2. Heidegger, La cura e l’ascolto nell’essere nell’esistere Martin Heidegger (1889 – 1976) Come esergo: “Noi veggiam, come quei c’ha mala luce, le cose” disse, “che ne son lontano; cotanto ancor ne splende il sommo duce. Quando s’appressano o son, tutto è vano nostro intelletto; e s’altri non ci apporta, nulla sapem di vostro stato umano. Pero’ comprender puoi che tutta morta Fia la nostra conoscenza da quel punto Che del futur fia chiusa la porta;” Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, X, 100-108 (preveggenza dei dannati) Parte prima: presentazione generale: alcuni concetti 0. Alcune convinzioni (filosofiche [etiche culturali]) di partenza 1. La dimensione temporale dell’essere e la domanda dell’uomo 2. Fenomenologia ontologica dell’Esserci (analitica dell’esserci) 3. La "svolta" (Kehre): e-sistere nell'apertura (radura, Lichtung) dell'essere 4. Il linguaggio, stare nell’apertura (radura Lichtung) dell’essere o frequentare il linguaggio (ermeneutica ontologica) Parte seconda: laboratorio tematico 1. esserci nella chiacchiera 2. esserci come essere-per-la-morte 3. esserci (esser-nel-mondo) nella tecnica nella sua ambivalenza 0. Alcune convinzioni (filosofiche [etiche culturali]) di partenza 0.1. le opere della filosofia non sono sistemi, trattati, ma sentieri, cammini, itinerari. Nell'esergo dell'edizione delle sue opere complete sta un motto che indica il carattere "viatico" del suo pensiero, al quale anche i titoli di alcuni suoi testi richiamano: un pensiero costantemente "in cammino" per "sentieri interrotti" (mai percorsi interamente, per una completezza impossibile), che non pretende di attingere certezze incontrovertibili, ma si accontenta di semplici "segnavia". Il motto in esergo dice: "Itinerari - non opere" [Wege - nicht Werke]) (Volpi Franco (a cura di) Heidegger, Laterza, Roma-Bari 1998, p.56) 0.2. la rilevanza e la rivoluzione del linguaggio della filosofia di Heidegger. La filosofia di Heidegger è una rivoluzione linguistica. Si tratta di un piglio innovativo che nasce dalla convinzione che l’essere, la realtà, si dà all’uomo nel linguaggio, si dà nella parola e questa deve essere articolata in modo da diventare o mostrarsi come “la casa dell’essere”; la filosofia è ascolto (guida qui la disinvolta interpretazione del passaggio della Metafisica di Aristotele: to òn léghetai – l’essere si dà nella parola, accade nel linguaggio, viene al dire; del resto, come da tradizione, la filosofia nasce come lògos). Attesta Gadamer, presente alle sue lezioni: «Fu una nuova esperienza del linguaggio della filosofia. La si potrà paragonare forse all’esperienza che, a suo tempo, si fece con i Sermoni tedeschi di Meister Eckhart, o con la lingua di Lutero, il quale, con la sua traduzione della Bibbia, conferì al tedesco una nuova immediatezza.» (Gadamer Hans-Georg, Linguaggio, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 94) Un linguaggio difficile, insolito e complesso, ma presto famigliare e imprescindibile in quanto apre o indica nuovi cammini di riflessione e scoperta, costruisce e descrive un nuovo mondo. Può valere, per le opere, l’impresa, il linguaggio di Heidegger, l’annotazione che Foucault confida a proposito della sua opera filosofica: «Voglio mettermi risolutamente a fianco degli scrittori, di quelli che hanno una scrittura transitiva. Voglio dire con questo che la scrittura deve indicare, mostrare, manifestare al di fuori di se stessa qualcosa che senza di essa rimarrebbe nascosto, o perlomeno invisibile. Ecco, è là che, nonostante tutto, io trovo il mio incantamento per la scrittura». (Foucault Michel, Il bel rischio, Cosmopolis 2013) … «la scoperta del piacere del disfare il linguaggio abituale e di inventarne uno nuovo» (Francesca Bolino). 0.3. il tema della “svolta” (delle “torsioni”): solo la logica dello sviluppo del pensiero di Heidegger. «Come fare, in effetti, a ricominciare a parlare dell'essere, di cui Heidegger ha garantito il ritorno nel lessico filosofico contemporaneo, della verità, che, sempre lui, ha così abilmente contrapposto al sapere, e del soggetto, che ha squalificato in quanto "metafisica", senza entrare in conflitto con quest'ultimo rappresentante del romanticismo tedesco?» (Badiou Alain, 1988, L’essere e l’evento, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2018, 48); nell’ambito di un progetto «di una teoria generale che tenesse insieme tre concetti fondamentali della grande tradizione speculativa: l'essere, il soggetto e la verità». (ibidem). Heidegger dà molto rilievo alla svolta (svolte, torsioni, conversioni, nuove direzioni) che il suo pensiero vive nel suo travagliato e discusso (soprattutto politicamente) impegno filosofico. Ancora una volta, non si tratta solo di vicende personali di Heidegger ma di urgenze proprie della filosofia. C’è una costante alla radice di queste torsioni: la necessità di dover superare e comporre antiche contrapposizioni diventati dualismi metafisici (tra essere e tempo, essere e dover essere, tecnica e teoria, poesia e filosofia…) destinati a consegnarsi a opposte ideologia (filosofiche e politiche) incapaci di dar conto e di rispettare la natura dell’uomo e delle sue situazioni ambientali. 0.4. la difficoltà ad imparare (la resistenza e il rifiuto) sta nella difficoltà a disimparare. [«non è certo compito minore … reimparare rispetto a imparare per la prima volta.» (Aristotele, Politica 1289a3,5)] «Le interpretazioni errate, i fraintendimenti, impediscono il cammino verso la conoscenza autentica più di quanto faccia la totale ignoranza» (Heidegger Martin, (1927) 1975 I problemi fondamentali della fenomenologia, il Melangolo, Genova 1999, 309). Ancora Gadamer parla di demolizione mirata: «demolizione degli strati sovrapposti sino a ritornare alle esperienze originarie del pensiero che alla fine – allora come oggi – non s’incontrano altrove se non nel linguaggio realmente parlato.» (Gadamer, Linguaggio, 97). Nel seguito: quattro torsioni. 1. La dimensione temporale dell’essere e la domanda dell’uomo Prima torsione: dalla metafisica all’ontologia; dalla domanda sull’essere, propria della metafisica alla indagine ontologica dell’esserci (Heidegger Martin 1927, Essere e Tempo, Longanesi & C., Milano 1976) Tradizionalmente la metafisica ha identificato l’essere con la semplice-presenza, con il darsi oggettivo e atemporale (sempre presente) di «ciò che è»; concepito come sostanza o mondo o Dio, l’essere descritto dalle ontologie tradizionali è indagato come una realtà oggettiva, sempre presente, individuabile dall’intelletto mediante il procedimento astrattivo che coglie l’essere e cerca l’essenza in tutto ciò che è, stando come soggetto, osservatore esterno, di fronte ad un oggetto: l’essere. Da questo semplicistico approccio allo studio dell’essere sono derivati alcuni pericolosi pregiudizi: si crede che il concetto di essere sia il più generale di tutti e pertanto sia il più chiaro (mentre in realtà, nota Heidegger, «è il più oscuro»); dalla generalità se ne deduce l’ovvietà: si ritiene che tutti comprendano il significato della nozione di essere come quando si afferma che «il cielo è azzurro» o che «io sono contento»; dietro l’apparente ovvietà della nozione di essere si cela il problema del senso dell’essere, problema che resta «oscuro e privo di guida». Poiché il problema dell’essere è incessantemente riproposto da un ente storico, temporalmente determinato, l’uomo, Heidegger ritiene necessario impostarne l’indagine a partire da quell’ente che ha la preminenza sugli altri enti in quanto egli solo pone il problema dell’essere, si interroga sul suo senso. L’ontologia deve dunque partire da un’indagine preliminare sull’essere dell’uomo: l’Esserci, l’essere determinato qui e ora. E si rende necessario un cambiamento, una svolta radicale nel modo di impostare la questione fondamentale del nostro essere realtà e parte della realtà. In passaggi più essenziali: 1.1. la metafisica, astraendo o andando oltre il dato fisico, studia i modi generali di essere dell’essere e la loro relazione; essa parla dell’essere allo stesso modo con cui l’uomo parla dell’ente; l’essere è così oggetto, cosa, pura presenza; l’uomo ne parla come se l’essere (la realtà) fosse un oggetto davanti a lui e lui ne fosse in qualche modo all’esterno, in una posizione tra spettatore e giudice; la ragione, il pensare in generale sono esterni all’essere: parlano dell’essere come cosa. La metafisica che mette in scena il proprio discorso sull’essere rappresenta quindi uno sdoppiamento tra ragione – essere, soggetto – oggetto, interno – esterno e dimentica invece di occuparsi del fondamento del discorso sull’essere, cioè l’ente da cui parte la domanda sull’essere: l’uomo. Occorre passare dalla metafisica, che è discorso sull’essere come ente, come oggetto, alla ontologia, che è discorso dell’essere nei modi dell’esserci, cioè di quell’essere che domanda e chiede, che pone il problema. 1.2 nella (nuova) ontologia la riflessione verte anch’essa certamente sull’essere, questione centrale della filosofia e questione finora propria del sapere metafisico, ma ora porsi il problema dell’essere significa studiare l’uomo da cui parte la domanda e la ricerca sull’essere. Uomo non considerato “onticamente”, cioè come ente-oggetto-cosa (come accade all’essere nella metafisica tradizionale; qui l’uomo diventa cosa per se stesso), contenuto d’analisi di saperi determinati, ma considerato “ontologicamente”, come “esserci”, esser qui, contrassegnato da una temporalità mondana e storica; cioè ente che si pone la domanda dell’essere, che sta dentro il suo domandare e nell’essere. L’ontologia, a differenza della metafisica, studia i modi di essere dell’esserci. Diventa dunque essenziale: la distinzione tra ente e essere, l’indagine si fonda preontologicamente sull’esserci e l’ontologia studia – descrive i modi di essere dell’esserci (mentre la metafisica tradizionale studia invece i modi di essere dell’essere). «Se il problema dell’essere deve esser posto esplicitamente e portato a soluzione nella piena trasparenza di se stesso l’elaborazione di questo problema richiederà, in conseguenza delle delucidazioni da noi date, l’esplicazione del modo in cui si può volger lo sguardo all’essere, realizzarne la comprensione e afferrarne concettualmente il senso; e richiederà la preparazione della possibilità della scelta corretta dell’ente esemplare, nonché l’elaborazione della giusta via di accesso a questo ente. Ma volger lo sguardo, comprendere, afferrare concettualmente, scegliere, accedere a, sono comportamenti costitutivi del cercare e perciò parimenti modi di essere di un determinato ente, di quell’ente che noi stessi, i cercanti, sempre siamo. Elaborazione del problema dell’essere significa dunque: render trasparente un ente (il cercante) nel suo essere. La posizione di questo problema, in quanto modo di essere di un ente, è anche determinata in linea essenziale da ciò a proposito di cui in esso si cerca: dall’essere. Questo ente, che noi stessi sempre siamo e che fra l’altro ha quella possibilità d’essere che consiste nel porre il problema, lo designiamo col termine Esserci [Dasein]. La posizione esplicita e trasparente del problema del senso dell’essere richiede l’adeguata esposizione preliminare di un ente (l’Esserci) nei riguardi del suo essere.» (Heidegger Martin 1927 Essere e Tempo, Longanesi, Milano 1976, 22-23) 1.2.1. Una utile precisazione: «Un problema fondamentale della filosofia fin dai suoi esordi è quello di distinguere da una parte l'essere, (quello che Aristotele per primo vuole pensare "in quanto essere") e, dall'altra, l'esistenza, categoria che, per l'appunto, non è riducibile a quella di essere. Non sarebbe esagerato sostenere che l'elaborazione di tale differenza guidi ancora oggi il destino di ogni costruzione filosofica. Il senso del termine "esistenza" deriva molto spesso dal prendere in considerazione un tipo di essere speciale. È questo il caso di Heidegger, quando distingue tra Sein e Dasein. Dal punto di vista etimologico, si noterà che "esistenza" - Dasein - è un concetto topologico. Significa essere-là, esserci, essere nel mondo. È evidente che nell'ambito dell'apparire, così come io lo definisco, bisogna riconoscere ad Heidegger la determinazione del concetto molto generale di esistenza attraverso la necessità di pensare il luogo, il mondo in cui ciascuna cosa viene a essere o, meglio, a esistere il suo essere. Che questo luogo non sia deducibile dall'essere in quanto tale fonda la differenza Sein/Dasein, essere/esserci. […] Tutto ciò richiede di pensare un luogo per l’apparire o per l’esserci, un luogo che chiamiamo un mondo, ma che non esiste, perché è la condizione di ogni esistenza. […] Dati un mondo e una funzione d'identità che abbia i propri valori nel trascendentale di quel mondo, chiameremo "esistenza" di un molteplice che appare in quel mondo il grado trascendentale assegnato all'identità di quel molteplice con se stesso. […] …"esistere" si può dire solo rispetto a un mondo. L'esistenza è infatti un grado trascendentale che indica l'intensità d'apparire di una molteplicità in un mondo determinato, e una tale intensità non è in nessun modo prescritta dalla pura composizione del molteplice considerato. » (Badiou Alain, 2009, Secondo manifesto per la filosofia, Cronopio, Napoli, 2010, 41,45, 51) 1.3. L’ontologia di Heidegger si apre pertanto con una «Analitica dell’esserci»; poiché lo specifico modo di essere dell’esserci è l’esistenza, l’ex-sistere, il trascendimento, l’oltrepassamento, l’analitica esistenziale dovrà portare alla luce la struttura costitutiva dell’esserci e i suoi esistenziali. Con questa espressione Heidegger intende i tratti costitutivi dell’esistenza. L’indagine metafisica lascia lo spazio all’indagine ontologica e diventa analitica dell’esistenza, analitica dell’uomo come “Esserci” (Dasein), fenomenologia ontologica (non ontica) dell’Esserci; qui l’essere è tempo. «Il problema della distinzione fra essere in generale ed ente si trova non senza motivo al primo posto. Infatti la sua discussione deve anzitutto permettere di scorgere tematicamente, in maniera chiara e metodicamente sicura, qualcosa come l’essere nella sua distinzione dall’ente, e di sottoporlo ad indagine. Insieme alla possibilità di effettuare con sufficiente chiarezza questa distinzione fra essere ed ente, e quindi di compiere il passaggio dalla trattazione ontica dell’ente alla tematizzazione ontologica dell’essere, sta o cade la possibilità dell’ontologia, cioè della filosofia come scienza, Le discussioni di questo capitolo sollecitano pertanto il nostro interesse dominante. L’essere e la sua distinzione dall’ente possono esser fissati solo se siamo in possesso della comprensione dell’essere come tale. Avere la comprensione dell’essere significa però comprendere anzitutto quell’ente alla cui costituzione d’essere appartiene la comprensione dell’essere: l’esserci. La messa in luce della costituzione fondamentale dell’esserci, cioè della costituzione della sua esistenza, è il compito dell’analisi ontologica preparatoria della costituzione esistenziale dell’esserci. Noi la chiamiamo analitica esistenziale dell’esserci. Essa deve mirare al chiarimento di ciò su cu si fondano le strutture fondamentali dell’esserci nella loro unità e totalità.» (Heidegger Martin (1927)1975 I problemi fondamentali della fenomenologia, il Melangolo, Genova 1999, p.218-219) 2. Fenomenologia ontologica dell’Esserci (analitica dell’esserci) Seconda torsione: nell’esistere, le forme (trascendentali e storiche) dell’esserci come compito Fenomenologia dei modi originari con i quali l’esserci si rapporta costitutivamente al mondo. 2.01 nota sulla fenomenologia e sulla fenomenologia trascendentale: evoluzione di significato di una espressione ricorrente nel linguaggio della filosofia. 2.01.1. scienza dei fenomeni e indagine delle forme di conoscenza corrispondenti; questa definizione colloca il campo di indagine della fenomenologia nelle facoltà del soggetto di cui indica principi, ampiezza e limiti. Così Kant. 2.01.2. scienza dell’esperienza della coscienza: “descrizione del cammino della coscienza naturale la quale urge verso il sapere vero”; così intesa il suo campo di applicazione è la coscienza come manifestazione dell’Assoluto considerata nel suo cammino di formazione. Così Hegel. 2.01.3. indagine dei “vissuti psichici” intesi come atti intenzionanti il mondo: il ritorno alle cose stesse, alla realtà si attua esplorando, con metodo trascendentale, come la realtà si costituisce e manifesta originariamente negli atti della coscienza intenzionante il mondo. L’indagine è di natura sia logica che ontologica, “di tipo teoretico-coscienzalistico” (Gadamer). Così Husserl. 2.01.4. analitica dell’esistenza nei suoi caratteri originari e nella temporalità dell’essere, non individuabili con gli strumenti concettuali delle scienze (naturali e sociali) e delle filosofie tradizionali; campo di applicazione: ontologia ed ermeneutica. Così Heidegger: Fenomenologia come analitica dell’Esserci 2.1. l’Esserci è esser-nel-mondo (esser qui, essere in situazione, la “mondanità” [Weltlichkeit] ci caratterizza), secondo un rapporto ontologicamente biunivoco: 1. l’Esserci è definito dalle relazioni concrete che si intrattengono con le cose; il mondo è l’ambito ineludibile dell’Esserci. 2. Viceversa, il mondo è sistema organizzato in forza della sua relazione con l’Esserci; il mondo è l’insieme di oggetti-strumenti, non oggetti-cose; l’insieme di stati di cose, poste in relazione, non cose intese come sostanze separate; «secondo la famosa tripartizione l’animale è definito ‘povero di mondo’ (weltarm),… la pietra ‘senza mondo’ (weltlos) e …l’uomo ‘formatore di mondo’ (weltbildend). (Esposito Roberto 2004 Bìos. Politica e filosofia, Einaudi, Torino, 169-170) 2.2. l’Esserci come esser gettato / progetto secondo un rapporto doppio: di condizionamento (chiusura, necessaria e indispensabile), di progettazione (apertura) 2.2.1. Esserci è esser-gettato (analitica dell’esser-gettato, della “gettatezza”). L’uomo accade in un mondo già orientato, già organizzato che rivendica su di lui un diritto di priorità; l’accoglienza e l’ingresso sono subordinati ad un processo di iniziazione, educazione (adattamento, “assoggettamento”: diventar soggetto assoggettandosi cfr. Foucault). L’Esserci, in questa situazione, può ridurre i propri progetti a una ripetizione partecipata e la propria partecipazione è adeguamento, “deiezione”. Senza intenti moralistici ma al solo scopo di avviare una fenomenologia analitica dell’esserci quotidiano (della quotidianità), la riflessione diventa descrizione dei modi quotidiani diffusi della deiezione. 2.2.1.1. Esserci nel si: il si anonimo, “si dice”, “si pensa”, la quotidianità dell’Esserci. «Innanzi tutto e per lo più, l’Esserci è assorbito dal suo mondo. Questa immedesimazione col mondo e l’in-essere su cui si fonda, determinano l’essenza del fenomeno relativo alla domanda: «Chi è colui che è nella quotidianità dell’Esserci?» Tutte le strutture dell’essere dell’Esserci, e quindi anche il fenomeno che viene in questione col problema del Chi, sono modi del suo essere. Il loro carattere ontologico è di natura esistenziale. Perciò occorre, prima di tutto, procedere a una giusta impostazione del problema e alla esatta determinazione della via per la quale deve essere scoperta questa nuova regione fenomenica, la quotidianità dell’Esserci. L’esame del fenomeno mediante il quale è possibile rispondere al problema del Chi, conduce a strutture dell’Esserci che sono cooriginarie all’essere-nel-mondo: il con-essere ed il con-Esserci. In esse si fonda un modo di essere-se-stesso quotidiano la cui illuminazione chiarificherà ciò che possiamo chiamare il «soggetto» della quotidianità, il Si.» (Heidegger 1927, 148) Alcuni aspetti analitici relativi al con-essere della quotidianità: [1] «Questo essere-assieme dissolve completamente il singolo Esserci nel modo di essere “degli altri”, sicché gli altri dileguano ancora di più nella loro particolarità e determinatezza.» [2] «La medietà è il carattere esistenziale del Si.» [3] «Ognuno è gli altri, nessuno è se stesso. […] “io” non “sono” io nel senso del me-Stesso che mi è proprio, ma sono gli altri nella maniera del Si» (Heidegger 1927, 162-166 passim; come viene descritto, analiticamente, nella prassi della “chiacchiera” [qui in “laboratorio”]). 2.2.1.2. Esserci nella cura, una prassi ambigua (o ambivalente): 2.2.1.2.1. una cura che insegue per abitudine e sbriga ciò che per lo più si fa in un rapporto con gli altri di emulazione che soggioga alla cura del e nel quotidiano. Un protendersi verso il futuro (prendersi cura, occuparsi di) condizionati da un passato da confermare e riprodurre e, dunque, fare del futuro una mera protesi del presente o dello stesso passato. «L’essere-assieme, anche se nascostamente, è sempre preoccupato di questa commisurazione agli altri. Esistenzialmente considerato, esso ha il carattere della contrapposizione commisurante. Quanto più questo modo di essere passa inosservato all’Esserci quotidiano stesso e tanto più tenacemente ed originariamente opera in esso. Questa contrapposizione commisurante, fondata nell’essere, presuppone che l’Esserci, in quanto Esserci-assieme quotidiano, si muova nella soggezione agli altri. Non è se stesso, gli altri lo hanno svuotato - del suo essere. L’arbitrio degli altri decide delle possibilità quotidiane dell’Esserci.» (Heidegger 1927, 162-163) 2.2.1.2.2. Occorre tuttavia prendere atto della ambiguità della cura (quasi sintesi di gettatezza in deiezione e gettatezza in progetto, in aver-da-essere). La cura può essere intesa anche come un protendersi, nella temporalità, verso il futuro. Dunque l’ambivalenza: 1. «… questo protendersi non è però mai assoluto e puro, ma è sempre condizionato da un “essere-già-nel-mondo”: come tale la cura è fatticità, cioè legame imprescindibile a un condizionamento, a una finitudine dati in un passato già scorso.» (Volpi 1998, 30); 2. Tuttavia «la cura è anche un “essere-presso-l’ente-che-si- incontra-nel-mondo”… non si esplica in una attualità perfetta sempre piena e presente a se stessa, ma è essenzialmente un “poter-essere” … un “essere-avanti-a-sé”, esprime l’e-sistenzialità dell’esserci, ossia lo stare fuori del suo poter-essere dalla puntualità del presente e il suo protendersi verso la maturazione nel futuro.» (Volpi 1998, 30) La cura si lega dunque, in schema, con l’articolazione temporale di futuro, passato e presente ma in una correlazione ambivalente delle tre dimensioni. 2.2.2. Esserci è progetto: “l’essenza di questo Esserci consiste nel suo aver-da-essere”; “essere avanti-a-sé-essendo-già-in-un-mondo”; gettatezza come aver-da-essere. «Per Heidegger, la "differenza ontologica" è piuttosto la differenza tra lo stupido esserci degli enti, la loro realtà priva di senso, e il loro orizzonte di significato». ((Žižek Slavoj, 2006 La visione di parallasse, il nuovo melangolo, Genova 2013, 38) 2.2.2.1. analitica dell’Esserci come progetto, come aver-da-essere «L’Ente che ci siamo proposti di esaminare è il medesimo che noi stessi siamo. L’essere di questo ente è sempre mio. Nell’essere che è proprio di esso, questo ente si rapporta sempre al proprio essere. Come ente di questo essere, esso è rimesso al suo aver-da-essere. L’essere è ciò di cui ne va sempre per questo ente. Da questa caratterizzazione dell’esserci derivano due ordini di conseguenze: 1. L’«essenza» di questo ente consiste nel suo aver-da-essere. L’essenza (essentia) di questo ente, per quanto in generale si può parlare di essa, dev’essere intesa a partire dal suo essere (existentia) […] 2. L’Essere di cui ne va per questo ente nel suo essere, è sempre mio. […] L’ente a cui nel suo essere ne va di questo essere stesso, si rapporta al suo essere come alla sua possibilità più propria. L’esserci è sempre la sua possibilità, ed esso non l’«ha» semplicemente a titolo di proprietà posseduta da parte di una semplice-presenza. Appunto perché l’esserci è essenzialmente la sua possibilità questo ente può, nel suo essere, o «scegliersi», conquistarsi, oppure perdersi e non conquistarsi affatto o conquistarsi solo «apparentemente». (Heidegger 1927, 64,65) 2.2.2.2. analitica dell’Esserci come temporalità: essere e tempo La temporalità è costitutiva dell’essenza dell’esserci; è orizzonte da cui è possibile comprendere l’Essere; è l’orizzonte in cui l’esserci si apre alla sua essenza: aver-da-essere. «Costituzione originaria dell’essere dell’esserci si rivela, all’analitica ontologica dell’esserci, la temporalità (Zeitlichkeit). L’interpretazione della temporalità conduce ad una comprensione e ad un concetto di tempo più radicali rispetto a quelli che era stato possibile fino ad oggi enucleare in filosofia. Il concetto di tempo a noi noto, quello tradizionalmente trattato dalla filosofia, è soltanto una derivazione della temporalità quale senso originario dell’esserci. Ma se la temporalità costituisce il senso ontologico dell’esserci umano e se alla costituzione ontologica dell’esserci appartiene la comprensione dell’essere, allora anche la comprensione dell’essere deve risultare possibile solo sul fondamento della temporalità. Da qui sorge la prospettiva per una possibile verifica della tesi: l’orizzonte a partire da cui è comprensibile qualcosa come l’essere in generale è il tempo. Noi interpretiamo l’essere a partire dal tempo (tempus). Questa è un’interpretazione temporale (temporale). La problematica fondamentale dell’ontologia, quale determinazione dell’essere a partire dal tempo, è quella della Temporalità dell’essere (Temporalität).» (Heidegger 1927/1975, 14-15) 2.2.2.3. analitica della temporalità dell’Esserci come esser-per-la-morte La temporalità dell’Esserci è una temporalità finita, limitata. La certezza del finito è la certezza della morte. Rimossa dal pensiero, rimandata a condizione generica dell’uomo, resa oggetto di curiosità e chiacchiera in quanto accade ad altri: questo è il modo diffuso e quotidiano con cui essa si presenta all’attenzione e ai discorsi. È dimensione ontologica dell’Esserci come progetto quando è colta come vita di una temporalità finita. Un tempo infinito toglie il motivo e lo stimolo del progettare. La definizione di piani e l’impegno nelle possibilità, nel proprio aver-da-essere si realizzano proprio in situazione di finitudine. 2.2.2.4. analitica storica particolare dell’Esserci nella tecnica e nella sua ambiguità o meglio (ancora) ambivalenza. 2.2.2.4.1. un primo rapportarsi: dominio. Nelle culture industrializzate il problema dell’essere, il rapporto con la realtà (l’ambiente, compresi gli uomini), si pone come problema di dominio/progresso nel mondo. La tecnica diventa un passaggio imprescindibile per l’uomo e per il suo produrre e operare; la visione stessa del mondo è in termini di dominio. 2.2.2.4.2. un secondo rapportarsi: disvelamento. Ma dalla tecnica può nascere un diverso rapporto con il