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Li tre libri dell'arte del vasaio (Cipriano Piccolpasso)
Introduzione
Dell’interpretazione alchemica de “Li Tre Libri dell’Arte del Vasaio” del
Cavalier Cipriano Piccolpassi
“Opus figuli, consistens in sicco et humido, te
doceat”
[1]
(M. Maier, Atalanta Fugiens) Un’opera curiosa quella del misterioso personaggio che si nasconde dietro il nome di cavaliere, o cabaliere dato il suo carattere cabalistico, Cipriano Piccolpassi[2]. Fin dalla prima pagina pone allo studioso attento seducenti analogie con l’opera positiva al forno. Nel sottotitolo la chiave di tutto: ” Nei quai si
tratta non solo la pratica
Ma brevemente
Tutti gli secreti di essa
Cosa che persino al dì d'oggi
E’ stata sempre tenuta ascosta” Ma quali sono i secreti cui allude il nostro autore?
Il suo trattato è pieno di simboli ed allusioni ermetiche, che poco hanno a
vedere con la semplice descrizione della pratica artigianale e rivelano una sua
affiliazione ermetica. D’altronde, nel prologo il Piccolpassi precisa di non
avere gran competenza nell’arte della ceramica ed è probabilmente proprio per
questo motivo, che egli si sentì libero da quel patto di segretezza, che
riconosce esistere ai suoi tempi: In effetti, per quanto le sue formule per la realizzazione degli smalti, le sue descrizioni del ciclo produttivo e le raffigurazioni dell'attività delle botteghe rimangano un punto di riferimento per gli studiosi, uno dei limiti sta proprio nell’incompletezza del trattato. In ogni caso, non dubitiamo della sua rilevanza nella storia dell’arte della maiolica italiana rinascimentale. Le reali intenzioni del Piccolpassi trapelano fin da subito con l’insolito disegno che adorna il frontespizio dei suoi Tre Libri. Nel disegno si vede una colomba che cerca di sollevare una pietra cui è saldamente legata. Simbolo dell’unità della materia, sopra di esso si stende un filatterio in cui vi è iscritta la parola IMPORTUNUM[3], a sottolineare le difficoltà dell’opera fisico-chimica. S’intende facilmente, da questa figura, l’azione dello spirito sulla materia, quella sublimazione alchemica che gioca un ruolo così importante nella seconda opera Magistero Alchemico. Ma – non dimentichiamolo – anche la pietra esercita un’azione sulla colomba trattenendola a terra ed impedendole di fuggire: si vede chiaramente che rimane a terra. Su questo punto oscuro del magistero ermetico siamo d’accordo con Canseliet quando afferma che il prodotto della sublimazione alchemica deve restare legato al suo vaso, altrimenti non avrebbe senso se il risultato di quest’esperienza fuggisse, perdendosi, all’esterno di detto vaso, vanificando così ogni sforzo dell’operatore[4].
Figura 1 . La croce e la colomba. Il disegno inoltre è sormontato da una croce fiorita che
nella tradizione ermetica simboleggia il crogiolo (dal francese antico
croiset, crucible termini legati a croix, crux, vale a
dire croce), strumento di quell’Arte del Fuoco conosciuta come Via Secca
o Via del Crogiolo. Dice l’apostolo San Paolo a riguardo: “Verbum enim
crucis pereuntibus quidem stultitia est: iis autem, qui salvi fiunt, id est
nobis, Dei virtus est”[5]. “La parola della
croce infatti è stoltezza per quelli cha vanno in perdizione, ma per quelli che
si salvano, per noi, è potenza di Dio”. Quella pietra, così generosamente posta all’attenzione del
lettore, altro non è che la pietra grezza o materia prima che il
nostro vasaio manipola e trasforma nel silenzio della sua bottega. Di
quest’ultimo, il Piccolpassi ne dà una semplice raffigurazione (fig. 2). Si vede
un vecchio uomo al lavoro con il proprio tornio[6],
sotto un lume che ne illumina la figura e mette in risalto il suo enigmatico
sorriso. Il movimento del tornio ci riporta a quello slancio rotatorio che
genera il fuoco di ruota, di cui il Filalete, associandolo allo zolfo
filosofale, dice: “E’ evidente, quindi, che questo zolfo spirituale metallico è realmente il primo agente che dirige la ruota, e fa, in cerchio, girare l’asse”[7]
Figura 2 . Maestro Vasaio all'opera. Cosicché, acquistano un senso nuovo, più filosofico,
le parole usate dal Piccolpassi per ritrarre la sua amata, la Dama dei suoi
pensieri, l’emblema della materia prima: “Questo, dico,
è intervenuto a me, perché quanto più ho cercato levarmi dai pensieri amorosi,
con accordare un piombo e uno stagno, nell’animo bene e spesso le membra
proporzionate della mia bella amata andava accordando, né colore sapeva io
trovare per lustro, per fiammeggiante ch’egli si sia, che alle sue belle chiome
di oro assomigliare si possa, né vi è negro che alle belle ciglia di lei non
resti inferiore. Gli occhi suoi divini con quel di allegro e di grato ch’entro
vi si vede mescolato con una certa venerabile maestà non ha di mestier
somigliarsi ad altro che agli scintillanti raggi del sole. Quando io veniva allo
accordo del Duca di Ferrara che somiglia l’argento, appresso alle morbide
braccia e alla delicata mano di lei, parevami questo negro ruvido e rozzo, io
non so trovar insomma arte né di diligente orefice, né di perito zoellieri, che
giunta al sommo di ogni eccellenza e di ogni pregio, nell’animo recarmi possa
quel contento che fa il suo dolcissimo e mansueto riso. Lascio stare il
santissimo pudore, la gravità dello andare”[8]. Al lettore curioso, indichiamo ancora la penultima figura, posta a chiusura e suggello della sua opera allegorica, la quale mostra un albero ricco di foglie e frutti che spunta da una roccia isolata e priva di terra (fig. 3). Sopra l’albero vi è un filatterio in cui è scritto: “Sic in
sterili” “Così nello sterile” Nell’iconografia alchemica la roccia che nutre e sostiene l’albero rigoglioso indica la materia della pietra filosofale - che è vegetativa - il soggetto minerale dei saggi così come si estrae dalla sua miniera. Dalla pietra arida spunta, per l’azione congiunta dell’artista e della natura, una forza vitale che ri-anima l’albero secco. Questa forza si ottiene se si lavora – ecco il messaggio del nostro autore – la terra di Durante, la nostra materia: “Io vi ho posto, qui per scontro, nel fin di questa mia fatiga, la terra di Durante”
Figura 3 E’ tuttora ignota la reale identità del Piccolpassi. Certo
è che in quel periodo l’Italia fu teatro di una rinascita senza precedenti della
Scienza d’Ermete, per opera di diversi personaggi le cui vicende
s’intrecciarono, lasciando segni tangibili della loro presenza ed attività.
Termineremo questo breve commento ai Tre Libri del Piccolpassi
riportando, per chi ancora nutrisse dei dubbi, le parole che egli rivolse a chi
lo criticava: “A quegli che mi tengano presuntuoso il pubblicar questo secreto, a quegli rispondo che gli è meglio che molti sappiano il bene che pochi lo tengano ascosto. Non si accorgano costoro che, facendosi ciò, l’arte pervirà alle mani di tali che, là dove i poveri mastri calcinano il piombo et lo stagnio, avendo consideratione a quello che fanno questi metalli bassi e vili, si metteranno a calcinare l’oro e l’argento per farne esperienza; e là dove bene e spesso ella è stata tra le persone di poca consideratione, andarà per le corti tra spiriti elevati et animi spechulativi. A quei che mi tasseranno della lingua, risponderei che io ho parlato nella materna mia durantina, in quel muodo che ricerca la materia dell’arte”. Giulio Vada - Aprile MMII ______________________________ Note [1] “Che l’opera del Vasaio, composta di secco e umido, t’insegni" [2] In realtà anche il nome dell’autore è simbolico, Cipriano o Cyprian equivale a Cypris (Cipro) nient’altro che Venere moglie di Vulcano. “Piccolpassi” suggerisce argutamente il modo di procedere nell’Opera. [3] Nel suo significato originale si può tradurre con inaccessibile, impraticabile, ma vuol dire anche gravoso, il che rende perfettamente l’impegno necessario al lavoro al forno. [4] E. Canseliet, L’alchimia, vol. II, Edizioni Mediterranee, pag. 140. [5] San Paolo, Prima Lettera ai Corinzi, cap. 1,18. [6] Osserviamo che tornio in francese è Tour, che significa anche Torre, geroglifico del Mercurio dei Filosofi, materia ed artigiano dell’Opera. [7] Cireneo Filalete, Introitus Apertus ad Occlusum Regis Palatium, Cap. X,IV [8] Cavalier Cipriano Piccolpassi, Li tre libri dell’arte del vasaio
Libro primo
LI TRE LIBRI DELL'ARTE DEL VASAIO
NEI QUAI SI TRATTA NON SOLO LA PRATICA
MA BREVEMENTE
TUTTI GLI SECRETI DI ESSA
COSA CHE PERSINO AL DI' D'OGGI
È STATA SEMPRE TENUTA ASCOSTA
DEL CAVALIER CIPRIANO PICCOLPASSI DURANTINO | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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A |
B |
C |
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Rena |
Ib. 30 |
30 |
30 |
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Feccia |
Ib. 12 |
10 |
11 |
Eccovi adunque il mu[o]do et l'ordine che teremo nel parlar dei colori, brevemente racordandosi che, per la linia della rena, il variar del peso è quel numero a Ilei de rimpetto et il simile alla feccia; e questo si può acresciare secondo la quantità che l'huomo ne voi fare, como a dire: se 30 voi 12, '60 voi 24, cossì per gli altri. Fatto questo peso, mistasi bene insiemi sopra un solaio ben netto e, se vi fosse alchuna massa di feccia assodata, amacasi con una pietra. Poscia, fatone diligente amistione, metasi de[n]tro ai bocali, o vogliam mezzi, cotti o crudi che non importa, e questo si cuocia come si ragionerà.
MUODO DI FARE IL BIANCHETTO
Pigliasi quella quantità di stagnio che huom vole, e questo voi essare per il migliore stagnio fIandrese, e fondasi in una cazza di ferro. Molti lo fondano in una pigniatta e dicano che vien più puro. E, cossì fuso, si versi in un cattino di legnio et habbiasi un pestel, pur di legnio, con il qual si rimeni presto presto prima ch'egli si assodi, et il stagnio si convertirà in cénare. Altri sogliano fare questo con una [pezza] di lino e fanno cossì: pigliano una pezza di lino nova, grossa, ben soda, che sia larga più di un buon palmo per ogni verso; di quella, preso tutt'a quatro i capi in mano, fanovi versar dentro il stagnio fuso. Poscia, ristretta la pezza a guisa di volerne trar sugo, con l'altra mano disotto la fregano, o vero, fermatala sopra una banca, la rimenano benissimo che fa il medesmo effetto e meglio. Pigliasi puoi un piatel bestugio, sopra il quale stendasi un foglio di carta, e sopra vi si versi dette cénare andandole slargando cossì con mano, per il piatello dove è la carta, imperò che, quanto più elle fìano strate, verà più bello il bianchetto coprendolo con un altro piatto che sia rotto in dua o tre luoghi acciò il fuoco vi g[i]ochi cocendosi come si dirà.
MUODO DI FARE IL VERDE
Pigliasi pezzi di rame vechio e questo meTasi in un mezzo, o altro vaso, e si cuocia come si dirà, che nel vaso troverassi il rame brusciato. Il miglior rame abrusciato, recita Dioscoride, è quello che è rosso e che, tritandolo, si rasemba al cinapro. Imperò che il nero è più abrusciato di quello che se gli bisognia. E vole che, per abrusciarlo, si tacci strato sopra strato, con solfo et sale; in un vaso ben turato mettasi in la fornace. Questo è un uso che molti lo servano et è perfetto. Questo, cossì abrusciato, macinasi e dipingasi, che verà verde. Chiamasi, ne l'arte, ramina, altri rame adusto. Di questo se ne fa il verde accordato, come a dire: pigliasi
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A |
B |
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Antimonia |
Ib. 1 |
3 |
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Ramina |
Ib. 4 |
6 |
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Piombo |
Ih. 1 |
2
|
Intendasi sempre, nello accordo di
tutti gli colori, che i menierali vanno pesti e ben misti insiemi, quegli
dico, da pestarsi, come verbigratia, in questo pestasi l'antimonia e la
ramina, perché il piombo va brusciato.
Non si usa già brusciarlo como recita Dioscoride nel V [libro], imperò ch'egli vole che il piombo sia sutilmente laminato, poscia di quello ne sia fatto strato sopra strato con solfo, per fin che si empia il vaso; il qual mettasi al fuoco e, como il vaso è infocato, voi egli che si mescoli con una vergetta di ferro tanto che tutto si converta in cenere che non ne resti parte alchuno; cosa molto diferente da l'uso di quest'arte come si vederà al suo luogo. Egli, altr[ov]e, sì parla dell'antimonia dicendo: il stimmi, over stibio, è quello che è splendidissimo e lampegiante, e quello è del buono che non ha in sé né terra né sordidezza alchuna. E’ne, di questo, la mimera in quel di Siena et se ne trova in la Marema in quel di Massa, ma il migliore per quest'uso è quello che vien di Vinegia.
MUODO DI FARE IL ZALLO
Togliasi teraccia o vogliam rugine di ferro, e la migliore è quella che si coglie d'intorno all'ancore delle navi; questa cuociasi in un vaso bestugio che sarà migliore. Molti sogliano infocarla e poscia spengiarla in urina, e cossì dicano ch'ella si purga. Molti sogliano fare, come si è detto del rame, con il solfino che vien bene
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|
A |
B |
C |
|
Feraccia |
Ib. 1/2
|
2 |
1/2
|
|
Piombo |
lb. 1,1/2
|
5 |
2 |
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Antimonia |
Ib. 1
|
3 |
2
|
Molti vi sogliano menare un poco di
feccia, poi stratasi in un piattello sopra un foglio di carta, e cociasi
come si ragionerà. Io non mi credo che fia di bisognio andarvi replicando
quello che già vi ho detto una volta, sì delle dose come del preparargli e
del pestargli, con la diligenza e chura che se gli deve havere; per questo
andarò abreviando il dire.
MUODO DI FARE IL ZALULINO
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A |
B |
|
Antimonia |
lb.
1 |
2 |
|
Piombo |
lb. 1, ½ |
3 |
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Feccia once una |
On.
1 |
1 |
|
Sal comune once una |
On.
1 |
1/2
|
Eccovi tutti gli colori composti che si fano in quest'arte: gli naturali che si adoperano, e la zaffara, da noi detto azurro, et il manganese. La zaffara vien di Vinegia e la bona è quella che ha del tannè violato. Questa si cocie cossì, simplicemente; et operasi, perciò, cruda e cotta. Il manganese se ne trova abondantemente per questo felicissimo Stato et in diversi luoghi per la Toscana. Questo è notissimo per tutto Italia, et operasi per tutto ove si lavora di vetro. Tutti gli colori sopra detti si devano guardar dalle polvare e dall'altre broture. Ora, per ragionare di diversi colori, convienmi formare un fornello di reverbaro. Fatto questo veremo puoi allo accordo del piombo e del stagnio. Puoi trataremo di diversi colori che si usano in diversi parti d'Italia, come a dire quegli di Vinegia e di Genova, che sono un accordo medesmo. Puoi tratarasi del bianco del duca illustrissimo di Ferara malamente detto bianco faentino. Trataremo dei colori della Marca, della Cità di Castello e della maiolica e sua fornace. Ora eccovi il muodo da fare il fornello.
COME SI FA IL FORNELLO DI RIVERBERO
Gli è da sapere che il fornello di reverbero si fa la sua pianta di madoni larga 3 piedi e lunga 5; e levasi dal teren, soda, di alteza di doi piedi. Poscia, quivi si comi[nci]a il vaso, là dove si tiene il fuoco, il quale si fa largo un piede. Puoi alzasi, da tre lati, un altro piede. Quando si è giunto a questa, allora si dia prencipio di formar il vaso dove si tiene il stagnio. Questo usam noi di fare di pietra la qual chiamasi tufo, che è una sorte di pietra che si taglia facilmente. Questa, dico, operano i fabri, pesta, per saldare i ferri. Di questa facciasi un concavo quadro che habbi fondo di quatro dita. Il concavo sia largo meglio di doi palmi, a ben che questo si rimette in colui che voi fare l'arte, perché, volendo far delle facende assai, facciasi il fornello magiore. Ma per non ragionare indarno vi ho voluto ponare qui il muodo della pietra, acciò capiate meglio il mio dire.


Mi riman di mostrarvi il fornello ellevato con il suo arco sopra, là dove gira la fiama del fu[o]co che, di riverbero, si trasporta là dove sta il stagnio; avertendo che la bocca del fornello, là onde si mette il fuoco, va alquanto più bassa di quella del stagnio, come qui si vede, che è quella nella quale termina la linia A; e la più alta dal stagnio vi termna la linia B.

Gli è da sapere che questo fornello non
si mura con calcina, né con gesso, ma di una sorte di tereno al qual diciam noi
sciabione; questo si adopera per far le forme delle campane. Molti sonno che il
vaso dal stagnio murano co cénare, e molti con tanta cénare e tanta di detta
terra, e sogliano amistrarvi dentro sterco di asino e borra; tutto che si facci
doi o tre suoli di mattoni uno per il contrario de l'altro; e gli ultimi, dove
si deve fondare il stagnio, siano ben lissi nelle giunture e ben piani di sopra
via.
Vi ho posto qui di nuovo la fornacetta, o vogliam dir fornello, a ffine che meglio con l'ochio si veda quello che non si può esprimare cossì con la penna.

Già si sa che la bocca più bassa è quella dove va il fuoco e quella più alta v'àvi il stagnio. Tra le quai non vi va muro più alto che si sia il parapetto o della pietra o de' matoni. Fatto tutto questo habiasi un ferro fatto in questa guisa:
![]()
Questo chiamasi, ne l'arte, il trainello
da stagnio imperò che, con questo, si spinge inanzi il stagnio fiorito come si
dirà. Questo basti in quanto al fornello. Veniamo alle calcinationi. Accendasi
il fuoco di legnie seche et scaldisi talmente che, postovi dentro il stagno, si
fonda subbito. Fusso, lassisi cossì tanto che vi si vegghi far sopra una pelle e
quella, poscia, alquanto elevarsi e fiorire. E quando il stagnio fuso fia tutto
pien de quei fiori, allora allora, con quella pala churva di ferro, si spenghi
apresso il muro dalla banda di dietro.
Ma prima che io vadi più oltre, vi voglio accordare il piombo e ‘l stagnio, perché il stagnio non va mai solo nel fornello. Facciasi adunque cossì: pigliasi
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A |
B |
C |
|
Stagnio |
Ib. 1 |
1 |
1 |
|
Stagnio |
Ib. 4 |
6 |
7 |
II primo accordo, che è uno e quatro,
questo si fa di piatti o voglia[m] fiasche vechie; e potrebesi fare 1 e 5 quando
i peltri fosserno buoni, dico che tenesamo di stagnio assai. Questo si
cognioscie al suon chiaro et al stridore nel piegarsi. Il secondo B è di
stagnio di massa che, s'egli fia del buono, si può accordare 1 e 7. Fatto un de
questi accompagniamenti, mettasi nel fornello tenendo il muodo che si è detto
per calcinarlo, mantenendogli sempre il fuoco uguale perche, se lo acresciesti,
tornaria tutto in fusione.
Cossì se ne può calcinare quanto l'huom vole, acrescendo sempre i pesi, perché non se ne calcina mai 25 né 30 libre, ma 100 e 200; dicendo cossì: se 4 vol una, 20 vorà 5, e cossì se 6 vol una, 60 vorà 10, e cossì acrescasi. Io parlo per esempio imperciò che, tenendo questa strada, non si ererà. Lassasi tanto al fuoco questo mescolamento di piómbo e di stagnio che, fiorendo e spengendo col ferro sempre il fiorito sul muro, egli si converta tutto in cénare. Et allora che la cénera fìa bianca, overo alquanto zalletta, cavasi in un caldaio di rame ben netto et asciutto. Molti, per far fiorire più tosto il stagnio, sogliano gettare nel fornello alchuni pezzi di solfino, che non mi spiace. Questo ne l'arte chiamasi stagnio accordato, ancor ch'egli fìa più piombo che stagnio. Nel medesmo muodo si abrugia il piombo, né vi è altra diferenza che il piombo. Fuso ch'egli è, sempre si maneggia con il trainello, fin'a tanto che, rottogli la fusion cursiva, egli si converte tutto in cenere. Fatto cossì, e ch'el suo colore habbia del rossigiante, si cavi e questo adimandasi piombo abrugiato. Ora ragìonaremo di accordare il stagnio per il bianco alatato. Passi cossì:
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|
A |
B |
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Stagnio di massa o vogliam dire
fiandresco |
Lb. 35 |
40 |
|
Piombo |
Lb. 100 |
100 |
Usasi il medesmo muodo in calcinar questo che si è detto di sopra, con il suo fuoco temperato, avertendo sempre havere i stagni et i piombi boni, perchè in questo importano assai che ne gli altri non fa cossì. Tenendosi tal strada harassi il stagnio delicato.

ER sino ad ora
habiamo parlato de gli colori che si usano nella Terra di Durante, ora
ragioneremo di quelli della città di Urbino, benché tra questi è poca
diferenza, imperò che buona parte de gli mastri che lavorano in Urbino sono
della Terra di Durante. Trataremo de quegli della Città di Castello, della
Marca et di molti altri luoglii per non inanellare di quanto si è promesso.
Io non ragionerò dello accordo al fornello perché gli è tutto uno, né meno
vi starò a pporre molti accordi per non intrigare altrui il pensiero di
quello che non bisognia. Chi vorà investigare intorno allo effetto degli
mettalli, sciema o creschi nei pesi che vederà, se'l stagnio fa bianco, se'l
piombo fa lustro, e ciò che fa l'antimonìa e la feraccia; che cossì già
fece Alfonso illustrissimo di Ferara quando egli ritrovò il bianco allatato,
malamente oggi detto bianco faentino. Questo basta.
[COLORI] A L'URBINATA
|
Marzacotto |
A |
B |
C
|
|
Rena |
lb. 20 |
30
|
20
|
|
Feccia |
lb. 10 |
12
|
20
|
|
Zallo |
A |
B |
|
Piombo |
lb. 7 |
2 |
|
Antimonia |
lb. 5 |
1, on. 8 |
|
Ferraccia |
lb. 3 |
1 |
|
Zalulino |
A |
B |
|
Piombo |
lb. 6 |
3 |
|
Antimonia |
lb. 4 |
2 |
|
Feccia |
lb. 1 |
1 |
|
Sale |
lb. 0 |
½ |
|
Verde accordato |
A |
B |
|
Piombo |
lb. 3 |
3 |
|
Antimonia |
lb. 2 |
2 |
|
Ramina |
lb. 6 |
3
|
COLORI DELLA MARCA
Questi variano assai dal nostro uso; imperò ci convien fare nuovo accordo al fornello:
|
|
A |
B |
|
Stagnio |
lb. 1 |
50 |
|
Piombo |
lb. 6 |
100 |
|
Zallo |
|
|
|
Piombo |
lb. 6 |
|
|
Antimonia |
lb. 5 |
|
|
Ferraccia |
lb. 3,1/2 |
|
|
Zalulino |
|
|
|
Piombo |
lb. 6 |
|
|
Antimonia |
lb. 4 |
|
|
Feccia |
lb. 1/2 |
|
|
Marzacotto |
A |
B |
|
Rena |
lb. 4 |
12 |
|
Feccia |
lb. 1 |
10 |
|
Sale |
lb. 0 |
3 |
COLORI CASTELLANI
|
Marzacotto |
A |
B |
|
Rena |
lb. 30 |
30
|
|
Feccia |
lb. 10 |
9
|
|
Zallo |
|
A |
B |
|
Piombo |
lb. 5 |
3
|
|
|
Antimonia |
lb. 8 |
2
|
|
|
Ferraccia |
lb. 3 |
1
|
|
|
Zalulino |
|
A |
B |
|
Piombo |
lb.1, 1/2 |
3, 1/2 |
|
|
Antimonia |
lb.1
|
2
|
|
|
Feccia |
on.1
|
1
|
|
|
Sale |
on.1
|
0
|
|
COLORI ALLA VENETIANA
Ci conviene di nuovo accordare al
fornello: pigliarasse
Stagnio Ib.
30
Piombo Ib. 100
Molti mettano 33, altri 35. A questo non
vi si dà altra reghula che quella dell'esperienza, perché, come vi ho detto, sta
in colui che maneggia l'arte, e spesso la necisità sforza. Perché alle volte,
havendo un mastro messo nel fornello 100 libre di piombo, credendo haver stagnio
alla bastanza, pesato il stagnio, si trova solo 28 libre di stagnio, e per non
stare a cavare il piombo del fornello, accorda 28 e 100, e mancandogli 2 libre
in questo accordo, crescieranne dua onde al mulino, di stagnio, sul marzacotto;
come a dire: marzacotto lb. 12, stagnio lb. 10 e on. 2; ecovi le doi once che vi
si agiongano di più.
|
Marzacotto |
|
|
Rena |
Ib. 12 |
|
Feccia |
lb. 10 |
|
Sale |
Ib. 3
|
COLOR SENZA COPERTA
Marzacotto
Feccia Ib. 20
Rena Ib.
40
Azurro
on. 8
Ramina on. 4
Gli è anco da sapere che in questa città
operano spesse volte la cénera di levante, la quale è perfetissima, anzi, dico,
troppo gagliarda, perché dove noi mettemo 30 di rena e 12 di feccia, essi
mettano 30 di rena e 9 e 8, e per infino a 7 di cénera. Cossì fanno anco agli
accordi dei coloretti, come a dire nel zalulino va 3 di feccia, e loro mettano
1, 1/2 e 1 di cenere. Molti usano, per fare il zalulino che sia in tutta
bellezza, metarvi alquanto di tutia allesandrina, che è molto ottima. Per la
Marca usano mettare nel zallo alquanto di bolo arminio, e fa assai bon
servitio.

In quest'altra faccia si mostrerà la fornace ellevata fin alle volte, puoi il suo piancito con diversi usi. Eccovi adunque la pianta con le prese dei suoi archetti.
Ecovi la fornace elevata persino a gli archi, là dove si fa il pianato per il quale si tiene diverse muodi.
Molti gli mattoni, che vano da l'un arco e l'altro, cavano da tutt'e dua le bande, come il presente là dove passa la linia A:

Quai ragiunti insiemi, lassano di aperto un foro perfetto, come qui, e questo si fa per gli saglimenti del fuoco.

Altri sogliano far questi salimenti con lassare gli mattoni alquanto uno discosto da l'altro, e questo è più in usso, come in questa fornace qui pianata si può vedere:

Ora mi resta mostrarvi la fornace intiera, poscia brevemente trattar dello infornare e de cuociare, e di compire gli coloretti.
Ora eccovi la fornace intiera con le sue vedette, che sono quelle quatro fenestrine che si vegano sul muro a man destra andare in là, con i suoi scioratoi, che sono quelle 9 aperture che si vegano sopra la volta.

Qui non riman di fare altro che ragionare dello infornare.
UOI che habiam fatta
la fornace convi[e]nci ragionare del muodo dell'infornare, e questo passaremo
brevemente. Farassi adunque, apresso il muro di dietro alla linia B, un filo o
doi di mezzi crudi che siano ben sechi. Questo si alzi per infino alla posta
della volta; più qua puoi, che sarà suopra l'arco, vi si facci un fil di case
piene di lavori sutili, avertendo che, tra gli mezzi e le case, vi rimangano gli
andamendi del fuoco; non si vadi tant'oltre con le case ch'ei si turino. Alzato
il filo delle case, al pari de l'altro, Ieghesi con alchuni pezzi di coppi, o
vogliam pianelle, pigliando la posta della volta da tutt'e dua i lati; i coppi o
pianelle siano cotte. Fatto questo, tolgasi piatei duzinali grandi et
acconciansi a quatro et a sei per volta, voltando i piedi a un de' lati della
fornace e, cossì per ritto, se gliene ag[i]unghi tanto che si riempi per insino
a l'altro lato. Più qua puoi, sopra le case, vi si può mettare un altro fil di
case da saliere, o vogliam tazzine. Gli vachui che rimangano se riempano con
schudelle et altri lavori. In questo l'arte a di bisognio dello ingegni e del
giuditio. Tenendosi questo muodo empasi tutta la fornace. Gli è anco da sapere
che li coloretti, ben pesti et asset[t]i come già si è detto, si mettano dentro
alla fornace nei suoi piatti, su, viccino alla volta, per il primo tratto. Fatto
questo, chiudasi l'uscio o vogliam dire bocca della fornace con pezzi di
mattoni, lassando una bochetta un palmo lontan da la volta. Puoi habbiasi
sciabione ben mollo e ben rimenato. Poscia, con mano, cuoprasi tutta la bocca
murata, chiudendo tutti gli apperti, lassando solo quella bochetta che vi
ho detto. Parimente chiudonsi le quatto vedette che son sul muro a man destra,
delle quale si ragionerà al cuociar di fenito. Queste, dico, rachiudonsi con
mattoni dandogli sopra detta malta, sì che non spirino. Cuoprasi puoi gli 9
scioratoi che si veggano su la volta; questo fassi con piatelli o vero pezzi di
coppi, a ffine che il fuoco habbia alquanto di esito.
Or non ci riman solo mettare sotto il marzacotto. Piglionsi quei vasi che si empierno di rena et di feccia, come in questo nel suo ragionamento. Questi, dico, si mettano sotto la fornace, appogiati al muro di dietro, e acconciansi un sopra l'altro. Fatto tutto questo, con il nome di Iddio, pigliasi un pugnio di paglia, con il segnio della croce accendasi il fuoco, il qual con legnie ben seche vengasi inalzando pian piano per insino alle 4 ore, e dipuoi creschasi; però con avertimento, perché, se bene non vi sono lavori ferriti, cresciendo troppo il fuoco, gli lavori si piegano e vengan frogni, e cossì non pigliano puoi il bianco. E tengasi il fuoco cossì che la fornace si vegga bianca, cioè tutta infocata; e quando ella harà hauto viccino a dodici ore di fuoco dorebbe, secondo la ragione, essar cotta.
Gli è anco da sapere che, là viccino
alle sei ore, le bragie di tutte le legnie che vi si sonno arse si troveranno su
la bocca della fornace.
Allora togliasi quel instrumento detto il cacciabragia, che è un asse largo un palmo e longo dui, forato in mezzo, posto in cima di una pertica. Con questo, dico, imbratato con malta, spengosi ananzi le bragie fin sul muro di dietro, slargandole bene per tutti i lati. Fatto cossì ragiungasi le legnie al fuoco, alzandolo como prima. Non si facci, perciò, sì gran cattassa di legnie che si turi tutta la bocca della fornace, ma tengasi quest'uso, che sempre rimangili un palmo di bocca vota. Cotta ch'ella sarà, tolgasegli il fuoco e, di là a un'ora, s'ella ti pare fredda assai, cavagli tutte le bragie di sotto; e questo fassi con un trainello di ferro della grandezza del cacciabragie, con il suo manico, o vogliam dir chiola, di ferro, lunga un braccio, cavigliato al sommo di una pertica, la quale se imbratti con malta per conservarla dal fuoco.
Cavatone le bragie, quelle ramortonsi butandovi sopra un pochetto di aqua a guisa di coloro che adaquano gli orti; puoi manegionsi con una pala di ferro, acciò quel umido penetri per tutto. Questa chiamasi carbonella, la quale si adopera l'inverno accendendovi il fuoco; si tiene sotto il banchetto da dipingiare. Alchuno non mi imputi se io non ho fatta la coperta, perché si può operare della cruda per questa volta. Or ecovi di qua la vedetta, il cacciabragie, la furcina e il trainello.

La fornace di qua vi porò con il fuoco, con la sua murata dinanzi, acciò più facilmente se intenda il mio parlare. Fatto questo vi pianterò di più sorti mulini, accordaremo alla pila, ragionarasssi de pistar il marzacotto, feniremo gli colore e diremo brevemente alchune cose della maiolica di oro, del muodo del cogliare li colori macinati, alchuni remedii alli bianchi che si riscaldano.

Ora che vi ho mostro la fornace et il dar fuoco, mi resta ragionare de gli mulini, e prima dirò quello che si usa nel Stato dello ill.mo et Ecc.mo di Urbino, mio padrone, puoi ragionerassi del muodo di molte città. Gli è adunque da sapere che li mulini da li colori, dico per questo Stato, si fanno tutti a un muodo e quasi tutti di una pettina; vero è che la migliore di quante se ne possi operare è la focaia, e la corgniola, che qui non si ha, la più dura. Questa racogliesi per certe fiumane; poscia, di più pezzi, se ne forma un tondo in muodo ch'egli sia piano dalla parte di sopra e facciasi confrontar bene nelle comisure; il ch'è fatto con calcina, rena e gesso mescholato insiemi; fatta una fossa sotto terra un doi piedi, nella se incastri una tinella di legnio, o voglia[m] mezza botte, di quel giro che si vorà fare il molino; poi vi si murino le pietre con il detto calcistruzzo.

Quel giro magiore è il letto del mulino, vo' dir le pietre comesse che cossì devesi murare nella tinella. Questo piccholo è il suo macinello; per il che, s'egli fosse di pezzi, circondasi di un cerchio di ferro come qui si vede:

Poscia, allato alla tinella, mettasi doi legni squadrati, un rempetto a l’altro, tutti dua di una misura; e questi caccionsi un 4 piedi sotto il tereno, e siano di legniame duro, che non si fracidi; puoi, tra l’un legnio e l’altro, incastrasi un asse che pigli l’orlo della botte in nuodo ch’ei si possi levare e porre. Parimente, alla somità dè detti legni, che sarano un 2 piedi più alti della botte, fermavisi un altro
asse incastrato come il primo, et siano forati nel mezo di rimpetto, come qui si vede:

Nei quai fori mettasi un pal di ferro grosso quant'un'asta di picca, piegato a questa, guisa:

Quel dritto del pal signiato A, vadi ne l'asse di sopra al suo A; l'altro dritto, corispondente a quello sigillato B, entri ne l'asse di sotto al suo segnio; l'altro dritto che avanza di sotto, signiato C, entri tre dita nel macinello, il qual sia forato ma non che passi, et il suo foro sia in muodo che il palo vi entri latin latino, come di qua si vede.
Ora eccovi tutto il mulino con gli suoi instrumenti:

Come si harà ragionato di alchune sorte di mulini, veremo al compimento de li colori. Gli è da sapere che molti di questi si fanno dove è comodità di aque corive; molti, dico, se ne fanno che si avolgano con un cavallo o somaio, altri si fanno che il macinante sta im piedi, come si vederà. Gli è anco d'avertire che quella tinella non sta cossì scoperta quando vi son dentro i colori, ma chiudesi con alchuni pezzi di asse, acciò le polvare non vi caschino dentro.

Di questa sorte da l'asino, non è gran tempo che ne era uno in la patria mia, il quale si è puoi abandonato per la morte del padrone. Molti dicano ch'egli era un util mu[o]do e che li colori si macinavano ottimamente, che non è di poca importanza ne l'arte.

Ecovi il mulin da l'aqua. Questo è molto
mirabile in questo esercitio, perche egli stilla i colori e, quanto sonno meglio
macinati, tanto son di più utile, di più sparagnio e vengano di più perfetione
al fuoco.
Un quasi di questo andare ho veduto io in Fuligni, città di Roma, ma di più bello ingegnio, cosa degnia di consideratione, imperò che un solo rocchetto macina doi mulini che, chi la va ben considerando, il medesmo faria di 3 e di 4. E tutto questo fa quel asse di sopra, dove entra il pal del rochetto B e gli pali de gli mulini C e D; imperò che voltando, il rochetto tira l'asse a sé con quel torto che è nella sua gamba. Tirando, tira ambedua i pali e, rispengendosi puoi, fa dar la volta al macinello di tutt'a dua li mulini, come qui si vede:

Ora mi resta mostrarvi l'uso de gli mulini di Vinegia, che non è molto diferente dal nostro. Egli vi hano di più una rota di asse grave, fitta nel palo del macinello, e il macinante sta im piedi; altro non vi è. Questo anco intendo farvi vedere:

Nisciuno non mi biasmi se io ho messo al mulino un huom vestito di una veste con maniche a comie, perché gli è da sapere che, sì come questa città è libera signiora e regina di se medesma, parimente liberi di ogni sorte di vestire possano andare tutti coloro che vi stano; per il che si agrandiscie la magnificenza della città e per ciò è lecito andar vestito con manice a comie, a bergamaschi, a sensali, a fachini et ad ogni sorte di generatione; e che questo sia vero si vede in fatti, ch'è magiore, per quanto mi è stato detto da un messer Francesco Bondumieri, il numero de gli forestieri che vano vestiti cossì che non è de li gentil huomeni citadini et artigiani di Vinegia; ma questo a noi non importa.
Veniamo, puoi che habbiam ragionato de'
mulini, allo accordo de' colori. Cavasi il marzacotto di sotto alla fornace, che
si troverà nei suoi vasi fatto duro come una pietra; levasegli gli vasi di
attorno con una martella di ferro, netandolo ben dai cocci.
Fatto questo, pestasi dentro la zocca, o vogliam mortaio grande di pietra, che sia cavato più di un palmo e mezzo, con un palo di ferro, o vogia[m] dir mazzo ferato, come qui si può vedere:

Pesto, cavasi della zocca o vogliam mortaio, con una schudella e mettasi nel crivello e stacciasi, rimetendo nel mortaio quelle parti più grosse, che avanzano nel crivello, a ripestare. Cossì si facci di tutti gli marzacotti. Questo sia il suo ordine per sempre. Ora, pesto e stacciato, se ne pesi 30 libre, puoi si metta in una mastella e con acqua si lavi e lassasi cossì alquanto riposare. Poscia gettasi quel aqua e metavesegli 12 (libre] di stagnio comune del primo accordo A, e cossì insiemi si mettano al mulino a macinare. Qui si trattarà di tutti gli bianchi accompagniandoli con le sue coperte.
BIANCO COMUNE
|
|
|
A |
B |
C |
|
Marzacotto |
lb.
|
30
|
32
|
31
|
|
Stagnio |
Ib.
|
12
|
12
|
11
|
|
La sua coperta |
|
A |
B |
C |
|
Piombo |
lb.17 |
16
|
8,1/2 |
|
|
Rena |
lb.20 |
20
|
10
|
|
|
Feccia |
lb.12 |
13
|
6 |
|
|
Sale |
lb.8 |
9 |
4
|
|
Questa cuociasi come si dirà puoi et pestasi e macinasi come si è detto del bianco.
BIANCO URBINATO
|
|
A
|
B |
C |
|
Marzacotto |
lb. 12 |
30 |
12
|
|
Rena |
lb. 12 |
5 |
12
|
|
Stagnio |
lb. 10 |
12 |
20
|
|
La sua coperta |
|
|
|
|
Rena |
lb. 30 |
30
|
20
|
|
Piombo |
lb. 20 |
20
|
12
|
|
Feccia |
lb. 13 |
12
|
16
|
|
Sale |
lb. 6 |
12
|
8
|
|
Altramente cruda. |
|
||
|
Marzacotto |
Ib. 12
|
|
|
|
Piombo |
Ib. 10
|
|
|
Questa si macina cossì.
BIANCO DALLE SCHUDELLE
|
Marzacotto |
Ib. 20 |
30
|
|
|
Stagnio |
Ib. 16 |
17 |
|
|
Piombo |
Ib. 0 |
1 |
|
Questo è un colore che si da a quelle schudelle da contadini, le quai non si dipingano né si copertano.
BIANCO DENTRO
Marzacotto
Ib. 15
Stagnio
Ib. 4
Piombo
Ib. 2
Questo si da dentro a gli boccali, a
gli albarelli, et a tutto il lavor chupo. Io credo havervi condotto
tant'oltre ne l'arte, che tutte le volte che si ragionerà di marzacotto voi
intenderete ciò che è marzacotto: che è quello accordo fatto con la rena e
con la feccia. Et anco quando si dirà del stagnio, intendasi stagnio
accordato con piombo al fornello.
Ora mi bisogna trattare di un'altra
pratica e convienni compire il bianco del duca di Ferara, dipuoi si
ragionerà di tutti gli altri colori. È da sapere che, per fare il detto
bianco, la rena da San Giovanni è la migliore, come si è detto al suo
ragionamento60 e quando non si può haver di quella, togliasi quella del lago
di Peroscia, lavandola bene.
Marzacotto ferarese
A B C
Stagnio
Ib. 6
1 7
Rena
Ib. 5
5 5
Sale
Ib. 3
9 9
Feccia Ib. 5 4 6
Fatta questa dosa, si mescholi bene
insiemi; dipuoi habbiasi gli vasi da mettarlo, ma habiano hauto prima la
terra bianca dentro, come si fa quando se invetriano, acciò ch'egli spiccia
dal bestugio. Puoi mettasi a cuociare come si fa l'altro marzacotto. Cotto
che gli è, conciasi dal bestugio et pestasi. Pesto, pesasi et ragiongasegli
tanto stagnio del suo accordo e tanta rena, como sarebbe a dire: il
marzacotto pesto pesa Ib. 24, agiognie Ib. 24 di stagnio e Ib. 24 di rena,
e per ogni 10 libre di questa quantità, giognie una di sale, che tutto
questo pesso sarà 72, che vole Ib. 7 di sale. Questo rimista insiemi e
recoce di nuovo e, volendolo macinar cossì senza ricuociarlo, levagli il
sale. Questo bianco si fa im più muodi, come qui vederassi:
Marzacotto ferarese.
Rena Ib. 20
Stagnio
Ib. 10
Sale
Ib. 6
Al mulino.
Marzacotto
Ib. 10
Stagnio
Ib. 16
Rena
Ib. 10
Questo a me piacerIa solitamente
ricotto, come si è detto de l'atro, ragiungendovi alquanto di sale. Eccovene
di un'altra sorte:
Accordo al fornello.
S[t]agnio
lb. 30
Piombo
lb. 100
Marzacotto.
Stagnio
lb. 10
Rena
lb. 12
Sale
lb. 6
Al mulino.
Marzacotto
lb. 2,1/2
Stagnio
lb. 2,1/2
Rena
lb. 2,1/2
Interviene a questo bianco come a gli altri colori, perché chi giognie e chi sciema; cossì questa varietà fa tutto di che l'arte si reca a magior perfetione. Ma bene e spesso il farlo venir bianco nascie dal buon governo de chi l'à alle mani, e sopra tutto io lodo il cociare doi volte il suo accordo.
COLORI DELLA MARCA
[Marzacotto].
Rena
lb. 4 12
Feccia
lb. 1 10
Sale
lb. 0 3
Al mulino.
Marzacotto
lb. 2 10
Stagnio
lb. 1 10
Rena
lb. 0 12
Intendasi che prima si cuoca il
marzacotto, come si è fatto de gli altri. Io parlo cossì con pensiero che mi
debbiate intendare tutti gli marzacotti. Come si dice marzacotto al mulino,
se intende cotto, pessto, crivellato e lavato. Questo basti per sempre.
La sua coperta.
Rena
lb. 12 12
Agetta
lb. 10 7
Feccia
lb. 3 5
Sale
lb. 2 3
Altramente cruda.
Marzacotto
Ib. 12
Agetta
Ib. 10
Il suo zallo.
Piombo
on. 6 7
Antimonia
on. 4,1/2 5
Ferraccia
on. 3 3
Questo coci doi o tre volte, puoi
agiogni un'oncia di piombo e mezza di antimonia. Pesta ogni cosa insiemi e
recoci un'altra volta o doi.
Il suo zalulino.
Piombo
Ib. 4 1,1/2
Antimonia
Ib. 2 1
Feccia
Ib. 1/2 1/1
Bertino.
Bianco al mulino Ib. 24
Zaffara Ib. 0
on. 3
II bianco al mulino se intende il
stagnio et il marzacotto acordato.
Azurino senza stagnio.
Feccia
Ib. 5
Rena
Ib. 5
Piombo
Ib. 2
Zaffara
Ib. 0 on. 1
Sale
lb. 0 on. 1
Di tutto se ne faccia marzacotto e cuociasi, puoi si pesti e macinasi, perche qui non va giunta di stagnio.
Puoi che io vi ho datto gli colori
della Marca, intendo darvi quelli della Città di Castello, avertendovi che
in questi, sì come negli altri, la esperienza et il longo uso ve insegnierà
a ridurli a perfetion maggiore. Basta che questi son tutti sciguri e buoni;
chi voi di meglio vadi filosofando nel cresciare e nel sciemar dei pesi, che
mi dò a credare che Chorebo Atheniese, che ne fo inventore, facesse il
medesmo; avertendovi che, quasi di tutti gli colori che io v'insegnio, vi fo
di dua e di tre dose, come si vede nella sua divisione fatta per la linia
che discende tra l'uno e l'altro pesso. Non vi amirate se ad alchuni va la
rena, ad alenimi il sale, che, per dirla, son usi diversi, tutti nati dagli
pensamenti de gli huomeni; simil voglie nascierano a coloro che manegiarano
l'arte.
COLORI CASTELLANI
Marzacotto
Ib. 9
Piombo
Ib. 3
La sua coperta.
Marzacotto
Ib. 8 8
Piombo
Ib. 4 5,1/2
Questa è un'altra pratica, imperò
che a questo non vi si adopera stagnio, et è di bisognio, per far questi
colori, havere una sorte di terra che vien da Vicenza; né gli so trovar
altro nome che terra bianca o ver terra visentina. Questa si macina come si
fa il bianco. Macinata, s'invetriano gli lavori da crudo, puoi si cuocano
una volta, ma che non siano troppo cotti; habbino più tosto un poco del
crudo; puoi se invetriano con il detto bianco, ma diasi suttile.
Il suo azurino.
Bianco
Ib. 6
Zafferà
Ib. 1
La sua coperta.
Piombo
Ib. 2
Rena
lb. 1
COLOR FULIGNATO
Marzacotto.
Rena
lb. 50
Feccia lb. 15
Al mulino.
Marzacotto
Ib. 12
Piombo
Ib. 5
La sua coperta.
Marzacotto
Ib. 12
Piombo
Ib. 7
Questo si da su la terra bianca come
il castellano.
BIANCO DA RAVENNA
Rena
Ib. 10
Feccia
Ib. 10
Sale
Ib. 2
Al mulino.
Marzacotto
Ib. 10
Stagnio
Ib. 10
Rena
Ib. 20
La sua coperta.
Feccia
Ib. 10
Piombo
Ib. 10
Rena
Ib. 20
BIANCO DA SCHUDELLE TONDE
Marzacotto
Ib. 13
Stagnio
lb. 15
Rena
lb. 17
BIANCO DENTRO
Stagnio
lb. 12
Marzacotto
lb. 12
Rena
lb. 16
BIANCO DA PIATELLI
Marzacotto
lb. 15
Stagnio
lb. 10
Rena
lb. 15
Piombo
lb. 5
Gli è da sapere como molti colori si machiano, come verbigratia il bianco comune. Molti sonno che sopra 10 libre di bianco, accordato al mulino, mettano mezza oncia di zaffara. Ve ne porò qui più ordini brevemente.
BIANCO TENTO
Bianco
Ib. 10 20
Zaffara Ib. 0
on.1/2 on. 3
II medesmo.
Bianco
Ib. 15
15
Zaffara
on. 3
5
Più chiaro.
Bianco
Ib. 25
50
Zaffara
on. 2 2
Questo basta in quanto ai colori
tenti, avertendo che sopra questo si dipinge e copertasi come l'altro
bianco. Di qua vi poro diversi azurini.
AZURRINO
Bianco
Ib. 15 15
20
Zaffara
Ib. 2,1/2
2 3
Azurrino senza stagnio.
Feccia
Ib.
5
4
Rena
Ib.
5
5
Piombo
Ib.
2
3
Zaffara
Ib.
1
1
Sale
Ib.
1
1
Azurrino con stagnio.
Stagnio
Ib. 12
Marzacotto
Ib. 10
Rena
Ib. 8
Azurro
lb. 3
Avertiscasi che dapertutto, ove va
la feccia, i colori van cotti. Ora io intendo darvi alchuni neri, e dapuoi
gli sbianchegiati che si usano per la Lombardia.
NERO
Rame arso
1
0
Manganese
1
1 1, on.
3
Rena
6 12 12
Piombo
10 12
14
Zaffara nera
0
1 2,1/2
Molti gli cuocano, cosa che molto mi
piace. Ora, volendogli machiare, levasegli il rame, può' machionsi versandogli
sopra del bianco ferarese amisto con un poco di coperta, che verà ondegiante e
bello. Eccovi gli sbianchegiati; avertendo che si adopera la terra da Vicenza,
como si è detto dei colori castellani.
SBIANCHEGIATO
Rena
Ib. 5
Piombo
Ib. 10
Dipingasi su la terra bianca, cioè quando haranno hauto la terra da Vicenza, vo' dire con un stil di ferro di questa sorte:

e questa pittura chiamasi sgraffio.
COLORI DI VINEGIA
Fanosi in Vinegia quelle diferenze che
si sogliano fare nei nostri paesi. Vero è che loro machiano gli cholori, e noi
gli lassamo cossì bianchi; solemo machiarli ancora noi, ma non tutti, et usamgli
senza coperta. Gli loro coloretti, com'a dire il zallo et il zalulino, tutti
sono quasi d'una sorte. Vero è che, in cambio di feccia, operano la cenere di
Levante. Ora eccovi lo accordo al fornello.
Al fornello.
Stagnio
Ib. 35
Piombo
Ib. 100
Marzacotto.
Rena
Ib. 12
Feccia
Ib. 20
Sale
lb. 3
Al mulino.
Rena
lb. 12
Marzacotto
lb. 10
Stagnio lb. 10
La sua coperta.
Rena
Ib. 12
Piombo
Ib. 8
Feccia, o vói cenere
Ib. 7
Sale
Ib. 3
Bertino.
Marzacotto lb. 25
Stagnio lb. 5
Zaffara on. 1,12
Color senza coperta.
Marzacotto
lb. 30
Stagnio
lb. 25
Ecco che io vi ho posto di tutte le
sorti di colori che mi sonno pervenuti alle mani.

o vogliam dir grotesca, che a buona ragione quelle foglie andariano di verde, lassansi bianche. Tironsi solamente gli contorni e cociansi di fenito como gli altri vasi, poscia, cotti, riempasi quei bianchi di maiolica la quale si fa cossì:
Rosso da maiolica
A B
Terra rossa
on. 3 6
Bolo armimo
on. 1 0
Perette di Spagnia
on. 2 3
Cinabrio on. 0 3
Con l'ultimo accordo B si mesti un carlino di argento calcinato. Macinansi tutte le cose insiemi, puoi mettasi in una pigniatta da un quatrino et empasi piena di acceto vermiglio, e facciasi per fin tanto che lo acceto si consumi; puoi di nuovo rimacinasi con acceto et dipingasi. Dipinta, infornasi. E questo è molto diverso da gli altri usi, imperò che tai lavori se infornano in bocca, vòlto l'un su l'altro, come qui si vede:

senza operarvi altamente case; con
questo, che sempre il primo si appoggi sopra una schudella bestugia, acciò il
fuoco habbia gli suoi andamenti. E cossì, l'un sopra l'altro, si venghi empendo
tuatta la fornace; la quale è tanto diversa dall'altre quanto è il muodo dello
infornare e del dipingiare. Questa ha solo doi archi ove le altre ne hano 4 e 5
e 6. Gli suoi archetti son posti in croce, cioè uno traversa dai lati, e l'altro
si diporta alle dua facci: alla prima et a l'ultima. Ella ha solo quatro
saglimenti da fuoco, un per cantone. Sopra gli suoi archi si forma, a guisa di
un anfiteatro, un vaso di tutto giro; e questo fassi di sciabione, e sia di tal
grandezza che il suo corpo tocchi, anzi si appoggi, a tutt'a quatro le faccie
della fornace, lassando le saglite del fuoco libere senza impedimento alchuno.
Sia dapertutto forato il vaso, sì che passi da l’una banda a l'altra, acciò il
fuoco che si va dilatando per lo attorno del vaso, entri tutto quel calor più
sutile lambicandosi per detti bugi. Questa ha solo una boccha, e per questa si
da 'l fuoco. Ella se inforna di sopra como si fanno gli matoni. Il dar del fuoco
e vario da l'altro muodo, sì come ella è varia in tutte le sue parti da l'uso de
far vasi.
Ma, prima che io raggioni di questo, intendo mostrarvi la sua fornace. Eccovi la pianta.

Molti sono che le fanno senza fondamenti; anzi, dico, le soglian fare nei palchi delle case, serate sotto bona custode, perché hano, per secreto importante, il muodo di fare la fornace; e dicano che tutta quest'arte consiste in questo, e io, per bene e merito di coloro che mi han dato questo secreto, vo' cercare, meglio che saprò, mostrarvi tutto quello che io ne sento senza adullarvi.

Ecco che vi ho posto la fornace ellevata per insino a gli archi. Mi resta mostracela con il suo vaso, il quale è questo che quivi si vede:

D'intorno al quale si deve considerare che, nei quatro capi de l'angulo, formandovi il giro perfetto, vi rimangano quatro t[r]ianguli, li quai vano apperti: e questi sonno gli salimenti del fuoco.
Ma perché m'intendiate bene, io vi porò in dissegnio il mio ragionamento.
Vedete adunque il presente quadro, che è
appunto il quadro della fornace; vedetevi i' giro perfetto del vaso che vi va
dentro: ecco che, in fra il muro et il tondo, vi rimangano quatro triangoli che
vengano a essare i quatro salimenti del fuoco del quale vi ho di già ragionato.
Io prosupongo oramai essare inteso.
Né perciò mi voglio restare che io non
vi mostri, in disegnio, il muodo dello infornare e la fornace con il fuoco. Puoi
trattaremo del suo cuociare, de' mu[o]do del cogniosciare i lavori cotti, et il
suo burnimento.
So che vi de' racordare che già vi ho detto che se infornano, gli lavori di maiolica, su le schudelle tonde bestugie. Et ora, qui, mi è parso formarvi la mettà del vaso con un giro di schudelle in fondo, acciò meglio, con l'ochio, si capischi il mio parlare.

Questo è il muodo che si deve tenere
nello infornare, senpre voltando gli lavori un sopra l'altro. Gli è da sapere
che queste [fornaci] si fanno piccole, como sarebbe a dire 3 piedi per ogni
verso o ver 4; e questo aviene perche gli è arte fallace che, spesse volte, di
100 pezzi di lavori, a ffatiga ve ne sono 6 buoni. Vero è che l'arte in sé è
bella et ingegniosa, e quando gli lavori son buoni paiano di oro.
Solo di 3 sorte colori si fanno in
questa, cioè: oro, argento e rosso. Chi vi vole altro colore pongavegli prima,
alla seconda cocitura, lassando sempre i campi per la maiolica.
Puoi che vi ho condotto sin qui, gli è da sapere che, infornato che si è, con il nome sempre di Iddio benedetto, se gli accende il fuoco, e questo acresciesi a poco a poco como si fa a gli altri vasi.

Le sue legnie siano palli, o vogliam
rame di salci, ben seche e sciutte. Con queste si facci 3 ore di fuoco; il che
fatto, che già la fornace comincierà a mostrare un non so che del chiaro, allora
habbiansi ginestre o vogliam spartio, como reccita Dioscoride, ben seche e
stagionate, e, lassato le salice, facciasegli un'ora di fuoco di queste.
Fatto ciò, con un paio di moglietti, levesi un saggio di sopra via. Altri sogliano lassare una vedetta da un de' lati, e per quella cavano un saggio, o vogliam dire un pezzo di vaso, et s'ella gli pare cotta a bastanza, alentano il fuoco, quando che no atendano col fuoco per fino al suo compimento. Fatto questo, lassasi fredare subbito. Fredda, cavonsi gli lavori e mettonsi a mollo in una mastella di rano di bucata o vogliam dir lessia. Puoi, con una pezza, di lana, sfregonsi a un per uno. Fatto questo, con un'altra pezza asciutta e con cenere se gli daghi un'altra sfregata, che cossì vi scuopriranno tutta la loro bellezza. Questo è quanto a me pare che si possi dire d'intorno alla maiolica e, parimente, a gli altri colori et accordi che si ricercano. D'intorno a quest'arte, per tanto, intendo far fine a questo mio secondo libro. Nel terzo et ultimo, sotto quanta brevità sarà possibile, si trattarà tutto il rimanente de l'arte.
Io cerco, pure in questo estremo della mia gioventù, liberarmi dai lacci d'amore, e faccio como fa l'uccello che ha dato dei piedi nelle panie, il qual credendo liberarsi, ve si avolge con l'ale e con le piume. Ecco che per fugir l'otio, padre di amore, ho già messo insiemi i dua primi libri de l'arte del vasaio. Accostandomi alquanto alla solitudine, et èmi intervenuto quello che intervien bene e spesso a coloro che son feriti, imperò che, esendo stati molti mesi alle mani del valente cerusico, parendogli esar liberi, lo licentiano e, risanata la piaga, senza fenir di churarsi, im poco tempo si fa magiore. Questo, dico, è intervenuto a me, perché, quanto più ho cercato levarmi da gli pensieri amorosi con accordare un piombo et un stagnio, ne l'animo bene e spesso le membra proportionate della mia bella amata andava accordando; né collore sapeva io trovare, per lustro, per fiamegiante ch'egli si sia, che alle sue belle chiome di oro asomigliare si possi; né vi è negro che alle belle ciglia di lei non resti inferiore. Gli occhi suoi, divini, con quel di allegro e di grato ch'entro vi si vede, mescholato con una certa venerabile maestà, non ha di mestier somigliarsi ad altro che ai sentilati raggi del sole. Quando io venia allo accordo del duca di Ferara, che somiglia l'argento, appresso alle morbide braccia et alla delicata mano di lei, parevami questo, negro, ruvido e rozzo. Io non so trovare, insoma, arte, ne di diligente orefice, né di perito zoelieri che, gionta al somo di ogni eccelenza et di ogni pregio, ne l'animo recar mi possi quel contento che fa il suo dolcissimo e mansueto riso; lasso stare il santissimo pudore, la gravità dello andare. Quivi ciaschun potrà vedere che in van Plinio, con la oppenion dei magi, scrive la lucerta morta ne l'urina humana restringiare amore, e simile effetto fare il sterco delle columbe con oleo beuto. Se io tutto il fonte di cupidine bevessi, il qual fa, secondo scrive Mitiano, deponar amore, per riscontro surbendo un sorso di luce stilante da gli occhi della mia bella donna per la strada del core, più di potere harìa in me questo poco che quel molto. Or vedete ove mi va la mente e quant'ella sia fatta lontana dal primo intento! Guai a colui che in gentil donna sa cogniosciare non pure tutte quelle parti che io vi ho detto, ma solo una certa humanità, vera calamità de' virtuosi. Rimovasi in questo il neffando rimedio della bella Faustina, rimovasi le potion' d'Avicenna per ristringiare il sangue corotto, sprezonsi le incantationi di Alfesibeo et di Didone, perche, in vero, ogni cosa è nulla. Amore fa che l'huom non ubediscie a chi prudentemente il consiglia: egli ti nutriscie sempre in speranze et im piacer' dispiacevoli, et datti il van dissiderio per guida e per duce. E tra tutto questo io non so cogniosciare il più bel stato di quel d'amore. Cossì, Dio mi presti gratia che, vòlto l'amor mio ver' la sua bontà, possi haver tanto di tempo in questa vita che io conoschi me medesmo; perché allora, conosciendo gli vitii miei, riconoscierò l'unigenito suo figliuolo per mio Redentore; al qual sia gloria ne' seculi de' seculi.
Libro terzo

RA
tutte le cose che si ricercano in quest'arte, il tenere i colori netti et havere
buon ochio al fuoco mi pare che sia di gran consideratione. In questo nostro
terzo et ultimo libro, adunque, tratteremo l'ordine che si deve tenere in
cociare e macinare tutti li colori.
Gli è da sapere che il bianchetto va
cotto una sol volta; e quello ch'egli non viene al primo fuoco, malamente viene
al secondo né al terzo. Questo molti lo lavano in questa guisa: subbito che
hanno cavato il bianchetto della fornace lo votano in un cattin di legnio, che
si tiene apposta, ben netto e pulito; fatto questo si amezza di aqua. Habbiasi
puoi un pestel di legnio, o vogliam una pietra tonda che sia ben dura. Lavato
ben prima il detto bianchetto con l'aqua, poscia lassatolo riposare, gettasi via
que[l]l'aqua. Puoi con la pietra, o vogliam pestello, fregasi bene per quel
cattino; il che fatto diligentemente, ragiungavesegli de l'aqua; poscia si coli
per il suo staccio, perché a tutti gli coloretti si tiene un stacciuolo da per
sé per non machiare l'un con l'altro. Molti sono che lo macinano sui porfidi de
gli pittori a muro, che vien meglio assai et è di più sparagnio. Molti lo
macinano nella piletta, la quale vol essare di pietra ben dura, di grandezza di
un crivello, et habbia più di quatro dita di concavo.
Qui dentro si macinano tutti li coloretti, e questo si fa con un'altra pietra della par durezza, larga un palmo, grossa più di quatro dita, come si vede qui in mezzo a questo mio dissegnio:

Qui dentro, adunque, si mettano gli colori, ai quai, fermato il macinello sopra, avolgasi attorno con ambedua le mani, calcando, e facciasi cossì tanto che 'l collore venghi morbido a guisa di unguento. Poscia vi si versi sopra un boccale di aqua chiara, dapuoi, con una schudella invetriata, colgasi quelle parti più sutili che fan torbida l'aqua. Questo farassi cavandone que[l]l'aqua che vi si mese chiara, salvandola nel suo boccale, sopra il quale sia il suo staccio. E quello che non si può far con la schudella facciasi con una spongia, rimacinando sempre quelle parti che rimarano dentro alla piletta.

Puoi di nuovo colgasi fin tanto che si feniscie di macinare tutto. Quest'ordine si serva per tutti li coloretti.
Ora io vi dirò delle loro cociture. Il
verde accor[d]ato si cuoce doi o tre volte; il zallo, cotto che si è una volta o
doi nel piatello, cavasi e mettasi in un mezzo, e quello si cuopra con terra.
Doppuo' se gli facci un foro per mezzo la bocca in detta terra e mettasi a
recuociare di nuovo in luoco ch'egli habbia del fuoco la sua bastanza, imperò
che, quanto più fuoco ha, tanto è meglio. Il simile facciasi del zallulino; ma
se per caso havenisse che alla prima cocitura alchuno di detti colori colasse,
che spesse volte il fano, e cossì non sariano buoni, pistasi tutto il color
colato e pesasi, poi ragiungasi seco altratanto del suo accordo e mettasi a
ricuociare como prima, tenendo sempre un ordine per regula ferma. E cossì vi
averà a bbene di tutti li collori.
DEL BIANCO

Dipuoi, con una schudella grande di
Iegnio, larga un palmo, cavasi que[l]I'aqua del mulino cossì torbida versandola
nella staccia sopra la mastella, lassandone tanto nel mulino che basti per
macinare; e cossì si facci del rimanente. E quando ti para che il detto colore
sia macinato tutto, versa il mastel con tutto quel che già colasti, nel mulini.
Quivi da' duo volte, puoi lo cava tutto e, quel che non si può fare con la
scudella, facciasi con la spongia, qual si deve tenere per questo uso. Questo
muodo di macinare devesi tenere per tutti gli colori che vanno al mulino: tanto
la coperta commo gli altri.
MUODO DA INVETRIARE
Poscia pigliasi un schudelino bestugiuo, spazzato, et affondasi nel detto bianco, cavandolo subbito. Puoi con un ferro si scuopra fin sul bestugio e, se il bianco vi par grosso quanto il taglio de un de quei cuori da far guanti, allora egli starà bene; esendo più grosso, mettavesi de l'aqua e, s'egli fia più chiaro, lassasi possare e puoi cavasi de l'aqua; o vero se invetria alchuni lavori da duzena di poco prezzo, fin tanto che, facendo il. saggio con il ferro, como già si è detto, si vegghi che il bianco sia grosso il suo dovere.
Allora piglionsi lavor' sutili, tenendo sempre manegiato il colore con mano, et si attuffano ivi. Gli è anco d'avertire che ci sonno di molti lavori che, per essar posti ne l'infornar viccino alle bocchette per dove saglie il fuoco, son frogni. Questi non se invetriano, perché da quella banda non pigliariano il colore. Gli è anco da sapere che molti lavori si attuffano nel collore e molti si invetriano con la schudella.
Tutti gli lavori suttili si affondano nel bianco, e parte di duzinali, como a dire tazze, schudelle alla foggia e scudelini. Tutti gli altri puoi se invetriano con la schudella, avertendo che quegli che si bagniano nel collore si cavan subbito; poscia stratonsi su per una tavola come meglio piacerà a colui che gli piglia. Qui è da sapere che tutti gli lavori sutili s'invetriano con tutt'a dua le mani; non che si pigliano con tutta la mano, ma con le somità de l'indice e del medio, ponendo l'una man de rimpetto e l'altra, como qui si vede:
Puoi, dal lato A, si attuffano e dal
lato B si cavano, tenendogli vólti per ritto acciò si scholino.

Poscia, con la man ritta nella quale habbiasi la schudella, vi si versi sopra il colore, tenendo senpre la man del boccale svolta ver sé. Puoi, nel versarvi sopra il bianco, si volghi dua volte attorno, che cossì se invetriarà da per tutto.
Gii bronzi antichi, e certi albarelli
sutili, si affondano nel bianco facendogli pigliare il color dentro e di fuori.
Tutte le sorti de gli piatellami s'invetriano con la schudella, tetendo un poco
alquanto a la man china da un de' lati del piatello e svolta ver’ sé, et,
versandovi sopra il collore, si svolghi per il contrario di quel ch'ella si
tenea; il che fatto, fermasi la schudella nel mastello, e con l'indice, fregasi
per attorno l'orlo levandone il collore, perché, lassandovello, si attacarebbe
nello infornare.
Ora mi riman dirvi como se invetriano
gli lavori chupi dentro. E da sapere che il collore che si da dentro al lavor
chupo, como a dir boccali e mezzi, si tiene in un bigoncio; del qual sciemato
l'aqua alla bastanza, habbiasi un mezzo longo, tondo da bocca, e questo,
attufandolo nel collore, empasi per sino al mezo.

Gli è d'avertire che, in invetriandosi, sempre il collore se ingrossa; perché essendo egli più grave de l'aqua, l'aqua viene a essare surbita più del bianco. Vengasi, de in mano in mano, facendone il saggio con un stil di ferro, como già si è detto; e che il collor se ingrossi, mettavesi alquanto di aqua, tenendo sempre questo ordine.
MUODO DI DIPINGIARE
MUODO DI FAR PENELLI
È da sapere che gli penelli si fanno di dua sorte di pelo: cioè di pelo di capra e pel di asino. De l'asino si toglie il pel dei crini e non di altrove; della capra si toglie di quello che ha per il collo et in certi luoghi, per le coste e per gli fianchi, tutto ch'egli sia lustro, dritto e morbido e che non habbia del fievole. Questo cogniosciesi quando, bagniate ne l'aqua e poscia piegato cossì con un dito, s'egli riman piegato ei non è buono, ma s'egli torna dritto nel suo stato, questo è del buono. Molti sonno che per fare gli penelli sutili, da dipingiare gli istoriati, sogliano mescholarvi alchuni peli o vogliam dir mostachi di sorci, cioè quegli che se gli trovano d'intorno al muso. Fatto questo legonsi sopra un'asta di legnio, o vogliam dire scuota di penello, con un filo di acce incerato; e facciasi sì che la ligatura venghi colta nello avolgimento delle accie. Molti sono che cuoprano questa ligatura con cera perché la diflende da l'aqua. Tagliasi puoi nella somità, lassandoli grossi e sutili come pare a chi gli deve operare. Ora questo è quanto a me pare che si possa dire de gli penelli.

MUODO DI DIPINGIARE
II dipingiare de' vasi è
differente dal dipingiare a muro, perché gli dipintori a muro, la magior parte,
stano im piedi, e questi, tutti stanno a sedere. Né altamente si potria
dipingiare, come si vedrà nel suo dissegnio, et il lavor che si dipinge si tien
su gli ginochi con un[a] man sotto. Intendo del lavor piano, perché il lavor
chupo vi si tiene la man dentro, dico la man manca. Il lavor sutile si tiene in
certe cattini di legnio, un dito maggiori de gli piatti. De gli lavori chupi si
tengano con il piede sul ginochio manco. Sotto a gli lavori suttili, cioè tra il
cattino et il lavoro, vi si metta della stoppa affineche, volgendolo per
dipingiare, il lavor non vi balli dentro, et non si sgratti, imperò che il
bianco è tenaro.
Si deve anco avertire che nel mettare gli penelli di una schudella in l'altra, molti sono che non lo comportano, como a dire il bianchetto, nel quale non si metta alchun penello; solo quegli che vi si sono statuiti da prima, e volendovene pur mettare alchuno, lavinsi benissimo, perché altramente il collore si machiarebbe. Il simile facciasi de gli altri; escetto il verde, nel qual si può mettare il penello dal zalulino, ma non già il penel dal verde nel zalulino, perché ci si farebbe tutto verde; ma il zalulino, melandolo nel verde, gli fa tanto servitio che, s'egli è di mala natura, rimedia alla sua malignità. Gli aviene anco che molti verdi menano il collore troppo denso; accascando questo, mettavesegli alquanto di bianco comune, intendasi nella ramina, non nel verde accordato, che questo non ha bisognio di aiuto. Un altro a veramente mi sovien dirvi; il quale è questo che, spesse volte, dipingendo,

[Sotto la finestra di destra
sono leggibili i versi:]
Tu, gra[n] leone, il chui
vallor si estende / sì dove nascie e dove more il giorno; / tu, in chui dico, la
pace oggi dipende, / ras[s]erena, che puoi, la notte e ‘l giorno. / Tu, con la
santa man, guarda e diffende / l’afflita Italia d’ogni danno e scorno. / E non
patir che l’empio, brutto mostro, / daneggi lei et il paese nostro.
ne gli lavori si scuoprano certi
calcinegli i quali, si si lassas[s]arno cossì, guastarebono gli piatti perché il
bianco in quel luogo non vi si attiene. Questi levonsi con la punta di un
cortello daendovi sopra de' bianco medesmo. E se per sorte, nel cavarlo,
il lavor si passase dall'altra banda, e fosse lavoro d'importanza, facciavisi un
tassello di un pezzo di piatto bestugio, che sia grosso al par di quello, e
mettavesegli sì che non caschi dalla banda di sotto; puoi si ricuopra con il suo
bianco da tutt'a dua i lati et dipingasi, che non si cognioscierà. Questo è
quanto si può dire d'intorno al dipingiare. Mi resta mostrarvi le miste, con le
quai si fanno gli istoriati, e come le si pongano ai suoi luochi, acciò l'arte
non manchi di perfetione.
Pensò, costui, dico per tirare le figure
e schizare le istorie nei vasi e per far tutto ciò che si fa di chiaro e schuro,
accompagniare il zallo con alquanto di zaffara nera, como a dire:
A B
Zallo
on. 2
2
Zaffara
on. 1/2
1 ,1/2
Questo primo accordo si chiama mista
chiara, che è lo accordo A.
Il secondo, di llà dalla linia, per lo
acrescimento della zaffara, chiamasi mista schura. Con la prima si abbozza et
ombra, con la seconda si ricaccia e refeniscie. E non havendo zaffara nera,
tolgasi tanto della bona e tanto manganese, che farà il medesmo, inastando con
il zallo. Per figiar un albore, le carni morte, gli sassi e certe strade
alluminate facciasi questa:
Zallulino
on. 2
2
Bianchetto
on. 4 3
Per fìngiate gli legniami e certe strade
rossigiante e campire i sassi facciasi questa:
ZalIo
on. 1 2
Bianchetto
on. 2
3
Per figiare il ciclo, il mare, gli ferri
et altre cose facciasi cossì:
Zaffara
on. 1
1
Bianchetto
on. 3 2
Per fingiare gli tereni arati, le vie, le anticaglie e le pietre faciasi cossì:
Mista chiara on. 1
Bianchetto
on. 2
Per fare i pradi verdegianti, certi
albarini precossi dal sole:
Zallulino
on. 1
Ramina
on. 2
Per fìngiare gli capegli faciasi:
Zallulino
on. 2
Zallo
on. 1
Ecovi tutte le miste che si fanno in
quest'arte; io ve ne ho fatto di tutte le dose: quello che non si usa, perché
gli dipintori variano secondo il bisognio, e imperciò si fanno a caso. A me è
parso darvene una regula ferma; facciansi chiare e schure come più piace al
dipintore. Quest'arte non ha, per ancora, collore che venghi rosso, et io
ardisco a dire di riaverlo veduto in la bottiga di Vergiliotto in Faenza, bello
quanto un cinabro; ma gli è fallace, e questo si fa cossì: macinasi il bolo
arminio con acceto vermiglio e puoi dipingasi sopra il zallulino che, se egli si
abbatte a venire che'l fuoco non lo consumi, vederete un rosso in tutta
perfetione, e lodarci che per questo si facesarno le case intiere. Questo basti
in quanto al dipingiare; mi convien dirvi come se invetria il bianco ferarese.
COME SI INVETRIA IL BIANCO FERARESE
MUODO DI FARE GLI PIGNIATTI
Collor da pigniatti.
Piombo Ib.
3 21
20
Rena
Ib. 2
7
8
Ferraccia
on. 1/2 Ib.
1 1
Questo macinasi al mulino, cossì crudo,
e puoi se invetria et infornasi. Di questo ve ne ho posto tre accordi; pigliate
qual volete, che tutti son buoni.
Qui avertiscasi che, alle volte, sonno
certi bianchi che si stacano dal bestugio nel copertarli. Quando questo
intervenga non si mollano nel mastello, ma habbiasi una de quelle schopette da
panni, e questa bagniasi nella coperta; puoi si spruzzi su gli lavori como fanno
colloro che cimano gli panni, e facciasi tanto cossì che gli lavori dapertutto
si cuoprano. Altro rimedio per ancora non so che si sia trovato. Fatto questo,
se ne facci le bracciate, a cinque a cinque, e fermonsi su per le sue tavole,
avertendovi che, se bene io ho ragionato del mu[o]do del dare il bianco dentro
ai lavori chupi, intendasi che prima siano copertati e puoi datogli il bianco
dentro. Veniamo al mu[o]do dello infornare.
MUODO DE INFORNARE
Prima spazasi benissimo la fornace,
cavando disotto le cénare che vi restorno alla prima cotta, nettandola da cocci
et altre broture; dopuoi habbiasi luto fatto di questa sorte. Pigliasi sciabione
e questo si molli benissimo, puoi vi si metta dentro alquanto di cenere, sterco
di asino, scaglia di ferro o vogliam dire di quella polvere che sta su per i
ceppi delle anchugine; queste, mistate bene insiemi, mettasi in una bassola o
vogliam dir conca; dipuoi portasi sotto la fornace, e con mano, cossì
grossamente, si stenda su per gli archetti, in muodo ch'ella vi resta alta un
dito; puoi escasi dissotto e, col nome di Cristo Jesù, si cominci a infornare.
Et facciasi il primo filo, come già si è detto, di lavor crudo e puoi, apresso,
quello che sarà de rimpetto alla vedetta, prima al venire in qua, un filo di
mezzi feniti, avertendo voltare le mezze in muodo che si possi vedetare. Fatto
questo, cominciasi a mettare le case da gli lavori sutili, avertendo sempre di
spianarle bene e menare il fil ritto in muodo che non s'impedischi le saglite
del fuoco e che gli vasi feniti non si tocchino l'un l'altro, perché verebono
attachati.
Sapiasi che tutti gli lavori chupi si
sgrattino da boccha perché vanno infornati l'un sopra l'altro, e cossì si
venghi infornando come nel cociare di crudo, accomodando sempre alle bocchette
lavor fenito, da potere vedetare. E sapiasi che ogni piatto voi la sua casa,
escetto le ciotolette e le schudelle alla venetiana, che ne va 3 e 4 per casa;
avertendo che tutti gli lavori se infornano im boccha, eccetto il bianco
ferarese, che se inforna im piedi. A Vinegia, e quasi per tutta la Lombardia,
infornano im piedi, ma a Castello e per la Marca di Anchona, im boccha, sui
pironi. So che vi de' racordar che vi ho detto che gli lavori non vogliano
toccare in luogo alchuno; or mi tereste per sciocho se non vi mostrassi che non
se inforna però in aria.

e accomodansi puoi nella fornace l’una sopra l'altra, lutto che il bestugio non tocchi il fenito. Questo è l'ordine di tutti gli lavori strali. Le confetiere, coppelle, tazzine e schudelle alla venetiana se infornano su gli tagli, perché hano l'orlo curvo, et imperò la sumità de l'orlo si viene a fermar sul taglio e non fa appiciatura, come qui vedrassi:

Le tazzine, come vi ho detto, ne vanno 3 e 4 per casa, imperò che Ile case dove si mettano, lo comportano, per essare alte como la presente che qui si vede. E queste servano per infornare li bronzi antichi.

Infornando le tazzine o vogliam schudelle, in queste metonvisi li suo' tagli per quei bugi che vi si vegano, facendo sempre uscir le maniche per quella fessura, acconciandole talmente che non tocchino da verun de' lati. Accomodansi, ne l'infornare una sopra l'altra, che venghi alto il loro sopraponimento fino alla posta della volta, ten[en]do sempre il fil ritto como qui:

Questo è il mu[o]do dello infornare che si tiene dapertutto; la differenza è dello infornare im boccha e im piedi.
Ora non mi rimali far altro che
racodarvi lo infornare im muodo che il fuoco habbia comodità de intrare per
tutto; non accostando tanto i fili l'un su l'altro che il fuoco non vi giochi,
perché ove verebbe cotta, ove no; e siavi a mente le vedette lassarle im muodo
che l'ochio possi capire da un lato a l'altro della fornace, che questo è il
bello infornare. Sopra le schiace si mettano i piatellami, sotto ai quai vanno
le schudelle da mezzo orello, e sotto alle schudelle vano gli schudelini, pure
che non si toccano nel concavo, perché l'orlo non importa che va sgratato,
rempendo i vóti, di mano in mano, di lavor crudo.
E qua, più che al mezzo della fornace, facciasi un arco di schudelle tonde e tazze duzinalì, chi le ha, venendo alzando l'arco como qui si vede:

Fatto questo et impita la forna[c]e per
fin su la bocca, habbiasi, all'ordine, la coperta messa nei boccali; di questa
se ne facci doi fili su l'archetto della bocca, dinanzi alla murata, e
rimetavesegli li coloretti, e sempre sul piancito, sul muro, alli cantoni, si
accomodi il lavor crudo, e cossì nei vóti, che si harà sempre il bestugio per
l'altra cotta. Poscia chiudasi e si daghi la malta alla murata, cuopronsi le
bocchette di sopra coi piatelli, raseronsi le vedette, e spazzasi da bocca
ligiermente.
MUODO DI COCIARE DI FENITO
Fatto tutto questo, porgonsi preghi a
Dio con tutto il core, ringratiandolo sempre di tutto ciò ch'egli ci dà.
Pigliasi del fuoco, havertendo però al far della luna, perché questo è di
grandissima importanza, et ho inteso da quegli che son vechi ne l'arte e di
qualche esperienza che, cogliendosi havere il fuoco sul combusto della luna,
manca la chiareza del fuoco in quel modo che manca il splendore a essa.
Nel fare imperò habiasegli avertenza,
massime facendo ne' segni aquatici, che sarebbe molto periculoso: il che lassasi
passare, racordandosi far sempre tutte le cose col nome di Jesù Cristo. Acceso
il fuoco, hoperando sopra tutto le Iegnie seche e di legniamo dolce, acciò non
menino le fiame aspere, e questo si vadi cresciendo appoco appoco como si fece
all’a[l]tra cotta; avertendo di non lassare andare le legnie dentro alla
fornace, perché il fumo facilmente vi potria far dano.
Puoi cacciasi la bragia a li suoi tempi, stendenla como si è ragionato, e quando gii harete dato viccino a 11 ore di fuoco, aprasi una delle vedette e guardasi como ella è chiara; e s'ella vi par chiara, smaltate tutte le vedette e guardate ch'elle siano di par chiarezza, e se l'ultima, allo andare in là, non vi paresse chiara como le altre, abassasi il fuoco dinanzi e facciasi che le fiame entrino bene, sì ch'elle arivino alla parte men chiara; e s'elle non vi si ponno far andar cossì, aprasegli tutt'a tre le bochette della volta di sopra, che vedrete che il fuoco, sentendo l'esito, se ne andarà a quella volta. Fatto cossì, come ella vi para ugualmente chiara, lassate dar giù il fuoco; poscia adunatevi e guardate sotto la fornace se quella malta che già desti su gli archetti è colata. Vo' dire ch'ella habbia fatto certe colature longhe come dita, pendenti a guisa delle aque giacciate che vediamo il verno pendar da' tetti; e che la murata dinanzi si sia spicciata a ttorno a torno, e le bocchette di sopra siano fiorite di una certa cenere bianca. Questi sonno gli segni che la fornace è cotta, ma non ve ne state però a questo. Lassate dar giù alquanto il fuoco, puoi pigliate la vedetta, che è uno instrumento di ferro grosso quanto il dito aurichulare, lungo duo pas[s]i, in cima del quale vi è uria chiola alquanto magior del ferro, entro la quale vi si mettano certi pezzi di legni di salce ben secchi, fatti apposta, detti gli stechi, o vero altro legniame dolce. Et apperte le vedette, cacciavisi dentro questo ferro con il legnio nella somità, nel quale subbito si accenderà il fuoco, e cossì potrete vedere gli vostri lavori come se gli havesti in mano. Cossì farete a tutt'a quatro le vedette e, se vi paresse che di dietro la non fosse ben chiara come ne gli altri luoghi, pigliate un fastel di pali o vero altro Iegniame dolce che sia ben secho, e facetene pezzetti longhi doi palmi e larghi doi dita et andate gettandoli a quella banda della fornace per di sotto via, dove la non vi par chiara, fin a tanto ch'ella si rischiari. Qui voglio darvi un altro avertimento, che mai non si facci tanto gran fuoco che non resti un palmo di boccha apperta; e quando la vi parà ben chiara e lustrante, alentasi il fuoco et aramortonsi le bragie ai suo' tempi, como già si è detto, racordandovi che sempre si cuoce del marzacotto et altri collori per poter lavorar per l'altra cotta. Qui non mi resta di far altro che mostrarvi diverse pitture che si fano nei vassi in diversi luoghi, e questo cercherò fare con ogni brevità. Ora eccovi, in questa prima faccia, di dua sorte pitture: cioè troffei e rabesche; nel lato medesmo, di dietro, un troffeo in altra guisa; per il suo scontro, nella faccia 67, una cerquata et una grotescha; al lato medesmo, dua sorte di fogliami; per scontro, alla faccia 68, frutti e fiori; a l'altro lato, foglia duzinale; alla faccia 69, a paesi; al lato medesmo, porcellane tirate; per scontro, alla faccia 70, soprabianchi e quartiere; al suo lato, groppi di dua ragioni; per scontro, alla faccia 71, a candelieri.
IL FINE
Appendice prima
TROFEI RABESCHE

Queste sono in uso dapertutto; vero è che gli trofei si fanno più per il Stato di Urbino che in altro luogo, e pagonsi di fattura ai pittore un scudo il cento. Le rabesche più si usano a Vinegia et a Genova che in altro luogo e pagonsi di fattura al pittore un fiorino il cento; a Vinegia quatro lire, che batte di prezzo.
TROFFEI

Il medesmo.
[Nell’album musicale si
legge una strofa d’amore:] Armati cor
mio, / armati cor mio, / farai la piaga mia [E sul cartiglio i versi:]
Venite, o voi, che di ettà colmi e d’anni / prendete ormai viaggio a l’altra
vita, / se discaciar bramati oltraggi e danni, / empiendo il cor di gioia alta e
infinita, / ritagliendo il passato et in poch’anni / tornar ne l’età vostra più
fiorita, / venite a visitar meco il Turnone, / di Dio diletto amico e di
ragione.
CERQUATE GROTESCHE

Queste sono molto in
uso a noi per la veneratione et obligo che tenemo alla rovere, all'ombra della
quale vivremo lietamente; a tal che si può dir che gli è pittura a l'urbinata.
Queste si pagano X. carlini il cento senza fondo et un scudo con il fondo.
Le grotesche si son quasi dismesse, e non so perchè; gli è una delicata pittura, l'uso della quale io non so di dove si dirivi. Queste pagonsi doi fiorini, per il Stato, il cento; et a Vinegia 8 lire.
FOGLIE

Queste si fanno a
Vinegia et a Genova, più che in tutti i luoghi, e pagonsi il cento 3 lire.
FIORI FRUTTI

Veramente queste sonno pitture venetiane, cose molto vaghe, e si pagano 5 lire il cento.
FOGLIE DA DUZENA

Questa è pittura chumuna, e pagasi mezzo fiorino il cento, in Vinegia 2 lire.
PAESI

Questi a Vinegia et a Gienova, e al presente a noi, e pagonsi 6 lire il cento.
PORCELANA TIRATA

Questa è pittura
generale, e pagasi 2 lire il cento e anco 20 bolognini.
SOPRABIANCHI QUARTIERE

Questo è uso urbinato.
Gli soprabianchi si pagano mezzo scudo il cento e le quartiere 20 bolognini, o
voglia[m] dir l’un 3 lire e l'altro 2.
Appendice seconda
GROPPI CON FONDI E SENZA

Questo è uso comune, e pagonsi l'un
mezzo scucio e l'a[l]tro doi giulii il cento.
CANDELIERI

Pittura urbinata,
e pagasi doi fiorin il cento o vogliam dir 8 lire di Vinegia.
Io vi ho posto, qui per scontro, nel fin
di questa mia fatiga, la Terra di Durante, patria mia, la qual fo già edificata
da Guglielmo Durante decano di Chieretere. Questa è bagniata da tre lati dal
fiume Metauro. Di qui, non lontan un miglio, vedesi il Barco, circondato di mura
attorno attorno, pieno di diversi animali. Quivi fanno delicati vini, saporiti
frutti; l'aria è assai temperata. Quivi, da dua bande, si estende un’amena
pianura che da l’una ariva alla radice dell'Apenino et da l'altra si bagnia nel
mare Adriatico.
Da: http://www.farneti.it/LinkPiccolpasso.asp
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