in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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PIER CESARE BORI

Universalismo come pluralità delle vie*

Nel secolo XVI, all'inizio appunto dell'epoca moderna in Europa, la pretesa universalistica del cattolicesimo di costituire l'unica via spirituale fu contraddetta, con forza e novità inaudite, dalle divisioni interne del cristianità, e dal contatto di questa con altre e diverse culture. A questa contraddizione furono prospettate soluzioni assai diverse.
Tra le due proposte estreme e opposte - da un lato la riproposizione più o meno aggressiva dell'ortodossia, attraverso le missioni, interne ed esterne alla cristianità, e dall'altro il relativismo culturale - furono date risposte che consideravano la tradizione cristiana criticamente, senza respingerla ma cercando di introdurvi una consapevolezza e un riconoscimento della pluralità delle vie spirituali. Queste risposte, nella loro diversità, hanno in comune un tratto di "universalismo pluralistico"che va distinto da quell'universalismo che si potrebbe dire "monistico" in quanto propone una sola via come universalmente valida (per questo si è parlato di "due tipi di universalismo").1 Il mio tema sarà precisamente di questo "universalismo come pluralità delle vie" nella cultura europea moderna. Ne tratterò anzitutto in termini analitici, evocando alcune fonti e richiamando alcuni recenti importanti suggerimenti nella direzione, appunto, di un "universalismo pluralistico". Illustrerò poi la mia personale proposta di un modello di "via spirituale". In conclusione farò qualche riferimento al modello di Pico della Mirandola, all'inizio della moderna ricerca, in Occidente, di un universalismo filosofico pluralistico.

I

1. Comincerò richiamando qualche momento importante nella storia dell'universalismo "pluralistico".
Ciò che segue è una specie di inventario, non esauriente e molto personale, riflettendo un insieme di "autorità" cui ho dedicato durante l'ultimo decennio molti lavori, cui mi sia permesso di rinviare.2
In primo luogo, l'umanesimo religioso del XV e dell'inizio del XVI secolo, quando, volgendosi indietro al neoplatonismo (Nicola Cusano), e sulla base delle fonti greche, arabe ed ebraiche, recentemente riscoperte, Marsilio Ficino e (più completamente) Pico della Mirandola si diressero verso una "docta religio" e una" pia philosophia"che contenevano l'idea di una pluralità di vie religiose.
In secondo luogo, il cristianesimo radicale e mistico tra il XVII e il XVIII secolo. Penso specialmente al movimento quacchero, iniziato intorno al 1650. Le origini quacchere risalgono al puritanesimo, ma le idee del "qualcosa di Dio in ogni uomo", della "luce interiore", del "culto in spirito e verità", contenevano un universalismo potenziale che trovò espressione, ad esempio, nelle parole di William Penn: "Le anime umili, miti, compassionevoli, giuste, pie e devote appartengono dappertutto a una sola religione; e quando la morte avrà levato loro la livrea essi si riconosceranno, benché il diverso abbigliamento che essi indossavano quaggiù li rendesse stranieri" (Some Fruits of Solitude, 1693, n. 519. (ma lo sguardo si potrebbe allargare a quel complesso di autori che stanno tra Riforma "spirituale" e il "cristianesimo senza chiesa".3
Terzo, non va dimenticata la presenza, almeno a partire dalla metà del XVII secolo, di movimenti esoterici come la massoneria, che si presentano come portatori dell'unica grande tradizione universale, soggiacente alla varietà delle culture, ma riconoscibile solo dagli iniziati. René Guénon (con la sua variopinta posterità) va collocato su questo sfondo. Di questa prospettiva possono non piacere molte cose: ma neanche l'ironia, come quella di Umberto Eco ne Il pendolo di Foucault (di cui vedi specialmente il § 75) a proposito della "semiosi ermetica", dà conto a sufficienza di una posizione che, comunque, teorizza precisamente la pluralità delle vie spirituali e la loro unità metafisica (si veda per esempio,di Guénon, Scritti sull'esoterismo islamico).
Quarto, il liberalismo teologico, soprattutto nella sua tendenza storico-ermeneutica, che ebbe in F. Schleiermacher e A. von Humboldt i suoi più eminenti rappresentanti, non a caso nell'ambiente dell'Accademia prussiana fondata da Leibniz nel 1700 (La Storia dell'Accademia di Prussia di Harnack è affascinante, vedi il mio Dietrich Bonhoeffer e la ´Geschichte der Preussischen Akademie',1966). Penso specialmente al conflitto che divise Hegel e von Humboldt a proposito dello status dei classici filosofici indiani. Hegel e il suo "universalismo particolaristico" prevalsero da quel momento in poi nella cultura europea. L'Assolutezza del cristianesimo di Troeltsch (1902) può anche essere letto in questa prospettiva.
Quinto, il trascendentalismo americano. Nel Divinity School Address, il discorso di Emerson alla Divinity School di Harvard (1838) - il suo addio alla teologia! - la rivelazione ebraico-cristiana è solo un esempio di una più ampia e continua rivelazione, che ha precedenti in Oriente: "Questo pensiero dimorò sempre nel più profondo delle menti degli uomini nel devoto e contemplativo Oriente; non solo in Palestina, dove esso ha raggiunto la sua più pura espressione, ma in Egitto, in Persia, in India, in Cina. L'Europa è sempre debitrice al genio orientale del suo divino impulso". In modo simile il suo discepolo Thoreau, nel capitolo "Lettura" in Walden (1854), parla della "saggezza dell'umanità di cui conserviamo memoria, i classici antichi e le Bibbie', "le sacre Scritture, o Bibbie dell'umanità" Nessun singolo testo è sacro: tutti i popoli e tutte le tradizioni ne hanno, e tutti sono ammessi in una specie di canone.
Sesto, il cristianesimo ampliato e radicale di Tolstoj Questo cristianesimo era fondato sull'idea di razumenie, come comprensione universale, o saggezza. Le verità fondamentali, necessarie alla vita dell'umanità, non possono differire radicalmente da un paese (o cultura, o epoca) all'altro. Questa saggezza, in un mondo secolarizzato e multi-culturale, deve essere cercata soltanto in una varietà di fonti, che noi dobbiamo leggere con la certezza del loro fondamentale convergere.
Settimo, l'ultimo libro di Freud, Mosé e il monoteismo, in cui vediamo un interessante tentativo di ricollegare il giudaismo all'antica civiltà egizia attraverso il suo antico capo, Mosè l'Egiziano, maestro di una universale "verità e giustizia' (cfr. il mio "E' una storia vera? 1997, da riprendere dopo Assmann, Moses the Egyptian, 1997);
Ottavo luogo, Simone Weil. Nei suoi Quaderni scrive: "Ogni religione è l'unica vera, vale a dire che nel momento in cui la si pensa è necessario applicarle così tanta attenzione, come se non vi fosse nient'altro; allo stesso modo ogni paesaggio, ogni quadro, ogni poesia, ecc. è l'unico bello. La sintesi delle religioni implica una qualità di attenzione inferiore" (Quaderni III, 153.).
Nono, Albert Schweitzer e la sua teoria della cultura. Schweitzer veniva da una potente, e storicamente decisiva, interpretazione delle origini cristiane e aveva scoperto in Africa l'idea chiave, per l'etica, del "rispetto per la vita'; finalmente arrivò alla sua filosofia della cultura, nella quale il contributo occidentale e quello orientale (monismo mistico e dualismo etico) venivano combinati, senza negare la specificità del contributo cristiano all'etica (specialmente nel suo saggio sul misticismo di Paolo ( di lui si veda la recente riedizione di I grandi pensatori dell'India, con il saggio di S. Marchignoli);
Decimo, la ricerca di un fondamento comune, etico e giuridico, che ha avuto la sua espressione nella Dichiarazione dei diritti umani. Collocherei in questo contesto anche la ricerca di una "etica mondiale', promossa in anni recenti da H. Küng (la "Dichiarazione per un ethos mondiale", espressa dal "Parlamento delle religioni" a Chicago nel settembre del 1993).4

3. Come inciso, aggiungerò qualche suggerimento raccolto dalla ricerca più recente.
a) C. Ginzburg, di fonte alle costanti morfologiche con cui tratta lo storico, ammette non solo casi di omologia che possono essere spiegati per le loro origini in una genesi comune, ma anche l'esistenza di analogie le quali, dove questa origine comune non può essere ritrovata, sono spiegabili - è il suo suggerimento - con un simbolismo corporeo di fondo; tornando così al tema della"natura umana"(Ginzburg, Storia notturna, 1989, XXXVII).5
b) Con qualche esitazione, per una certa mancanza di conoscenze specifiche, ricorderei qualche suggerimento proveniente dalla psicolinguistica; la quale sembra permettere che si parli di "istinto linguistico"(S. Pinker) e di"universali umani"(D. E. Brown), con la conseguenza di dissolvere il dogma dell'unità inscindibile tra pensiero e linguaggio.6
c) Da un punto di vista completamente diverso, richiamerei la ricerca di Toshihiko Izutsu nella direzione di una base filosofica comune tra sufismo, taoismo e buddhismo zen, con risultati che mi sembrano veramente notevoli. Ci troviamo ora al di là dei confini europei, ma sullo sfondo sentiamo l'influsso di Henry Corbin, con il suo invito a un"dialogo meta-storico" e a una"philosophia perennis"(per la quale si vedano anche A. K. Coomaraswamy e A. Huxley). Molto più lontano, sentiamo la presenza di Heidegger e Jung (Eranos). Ma i risultati di Izutsu mi sembrano eccezionali per la conoscenza delle fonti e la consapevolezza metodologica (si guardi ad esempio la sua esposizione della categoria dell'esistenza nelle questioni di metodo del suo Sufism and Taoism, 1984, 469-73).
d) Sono sono da dimenticare i contributi provenienti dal più prudente e accademico della filosofia religiosa comparatistica; penso specialmente agli studiosi che collaborano a "Philosophy East and West".7
e) L'ultimo incontro che ricordo è quello con Tomonobu Imamichi, rappresentante di una visione umanistica nella quale differenti intuizioni s'incontrano creativamente: taoismo, buddhismo zen, orientamenti filosofici propriamente giapponesi, e forse Heidegger, e la tradizione filosofica cristiana.
3. Chiudendo l'inciso, vorrei tornare alle fonti che ho richiamato sopra (n.1), con alcune osservazioni generali.
a) La possibilità di un contatto con, o di una interferenza tra tendenze simili va pure considerata. Per esempio, il ruolo della massoneria nelle varie tendenze universalistiche deve essere ulteriormente esaminato.
b) Stiamo parlando della ricerca universalistica nell'Europa moderna, ma essa non sarebbe stata possibile senza premesse antiche. Soprattutto il neoplatonismo (ma anche lo stoicismo, nella misura in cui questo interessa l'etica) ebbe una funzione particolare, nell' emergere di un universalismo pluralistico. Pico della Mirandola non esisterebbe senza Proclo e l'ultima resistenza religiosa del mondo ellenistico e romano all'universalismo "monistico"del cristianesimo.
c) Confrontare le varie posizioni universalistiche con i contesti politici corrispondenti, e stabilire una stretta connessione tra questi due livelli in termini di "teologia politica', rappresenta un compito interessante ma problematico. Questa connessione, probabilmente, non può nemmeno essere stabilita per l'universalismo del primo tipo (´particolaristico'), e rimane difficile pensare in termini, ad esempio, di "imperialismo"per gli esempi che ho dato sopra. Tuttavia rimane vero che né il buddhista Açoka, né Ibn 'Arabi, né Proclo - per fare degli esempi - sarebbero pensabili senza un ambiente politico unificato e pluralistico (e lo stesso si può dire per gli autori moderni, francesi, inglesi o russi che ho evocato).
d) Abbiamo parlato di un'opposizione tra due specie di universalismo, piuttosto che tra particolarismo e universalismo. La differenza sta infatti in due diverse modalità di universalizzazione del particolare (la propria cultura): nel sollevare il particolare a livello di assoluto, oppure invece nel considerare il particolare come parte di un tutto, o come qualcosa di analogo ad altre corrispondenti unità che appartengono alla totalità. Diverse posizioni che ho richiamato sopra possono effettivamente ricevere una migliore definizione se le intendiamo come "particolarismi critici", perché esse partono dalla consapevolezza che la presenza della cultura altrui scuote la certezza riguardo al carattere assoluto della propria. Un efficace documento di questo tipo è, per esempio, la Lettera a un religioso di Simone Weil.
La stessa proposta di modello universalistico pluralistico che mi accingo ora a presentare nasce precisamente dalla pratica con fonti antiche non europee. all'interno dell'orizzonte particolare ellenistico-cristiano, per me ineludibile.8
4. Prima, sia consentito tuttavia di ricordare il primo passo per me costituito da Per un consenso etico tra culture (1991, 19942). Il libro muoveva dalla premessa"che particolarità e universalità non sono in contrasto" e che quindi "la lettura secolare e critica delle proprie fonti, unita alla crescente consapevolezza di altre culture, dovrebbe suggerire che una tendenziale, inespressa, mai pienamente esprimibile universalità tra culture si dà" (p. 9). Il problema centrale del libro era quindi costituito, come dice il titolo stesso, dalla possibilità di costruire un convergenza su alcune proposizioni etiche senza venir meno alla lealtà alla tradizione biblica. La soluzione prospettata si articolava in alcune tesi, accentrate sull'idea di sapienza come categoria al tempo stesso intrabiblica e interculturale.
La prima concerneva il rapporto particolarità-universalità e affermava la possibilità di procedere all'interno dell'orizzonte biblico in una direzione universalistica, senza contravvenire alla lealtà alla propria tradizione. La seconda tesi proponeva un'idea di saggezza che è tratta dalla Bibbia, ma trova corrispondenze ovunque, in varie tradizioni: "La tradizione classica (specie l'insegnamento socratico), la tradizione biblica, tradizioni orientali e autori moderni, tutti distinguono tra una conoscenza divisa e astratta, e una saggezza che tenta di afferrare il rapporto tra parte e tutto, tra pensare e agire, e ritiene che la seconda è la sola forma di sapienza degna di essere perseguita" . La terza tesi suggeriva, in una prospettiva psicoanalitica, che"la relazione tra la madre e il bambino rappresenta il modello che illumina la situazione sapienziale". Si prestava inoltre un'attenzione speciale alla cosiddetta regola d'oro, "fa agli altri ciò che tu vorresti fosse fatto a te"(Matteo 7, 12), come criterio della giustizia, sintesi della saggezza biblica e nucleo permanente di sapienza inter-culturale.

II

5. Quel primo contributo accentuava dunque soprattutto il momento attivo, etico, a partire da una lettura della Bibbia orientata verso la sapienza pratica, come base del consenso etico (La sapienza in Israele di G. von Rad era una lettura assai importante). Un ulteriore passo ha portato alla elaborazione di un modello di "via spirituale": un modello interculturale atto ad includere il punto di vista biblico-profetico, ma ad espandersi ulteriormente.
Un aiuto decisivo a varcare appunto e a ricomprendere l'orizzonte biblico è venuto dalla consuetudine (soprattutto didattica, mediante il volume, Per un percorso etico tra culture, con S. Marchignoli, 1996) con la Bhagavadgîtå, testo chiave della prospettiva induista.9 Questo tradizione, com'è ben noto, teorizza la distinzione fra tre discipline, contemplazione (jñanayoga), azione (karmayoga) e devozione (bhaktiyoga). Se intendiamo la terza disciplina, bhaktiyoga o devozione, più che come una terza via, come un possibile, ma non necessario complemento delle altre due, otteniamo due discipline in due possibili forme: con o senza bhakti, con o senza culto personale o fede in un Dio personale. Se ne ottiene uno schema quadripartito,
fig.1

 

1.con bhakti

2. senza bhakti

A. jñanayoga

A 1

A 2

B. karmayoga

B 1

B 2


Lo schema può essere generalizzato nel seguente modello,
fig.2

 

1. con rappresentazioni religiose

2. senza rappresentazioni religiose

A. contemplazione

A 1

A 2

B. azione

B 1

B 2


che non solo può utilmente essere usato per descrivere anche tradizioni diverse da quella indiana, ma - è la nostra proposta - può essere servire ad spiegare ciò che qui si intende per "via spirituale". Alcune spiegazioni sono necessarie.
Primo, a proposito di questi stessi due termini, "via spirituale". "Spirituale" è più ampio di "religioso", ed è stato usato per includere anche quegli orientamenti etici e contemplativi che non implicano una fede in una divinità personale, o altre rappresentazioni religiose, e che nondimeno si presentano come una"via", un percorso che, nella varietà delle tradizioni e della esperienze personali, costituisce comunque una risposta concreta alla comanda circa il compito spettante ad ogni umano.
Secondo. "Rappresentazione religiosa"10 si riferisce a tutto quello che può "stare per" la divinità, intesa come potenza distinta essenzialmente dal mondo, ma non separata da questo quanto a realtà ultima.11 Tra queste rappresentazioni è di massimo rilievo la configurazione della divinità come persona, destinataria di preghiera, di culto, di bhakti. La coppia "con/senza rappresentazione religiosa" dovrebbe essere confrontata e integrata con altre possibilità, da discutere attentamente: mythos/logos (E. Cassirer); carismatico/razionale (M. Weber); particolaristico/ universalistico (o, meglio, i due tipi di universalismo già ricordati). Inoltre: metafora/metonimia oppure paradigma/ sintagma (in riferimento alla semiotica, specialmente a Ju. Lotman);12 o anche, nel linguaggio di Ibn 'Arabi, khayl /'aql (immaginazione/ragione), in Averroè shari'a / hikma (legge/saggezza).13
Terzo, la distinzione fra le due discipline, contemplazione e azione può essere bene descritta (come per esempio da A. Schweitzer, ma con una terminologia ben a lui precedente) come la distinzione tra l'atteggiamento "monistico" (volto a contemplare -teologicamente o filosoficamente - la realtà come necessaria, senza divaricazione tra essere e dover essere), e il secondo come"dualistico" (l'atteggiamento di chi, assumendo la divaricazione tra essere e dover essere - il male! - si assume anche il compito di superarla nella prassi,sia essa motivata religiosamente, sia essa un'etica laica).
Quarto, occorre insistere sulla circolarità tra azione e contemplazione (agisco perché conosco, ma non posso conoscere senza cambiare me stesso: cfr.Per un consenso etico, V)14 e sulla contiguità tra modalità conoscitiva rappresentativa e modalità concettuale, come due linguaggi necessari e reversibili.
Quinto, dal punto di vista descrittivo la differenza fra le "vie"storicamente date starebbe nell'accentuazione, piuttosto che nella presenza o assenza, dell'uno o dell'altro aspetto. Così l'induismo e il buddhismo (quest'ultimo, con suo punto di origine, fig. 2, in A2) coprirebbero attualmente le quattro possibilità; il confucianesimo insieme col taoismo sarebbero collocati rispettivamente nei settori B2 e A2. I monoteismi biblico e coranico (e prima ancora forse il mazdeismo15) nascerebbero come disciplina dell'azione con rappresentazioni religiose sebbene contengano elementi atti ad espandersi in altri settori (ad es. il sufismo spazia tra A1 e A2; la sapienza biblica, nell'ipotesi illustrata da Per un consenso etico, spazia tra B1 e B2). L'utilità di questo schema si mostrerebbe precisamente in una migliore comprensione delle possibilità e dei limiti del profetismo(cfr.Bori, Monoteismo ed ermeneutica, 1998).
Sesto. Il percorso, la "via" appunto, di là della circolarità delle forme e delle discipline (attraversando e lasciandosi alle spalle il "quadrato" della fig. 2: ci si può figurare una freccia) avrebbe come meta ultima la scoperta conclusiva dell'identità esistenziale, ovvero della"unità della realtà"(wahdat al-wujûd, Ibn 'Arabi, che corregge la pericolosa formula di al-Hallaj, ana-l-haqq "io sono la Realtà),16 wu-ming (senza-nome, negli scritti taoisti), samadhi induistica o çûnyatå (vacuità) buddhistica. Si può anche ricordare, nell'ambito della tradizione cristiana, J. Boehme, o George Fox ("arrivare a conoscere l'unità nascosta nell'Essere eterno"Journal, p.28).17 Questo scopo tuttavia non sarebbe di là dal mondo (sarebbe tale solo nelle rappresentazioni, ormai lasciate alle spalle) e consterebbe invece in un modo essenzialmente diverso di essere al mondo (Izutsu).
Settimo, in risposta ad alcune obiezioni. Questo modello non è contenutistico, ma trascendentale basandosi soltanto su necessarie alternative antropologiche (azione/contemplazione, con o senza rappresentazioni), senza pretesa di spiegarne il fondamento (monismo e dualismo, necessità e libertà sono entrambi postulati, come anche diverse modalità della loro rappresentazione). Per questo motivo una possibile obiezione di sincretismo deve essere respinta: le vie spirituali possono essere confrontate in quanto struttura, e non in quanto contenuto. Inoltre questo modello, proprio perché teorizza la pluralità delle vie, non suppone alcuna "dottrina dell'età dell'uomo", alcuna teologia della storia, o filosofia della storia: l'ebraismo non è compiuto-superato dal cristianesimo (Paolo, Agostino, Hegel), né questo dall'islâm. Non suppone neanche come vitalmente necessaria - come per esempio in A. Schweitzer - una integrazione tra pensiero "orientale" e pensiero "occidentale", pur avvantaggiandosi dal punto conoscitivo dalla comparazione tra strutture analoghe.
Ottavo. Qualora, concordando sulla sua correttezza descrittiva, di conseguenza si accordasse a questo modello anche una certa normatività (consistente più in una postulazione di compiutezza strutturale di un dato percorso, che in una indicazione di contenuti universali), esso richiederebbe e valorizzerebbe l'interazione nella stessa persona delle diverse dimensioni: la disciplina etica e la concentrazione meditativa, la sensibilità verso il linguaggio simbolico tradizionale e attenzione razionale della realtà. Lo spazio di contemplazione-azione senza rappresentazioni religiose sarebbe aperto alla comunicazione inter-culturale,18 mentre l'altro spazio faciliterebbe la fedeltà alla tradizione di appartenenza: sia questa la fedeltà ad una vera pratica religiosa sia essa la capacità di apprezzare laicamente il linguaggio religioso: giacché il modello, a partire dall'idea di bhakti - fig. 1 - consente di intendere la religione come una variante possibile, utile, e tuttavia libera, all'interno di una via spirituale, questa sì necessaria.
Con il riconoscimento della pluralità di vie, in cui ogni via significherebbe e contiene in qualche modo ogni altra via, si potrebbe realizzare così in un certo modo l'assioma di S. Weil: "ogni religione è l'unica vera".19
6. Sono consapevole dei limiti di ogni rappresentazione schematica di questa realtà così ricca, multiforme e mobile, e dei rischi della mia proposta. Desidero concludere ricordando quanto stimolante fosse leggere l' Orazione sulla dignità dell'uomo di Pico della Mirandola, e scoprire che egli diceva cose molto simili a queste se in un modo molto più luminoso e toccante. Secondo Pico, la dignità dell'uomo - opus indiscretae imaginis, creatura senz'immagine, e per questo immagine di Dio - consiste nella sua vocazione ad attraversare e trascendere ogni immagine, percorrendo una "via"in tre stadi: la trasformazione etica (azione), la ricerca intellettuale (contemplazione), e la perfezione finale nell'identificazione con la Realtà ultima. Secondo Pico, questo paradigma è universale, perché può essere trovato in ogni tradizione a lui nota: cristiana, ebraica, ellenistica, egizia-ermetica, caldaica...20
Probabilmente questa indicazione, che ci giunge dagli esordi della moderna ricerca europea dell'universalismo, è più nuova e utile delle molte altre che abbiamo esaminato nella prima parte dell'esposizione - dai mistici del Seicento alla "Dichiarazione per un ethos mondiale". La maggior parte di quelle voci insisteva infatti su una comune - importante, tuttora imprescindible- base etico-sapienziale, coerentemente con l'originario punto di vista ebraico e cristiano. Ma l'indicazione di Pico, consentirebbe di fare un passo innanzi - non contro, ma oltre il "consenso etico tra culture": si tratterebbe di riconoscere il parallelismo non contenutistico ma strutturale dei percorsi umani, al di là dei loro nomi, e il loro convergere finale. La valorizzazione di questo suggerimento, nella consapevolezza delle distanze storiche e culturali da cui ci viene,21 esige ulteriore ricerca.

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Le "Sacre Scritture" o "Bibbie dell'umanità" in Walden di H. D. Thoreau, in "Il piccolo Hans", 83/84(1994), 257-272;
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-I tre giardini nella scena paradisiaca del De hominis dignitate di Pico della Mirandola, in "Annali di storia dell'esegesi" 13/2(1996) 551-564;
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NOTE
* Traduzione e rielaborazione di un testo presentato in inglese al convegno "Cultura, religione e il problema dell'universalismo", a Tokio, presso l'Università Meiji Gakuin, il 6-8 dicembre 1997. Ringrazio gli organzzatori, in particolare il prof. You Shibata, per averne consentito la pubblicazione in anticipo sugli atti del convegno. Le note sono successive, e sono intervenuto anche profondamente in alcuni punti del testo, senza modificarne tuttavia le dimensioni e mantenendone la tonalità e la struttura.

1 Cfr. Walzer, Two Kinds of Universalism (1990), e, dello scrivente Una rilettura dei "Tre dialoghi" e del " Racconto dell'Anticristo" di Vl.Solov'ëv: il conflitto tra due uni-versalismi, (1990). Lo scritto di M. Walzer oppone l'universalismo onnicomprensivo della legge, all'universalismo "reiterativo" (a partire da Amos 9, 7: "Non ho portato,Israele fuori dell'Egitto, e i Filistei da Kir?"). Nel mio lavoro oppongo due tipi di sapienza, quello "cristocentrico" di Solov'ev e quello di L. Tolstoj, che è "senza centro", cioè ritova una sapienza comune fondamentale nelle tradizioni dei popoli. Nonostante le convergenze i due scritti sono indipendenti (dubito tuttavia che dai testi di tradizione profetica, addotti da Walzer, si possano essere letti come propone questo autore, cioè in una direzione pluralistica, mentre credo che maggiori spazi siano aperti dal punto di vista sapienziale, come si accennerà più avanti).

2 Indico in bibliografia un complesso di saggi che sono oggi reperibili anche, in forma ridotta (senza note), in http://www. spbo.unibo.it/pais/bori/

3 Evocando due classici: Rufus M. Jones, Spiritual Reformers e L. Kolakowski, Chrétiens sans Église.

4 Pubblicata a suo tempo in Il regno documenti 7, 1994, 251-256.

5 Importanti suggerimenti vengono anche dal recente Occhiacci di legno (1998), soprattutto dal saggio Stile. Inclusione ed esclusione. Secondo l'autore si deve ad Agostino di avere usato la distinzione di origine retorica (Cicerone) tra bellezza in sé e adeguatezza storica del discorso al fine di comprendere la complessa verità della Bibbia, in cui ogni parte è "adatta a suo tempo". Rifacendosi a questa tradizione Baldesar Castiglione avrebbe potuto far dire a un sua personaggio: "Quasi sempre per diverse vie si po tendere alla summità di ogni eccellenzia" (138 s.;). Aggiungerei che l'espressione di Castiglione suona come una tardiva risposta alla famosa contestazione che Simmaco, nel 382, rivolgeva ai cristiani: "Con una sola via non si può attingere un così grande segreto" (su questa espressione, cfr. Gnilka, Die vielen Wege und die Eine, 1990 (in termini di forte ortodossia cattolica, cfr. anche Pesce, Cum diuinitas patiatur diuersas religiones esse).

6 Interessanti riflessioni suscita anche Anna Wierzbicka, con il suo Cross-Cultural Pragmatics, che insiste sull'universalità degli stili comunicativi.

7 A titolo di esempio segnalo il recente contributo di D. Lawrence, çiva's Self-Recognition and the Problem of Interpretation, che culmina in un confronto tra Abhinavagupta e le tesi del teologo B. Lonergan, nel suoInsight.

8 Cfr. come il notevole Nakamura, A Comparative History of Ideas (1975) assuma come asse centrale di una sintesi universalistica la storia del pensiero indiano.

9 Come buona introduzione al problema centrale di questo testo, si può leggere Franci, La crisi morale di Arjuna, 1986.

10 "Rappresentazione" è presa qui in senso ampio, in modo da includere anche l'ebraismo e l'Islam, benché esse siano, per se, religioni aniconiche (cioè che proibiscono le immagini). E' il contenuto (non mondano) che distingue rappresentazione religiosa e rappresentazione estetica, nonostante i molti punti di contatto tra le due esperienze (ho naturalmente ben ben presente la quadripartizione crociana, cfr. per esempio Croce Sulla teoria della distinzione delle quattro categorie spirituali).

11 Ovvero quanto ad "esistenza". Su questi termini della filosofia classica - la distinzione reale tra essenza ed esistenza, il nesso simmetrico potenza-atto, la mia riflessione poggia su E. Gilson L'être et l'essence.

12 Nello spazio verticale A1 e B1 ( usando la terminologia di Lotman (Il problema del segno e del sistema segnico) sarebbe caratterizzato da una organizzazionne paradigmatica del significato (dove una parte sta per il tutto: il particolare viene universalizzato), mentre nell'altra colonna A2-B2 l'organizzazzione del significato è sintagmatica (una parte sta nel tutto).

13 Mentre Ibn 'Arabi sembra privilegiare il ruolo decisivo dell'"immaginanazione creatrice" (dunque lo spazio rappresentativo), la posizione di Averroè (ne Il trattato decisivo ) mi sembra particolarmente interessante, in quanto contiene il riconoscimento che esistono due linguaggi in cui si dice la stessa cosa: quello religioso (più propriamente profetico) e quello della filosofico-razionale, e che questi linguaggi reversibili sonodiversi, e cioè originari, irriducibili, in modo che non sia lecito e possibile né risolvere completamente un linguaggio nell'altro né subordinare un linguaggio all'altro (cfr. Bori, "Frare Anselm Turmeda", 1997).

14 Un impressionante quadro emerge da L'uomo come potenza di J. Evola, dove si intravvedono le conseguenze del rifiuto della circolarità, in nome di un puro "agire per conoscere" (35).

15 Penso per questo a Gnoli, il maggior problema cui il duslismo zorostriano e poi manicheo hanna cercato la risposta è quello della "onnipresenza del male" (In Del bene e del male,p.135).

16 Cfr. Mokdad Mensia, La voie di Hallaj et la voie d'Ibn' Arabi.

17 Nella tradizione ellenistico-cristiana, la meta potrebbere essere detta "mistica". Questo termine è però suscettibile di molte interpretazioni, sia nella direzione religiosa, che in quella filosofica (vedi per esempio la trattazione di W. James, Le varie forme dell'esperienza religiosa, XVI e XVII), e richiederebbe perciò una chiarificazione.

18 Senza la preclusione esoterica posta da Guénon e dai suoi affini, dove il punto di vista non religioso, chiamato da Guénon "metafisico", sarebbe, paradossalmente, universale e tuttavia esoterico, e cioè non comunicabile al di fuori della cerchia degli iniziati nelle diverse tradizioni.

19 Ciò che, di principio, non richiederebbe la tutela di una "forza" imperiale (quanto alla Weil più ripugnava). Inquietante, ma istruttiva e tenere presente in una discussione più ampia è invece la valorizzazione politica della prospettiva pluralistica guénoniana da parte di Evola, soprattutto nel saggio del 1931 Universalità imperiale e particolarismo nazionalistico.

20 Lo schema triadico sarebbe da confrontare con il modello qui proposto. Per questo schema , che nasce dalla confluenza, già in Filone di Alessandria, di platonismo e di stoicismo, Pico, oltre che dallo pseudo-Dionigi, dipende da Origene (Commento al cantico dei cantici, Prologo ) che sostiene la ascendenza salomonica dello schema (Salomone è autoreProverbi, Ecclesiaste, Cantico: disciplina morale, naturale, contemplativa). Da Salomone, secondo Origene, sarebbe passato in Grecia. Pico, interessato a mostrarne l'universalità, significativamente omette la priorità salomonica, e distacca il secondo stadio dal pessimismo dell'Ecclesiaste, insistendo in modo totalmente inedito sulla dignità religiosa della vocazione intellettuale. Questa lettura di Pico, che differisce dalla maggior parte della tradizione interpretativa (segnata tuttora dalla prospettiva di G. Gentile, cfr. per esempio il suo Giordano Bruno, 27-30: l'uomo come libertà e potenza pura) sorregge il progetto di commento collettivo ipertestuale (in corso di completamento) al Discorso di Pico (v. bibliografia). reperibile in http://www. brown. edu/Departments/ Italian_ Studies/pico/

21 A proposito della distanza, segnalo almeno due problemi, entrambi in sostanza legati alla matrice platonica. Il primo concerne l'appartenza dello schema pichiano all'universo dello (pseudo)-Dionigi (cfr. Rocques, L'univers dyonisien), il che proietterebbe il pensiero di Pico all'indietro, nel cosmo ordinato del medioevo, piuttosto che nell'indidualismo moderno. Il secondo riguarda l'ermeneutica delle fonti, soprattuto nelle 900 tesi, a causa del difetto di senso storico e dell'affiorare di approccio "simbolico" (che Cassirer - Pico sella Mirandola, 1942 - spiega così: "i Molti non sono più effetto dell'Uno", ma ne sono "espressioni, immagini, simboli"): il suo universalismo rischia sia il sincretismo sia la confusione tra prospettiva religiosa e dimensione filosofica (rispetto a questo esisteva già la chiarificazione averroistica che il concordismo pichiano trascura).

 

 

Da: http://www.spbo.unibo.it/pais/bori/articolo012.html

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