La pastura (Nivâpa Sutta) - MN25

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Majjhima Nikaya 25

Nivâpa Sutta

La pastura

 

 

Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.

 

 


Questo ho sentito.

 

Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nellaSelva del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Là il Sublime si rivolse ai monaci: "Monaci, il cacciatore non sparge pastura alla selvaggina pensando: 'Possa la selvaggina nutrirsi di questa pastura, rimanere sana e invecchiare'; ma pensa: 'Adescata dalla pastura che qui spargo, la selvaggina ne trarrà cieco godimento e, soddisfatta, si lascerà andare e la potrò rinchiudere a mio vantaggio in questo recinto'.

Venne il primo branco di selvaggina adescata dalla pastura che il cacciatore aveva sparso, e, come aveva architettato il cacciatore, gioì ciecamente della pastura, si lasciò andare, e fu rinchiuso nel recinto. Un secondo branco si accorse dell'accaduto, si tenne lontano dalla pastura sparsa e si ritirò nel profondo della selva. Nell'ultimo mese dell'estate, quando erba e acqua inaridirono, il secondo branco di selvaggina divenne straordinariamente magro, perse le forze; spossato, ritornò alla pastura che era stata sparsa dal cacciatore, godette ciecamente del cibo, ne fu soddisfatto, si lasciò andare e fu rinchiuso nel recinto. Un terzo branco si accorse che neppure il secondo branco aveva potuto sottrarsi al potere del cacciatore e decise di trattenersi nelle vicinanze. A quel punto, il cacciatore e i suoi aiutanti si meravigliarono della magica astuzia del terzo branco che si nutriva con accortezza della pastura, senza lasciarsi accecare dal godimento, e non si capiva dove andava dopo che era venuto a nutrirsi. Decisero allora di circondare da tutti i lati il luogo della pastura con grandi pali per scoprire dove il branco si nascondeva dopo il pasto. Così facendo scoprirono i movimenti del branco, lo circondarono e lo rinchiusero nel recinto.

Un quarto branco di selvaggina che aveva osservato tutto, pensò di trovare un rifugio che fosse inaccessibile al cacciatore e ai suoi aiutanti. Venendo di là avrebbe potuto nutrirsi con giudizio della pastura sparsa, poi si sarebbe di nuovo rifugiato nel luogo inaccessibile se non a lui. E così fece. Nuovamente il cacciatore e gli aiutanti circondarono di pali il luogo della pastura e spiarono dove si nascondeva il quarto branco senza tuttavia riuscire a scoprire dove esso si nascondeva. Pensarono: 'Se ora noi spaventiamo il quarto branco, questo spaventerà fuggendo gli altri branchi che, a loro volta, spaventeranno altri branchi, in tal modo la pastura che spargiamo sarà evitata da tutta la selvaggina. Sarà meglio lasciar perdere il quarto branco!'. E così, il quarto branco di selvaggina poté sottrarsi alle astuzie del cacciatore."

"Monaci, il senso del paragone che vi ho detto è questo: la pastura indica le cinque facoltà del bramare; il cacciatore designa la malvagità personificata, Maro. Gli aiutanti sono gli agenti della natura, e il branco indica la comunità degli asceti e degli eremiti. I primi asceti ed eremiti attratti dalla pastura che la natura sparge, dall' adescamento del mondo, si sono dati a cieco godimento, divenuti soddisfatti si sono lasciati andare e sono stati condotti in quell'adescamento del mondo, alla mercé della natura. Essi non possono sottrarsi al potere della natura.

Un secondo gruppo di asceti ed eremiti, notato ciò che è accaduto ai primi, si sono tenuti lontani da ogni adescamento del mondo, lontani dal cibo nocivo, si sono ritirati nel profondo della selva. Sono vissuti nutrendosi di erbe e funghi, di riso e grano selvatico, di semi e noccioli, di latte di piante e resina d'albero, di gramigna, di sterco di vacca, si sono sostentati di radici e frutti di bosco, sono vissuti di frutti caduti. E nell'ultimo mese dell'estate, quando tutto inaridì, divennero scarni, persero le forze; spossati, persero la tranquillità dello spirito; turbati andarono a quella pastura che la natura sparge, a quell'adescamento del mondo. Adescati, datisi a cieco godimento, essi divennero soddisfatti; divenuti soddisfatti, si lasciarono andare; lasciatisi andare, furono condotti in quel recinto, in quell'adescamento del mondo, alla mercé della natura.

Un terzo gruppo di asceti ed eremiti, per evitare ciò che era successo ai primi due, decise di trattenersi nelle vicinanze dell'adescamento del mondo; là rimanendo essi godettero, non adescati e non ciecamente, il nutrimento; così facendo non divennero soddisfatti, non si lasciarono andare e non furono condotti in quel recinto, in quell'adescamento del mondo, alla mercé della natura. Ma essi concepirono opinioni come; 'Il mondo è eterno' o 'Il mondo è temporaneo', 'Il mondo è finito' o 'Il mondo è infinito', 'Anima e corpo sono una e medesima cosa' o 'Altro è l'anima, altro è il corpo', 'Il Compiuto persiste dopo la morte' o 'Il Compiuto non persiste dopo la morte' o 'Il Compiuto persiste e non persiste dopo la morte' o ancora 'Né persiste né non persiste dopo la morte'. E così, monaci, neppure il terzo gruppo riuscì a sottrarsi al potere della natura.

Un quarto gruppo di asceti ed eremiti, consapevole di ciò che era accaduto ai primi tre gruppi, decise di trovare una sede che fosse inaccessibile alla natura e ai suoi agenti. Di là essi si avanzarono alla pastura che la natura sparge, all'adescamento del mondo e godettero, non adescati e non ciecamente, il nutrimento; non divennero soddisfatti, non si lasciarono andare e non furono condotti in quell'adescamento del mondo, alla mercé della natura.

Ma come s'impedisce l'accesso alla natura e ai suoi agenti? Un monaco, ben lungi da brame, lungi da cose non salutari, in senziente, pensante, nata da pace beata serenità, raggiunge il grado della prima contemplazione. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.

E inoltre ancora: dopo il compimento del sentire e pensare, il monaco raggiunge l'interna calma serena, l'unità dell'animo, la libera dal sentire e pensare, nata dal raccoglimento beata serenità e il grado della seconda contemplazione. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.

E inoltre ancora: in serena pace permane il monaco equanime, savio, chiaro cosciente, e prova nel corpo quella felicità di cui i santi dicono: 'L'equanime savio vive felice'; così egli raggiunge il grado della terza contemplazione. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.

E inoltre ancora: dopo il rigetto delle gioie e dei dolori, dopo l'annientamento della letizia e della tristezza anteriori, il monaco raggiunge la non triste, non lieta, equanime, savia, perfetta purezza e il grado della quarta contemplazione. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.

E inoltre ancora: con il completo superamento delle percezioni di forma, annientamento delle percezioni riflesse, rigetto delle percezioni multiple, il monaco, nel pensiero 'Illimitato è lo spazio', raggiunge il regno dello spazio illimitato. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.

E inoltre ancora: dopo il superamento dell'illimitata sfera dello spazio, il monaco, nel pensiero 'illimitata è la coscienza', raggiunge il regno della coscienza illimitata. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.

E inoltre ancora: dopo il superamento dell'illimitata sfera della coscienza, il monaco, nel pensiero 'Niente esiste', raggiunge il regno della non esistenza. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.

E inoltre ancora: dopo il completo superamento della sfera della non esistenza, il monaco raggiunge il limite della possibile percezione. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.

E inoltre ancora: dopo il superamento del limite della possibile percezione, il monaco raggiunge la dissoluzione della percettibilità, e la mania del savio veggente è distrutta. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità, è sfuggito alla rete del mondo."

Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i monaci della sua parola.

 

Da: http://membres.lycos.fr/zenmontpellier/majjhimait.html 

 

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