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Prof. Pier Cesare Bori
2. Eppure da molte parti ciò viene negato. Si tratta di punti di vista assai differenti tra di loro e solo alcuni di questi sfociano nel rifiuto della prospettiva dei diritti umani come prospettiva particolare dell’Occidente, ma il punto che li accomuna è che essi insistono non solo sulla priorità ma anche sul primato delle culture tradizionali rispetto all’idea di diritti umani. a) Simone Weil che, proprio all’inizio de La prima radice, avendo dinanzi il problema di come «radicare un popolo»: quale cultura, quale etica per la Francia, quando fosse uscita dalle rovine, anzitutto morali, della seconda guerra mondiale, sostiene una posizione antitetica alla prospettiva dei diritti. Occorre piuttosto recuperare l'idea di obbligo verso l'essere umano in quanto tale, a partire dal bisogni concreti, primo fra questi il cibo. Quest'obbligo non si fonda su nessuna situazione di fatto, né sulla giurisprudenza, né sui costumi, né sulla struttura sociale, né su rapporti di forza, né sull'eredità del passato, né sul supposto orientamento della storia. Poiché nessuna situazione di fatto può suscitare un obbligo...Quest'obbligo non si fonda su nessuna convenzione...Quest'obbligo è eterno. Esso risponde al destino eterno dell'essere umano...Quest'obbligo è incondizionato. Se esso è fondato su qualcosa, questo qualcosa non appartiene al nostro mondo. Nel nostro mondo, non è fondato su nulla...Quest'obbligo non ha fondamento, bensì una verifica nell'accordo della coscienza universale. Esso è espresso da taluni dei più antichi testi che ci siano conservati. Viene riconosciuto da tutti e in tutti i casi particolari dove non è combattuto dagli interessi o dalle passioni. Il progresso si misura su di esso...Benché quest'obbligo eterno risponda al destino eterno dell'essere umano, esso non ha per suo diretto oggetto quel destino...L'obbligo è adempiuto soltanto se il rispetto è effettivamente espresso, in modo reale e non fittizio; e questo può avvenire soltanto mediante i bisogni terrestri dell'uomo. La coscienza umana, su questo punto, non ha mutato mai. Migliaia di anni fa gli egiziani pensavano che un'anima non possa giustificarsi dopo la morte se non può dire:«Non ho fatto patire la fame a nessuno» Tutti i cristiani sanno di dover udire, un giorno, Cristo dire loro: «Ho avuto fame e tu non mi hai dato da mangiare».. Far sì che non soffra la fame quando si ha la possibilità di aiutarlo è dunque un obbligo eterno verso l'essere umano. Essendo quest'obbligo il più evidente esso dovrà servire come esempio per comporre l'elenco dei doveri eterni verso ogni essere umano... b) Un chiaro esempio di incomprensione della novità e specificità dell’idea di diritti umani. è nella reazione di Gandhi, a un questionario concernente una possibile “Dichiarazione dei diritti umani”: Ho imparato da mia madre illetterata ma molto saggia, che tutti i diritti dell'uomo degni di essere meritati e conservati sono quelli dati dal dovere compiuto. Così lo stesso diritto alla vita ci viene soltanto quando adempiamo al dovere di cittadini del mondo. Secondo questo principio fondamentale è probabilmente abbastanza facile definire i doveri dell'Uomo e della Donna e collegare ogni diritto a un dovere corrispondente che conviene compiere in precedenza. Si potrebbe dimostrare che ogni altro diritto è solo un'usurpazione per cui non val la pena di lottare”(I diritti dell'uomo 1952).
nella tradizione indiana la parola dharma è forse il termine più appropriato per portarci alla scoperta di un eventuale simbolo omeomorfo corrispondente alla nozione occidentale di “Diritti dell’uomo” (Panikkar 1990, 42). d) Fred Dallmayr, in un suo recente saggio su “’Valori asiatici’ e diritti umani globali” si ricollega a una significativa e importante produzione di studiosi che rivendicano l’originalità e la specificità della concezione di giustizia confuciana rispetto alla prospettiva occidentale dei diritti umani. e) Nonostante le evidenti differenze di contesto culturale, l’ideologia delle dichiarazioni islamiche dei diritti dell’uomo (Redisi 2000) converge nel rivendicare la priorità di una tradizione, quella islamica, quanto a riconoscimento della naturale dignità umana e dei doveri cui corrispondono diritti. L’islam ritiene di essere la religione della fitra, della creatura umana originaria(Bori 1995, 98). 3. In modo molto diverso – talvolta come
rivendicazione polemica, talvolta invece in vista di una convergenza – questi
punti di vista finiscono per indebolire l’originalità dell’acquisizione
dell’idea (cui è legata strettamente una prassi) dei diritti mani, negandone
la novità e spesso anche l’universalità. Michael Ignatieff nel suo libro
Human Rights as Politics and Idolatry richiama tutte le obiezioni che sone
venute alla prospettiva dei diritti umani non solo dall’esterno
dell’orizzonte occidentale, ma dall’interno di questo, da parte di critici
che legano l’universalità dei diritti umani, che sarebbero funzionali al
processo di globalizzazione. It remains true, therefore, that the core of
the Declaration is the moral individualism for which it is so reproached by
non-Western societies, It is this individualism for which Western activists have
become most apologetic, believing that it should be tempered by greater emphasis
on social duties and responsibilities to the commu nity. Human rights, it is
argued, can recover universal appeal only if they soften their individualistic
bias and put greater emphasis on the communitarian parts of the declaration...
This desire to water down the individualism of rights discourse is driven by a
desire both to make human rights more palatable to less individualistic cultures
in the non-Western world and also to respond to disquiet among Western
communitarians at the supposedly corrosive impact of individualistic values on
Western social cohesion. 4. Mentre concordo sulla posizione di fondo di
Ignatieff, che sottintende una importante distinzione tra origine particolare e
valore universale dei diritti umani, vorrei apportare una precisazione quanto
alla genesi della prospettiva diritti umani, ricollegata - sembra - da questo
autore a una reviviscenza illuministica della tradizione antica del diritti
naturale. Lo stoicismo antico, con la sua accentuazione della natura razionale dell’uomo e con una dottrina dei doveri che già in sé racchiudeva una dottrina dei diritti, venne risuscitato, alla fine dei XVI secolo, in special modo dal tardo umanesimo dei Paesi Bassi. Alla riscoperta dell’antico diritto di natura esso fornì un fondamento essenziale, talvolta unendosi alla dogmatica cristiano-teologica, talvolta inserendosi del sistema di valori umanistico e neostoico (Oesterlich, 2001, 36, cfr, Gozzi 2001, XXI s.). Anche Jacques Maritain (che era forse il
destinatario delle polemica della Weil, come fautore della Dichiarazione come
documento pragmatico, al di là delle differenti visioni del mondo) rivendicava,
sotto il profilo della origine storica, il ruolo essenziale del “retaggio
greco e cristiano”, anche se, nel pensiero del filosofo neotomista, la legge
naturale è come tale universale (partecipando della legge eterna, che
stabilisce i doveri e diritti umani) ed è conoscibile da ognuno per
“connaturalità” (L’uomo e lo stato 1989, 78). 5. Occorre anzitutto richiamare la distinzione
tra teocrazia e rappresentazione – la prima consistente in una
“subordinazione sino alla cancellazione della guida politica a favore di una
pura sovranità divina”, la seconda nella “correlazione tra sovranità
divina e sovranità politica in forma di analogia e quindi la conseguente unione
di guida politica e religiosa nella mani di rappresentanti terreni” (Assmann
2000, p. 59). E occorre ricordare come nella prospettiva profetica, Dio è
detentore del diritto, senza rappresentanza (la quale è pure presente nella
Bibbia, forse sin dal sacerdotale Gen. 1, 27, agli scritti sapienziali, sino
alla “Lettera ai Romani”). Teocrazia significa sovranità di Dio immediata, che esclude ogni forma di sovranità dell'uomo sull'uomo. Le utopie teocratiche rappresentano la più profonda sfida del processo della modernità. E ancora Nel suo frammento teologico-politico Benjamin ha indicato come grande merito di Ernst Bloch di aver negato significato politico alla teocrazia. Questa delimitazione di confini tra teocrazia mistica e teocrazia politica si è [però] dimostrata infelice, è dimostrata falsa dalla storia universale ...[viene fatto riferimento al contributo di D. Georgi su Paolo, nel volume stesso] Non mistico contro politico, ma teocrazia dall'alto contro teocrazia dal basso, questa è l'antitesi decisiva (Taubes 1987, p. 5 s.). Mi domandavo altrove se in questa
"teocrazia dal basso" non si possa intravvedere la spiegazione del
singolare statuto dei diritti umani, in cui l'urgenza dell'attuare è in
conflitto con l'impossibilità di una vera e propria dimostrazione e fondazione.
L'enfatica pretesa, tanto assoluta quanto poco argomentabile (esattamente quanto
l’obbligo verso ogni essere umano della Weil) che si accompagna all'emergere
dei diritti umani, l’uso di una terminologia sacrale (di cui si lamenta
Ignatieff : “What is so sacred in human beings?” denunciandola come
“idolatria” , 2001, p. 82 ss.) si potrebbero allora spiegare come un
riversarsi-rovesciarsi del diritto sovrano di Dio nel diritto sovrano della
soggetto umano. Come disse Mallinckrodt nel Parlamento federale, “la libertà di coscienza del Cattolico consiste nel poter obbedire al Papa “, e quindi nel poter agire in modo indipendente secondo la propria coscienza. Ma la “libertà di coscienza” degli altri non è riconosciuta, quando esse posseggono la potenza, ne dalla Chiesa cattolica, ne dalla (antica) Chiesa luterana, e neppure completamente dall'antica Chiesa calvinista o battista; ed esse non possono riconoscerla anche in virtù del loro dovere di ufficio, che è quello di proteggere da! pericolo la salvezza delle anime — oppure, presso i Calvinisti, la gloria di Dio. La libertà di coscienza del Quacchero conseguente sussiste anche al di là della propria, in quanto nessuno che non sia ne Quacchero ne Battista, può essere costretto ad agire come se lo fosse; essa consiste quindi, oltre che nella propria, anche nella libertà di coscienza degli altri. Sul terreno delle sette conseguenti si sviluppa dunque un “diritto” dei dominati, considerato come imprescrittibile — ed anzi di ogni singolo dominato — nei confronti del potere, sia esso politico o ierocratico o patriarcale o di qualsiasi altra specie. Lasciando da parte se esso sia il più antico — come Jellinek ha convincentemente concluso — la “libertà di coscienza” in questo senso è ad ogni modo in linea di principio il primo “diritto dell'uomo”, in quanto è il più penetrante, quello che abbraccia il complesso dell'agire condizionato eticamente e che garantisce una libertà da1 potere, in particolare dal potere statale : essa rappresenta un concetto ignoto, in questa forma, all'antichità e al Medioevo, ed anche alla teoria dello stato di Rousseau, con la sua coercizione religiosa da parte dello stato. A questo si aggiungono gli altri “diritti dell'uomo” e del cittadino» o “diritti fondamentali”, e soprattutto il diritto alla libera tutela dei propri interessi economici — secondo la propria discrezione, entro i limiti di un sistema di regole giuridiche garantite, formulato m norme astratte e valido in egual modo per tutti — i cui elementi più importanti sono l'inviolabilità della proprietà individuale, la libertà contrattuale e la libertà di scelta della professione. Essi trovano la loro giustificazione ultima nella credenza dell' epoca dell’illuminismo che l'esercizio della “ragione” da parte del singolo, nel caso che ad essa sia data via libera, debba dar luogo almeno al mondo relativamente migliore — in virtù della provvidenza divina, e perché il singolo conosce il suo interesse meglio di ogni altro : l'illuminazione carismatica della “ragione” (che trovò la sua espressione caratteristica nell'apoteosi che di essa fece Robespierre) è dunque l'ultima forma che il carisma ha assunto nel suo molteplice cammino. . . Come l' “ascesi intra-mondana” — accolta dalle sette con motivi non assolutamente identici dal punto di vista dogmatico — e il tipo di disciplina ecclesiastica delle sette promuovevano la mentalità capitalistica e l' “uomo professionale” che agisce in modo razionale — di cui aveva bisogno il capitalismo — cosi i diritti dell'uomo e i diritti fondamentali offrivano le condizioni preliminari per il libero dispiegarsi della tendenza all'utilizzazione del capitale con beni materiali e con persone (Weber 1995, 326 s.). 6. Questo quadro ci sembra complessivamente
plausibile, anche se richiederebbe importante complementi di analisi. Ad
esempio, per quello che conosco di una di queste “sette”, la Società degli
Amici”, il percorso è molto lungo e complesso: dalle richieste di libertà di
culto, con un riconoscimento della libertà altrui implicito e in fondo
strumentale degli anni Cinquanta e Sessanta del Seicento all’universalismo
teologico di Robert Barklay (“la luce che illunina ogni uomo”), al
conseguimento della tolleranza, all’individualismo mistico (al di là della
“setta”) di certe formulazioni di William Penn e John Woolman (Bori 1994),
sino alla ricezione (ormai fuori del movemento quacchero) in termini giuridici
in un contesto illuministico (Voltaire, Le lettere filosofiche),
giusnaturalistico e massonico (Cazzaniga 1999, soprattutto il saggio su ). Ma
occorrebbe qui ricordare altri percorsi, Castellione, sociniani e arminiani,
Roger Williams e Spinoza…Ma ancor prima, occorre ricordare che i diritti umani
poterono affermarsi, prima della loro teorizzazione, ad opera di vittime spesso
oscure di persecuzione, testimoni di una libertà di coscienza che, come tale
“consiste quindi, oltre che nella propria, anche nella libertà di coscienza
degli altri” (come dice Max Weber.). Da questo sostrato del diritto naturale cristiano è derivato il moderno diritto naturale profano di Bodin, Hugo Grotius, Hobbes, Pufendorf, Althusius e molti minori, in parte per costruire [teoricamente] l'assolutismo derivante dalle condizioni [storiche], in parte per giustificare più tardi la liberazione borghese dall'assolutismo e formare nuovi ideali di Stato. L'ambiguità del diritto naturale è continuata giacché, da un lato, l'essenza del dominio e della sovranità fu [vista] nella comunità, venne insegnata la necessità di una forza che ordinasse il genere umano soggetto a peccare, ovvero la cessione dei diritti del popolo all'autorità, e venne integrata la totalità attraverso dottrine teologiche autoritarie e provvidenzialistiche; dall'altro i movimenti contrari a questo assolutismo si sono appoggiati agli innati diritti umani che non possono essere perduti in quanto fondati sul divino ordine cosmico. Naturalmente non mancano molteplici innovazioni. Il ravvisamento umanistico dell'antichità e la nuova scienza atomistica della natura forniscono svariati pensieri e mezzi nuovi. Ma la terminologia e le idee fondamentali rimangono (Troeltsch 1977, p. 377) E’ tuttavia essenziale la distinzione tra
genesi e valore: se la genesi è particolare, il contenuto poteva (e doveva)
essere universalizzato. Se l’affermazione del primo nucleo dei diritti umani
era legato ad una particolare esperienza storica, all’emergere di minoranze
dissidenti e profetiche, la sua ricezione e promulgazione era resa possibile
dalla presenza di risorse preesistenti nella cultura occidentale. 7. Una universalizzazione non compiuta, che per
compiersi, nel mondo attuale, avrà bisogno di altre risorse, di altri sfondi
culturali possibili e potenzialmente atti a questa ricezione. Giudaismo: L’elencazione è senz’altro generosa, ma conferma anche un tendenza a smarrire l’originale nucleo dei diritti umani, e a confonderli con la sapienza giuridica e morale delle antiche civiltà. Se il nucleo originario dei diritti è quello che si suggeriva, per la loro trasposizione – possibile e necessaria - saranno sufficienti queste suggestioni? 8. In una ricerca delle “risorse” delle
tradizioni per la ricezione dei diritti umani, non darei una importanza decisiva
alla premessa della separazione tra religione e politica: essenziale
all’Occidente (penso ai lavori di Paolo Prodi), queste premessa non è
reperibile in altre tradizioni e neppure indispensabile (si pensi a Gandhi).
Neppure è pensabile di potersi riferire a una idea di natura che si rifaccia al
diritto naturale stoico e al giusnaturalismo. Nemmeno il modello della
tolleranza negli antichi imperi multinazionali (Açoka, impero persiano, impero
romano, lo stesso islâm nei momenti più alti della sua storia) può essere
oggi trasposto. Ho molto pensato alle religioni, per capirle, e
ho scoperto che sono i molti rami di un'unica Fonte. Tu che biasimi il mio amore per Lui,come sei
duro! Se sapessi Chi intendo, così non faresti. E, quanto all’indipendenza dal potere mondano, penso al potenziale eversivo contenuto nella riflessione “straniante” (Ginzburg 1998, p. 19 s.) dell’imperatore Marco Aurelio, quando parla della porpora :“Il laticlavio sono peli di pecora intrisi del sangue di una conchiglia” (e dell’atto sessuale come “sfregamento di viscere e secrezione di muco accompagnata da spasmo”), commentando: Così bisogna fare per tutta la vita e, quando le cose ci si presentano troppo persuasive, bisogna denudarle e osservare a fondo la loro pochezza(VI, 13). Ricordo sotto questo profilo anche il racconto dell’incontro di Bodhidarma (che portò il buddhismo in Cina) con l’imperatore Wu, che si era convertito al buddhismo: Quando Bodhidharma incontrò per la prima volta
l’imperatore Wu, l’imperatore chiese: “Ho costruito templi e ho ordinato
monaci. Che merito è questo?” Bodhidharma disse: “Non c’è merito”.
Gettò immediatamente acqua sporca sull’imperatore. E infine vorrei menzionale un santo musulmano, Abd ar-Rahman ibn Amr al-Auzâ’i (m. nel 157/774). Gli ripugnava dar la caccia ai sorci quando erano piccoli, per pietà di loro e delle loro madri. Il califfo abbaside al-Masûr andò a visitarlo e gli disse: “Ammoniscimi”. Rispose al-Auzâ’i: “Non c’è un solo suddito tuo che non lamenti qualche afflizione in cui tu l’hai messo o qualche ingiustizia commessa da te”. Il santo esercita la hisba, la censura, nei
confronti del sovrano, ma ha pietà dei piccoli topi. Lungi dall’ offrirsi al’ uomo come un
nostalgico rifugio 1’ identificazione a tutte le forme della vita, a
cominciare dalle più umili, propone dunque agli umanità d'oggi per bocca di
Rousseau il principio di ogni saggezza e d'ogni azione collettiva” (Lévi-Strauss
1967, p.94, cfr. 1983, p. 339). J. Assmann, Herrschaft und Heil. Politische
Theologie in Altägypten, Israel und Europa, Carl Hanser Verlag, München Wien
2000;
Da: http://www.spbo.unibo.it/pais/bori/articolo_2002_11_12.html
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