
    evolutivo vediamo che aumentano gli spazi di una decisione. Ecco, e lì 
    appunto, aumentando gli spazi di una decisione, l'organismo diventa più 
    libero di fronte, di fronte alle dimensioni dell'ambiente, e come tale 
    aumenta anche le probabilità della sua sopravvivenza, della sua possibilità 
    di soddisfare i suoi bisogni. STUDENTESSA: Se la coscienza poi subentra quindi 
    con la scelta, quando si arriva poi alla piena consapevolezza della 
    coscienza, dentro di noi? Se il primo grado parte dalla scelta, e quindi da 
    una libertà, poi come facciamo noi ad arrivare al più alto grado di questa 
    coscienza? Come cercavo di dire prima, la coscienza è un fenomeno 
    che è autoriflessivo, quindi funziona appunto secondo i meccanismi di 
    feedback, è autoconsapevole, perché noi siamo coscienti di essere 
    coscienti, quindi tra tutti i meccanismi che funzionano secondo questo 
    feedback c'è questa particolarità della coscienza di essere 
    autoconsapevole. Ed è, se posso usare ancora un'altra parola, 
    autopoietica, cioè si autonutre, si autocostruisce. E quindi, a seconda 
    di questi stimoli, di queste informazioni che noi forniamo, forniamo alla 
    coscienza, la coscienza si sviluppa e progredisce. Come si realizza la 
    nostra evoluzione culturale, la comprensione della realtà e del mondo? 
    Attraverso la costruzione di significati che siano sempre più ampi e sempre 
    più ricchi. Noi comprendiamo più cose. Cosa vuol dire comprendere? Ecco, 
    unificarle, stabilire dei nessi significativi. E questo è il modo in cui la 
    coscienza progredisce. STUDENTESSA: Quindi è comunque un cammino che 
    l'uomo compie da solo, spontaneamente? Certamente è un cammino. Infatti si parla di vie, di 
    perfezionamenti, di itinerari spirituali, culturali, eccetera. La vita - e 
    la vita della mente - è certamente un viaggio, un itinerario. Ecco, che sia 
    però spontaneo e autonomo, ecco, questo potrebbe essere un errore, che ci 
    potrebbe riportare a una concezione di un io isolato. Ecco questa è una 
    illusione dalla quale ci dobbiamo difendere, dalla quale ci dobbiamo 
    distaccare, cioè l'illusione di un io autosufficiente, un io isolato dagli 
    altri fenomeni della realtà e dagli altri esseri umani, perché, come 
    accennavo, noi abbiamo, a cominciare dal nostro corpo, il nostro linguaggio, 
    le nostre emozioni sono condizionati, non determinati, ma condizionati 
    culturalmente. Quindi la crescita della nostra mente avviene in queste 
    interazioni. STUDENTE: Buongiorno professore. Abbiamo trovato 
    degli spunti di riflessione su Internet, che volevamo mostrarLe. Questa è la 
    pagina dell'Istituto James, di cui Lei è il Direttore scientifico. E in una 
    Sua breve biografia, che è presente qua, parla del Suo impegno 
    nell'Università della Pace. Ci può spiegare cos'è, cosa non è, in cosa 
    consiste questa università per la pace?  Io ho coordinato un gruppo di docenti e di studenti della 
    Università di Roma appunto sulla tematica della pace, questo intendendo 
    appunto, con questa denominazione, di studiare come sia possibile costruire 
    una cultura della pace, perché la pace, lo dice anche la premessa della 
    carta dell'UNESCO: "La guerra nasce dalla nostra mente e nella mente si può 
    realizzare la pace", - allora dobbiamo costruire un cultura della pace. Così 
    come oggi l'idea di schiavitù, ad esempio, è improponibile, non c'è più una 
    difesa culturale, come c'è stato purtroppo, nei secoli passati, della 
    schiavitù dell'uomo sull'uomo, oggi ci dobbiamo sforzare di capire che anche 
    la guerra, come maniera di risolvere i problemi - questa maniera appunto 
    conflittuale e antagonistica - sia improponibile. Questa è la costruzione di 
    una cultura di pace, a livello individuale, a livello di gruppi, a livelli 
    delle nazioni. Ci possono essere guerre a molti livelli. Ecco, riflettiamo 
    su questo. STUDENTE: Grazie. Sempre parlando di coscienza, 
    si trova molto spesso su Internet la coscienza di Krisna. In cosa 
    consiste? Quello si riferisce a una corrente del'induismo - Krisna 
    è appunto - questa denominazione che assume, una delle denominazioni che 
    assume -, Dio, l'Assoluto nell'induismo -, e quindi una vita che sia 
    coscienza consapevolezza di Krisna è appunto la formula che adopera 
    il movimento degli areKrisna. STUDENTE: L'ultimo documento che abbiamo trovato 
    è sull'alterazione di coscienza. Ci parla di un metodo occidentale, ottenuto 
    per lo più con sostanze chimiche, e di un metodo orientale, di un trance
    ipnotico. Ci vuole spiegare le differenze tra questi due sistemi? Sì, certo. Come accennavo prima, noi parliamo di stati di 
    coscienza, cercando di individuare nel flusso della coscienza dei momenti 
    che possiamo osservare e studiare. Questo si differenzia, - questo studio 
    degli stati, come differenze qualitative tra vari momenti della nostra 
    coscienza -, si differenzia da un altro studio, che è più quantitativo, che 
    cioè cerca di mettere in serie quantitativa i fenomeni che vanno dal coma, a 
    livello zero di coscienza, fino alla veglia eccitata, passando per il sonno, 
    il sogno, l'attenzione, eccetera. Quando parliamo di stati di coscienza, 
    vogliamo accennare a queste, a queste diverse qualità della mente. Queste 
    qualità possono essere, accanto alla coscienza ordinaria - lo stato di 
    coscienza in cui siamo tutti noi, in questo momento - delle qualità 
    negative, patologiche - pensiamo al delitto come forma tipica di alterazione 
    patologica della coscienza - accanto invece a stati supernormali, a stati 
    ottimali della mente. Quello che proviamo di fronte alla natura, di fronte a 
    un'opera d'arte, quando abbiamo un'esperienza estetica intensa, l'estasi 
    mistica, eccetera. Cioè sono stati diversi, ma non negativi, non patologici. 
    Allora, per realizzare questi stati diversi della mente, ci sono varie 
    tecnologie. Quelle più tipicamente occidentali sono state appunto l'ipnosi, 
    il training autogeno, eccetera. Dall'altra parte, in Oriente, vediamo lo 
    sviluppo delle tecniche di meditazione, di concentrazione. Per quello che si 
    riferisce alle sostanze, all'assunzione di sostanze che abbiano un effetto 
    sulla coscienza, di modificazione, di alterazione, questo naturalmente è una 
    via di azione, attraverso l'hardware, attraverso il sistema nervoso, non 
    direttamente sulla mente. Una tecnica meditativa è una tecnica che la mente 
    adopera per modificare la mente. Nell'altro caso è una somministrazione 
    dall'esterno, dal classico bicchiere di vino in poi, ecco, abbiamo... 
    Infatti, non a caso che si chiama extasi una sostanza molto diffusa 
    oggi. Qual'è, che cosa, qual'è la differenza diciamo, tra questi. E' che 
    questo lavoro sull'hardware, sul sistema nervoso, può essere efficace, 
    certamente. Ci sono una quantità di sostanze, che modificano sia in senso 
    quantitativo che qualitativo la nostra mente e la nostra coscienza. Però, a 
    prescindere dal fatto che possono essere dannose chimicamente 
    sull'organismo, come sostanze tossiche, poi non lasciano però un contenuto 
    cognitivo di trasformazione della mente. Possono darci una ebbrezza 
    momentanea, una sensazione di leggerezza, di onnipotenza, anche di empatia o 
    di facile comunicazione con gli altri. Ma poi come si torna a vivere? Cioè 
    sono più vie di fuga che modalità di vita, proprio perché mancano di questi 
    contenuti cognitivi. Ecco, questo, è qualche cosa di molto importante, dico, 
    accanto al fatto poi che possano esser più o meno tossiche come sostanze, 
    dal punto di vista biochimico.  STUDENTESSA: Professore, senta: qual è il ruolo 
    della coscienza nella religione, nella filosofia e quindi nella cultura 
    orientale e quale in quella occidentale? E soprattutto questa coscienza 
    incide maggiormente nel mondo orientale o in quello occidentale? Ma non credo che sia del tutto corretto dire "la 
    coscienza incide". La coscienza è una modalità secondo la quale si realizza 
    e vive la nostra mente umana. Quindi è qualche cosa che ovviamente è 
    presente in Oriente e in Occidente. Se vogliamo invece dire come noi appunto 
    nutriamo la nostra mente, allora, questo, vediamo che ci sono delle diverse 
    modalità. L'Occidente è piuttosto, è stato piuttosto distratto verso la 
    nostra mente, cioè ha cercato di potenziare prevalentemente gli aspetti 
    della mente che sono finalizzati a una prestazione, una prestazione 
    lavorativa, una prestazione nell'ambito pedagogico, formativo, eccetera, 
    lasciando un po' in disparte questi stati diversi della mente. Siamo 
    abbastanza rozzi nell'uso della nostra mente. Ecco, negli anni più recenti 
    questa situazione sta cambiando, per molti aspetti che derivano dalle 
    scienze psicologiche, neurologiche, ma anche da movimenti, cambiamenti 
    culturali. Si parla di una coscienza ecologica oggi, si parla di nuovi 
    soggetti: i giovani, le donne, eccetera. Tutto questo ha portato a 
    un'attenzione maggiore anche, appunto nella nostra cultura occidentale, alla 
    tematica della coscienza, che era stata un po' abbandonata e rimossa, 
    perfino nella psicologia, il che è paradossale. E quindi ecco queste 
    psicologie che cercano anche di incorporare, di farsi mediatrici anche di 
    quelli che sono gli insegnamenti delle filosofie, delle religioni sia 
    orientali che occidentali. STUDENTESSA: Mi scusi professore, nel filmato di 
    prima abbiamo visto che si accusava l'uomo di avere il cuore troppo pieno di 
    se stesso. Ma non è necessario, per poter avere una consapevolezza di sé, un 
    periodo della vita in cui si pensi molto a se stessi e poi, solamente dopo 
    aver raggiunto questa consapevolezza di se stessi, poter rapportarsi con il 
    mondo? In realtà la nostra personalità, il nostro io si può 
    costruire in molti modi. Possiamo sviluppare una individualità più 
    competitiva, antagonistica, in cui la soddisfazione dei miei bisogni è vista 
    in contrapposizione ai bisogni dell'altro. Invece un visione più allargata 
    della nostra vita, della nostra coscienza dovrebbe portarci a vedere i 
    bisogni degli altri importanti come i nostri e quindi costruire un io e una 
    personalità più relazionale, più sociale, più cooperativa, ecco. STUDENTESSA: Ma se non conosciamo i nostri 
    bisogni? Cioè, io dico: forse c'è bisogno prima di fare una ricerca 
    all'interno per poi poter rapportarsi con il mondo. Ma non necessariamente questi sono processi in 
    opposizione. Noi conosciamo i nostri bisogni, soprattutto conoscendo gli 
    altri. L'io si costituisce attraverso la relazione col tu, non si sviluppa 
    da solo, sarebbe un io schizofrenico, un io patologico, quello che si 
    sviluppasse in mancanza di relazioni. Sono proprio le relazioni che 
    costruiscono la nostra personalità, la nostra mente. E quindi ecco che 
    allora ci sono diverse modalità poi di realizzare la nostra personalità, in 
    modo più egoistico, egocentrico, e più, non dico altruistico, 
    necessariamente altruistico, ma più cooperativo in cui le esigenze nostre, 
    del nostro io, non vengano dopo, ma insieme, a quelle degli altri. Questo 
    può essere una più corretta pedagogia, una più corretta educazione nella 
    costruzione del nostro io e della nostra mente. Conoscere i nostri bisogni, 
    ma insieme ai bisogni degli altri, perché, se no, come li conosciamo questi 
    nostri bisogni. STUDENTESSA: Professore tornando al discorso di 
    coscienza in Oriente e Occidente. Possiamo, in conclusione, affermare che 
    quindi l'uomo orientale si occupi maggiormente della coscienza rispetto 
    all'occidentale, e che si lasci da quest'ultima guidare maggiormente? Tradizionalmente è stato così, ma oggi vediamo che siamo 
    in un momento storico in cui tutte le dicotomie si affievoliscono. Allora 
    l'Oriente e l'Occidente, il locale e il globale, eccetera, tendono a venire 
    meno e a integrarsi. Ecco, un modo positivo di questa integrazione sarà 
    proprio quella di utilizzare tutti gli insegnamenti che sono venuti 
    dall'Occidente e anche dall'Oriente in maniera non contrapposta, ma cercando 
    di arrivare a una sintesi.  STUDENTESSA: Questa nuova situazione, che quindi 
    va quasi a smentire la tradizione, a cosa è dovuta? Questo significa poter rispondere a quelle che sono le 
    ragioni del grande cambiamento globale a cui assistiamo. Ci sono, c'è una 
    molteplicità di fattori, certamente, che influiscono su questo. Sono caduti 
    i muri che dividevano le culture, gli stati, eccetera, sono molto più 
    frequenti gli scambi culturali - appunto dicevo il lontano e il vicino -, 
    ecco, voi siete lì, davanti al computer, ci possiamo collegare, in tempo 
    reale, con tutte le parti del mondo, la divisione maschile-femminile: sono 
    tutti grandi fenomeni che stanno oggi condizionando questa età, che 
    chiamiamo post-moderna, perché viene appunto dopo i grandi racconti 
    unificanti della modernità, il racconto dell'utopia politica e il racconto 
    di una scienza che assicurasse all'umanità un futuro felice. Abbiamo visto 
    che l'utopia politica ha portato ai totalitarismi, alle violenze 
    all'infelicità e la scienza non è priva anch'essa di pericoli, di 
    inquinamenti, di potenziale distruzione della nostra vita, del pianeta, se 
    non viene anch'essa collocata in una visione più armonica della realtà. 
    Questi sono i motivi oggi che portano a questi cambiamenti e certamente il 
    cambiamento importante, fondamentale, mi pare che oggi risieda proprio nella 
    comunicazione, nell'informazione, in questa rivoluzione, che sta cambiando, 
    non solo il nostro modo di interagire culturale, ma proprio tutta la nostra 
    vita.   Da:
    
    http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=206   
                                                                                                                                          
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