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Le dieci regole della tolleranza (intervista a Pier Cesare Bori)
di Maria de falco Marotta
DOMANDA: prof. Bori, in mezzo ai tanti conflitti che vi sono nel mondo, ha ancora senso parlare di tolleranza?
RISPOSTA: l’idea e la pratica della tolleranza hanno avuto una grande rilevanza nel passato e rimangono ancora fondamentali nel contesto di crescenti conflitti religiosi e culturali della contemporaneità. Non dobbiamo disprezzare la tolleranza: ne viene sottolineata l’importanza in molti studi e ricerche. DOMANDA: però oggi si preferisce parlare di pluralismo, più che di tolleranza, no? RISPOSTA: il pluralismo è una prospettiva più interessante perché contiene l’idea di uguale dignità delle culture e delle religioni. Quindi sì alla tolleranza, ma ancora di più, sì al pluralismo. DOMANDA: quale pluralismo? RISPOSTA: certamente non il pluralismo dell’indifferentismo: una cosa vale l’altra, né del relativismo puro, né del sincretismo. C’è una frase che amo particolarmente citare: ogni religione è l’unica vera[1]. Nel momento in cui vi pensiamo, dobbiamo concederle tutta l’attenzione, come se non vi fosse niente altro. Allo stesso modo, ogni paesaggio, ogni pittura, ogni poesia è l’unico bello nel momento in cui lo contempliamo. Una sintesi delle religioni implica una qualità inferiore di attenzione. Io suggerirei, con un punto di domanda, il pluralismo delle vie che conducono allo stesso scopo. So che questa è una grossissima questione ma, nello stesso tempo, credo sia molto difficile evitare questa conclusione. Accettiamo con umiltà che Dio vuole ed ha voluto la pluralità. Se Lui avesse voluto, avrebbe fatto un’unica religione, ma non l’ha fatto. DOMANDA: lei si definisce un umanista e predilige Pico della Mirandola[2]. Perché? RISPOSTA: secondo Pico della Mirandola e secondo la lettura del suo discorso sulla dignità dell’uomo, che è il manifesto dell’umanesimo, la vocazione umana è di diventare una sola cosa con la divinità che è al di là di ogni rappresentazione. Il percorso verso la divinità comprende tre momenti: l’azione, la disciplina morale, la ricerca intellettuale ovvero la contemplazione, l’unità finale con l’assoluto. Pico è convinto che questo paradigma di triplice fase è universale: si può trovare in tutte le tradizioni a lui note Il pluralismo delle vie non significa che ciascuno ha la sua via e può fare ciò che vuole, perché il percorso ammette dei momenti necessari alla dimensione morale, conoscitiva, mistica. Egli si ispira a Dionigi l’Areopagita, però rintraccia lo stesso percorso nelle varie usanze. Ancora oggi questo mi sembra un’interessante suggestione. DOMANDA: quando lei dice che bisogna essere capaci di bilinguismo nel rapporto con le altre culture, cosa intende di preciso? RISPOSTA: è un punto problematico. Abbiamo cristiani che parlano la lingua della Bibbia, ma non sono capaci di parlare la lingua filosofica che è un aggregato di varie filosofie: platonismo, neoplatonismo e molti altri apporti dal mondo ebraico, islamico, ed altre tradizioni religiose che si sono rese vicino per i mezzi di comunicazione. Questo bilinguismo non serve per dire due cose diverse, ma la stessa cosa con due linguaggi diversi. Fra l’altro, è questo il pensiero genuino di Averroè che afferma che non vi sono due verità ma due modi per dire la stessa verità. DOMANDA: lei vuole cancellare l’illusione che il dialogo tra i monoteisti sia facile… RISPOSTA: esattamente. Il dialogo tra le religioni abramitiche è molto difficile, perché hanno l’antagonismo in se stessi, nel DNA, sin dalle loro origini. L’ebraismo, per esempio, trova la sua identità nell’uscita dall’Egitto e dall’opposizione alla cultura cosmoteistica, una civiltà politeistica che riveste una certa importanza come ha tuttora il patrimonio di conoscenze indiano. Essa raggiunge il suo estremo nel rapporto con il cristianesimo[3]. Come istituire un dialogo, quando c’è questa dimensione antagonistica in un certo senso intrinseca ed originaria? Il giudaismo è contro l’idolatria del cristianesimo, il cristianesimo è contro l’idolatria e il giudaismo, l’islamismo è contro tutto di ambedue. DOMANDA: ci sarà pure un qualcosa in comune! RISPOSTA: insisterei sull’ethos profetico. La teorie dell’ethos, che è un atteggiamento vitale, è l’etica. Secondo gli studi di un egittologo dei nostri giorni, la specificità della religione mosaica e, quindi, dei monoteisti, nel momento del suo farsi, è nella presenza diretta di Dio che manifesta la sua volontà al suo profeta. Dio è sconosciuto nella sua essenza, conosciuto nella sua volontà, mentre nel cosmopoliteismo egizio, Dio era conosciuto nelle sue manifestazioni naturali e la sua volontà era nota attraverso i faraoni, non avendo mai avuto alcun interesse nel far conoscere la sua volontà. Al contrario, l’ethos profetico scaturisce dalla presenza di Dio sconosciuto nella sua essenza che richiede una precisa pratica etica e, talvolta, anche politica, attraverso le continue emergenze dei suoi profeti. Secondo me, su questo piano di prassi di giustizia- verità, che è possibile promuovere un dialogo. DOMANDA: la prassi del bene, innanzitutto? RISPOSTA: c’è una riconoscibilità transculturale o transreligiosa del bene tra i monoteisti: c’è una certa circolarità ed una transculturalità nell’idea di bene. Mi riferisco ai capitoli diDeuteronomio 4- 7 dell’Antico Testamento; nel Corano alla Sura 5 e nel Vangelo a Matteo25. Da umanista, aggiungerei l’idea del bene che c’è in Platone. Egli parla di quel bene che è al di là dell’essere, al di là delle differenze nell’ontologia e nella metafisica, un bene riconoscibile. Infatti in Matteo 25, Cristo dice:- Lo avete fatto o non fatto a me- Quindi, è un valore transuculturale e transreligioso della categoria del bene. DOMANDA: tra le tante allettanti proposte di bene, quale scegliere, praticare? RISPOSTA: la riconoscibilità del bene è più affidata ad una sapienza elementare, è fatta più di emozioni, che di pensieri. E’ qualcosa che ha a che fare con la compassione, con l’universo femminile. DOMANDA: bene, servizio, dialogo… e la libertà? RISPOSTA: il servizio è una categoria propria delle religioni monoteiste, la libertà è un elemento essenziale assolutamente, perché ciascuno dei monoteisti vanta la sua intimità con Dio. In un certo senso, la libertà di ciascuno ostacola il dialogo. DOMANDA: prof., le sue risposte non lasciano troppo spazio alla speranza: c’è almeno una possibilità di dialogo, domani? RISPOSTA: nella dimensione mistica, spirituale c’è una possibilità di unità. Però non si possono accelerare i tempi, né saltare i passaggi. Bisogna passare attraverso i testi, le lingue, le tradizioni….Però non si può posporla fino alla parusia, cioè fino alla fine del mondo. L’unità deve essere pure qualcosa sperimentabile qui ora, come unità della realtà. Ritengo che la dimensione mistica- contemplativa verso cui c’è molta diffidenza nell’ebraismo, è il luogo dove sperimentare l’unità.
[1] Professore emerito dell’Università di Bologna, esperto umanista, è intervenuto all’Incontro Internazionale alla Fondazione Cini, su: “Quale Dio per il terzo Millennio?”. [2] La frase appartiene a Simone Weil, scrittrice francese d’origine ebraica che sentì una particolare attrazione per la persona del Cristo, avendo un difficilissimo rapporto con il cristianesimo istituzionale. Morì a Londra nel 1943. [3] Pico della Mirandola (1463- 1494) fu un originale filosofo del Rinascimento, dalla prodigiosa memoria e da una capacità straordinaria di rielaborazione della tradizione del neoplatonismo, del misticismo, della Cabala e dell’esoterismo cristiano. La sua orazione De hominis dignitate, è considerato il manifesto del Rinascimento italiano. Cfr.: Enciclopedia dei Personaggi, o.c. [4] Questo contrasto culturale, seppure nella sua banalità, non cessa di apparire anche nella gestione di quella mastodontica macchina del consumismo e del trash che è oggi la televisione italiana. Ultimamente, vi sono stati violenti dibattiti sulla nomina del direttore di Raiuno: vi era un “cristiano” versus un “ebreo”. Cfr.: La Stampa, 28 dicembre 2000, p.19.
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