Jerzy Grotowski, Testo senza titolo (1998)

  in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

  home page   cerca nel sito   iscrizione newsletter   email   aggiungi ai preferiti   stampa questa pagina    
 

 

  SU DI ME
 Vita       
 Pubblicazioni

 Corsi, seminari, conferenze

 Prossimi eventi
 
  DISCIPLINE
 Filosofia antica       
 Mistica
 Sufismo
 Taoismo
 Vedanta              
 Buddhismo              
 Zen
 Filosofia Comparata
 Musica / Mistica
 Filosofia Critica
 Meditazione
 Alchimia
 Psiché
 Tantrismo
 Corpo teatro danza
 Varia
 
  AUTORI
 Mircea Eliade       
 Raimon Panikkar
 S.Weil e C.Campo
 René Guénon, ecc.
 Elémire Zolla     
 G.I.Gurdjieff  
 Jiddu Krishnamurti
 Rudolf Steiner
 P. C. Bori       
 Silvano Agosti
 Alcuni maestri

 


Jerzy Grotowski, Testo senza titolo (1998)


 

E' possibile che il termine della mia vita si avvicini. Tengo prima di tutto a rettificare un'informazione che falsa la comprensione del lavoro del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards.

     “Action: l'ultimo spettacolo di Grotowski”: questa informazione contiene tre deformazioni della verità. 

     Il mio ultimo spettacolo, come regista, s’intitola “Apocalypsis cum figuris”. Fu creato nel 1969 e le sue rappresentazioni sono terminate nel 1980. Da allora non ho più fatto alcuno spettacolo.

 

     Action non è uno spettacolo. Non appartiene all’ambito dell'arte come presentazione. E' un'opera creata nel campo dell'arte come veicolo. E' concepita per strutturare, in un materiale legato alle performing arts, il lavoro su se stessi degli attuanti.

     Dei testimoni, degli osservatori esterni possono essere presenti o no. Ciò dipende da varie condizioni che, in circostanze differenti, questo approccio esige.

 

     Quando parlo dell'arte come veicolo, mi riferisco alla verticalità. Verticalità - il fenomeno è di ordine energetico: energie pesanti ma organiche (legate alle forze della vita, agli istinti, alla sensualità) e altre energie, più sottili. La questione della verticalità significa passare da un livello diciamo grossolano - in un certo senso si può dire tra virgolette “quotidiano” - a un livello energetico più sottile o addirittura verso la higher connection. Indico semplicemente il passaggio, la direzione. Là, c'é anche un altro passaggio: se ci si avvicina all'alta connessione - cioè, in termini di energia, se ci si avvicina all'energia molto più sottile - si pone ancora la questione di scendere riportando questo sottile qualcosa nella realtà più ordinaria, legata alla densità del corpo. Thomas Richards ha analizzato la sua percezione, la sua esperienza individuale di questo tipo di processo, e l'ha caratterizzata come inner action.

 

     Con la verticalità, non si tratta di rinunciare a una parte della nostra natura; tutto deve tenere il suo posto naturale: il corpo, il cuore, la testa, qualcosa che è “sotto i nostri piedi” e qualcosa che è “sopra la testa”. Il tutto come una linea verticale, e questa verticalità deve essere tesa tra l’organicità e the awareness. Awareness vuol dire la coscienza che non è legata al linguaggio (alla macchina per pensare), ma alla Presenza.

 

     Ripeto dunque: Action non è “uno spettacolo”. E' un'opera interamente creata e diretta da Thomas Richards, e sulla quale prosegue un lavoro continuo dal 1994.

 

     Si può dire che Action è stata una collaborazione tra Thomas Richards e me? Non nel senso di una creazione a quattro mani; solamente nel senso della natura del mio lavoro con Thomas Richards dal 1985, che ha avuto il carattere della trasmissione, come la si comprende nella tradizione; trasmettergli ciò che ho raggiunto nella vita: l'aspetto interiore nel lavoro.

 

     Quanto a Action, Thomas Richards ne è l'autore esclusivo.

 

     Se ripeto queste affermazioni è per fare piazza pulita prima di avvicinarmi a i temi che mi abitano da molto tempo.

 

     Che cosa si può trasmettere? Come e a chi trasmettere? Sono domande che ogni persona che ha ereditato dalla tradizione si pone, perché eredita nello stesso tempo una specie di dovere: trasmettere ciò che lui stesso ha ricevuto.

     Che parte ha la ricerca in una tradizione? In che misura una tradizione di un lavoro su se stessi o, per parlare per analogia, di uno yoga o di una vita interiore deve essere nello stesso tempo un’investigazione, una ricerca che fa con ogni nuova generazione un passo in avanti?

     In un ramo del buddismo tibetano si dice che una tradizione può vivere se la nuova generazione va avanti di un quinto rispetto alla generazione precedente, senza dimenticarne o distruggerne le scoperte.

     Lo so, lo so... nel campo artistico stricto sensu si può dire che esista solamente un’evoluzione e non uno sviluppo. E che l'opera di Beckett, solo perché arriva dopo nel tempo, non sia più sviluppata dell'opera di Shakespeare.

     Ma qui parlo di un ambito che è artistico e che non è esclusivamente artistico. Nel campo dell'arte come veicolo, se considero il lavoro di Thomas Richards su Action, sugli antichi canti vibratori e su tutto questo vasto terreno legato alla tradizione che occupa le ricerche qui, constato che la nuova generazione è già avanzata rispetto alla precedente.

 

 

Jerzy Grotowski

4 Luglio 1998

 

 

Traduzione dall’originale francese di Mario Biagini

© Jerzy Grotowski 1998

 

 

Nota:

Il presente testo è stato pubblicato postumo, per volontà dello stesso Grotowski. La traduzione inglese è apparsa in "TDR - The Drama Review", 43, n. 2, Summer 1999. In Italia in "Il Sole 24 Ore", 21 marzo 1999, n.78, e in "Teatro e Storia" 20-21, Anno XII, 1998-1999.

 

Da: www.teatrodinessuno.it
 

 

 

TORNA SU