|  |  |   Dzogchen e zen (Namkai Norbu)
 La comprensione del rapporto tra Zen e Dzogchen è una questione quanto mai 
attuale. In Occidente il buddhismo tibetano e il buddhismo Zen continuano ad 
essere le forme più diffuse e praticate.
 
 Ciò non è un caso, dato che entrambi sono riusciti a conservare una loro 
vitalità nonostante secoli di decadenza del buddismo in Asia. Questo 
è dovuto, almeno in parte, al loro approccio diretto, non graduale, 
all'insegnamento buddhista, del quale rappresentano il culmine, rispettivamente, 
per quanto riguarda le tradizioni dei tantra e dei sutra.
 
 Negli ambienti 
accademici occidentali e giapponesi gli studi sul rapporto tra il risveglio 
immediato e quello graduale hanno ricevuto nuovo impulso da analisi accurate 
degli importantissimi documenti ritrovati nel complesso di grotte diDunhuang, dovute 
in gran parte agli studiosi giapponesi.
 
 Inoltre il Sàmdan Migdròn una fonte di estrema importanza per questo argomento e 
per questo periodo, è stata recentemente pubblicata. [Al tempo di Padmasambhava 
c'era un suo grande discepolo, Nubchen Sangyas Yeshes che aveva scritto un libro 
molto bello il Samdam Migdron: Samdam significa contemplazione e Migdron 
significa la luce degli occhi.
 
 E' uno dei testi più importanti sugli insegnamenti Dzogchen, ma non è un tantra. 
Il maestro che l'ha scritto è un autore umano. Si potrebbe dire che questo è il 
testo che spiega più chiaramente la differenza tra la tradizione cinese del 
buddhismo e l'insegnamento Dzogchen, ilMahayana tibetano e il tantrismo].
 
 Nel Samdan Migdron viene operata una distinzione chiara e precisa tra 
l'approccio graduale - basato sui sutra - di Kamalashila (il grande maestro 
indiano), l'approccio non graduale - sempre basato sui sutra - di Ha shang 
Mahayana (il rappresentante principale del buddhismo cinese Ch'an nell'antico 
Tibet, il tantrismo del sistema Mahayoga 
- che sarà conosciuto in seguito come la tradizione Nyingma del buddhismo 
tibetano – e, infine, l'Atiyoga o Dzogchen, introdotto in Tibet da maestri come 
Padmasambhava, Vimalamitra e Vairocana.
 
 Comprendere queste distinzioni è la chiave per comprendere il rapporto tra lo 
Dzogchen e lo Zen. Una 
via graduale considera necessario progredire lentamente, passando attraverso una 
serie di stadi, per raggiungere l'obiettivo finale, l'illuminazione.
 
 Si ritiene che l'individuo possieda impedimenti di natura più grossolana e più 
sottile che sono gli sono di ostacolo per la manifestazione dell'illuminazione; 
gli impedimenti vanno affrontati passo dopo passo, dal più grossolano al più 
sottile, soprattutto attraverso l'applicazione di antidotiappropriati.
 
 Questo percorso è compendiato nelle "Cinque vie": c'è uno stadio preparatorio(sambharamarga), 
in cui si accumulano i requisiti per questo lungo cammino che porta (prayogamarga) 
a un'osservazione diretta di sé stessi e della realtà (darsanamarga) che elimina 
gli impedimenti che possono essere eliminati solo dall'osservazione interiore. 
Ma ci sono anche impedimenti più sottili che devono essere eliminati con una 
costante attenzione nello stato della coltivazione (bhavanamarga), che consiste 
fondamentalmente nell'Ottuplice Nobile Via.
 
 Nel Mahayana si dice che i dieci stadi del Bodhisattva siano percorsi attraverso 
la pratica delle "cosiddette" perfezioni (paramita): generosità, condotta etica, 
diligenza, pazienza, concentrazione meditativa e discernimento. Infine si 
raggiunge lo stadio oltre l'apprendimento (asaiksamarga) l'obiettivo finale , 
abuddhità.
 
 Si dice che il bodhisattva pratichi in questo modo per tre eoni prima di 
raggiungere l'obiettivo. In questo sentiero graduale il bodhisattva cerca sempre 
di unificare la compassione come azione appropriata (operando sul livello della 
verità relativa) con il discernimento del vuoto – sunyata - (operando sul 
livello della verità assoluta).
 
 Inoltre le pratiche meditative di calma (samatha) e osservazione interiore (vipasyana) 
sono anch'esse praticate in maniera graduale, concentrandosi su diversi 
soggetti. In particolare l'osservazione interiore viene sviluppata in modo 
piuttosto intellettuale, prima attraverso lo studio, poi ragionando su ciò che 
si è studiato e infine, attraverso l'esperienza di meditazione sul soggetto 
studiato.
 
 L'approccio non graduale riconosce che la radice di tutti gli impedimenti è il 
dualismo e che il dualismo può essere superato solo inmodo diretto con tutte le 
proprie forze costantemente rivolte verso questa cura radicale.
 
 Questo porta a un tipo di pratica meditativa come lo zazen, che procede a 
unificare immediatamente calma e osservazione interiore, azione appropriata e 
discernimento [E' scritto nel "Sutra della base" attribuito ad Huineng, il Sesto 
Patriarca della setta Ch'an: "Buoni ed egregi amici, calma e saggezza sono le 
basi del mio metodo: prima di tutto, non cadere nell'errore che esse siano 
distinte.
 
 Esse sono un'unica sostanza e non due. Calma è la sostanza della saggezza e 
saggezza è la funzione della calma. Ogni volta che la saggezza è in azione, la 
calma è in essa. Ogni volta che la calma è in azione, la saggezza è in essa]
 
 Inoltre in questo approccio, studio intellettuale e ragionamento sulla sunyata 
non sono considerati prerequisiti necessari alla sua comprensione immediata e 
diretta.
 
In 
questo carattere diretto è la somiglianza tra Zen e Dzogchen. Potremmo 
riassumere questi insegnamenti dei sutra graduali e non graduali, con i famosi 
versi dell'opera fondamentale di Nagarjuna, Mulamadhyamakarika: Dalla 
distruzione delle passioni e delle azioni karmiche (che da esse risultano), 
sorge la liberazione.
 Passioni e azioni karmiche sono il frutto di finzioni concettuali. Queste 
nascono dall'attività denominatrice (dualistica) della mente, che viene bloccata 
dalla sunyata. Le tradizioni graduali e non graduali, rappresentano dunque 
approcci più o meno rapidi o diretti alla realizzazione della sunyata; questo 
carattere diretto dipende dall' "acume spirituale", dall'acutezza delle facoltà 
dell'individuo. Va ricordato che i sutra sono basati principalmente su un 
principio di rinuncia o eliminazione degli ostacoli. In questo senso la sunyata 
è l'antidoto supremo per i seguaci dei sutra.
 
 Lo Zen, come insegnamento della "natura di Buddha intrinseca" (tatagatagharbha) 
in tutti gli esseri senzienti, rappresenta per la tradizione tibetana una specie 
di transizione al tantrismo. Negli insegnamenti di "transizione" si apre una 
comprensione della sunyata che va al di là della considerazione in funzione di 
antidoto. In questa comprensione la sunyata si manifesta in modo positivo: non 
si tratta più di un semplice antidoto.
 
 Poi il Sandan Migdron, procede a spiegare la superiorità del tantrismo rispetto 
all'insegnamento non graduale di Hashan Mahayana. Esso 
è considerato superiore perché il suo metodo è superiore. Nel tantrismo le 
passioni sono trasformate attraverso la visualizzazione e attraverso la 
manipolazione delle energie fisiche che sono il loro supporto.
 
 Questo metodo è considerato più rapido di quello di applicare antidoti. In 
effetti, esso presuppone l'antidoto della comprensione della sunyata di cui si è 
detto; in altre parole, un atteggiamento riflessivo inibisce dal trasformare la 
propria esperienza attraverso l'immaginazione fino al punto di vedere sé stessi 
come un essere divino in un palazzo - mandala -, una pratica centrale del 
tantrismo.
 
 In termini tantrici sunyata è anche una presenza radiante piena di immagini 
assai vivide; sviluppando l'esperienza di questa presenza le passioni possono 
essere trasformate e riportate al loro stato originario, che è chiarezza e osservazione 
interiore. In questo caso le passioni non sono né evitate né ignorate ma solo, 
al contrario, accettate e incoraggiate per essere trasformate.
 
 E' superfluo aggiungere che un approccio di questo tipo richiede un metodo 
particolare e preciso, e da questo deriva il suo carattere esoterico e 
"segreto".
 
 Potremmo spiegare questa differenza tra gli insegnamenti dei sutra e tantra in 
un altro modo, prendendo in considerazione, invece del modo in cui essi 
comprendono la realtà assoluta - sunyata - il modo in cui essi vedono la realtà 
relativa della nostra esperienza basata sui sensi.
 
 Nei sutra la realtà relativa, sintetizzata dai nostri cinque costituenti 
psicofisici (skanda), è sempre vista come qualcosa di "impuro". E' il nostro 
mondo ordinario, soggetto e oggetto di attrazione, repulsione o indifferenza.
 
Nel tantra, d'altronde, questa realtà è vista come primordialmente "pura'' e 
trasparente. In questa visione trasfigurata i cinque skandha come soggetto sono 
i Buddha delle Cinque Famiglie, mentre i cinque elementi (terra, fuoco etc…) 
come oggetto sono le controparti femminili, con le quali sono in unione beata.
 Questa visione trasfigurata richiede sforzo e immensa concentrazione. I tantra 
più bassi, per esempio, danno grande enfasi alla purificazione ("Quando le porte 
della percezione saranno purificate, ogni cosa sarà vista come è infinita") per 
poter raggiungere questa trasformazione.
 
 I tantra più elevati si basano più direttamente sulle capacità dell'individuo di 
visualizzare e di lavorare con le proprie energie fisiche sottili. Il Samdan 
Migdron procede, quindi, con lo spiegare la superiorità dell'Atiyoga su questa 
via tantrica di trasformazione. C'è molta confusione riguardo al rapporto dello 
Dzogchen con il Tantrismo. Nel sistema delle scuole Nyingmapa c'è una divisione 
in nove dei perseguimenti spirituali (yana).
 
 Ci sono i tre perseguimenti ordinari e comuni dei sutra: quello degli dei e 
degli uomini (un sentiero mondano che conduce semplicemente a una migliore 
rinascita attraverso una condotta virtuosa, per esempio), quello degli Sravaka e 
Pratyekabuddha (il cosidetto Hinayana) e quello dei Bodhisattva del Mahayana.
 
 Ci sono poi i tre 
tantra esterni: Kriya, Carya e Yoga.
 
 Infine ci sono i tre perseguimenti interni, i più elevati: Mahayoga, Anuyoga e 
Atiyoga. Come già accennato, i tre perseguimenti ordinari insegnano 
principalmente la via della rinuncia, i tre tantra esterni principalmente la via 
della purificazione e i tre tantra interni la via della trasformazione. 
Sembrerebbe da questo schema che l'Atiyoga - lo Dzogchen - appartenga al 
sentiero della trasformazione, ma non è così.
 
 Lo Dzogchen non è basato su di un principio di trasformazione attraverso la 
pratica del mandala, ma su quello della libertà e auto liberazione. Esso insegna 
che lo stato primordiale dell'individuo - di solito chiamato rigpa o chan chub 
sem, bodhicitta - è un grande mandala spontaneamente generato e perfettamente 
completo.
 
 Comprendendo ciò, le passioni e le azioni karmiche sono naturalmente liberate 
appena si manifestano, senza che ci sia niente da respingere o i mezzi per 
farlo. Così esso supera il sentiero della rinuncia.Dato che questo stato 
primordiale dell'essere non può essere macchiato dalle passioni e dalle azioni 
karmiche che sorgono da esse, come la superficie di uno specchio non può essere 
mutata dalle immagini che vi appaiono, non vi è niente da purificare né alcun 
agente di purificazione.
 
 Così, esso supera il sentiero della purificazione. Inoltre, poiché in questa 
condizione primordiale cessa anche lo sforzo per raggiungere una visione 
trasfigurata del mondo, non c'è niente da trasformare né alcun mezzo di 
trasformazione.
 
 Per questo vengono usati termini come "spontaneamente perfetto" (lhun drub) 
"grande purezza primordiale'' (ka dag chenpo), "stato di totale perfezione" (Dzogchen) 
e "stato di totale e pura presenza'' (chanchub sems). Anche la parola tantra nel 
suo significato più profondo si riferisce a questo stato che è la condizione 
primordiale, inalienabile, della corrente di consapevolezza dell'individuo.
 
 I tantra della via di trasformazione, comunque, utilizzano principalmente metodi 
speciali come divinità, mantra, mudra, samaya, etc… per compiere questa 
trasformazione. Il metodo speciale dello Dzogchen, invece, è libertà e auto 
liberazione intrinseche.
 
 Nella scuola di Kamalashila grande importanza è data allo studio, alla 
preparazione, allo shinè (sàmatha) e, per esempio, per superare l'ira, alla 
concentrazione sulla compassione. Gradualmente attraverso questi sforzi si 
raggiunge la condizione in cui non si è disturbati dai pensieri. Cioè, si lavora 
al massimo sulla condizione relativa; poi gradualmente attraverso tutto ciò si 
arriva alla verità assoluta.
 
 Per quanto riguarda il sistema dei buddhisti cinesi, esso non fu inventato o 
creato da loro, ma seguirono e si ispirarono, soprattutto a certi sutra come il 
Lankavatara. In questo sutra si parla di una persona che fin dall'inizio si 
sforza di raggiungere la realtà assoluta; questo principio è lo stesso principio 
esposto e spiegato dal rappresentante cinese in Tibet, Hashan Mahayana.
 
 Egli era l'undicesimo nella tradizione il cui iniziatore aveva introdotto in 
Cina quella conoscenza e modo particolare di vedere, conosciuto come Ch'an. Nel 
testo Samdan Migdron questi dieci maestri che avevano introdotto ed esposto la 
nozione di mirare alla condizione assoluta dall'inizio.
 
 Il loro principio è qualcosa di molto semplice. Per esempio, se non si hanno 
pensieri, allora l'oggetto del pensiero non esiste. Se non vi è oggetto, allora 
non vi è neanche pensiero. Cioè, entrambi sono relativi. Ma quando entrambi sono 
relativi, ci troviamo nella condizione assoluta.
 
Questo non è un procedimento che, attraverso un metodo di ragionamento, cerchi 
di definire o portare al sunyata. Nell'approccio non graduale si cerca di 
trovare se stessi, attraverso la pratica, con l'esperienza, nello stato non 
duale e, questo è ciò che intendevano per trovarsi in uno stato non disturbato 
dai pensieri,che è veramente la verità o condizione assoluta. 
 Infatti il sistema di Hashan insisteva molto su questo concetto spiegando che se 
ci si trova in questa condizione, non ha più bisogno di alcun insegnamento, 
metodo o regola. Ma attenzione: se ci si trova in questa condizione. Poi 
proseguiva affermando che se ci si trova in questa condizione e un pensiero 
sorge, bene o male sono la stessa cosa. Per esempio, non c'è differenza se a 
coprire il sole è una nuvola bianca o una nuvola nera.
 
 Ma questo modo non è mai piaciuto a tutte le scuole che seguivano l'esempio di 
Kamalashila, perché tutti i suoi insegnamenti insistevano sul fatto che 
lavorando sul relativo, sviluppando sé stessi nel relativo, si finisce con 
l'arrivare alla verità assoluta.
 
 Su questo punto l'insegnamento Dzogchen è molto simile a quello cinese dei 
buddhisti Ch'an. Anche negli insegnamenti Dzogchen esiste la stessa spiegazione 
sulla relatività del bene e del male. Ma ciò non significa che nello Dzogchen si 
rinunci o trascuri la condizione relativa.
 
 Come dicevo, se vi trovate in questa condizione assoluta; ma se non vi trovate 
in questa condizione, è naturale che non trascuriate le cose relative. Così si 
può capire che il metodo dello Dzogchen mira a trovarsi nella condizione 
assoluta. Questo principio è un elemento comune tra Zen e Dzogchen. Ma non 
dovete pensare che siano la stessa cosa. I due metodi sono differenti. Uno come 
la via della rinuncia e l'altro come la via dell'autoliberazione.
 
 Sin dall'inizio, nel principio, questi insegnamenti sono molto diversi. Quando 
si parla di un insegnamento, esso ha sempre una base, poi la sua via e la sua 
realizzazione o risultato.
 
 Lo Dzogchen è sempre stato chiamato l'insegnamento dell'autoperfezione. Ciò 
allude all'individuo che è dall'origine auto perfezionato. Il fine dello 
Dzogchen non è di arrivare al vuoto, sunyata. Nel buddhismo dei sutra il fine è 
sunyata, che significa mirare a ciò che chiamiamo la verità assoluta.
 
 Nel Samdan Migdron c'è un esempio molto chiaro al riguardo: "Quando dei semi 
sono caduti sul terreno e siete occupati a raccoglierli, voi non guardate la 
terra". Mentre cercate i semi è a essi che mirate, è su di essi che siete 
concentrati, non sulla terra. Un altro esempio che dà è: "Quando cercate di 
infilare un ago e non vedete bene la cruna lo sollevate contro la luce, verso il 
cielo, per farvi passare il filo.
 
 Anche se la vostra faccia e i vostri occhi sono rivolti verso il cielo, non lo 
vedete, perché state guardando solo la cruna dell'ago". Questi sono esempi molto 
chiari. Ci fanno capire molto bene cosa significa quando si diceche si è diretti 
verso le due verità o diretti verso la sunyata.
 
 Questo è un modo di comprendere molto efficace anche per il metodo di 
trasformazione tantrico. Il tantrismo è per l'appunto una via di trasformazione, 
non di rinuncia. Quando c'è un metodo per trasformare le cose, c'è anche un 
metodo per integrarle.
 
 Ritornando all'esempio dei semi sul terreno, in questo caso, non guardiamo i 
semi, guardiamo la terra. La terra qui è un simbolo della nostra condizione 
primordiale, conosciuta anche come tantra. Ma bisogna ricordare che il processo 
di trasformazione si attua attraverso la concentrazione, e dipende da essa. Se 
qualcuno vuole trasformare una dimensione come questo luogo in qualcosa di 
diverso deve prima di tutto concentrarsi.
 
 Nella pratica di trasformazione questa concentrazione può diventare reale per 
quella persona. Quando questa trasformazione è divenuta reale, allora sunyata - 
il vuoto - è stato automaticamente realizzato.
 
 Non che sunyata, il vuoto, sia un fine al quale bisogna mirare, un obiettivo da 
raggiungere. Piuttosto è la condizione stessa della dimensione manifestata. Poi, 
attraverso la manifestazione del mandala, si reca beneficio agli altri esseri. 
Questo è peculiare della via della trasformazione, il tantrismo. Dal punto di 
vista dello Dzogchen, tuttavia, anche questa è una forma di via graduale, perché 
nell'insegnamento dello Dzogchen il principio è quello dell'autoperfezione.
 
 Autoperfezione significa che il cosiddetto obiettivo non è altro che la 
manifestazione dell'energia dello stato primordiale dell'individuo stesso. Chi 
pratica lo Dzogchen deve possedere una chiara conoscenza del principio 
dell'energia e di ciò che esso significa. Il principio dell'insegnamento 
Dzogchen è l'autoperfezione, lo stato di essereperfezionato dall'origine di ogni 
individuo.
 
 Un altro modo di dire è che lo stato primordiale dell'individuo, la condizione 
di ognuno, ha essenza, natura ed energia. Si potrebbero spiegare questi tre 
elementi relativamente al processo del pensiero dell'individuo e alla sua 
osservazione. I pensieri nella loro "essenza", se si cerca di esaminare la loro 
origine-esistenza-cessazione, non possono essere localizzati o confermati, e 
sono perciò "vuoti".
 
 Eppure essi continuano, e questa è la loro "natura", che è una specie di 
"radianza" o "chiarezza" (gsal ba). In questa radianza continua, i pensieri 
hanno anche la loro "energia", che è il loro incessante potere, che può portarci 
a giudicare e alle azioni karmiche o a mantenere uno stato di pura presenza(rigpa) 
senza giudizio, indipendentemente da come questa energia si manifesti.
 
 Gli insegnamenti dei sutra mirando all'esperienza di sunyata, coltivano 
soprattutto l' "essenza".
 
 Gli insegnamenti tantrici lavorano soprattutto con la "natura" come presenza 
radiante o, più precisamente, sull'unità dei primi due aspetti. Lo Dzogchen 
spiega che la sua base, lo stato primordiale dell'individuo, è l'unione di tutti 
e tre; attraverso questa comprensione esso ha metodi speciali, quali la pratica 
del thodrgal, per lavorare sul terzo aspetto: l'"energia".
 
 Attraverso essenza-natura-energia si spiega come si manifestino i tre corpi, 
trikaya .Si spiega la manifestazione attraverso ciò che chiamiamo energia. Il 
modo di manifestarsi può essere come soggetto o oggetto. A tal riguardo parliamo 
di zal e rolba, due modi in cui l'energia si può manifestare. Limitarsi ad avere 
un concetto intellettuale di energia non è sufficiente, bisogna applicare questa 
conoscenza dell'energia nella pratica.
 
 Utilizzando la propria energia si arriva a ciò che chiamiamo "realizzazione 
totale". Per comprendere meglio questa spiegazione su come funzioni l'energia, 
diciamo qualcosa in più su quell'energia chiamata zal .
 
 Zal si riferisce al modo in cui l'energia si manifesta come oggetto. Per usare 
l'esempio di un cristallo, se mettiamo un cristallo dove cade un raggio di sole, 
vediamo dappertutto nella stanza una serie di manifestazioni di luce in tutti i 
colori dell'arcobaleno.
 
 In tal caso il cristallo rappresenta lo stato dell'individuo, lo stato 
perfezionato dall'origine. Ora, se dal cristallo si riflettono tutte queste luci 
colorate, questo è un modo di comprendere come il nostro modo di vedere le cose 
si manifesti, che si tratti di visione pura o impura. Quando parliamo di visione 
pura un individuo ha la capacità di vedere o percepire direttamente l'essenza 
dei cinque elementi che si presentano in forma di colori.
 
 Quando parliamo di visione impura un individuo dà considerazione alla 
materialità piuttosto che all'essenza degli elementi, che è luce. Entrambe le 
visioni, pura e impura, sono sempre l'energia dell'individuo stesso in azione. 
La luce che si riflette dal cristallo manifestandosi magari in diversi colori è 
pur sempre la luce che emana da quel cristallo.
 
 L'altro modo in cui l'energia si manifesta è rolba. In questo caso le cose si 
manifestano come se fossero nel soggetto, soggettivamente. E' come se stessimo 
guardando in uno specchio. Qui dovremmo pensare che il nostro stato primordiale 
è come uno specchio. Qualunque cosa si trovi davanti allo specchio vi può essere 
riflessa.
 
 Se si guarda lo specchio dall'esterno ciò che vi si riflette può apparire bello 
o brutto. Ma riflessi belli o brutti non fanno differenza allo specchio stesso e 
ciò che è nello specchio non può manifestarsi fuori dallo specchio e dalla sua 
capacità di riflettere.
 
 Questo è ciò che chiamiamo rolba, un altro modo di manifestarsi dell'energia. 
Quando pratichiamo la via della trasformazione, ad esempio, ci concentriamo su 
molte cose al di fuori della nostra condizione reale attuale. Su qualunque cosa 
ci stiamo concentrando, usando metodi tantrici, è ancora una manifestazione 
della nostra energia, che è rolba. Molte persone credono che, quando fanno certi 
tipi di visualizzazione, sia una specie di fantasia.
 
 E' vero che è una fantasia, ma è una fantasia che diventa reale. Perché può 
diventare reale? Perché il livello dell'energia che chiamiamo rolba appartiene 
allo stato primordiale dell'individuo. Per tal motivo è molto importante per il 
praticante Dzogchen saper usare questa energia. Quando si sa usare questa 
energia, quando si manifesta, non c'è nulla a cui rinunciare, niente da 
trasformare.
 
 Quando parliamo della via di auto liberazione, non vi è né un concetto di 
rinuncia, perché è sempre la mia energia a manifestarsi, né vi è un concetto di 
trasformazione, perché il principio è che mi trovo in uno stato di pura presenza 
di contemplazione. Se io mi trovo per un istante nello stato di contemplazione, 
allora da quel punto di vista ira e compassione sono un'unica cosa e bene e male 
sono un'unica cosa. In quella condizione non è necessario fare niente; si è 
liberi, perché ci si trova nella propria dimensione di energia senza fuggire e 
senza rinunciare a nulla.
 
 Questo è il principio della via chiamata di auto liberazione. Non vuol dire che 
dobbiamo fare qualcosa e crearne così le conseguenze. Non significa non fare e 
bloccare i pensieri. Fare qualcosa e non farlo sono la stessa cosa, sono sullo 
stessolivello di azione. Ma questo non significa che ci si perda abbandonandosi 
a sé stessi con distrazione, senza mantenere uno stato di presenza. Abbiamo un 
esempio di un grande maestro Dzogchen, Yundon Dorje Bal, contemporaneo di 
Longchenpa e del terzo Karmapa Rangyung Dorje.
 
 Un giorno un visitatore 
andò da lui e gli disse: "Voi praticanti Dzogchen state sempre a meditare,vero?" 
e il Maestro gli rispose: "E su cosa, secondo te, starei meditando?", perché il 
concetto di meditazione implica già che si faccia qualcosa, che ci debba essere 
qualche tipo di concetto; "Ah" – fece il visitatore – "allora voi praticanti 
Dzogchen non meditate?". E il maestro rispose: "Sono forse mai distratto?". In 
queste due risposte potrete trovare la 
conclusione dello Dzogchen.
 
Da:
http://manas-vidya.blogspot.it/2009/11/namkai-norbu-dzogchen-zen.html 
 
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